La stanza di Giampiero Bakovic

Giampiero Bakovic

Esperimento Sudan

di   Giampiero Bakovic

Febbraio 2004

 

Il richiamo dell’Africa per me è sempre forte. La Libia, la mia terra, mi è preclusa. Quando mi si presentano delle opportunità per tornare in Africa non so resistere: così è stato per questo viaggio in Sudan. Mio cognato, egittologo alla “Sapienza” di Roma, ogni anno a febbraio svolge una missione di ricerche archeologiche nella zona di Gebel Barkal dove sorgono diversi edifici risalenti all’antica Nubia.

Quest’anno gli mancava il consueto fotografo che per motivi suoi ha dato forfait.

Gli anni passati, a febbraio ero sempre impegnato con l’insegnamento ed era un mese particolarmente denso di impegni: interrogazioni quadrimestrali, consigli di classe ed altro che non scrivo per non tediare.

Quest’anno sono felicemente in pensione; mi viene proposto di fare il fotografo: non mi sembra vero! Penso ad uno scherzo e invece no! ….è proprio una seria proposta per aggregarmi alla missione archeologica. Accetto, ma cominciano a sorgere i primi timori di un’esperienza al buio: la Libia si affaccia sul Mediterraneo, il Sudan è sotto il tropico con condizioni ambientali sicuramente più torride soprattutto in prossimità del deserto della Bayuda. Esito, ma non rinuncio. Ci penso ancora un po’ perplesso ed infine accetto: o la va o la spacca!

Il 7 febbraio 2004 alle 14: 30 ci si imbarca sull’EgyptAir da Fiumicino alla volta del Cairo dove dovremo fare una lunga sosta in aeroporto nell’attesa della coincidenza per Kartoum. Finalmente giunge l’ora: ci si imbarca al Cairo in piena notte e si parte per Kartoum dove si giunge ai primi bagliori dell’alba. Davanti a me si apre un nuovo mondo; una città brulicante di vecchie auto che sfrecciano su strade polverose e sterrate. Numerosi sono i carretti trainati da pazienti somarelli. Alcuni cammelli stracarichi di masserizie flemmaticamente sostano ai bordi di un grande mercato frequentato dai più strani personaggi. Noi ci rechiamo all’hotel AKROPOLE, gestito da una famiglia greca. Penso: almeno lì vi sarà una parvenza di comodità europea, e invece no! L’edificio è fatiscente; arredato spartanamente; anche lì si respira l’atmosfera sudanese. Sostiamo un intero giorno per i doverosi pellegrinaggi negli uffici preposti alle antichità per ottenere i dovuti permessi di scavo e di soggiorno a Karima, la città sorta nei pressi del Gebel Barkal. Con l’occasione compiamo una visita formale all’ambasciata d’Italia dove l’ambasciatore ci intrattiene cordialmente per una ventina di minuti, dopodiché veniamo congedati con simpatica cortesia.

Il lungo pomeriggio viene speso per una fugace visita alla città di Omdurman che si trova in posizione simmetrica a Kartoum rispetto al Nilo che in quel luogo forma una grande Y rovesciata dovuta alla fusione del Nilo Azzurro con il Nilo Bianco diventando il grande Nilo che maestosamente attraversa da millenni tutto il territorio desertico fino a raggiungere le sponde del Mediterraneo dopo aver fertilizzato una lunga striscia di territorio. I colori sgargianti e vivaci dominano dappertutto.

I negozietti si affacciano aperti sulle vie polverose. Non veniamo infastiditi dai bambini e dai mendicanti. Si direbbe che nonostante l’evidente povertà, la gente dimostra una fiera dignità. Il saluto è frequente e accompagnato da cordiali e calorosi sorrisi. Veloce trascorre il pomeriggio. Ritorniamo in albergo dove ci attende una cena frugale. Quattro chiacchiere e subito a nanna perché all’indomani ci si deve alzare presto per un viaggio di 450 km che ci porterà a Karima, cittadina sorta in prossimità del Gebel Barkal. Sentendo Gebel, qualcuno potrebbe pensare al Garian, Jefren o Tigrina  che erano paesetti dislocati sulle montagne alle spalle di Tripoli, e invece no! Il Gebel Barkal è un curioso rilievo isolato composto di argilla, pietra arenaria e basalto, di chiara origine vulcanica, che si erge per un’altezza di 78 metri sulla assolata pianura che degenera nell’implacabile deserto della Bayuda. Il viaggio è faticoso perché il mezzo di trasporto è sgangherato con un sacco di pezzi che vibrano e lasciano filtrare l’aria polverosa della steppa semidesertica.

