Carmelo
Agnetta
Carmelo
Agnetta è un singolare
personaggio poco noto del Risorgimento Italiano che merita di essere
meglio ricordato
per la sua volontaria e impegnata partecipazione alle attività
politiche e
militari che hanno consentito di realizzare il sogno dell’Unità
d’Italia.
Era
figlio di genitori
siciliani, di temperamento focoso, irrequieto, autoritario, generoso,
quasi
sempre disponibile a qualsiasi sorta di avventura che avesse alla base
una
giusta causa, anche con sprezzo del pericolo. Il padre era un militare
di
carriera ragion per cui Carmelo era nato a Caserta, nel 1823, ma sin da
ragazzo
era tornato a Palermo dove aveva compiuto i suoi studi e iniziato a
manifestare
scarse simpatie per il regime borbonico.
Prima
di parlare della
movimentata vita di Carmelo Agnetta è il caso di ricordare il curioso
episodio
che lo ha visto protagonista, durante una delle imprese più famose del
Risorgimento Italiano: La spedizione dei Mille.
La
spedizione dei Mille
La
passione per la
politica e per l’avventura lo avevano portato in diverse capitali
europee, come
Londra e Parigi, dove aveva svolto attività diplomatiche e dove aveva
fatto
amicizia con Francesco Crispi, futuro Presidente del Consiglio del
Regno D’Italia.
Aveva anche soggiornato in molte città italiane, intrecciando rapporti
con i
movimenti rivoluzionari, impegnati nella lotta per l’unificazione delle
diverse
regioni italiane sotto un’unica bandiera.
Francesco
Crispi
Nel
maggio del 1860 Agnetta
ricevette l’incarico di comandare un gruppo di circa sessanta soldati
che
dovevano imbarcarsi sulla piccola nave “Utile”, con un carico di armi e
munizioni, diretti a Marsala in Sicilia, per ricongiungersi ai Mille di
Garibaldi
che avevano già raggiunto l’isola ed iniziato le operazioni militari
per
liberarla dal regime borbonico.
Fra
i soldati imbarcati,
in gran parte siciliani e genovesi, spiccava la figura di Enrico
Fardella il
quale in passato aveva preso parte, nel 1848 come l’Agnetta, alla
rivolta dei
Siciliani contro il governo dei Borboni.
Enrico
Fardella
Essendo
fallita la
rivoluzione il Fardella era stato costretto a rifugiarsi in esilio
negli Stati
Uniti, dove aveva anche combattuto per l’esercito dell’Unione. Tornato
in
Italia dopo circa dieci anni, si era reso disponibile a partecipare
alla
spedizione dei mille. Dopo l’unità d’Italia si occupò
di politica e fu sindaco di
Trapani dal 1873 al 1879, mentre Il fratello Vincenzo Fardella di
Torrearsa,
già politico affermato, fu Presidente del Senato del Regno dal 1870 al
1874.
Tornando
alla spedizione
di Agnetta, il 25 maggio 1860, la nave Utile salpava da Genova e
affrontava un
viaggio molto avventuroso che, dopo una sosta alla Maddalena e a
Cagliari,
approdava a Marsala il primo di giugno.
Carmelo
Agnetta ed i suoi uomini
Seguendo
il percorso
consigliato dallo stesso comandante in capo, Giuseppe Garibaldi,
Agnetta e i
suoi giungevano a Salemi il 3 giugno e proseguivano per Calatafimi,
Alcamo,
Partinico e Monreale, giungendo finalmente a Palermo.
Giuseppe
Garibaldi
Cesare
Abba, nel suo
libro “Da Quarto al Volturno “ricorda l’episodio dell’arrivo a Palermo
di
Agnetta e i suoi uomini, col carico di armi. L’incontro
con l’esercito di
Garibaldi era stabilito ai Quattro Canti, nella Chiesa di San Giuseppe
dei
Teatini.
Cesare
Abba
Agnetta
era ansioso di
presentare a Garibaldi il suo piccolo esercito ma appena entrato nella
chiesa
sentì un ufficiale, che dopo ha saputo essere Nino Bixio, che chiese
chi fosse
a comandare quel gruppo. Agnetta aveva fatto un passo in avanti per
presentarsi
e l’altro, senza dare il tempo di rispondere, gli ordinava subito di
recarsi
con i suoi uomini a rendere omaggio al funerale del colonnello Tukory.
L’Agnetta avvertì il tono poco civile dell’interlocutore e
immediatamente
chiese: “Chi è lei?” “Io sono Bixio“ fù la risposta e nello stesso
tempo gli
mollò una sonora sberla in faccia.
Nino
Bixio
Agnetta
non era tipo da
farsi passare una mosca sotto il naso, figuriamoci ricevere uno
schiaffo; mise
subito mano alla sciabola, in segno di sfida, mentre i suoi uomini si
avvicinarono per scagliarsi contro l’aggressore. Intervennero altri
militari
presenti, a raffreddare gli animi e riuscirono a fatica a separare i
due
contendenti.
Agnetta
voleva subito
soddisfazione, sfidando il rivale con le armi ma intervenne Garibaldi