Il lungo nastro d’asfalto cessa ad un centinaio di chilometri dalla meta. Comincia un faticoso tratto su pista. Dopo vari slalom tra le dune pietrose giungiamo sulla sponda del Nilo dove si deve traghettare con un’imbarcazione che viene chiamata BUNTUN. L’attesa è ragionevole e il tempo viene speso nel sorseggiare un delizioso “sciai” alla sudanese. Dopo aver attraversato MARAUI, cittadina fondata dagli inglesi quale sede di un governatorato locale, si passa il Nilo. Finalmente giungiamo a Karima nel primo pomeriggio. Riprendiamo possesso della casa, sede della Missione Archeologica dell’Università di Roma. Ripristiniamo i letti nelle quattro stanze disponibili.

Riattiviamo la cucina con la bombola del gas che era stata accuratamente riposta nel magazzino; ramazziamo la sabbia che si era impadronita di ogni angolo più remoto.

La casa riprende a vivere. Si compie un sopralluogo nella vicina area degli scavi per rivedere quanto già scavato e restaurato con il grande palazzo di NATAKAMANI e per fissare i nuovi cantieri di scavo lasciati incompiuti nelle precedenti campagne.

La mia è ovviamente la prima esperienza, ma bisogna ricordare che la ricerca archeo- logica italiana ha avuto inizio in quest’area nel lontano 1970 per opera del professor Sergio Donadoni, attualmente quasi novantenne. I giorni si seguono con apparente lentezza; in realtà il lavoro paziente e certosino dei quattro missionari (due ragazze dottorande in archeologia, un architetto e un valido disegnatore), coordinato dai due professori egittologi Alessandro Roccati e L. Sist, giorno dopo giorno porta alla luce nuovi elementi architettonici, cocci di vasellame che concorrono alla ricostruzione di un enorme “puzzle” storico; io da profano sto a guardare ammirato, cercando di capire come gli archeologi riescano ad ipotizzare epoche storiche così lontane sulla base di pochi e tenui indizi. Si giunge alla conclusione della campagna archeologica esplorativa con il rimpianto di non aver trovato di più. In ogni caso, il ritrovamento di un frammento di una tavoletta d’argilla con iscrizioni di chiara epoca meroitica e di una testina in terracotta danno molta soddisfazione a tutti i componenti la missione, me compreso che vengo intensamente coinvolto con l’attività fotografica; mi avvalgo di tre apparecchi: una OLIMPUS digitale, una NIKON compatta con diapositive ed una MINOX 35GL caricata con BN. Cerco di fare del mio meglio e l’ansia mi attanaglia per tale responsabilità. Per fortuna con la OLIMPUS digitale, che si comporta egregiamente,  riesco a vedere subito il risultato delle mie pose che vengono apprezzate da chi di dovere. Ciò mi fa ben sperare per le DIA e per il BN. Finalmente giunge il giorno conclusivo della attuale sessione di scavi.

ATIM, l’autista assoldato a Kartoum per portarci a Karima  e riprenderci, si annuncia puntualmente. La notte dormiamo poco e male per il caldo e le zanzare. Sveglia alle cinque, poco prima del consueto richiamo del Muhezzin. Freneticamente immagazziniamo tutte le suppellettili utilizzate per un mese e che verranno riutilizzate tra un anno. Alle sei arriva puntuale ATIM che diligentemente carica sul tetto del pulmino tutti i nostri bagagli. Alle sei e un quarto si parte; si dà un malinconico saluto alla casa che ci ha ospitato per quasi un mese e via verso il Nilo per traghettare tra i primi e non dover attendere troppo tempo. L’alba del deserto sudanese, magica e radiosa, ci coglie sulle sponde del Nilo. Il BUNTUN si mette in moto esattamente ai primi bagliori del sole. Traghettiamo. Sull’altra sponda arriviamo a MARAUI dove ci si ferma per fare il pieno di benzina e sgonfiare leggermente le gomme: questo significa che faremo una scorciatoia in mezzo al deserto attraversando insidiosi sabbioni. Infatti, sale un altro autista che conosce le insidie della pista e sa destreggiarsi abilmente tra una radura pietrosa e le dune mobili dove ci si può facilmente insabbiare. A bordo vi sono 14 posti a sedere e due lunghi longheroni di ferro modulato che servono per uscire da eventuali insabbiamenti: fortunatamente non sarà necessario usarli!

Il viaggio è lungo e faticoso anche perché il clima è divenuto molto più caldo rispetto a quello dell’andata.

Ci siamo forniti adeguatamente di acqua che è un elemento indispensabile. A metà strada ci fermiamo in un luogo di ristoro che non ha nulla che vedere con gli Autogrill Pavesi delle autostrade italiane, ma ciò nonostante è piacevole sostare sotto una tettoia di frasche che ci dà sollievo dalla luce abbacinante e dal calore implacabile del sole. Sorseggiamo dell’ottimo “sciai” e mangiamo un piatto di FUL, tipica ricetta sudanese a base di fave; a vedere la pietanza è poco invitante, ma dopo i primi bocconi fatti con le mani e con morbidi pezzi di pane locale che fungono da stoviglie, dobbiamo ammettere che il sapore è molto gradevole.

La sosta dura mezz’ora: si riparte.

Intorno alle due pomeridiane giungiamo in vista di Kartoum. L’aria, che nel deserto era limpida e tersa, comincia a diventare sempre più opaca e polverosa annunciando una città grande e brulicante di persone che si affannano quotidianamente a sopravvivere. Alle 14: 30 circa, arriviamo all’AKROPOLE hotel, già noto, dove finalmente possiamo fare una doccia e ristorarci con un pasto frugale. Ci distendiamo e ci riposiamo in attesa della sera quando andremo a cena invitati dall’ambasciatore italiano dott. Lorenzo Angeloni. La sera giunge in fretta, saliamo sul pulmino e dopo alcune incertezze sul percorso, arriviamo alla residenza dell’ambasciatore. Veniamo accolti da un nero sudanese abbigliato da perfetto maggiordomo che ci fa strada attraverso un prato ben curato verso l’ingresso della dimora. Ci vengono incontro l’ambasciatore con la moglie che ci accolgono con garbata e cordiale simpatia. Nell’aria tersa e tiepida aleggiano tenui e delicate le note di un concerto di Vivaldi: è un vero piacere riascoltare musica classica dopo un mese di astinenza dai miei ascolti preferiti. Poco dopo veniamo raggiunti da altre coppie di italiani che fanno parte del corpo diplomatico con funzioni diverse. Prendiamo posto a tavola ed io mi trovo involontariamente alla destra dell’ambasciatrice; gioco forza dover fare conversazione con persone ignote fino a quel momento, andando a caccia di argomenti che non scadano nella banalità. L’ambasciatrice è una austriaca che discorre in inglese e francese indifferentemente. Io faccio appello a tutte le mie reminiscenze di inglese e cerco di nascondere un certo imbarazzo per trovarmi in un ambiente totalmente nuovo; l’ambasciatrice comunque è una donna di classe che riesce a farmi sentire a mio agio aiutato anche dalla presenza in tavola di un ottimo vino rosso italiano che mi è mancato per un mese, sostituito da sobria acqua filtrata del Nilo, sgorgante dai rubinetti della casa dove alloggiavamo. La luna piena ci sorride dall’alto illuminando il giardino moderatamente. La sera trascorre velocemente; non ci accorgiamo neppure che abbiamo superato le ore 23; siamo costretti a prendere congedo dall’ ambasciatore e tutta la compagnia perché la mattina successiva avremo la sveglia alle tre per essere alle cinque in aeroporto dove dovremmo decollare alle sei alla volta del Cairo. Ho detto giustamente “dovremmo decollare”; in effetti giungiamo puntuali in aeroporto dove regna una confusione caotica per la presenza di molti passeggeri, quasi tutti africani, anch’essi in attesa di partire per diverse destinazioni.  Noi abbiamo la spiacevole sorpresa di essere informati che il nostro volo è stato sospeso a causa di una tempesta di sabbia che ha bloccato il nostro aereo EgyptAir ad Assuan. Veniamo trasferiti all’ hotel MERIDIEN dove ci viene assegnata una stanza al 4° piano per tutti e cinque.

Non sappiamo quando si partirà: ci vengono date scadenze che mutano di continuo. Verso la fine della giornata ci viene detto che dovremo dormire in albergo perché la partenza è stata spostata il giorno dopo. Ci rassegniamo impotenti nella situazione. Domenica mattina cerchiamo di tranquillizzarci con una passeggiata per Kartoum. Passiamo davanti ad una chiesa cattolica comboniana dove sembra imminente una messa; entriamo in questa chiesetta molto affollata da neri in gran parte giovani.

Le donne sono abbigliate con abiti occidentali, ma con grandi ornamenti dai vistosi colori che rivelano il gusto tipicamente africano. La messa ha inizio. Il celebrante è un sacerdote nero che si esprime in un buon inglese comprensibile anche per noi. La messa è ampiamente accompagnata da canti previsti nel rito cattolico-romano, ma musicati con melodie tipicamente centro-africane. I canti sono molto belli per la melodiosità intensamente coinvolgente; io che amo registrare i concerti dal vivo, sento fortemente la mancanza dei miei apparecchi di registrazione per fissare su nastro, melodie che ora rimarranno solo nel mio ricordo.

A messa conclusa, usciamo e continuiamo la passeggiata per la città che non conosco ed ho quindi l’occasione per vedere meglio immagini spicciole di vita quotidiana; qui la domenica è un giorno feriale perché il festivo è il venerdì: quindi posso vedere le comuni attività quotidiane dei sudanesi di Kartoum. I vicoli sono affollati di gente in continuo movimento; i colori non mancano; anche l’atmosfera ha un colore giallo diffuso per la tempesta di sabbia ormai in attenuazione. Camminiamo attraversando quartieri popolari e quartieri ministeriali dalle costruzioni imponenti e ridondanti di decorazioni arabescate . Costeggiamo il quartiere dell’università dove abbondano giovani ben vestiti dall’aria intellettuale, chiaramente studenti universitari. Vista l’ora prossima del pranzo, ci dirigiamo verso il nostro albergo dove ritireremo il buono per mangiare al buffet. Veniamo informati che la partenza dall’albergo sarà a mezzanotte, non ci crediamo molto, ma fingiamo ottimisticamente di crederci, tanto più che il tempo meteorologico sta migliorando di ora in ora. Nel pomeriggio ammazziamo il tempo girovagando nella Hall dell’albergo. Io rimango in camera per vedere se fra i pochi canali televisivi internazionali di lingua inglese, riesco a prendere qualche notiziario sportivo sull’esito del primo gran premio di F1 in Australia; fra documentari di vario genere, finalmente un laconico notiziario della BBC dà la notizia della vittoria Ferrari con entrambi i piloti ai primi posti; io, sfegatato tifoso della nostra squadra, faccio un sussulto di gioia sulla poltrona: la cosa mi toglie di dosso un po’ della rassegnata noia conseguente alla forzata permanenza a Kartoum! A mezzanotte finalmente si parte dall’albergo e alle due e mezza di notte del giorno otto marzo finalmente si decolla alla volta del Cairo dove atterriamo alle quattro e mezza. Anche lì abbiamo le nostre sorprese perché non sappiamo se e come proseguiremo il volo per Roma. Veniamo trasferiti all’ Hotel BARON  di Eliopolis dove siamo accolti con molto riguardo. Qui ci vengono assegnate cinque singole stanze e la cosa ci dà più sollievo! Facciamo una lauta colazione di tipo occidentale: ho l’occasione di bere un favoloso succo di frutta tropicale a base di “Jauafa” un frutto che avevo visto abbondante nel mercatino di Karima, ma che non avevamo mai acquistato perché accatastato in modo poco igienico e quindi poco invitante!

Veniamo avvisati che a mezzogiorno ci riporteranno in aeroporto perché potremo prendere il volo delle 14: 30 dal Cairo per Roma. La notizia ci rinfranca molto e possiamo quindi trascorrere lietamente le poche ore residue del mattino in compagnia di un’ altra ricercatrice egittologa italiana che, raggiunta telefonicamente, è venuta a farci visita in albergo. Puntualmente veniamo trasferiti in aeroporto e dopo aver espletato le formalità portuali, alle 14: 30 ci stacchiamo dal suolo egizio per fare ritorno a casa. Giungiamo a Fiumicino alle 17 : 30 dopo aver attraversato un mare di fitte nuvole che ci ha impedito di vedere il nostro mare e la nostra terra.

L’atterraggio è stato più che perfetto concludendo così l’ ESPERIMENTO SUDAN !

Giampietro Bakovic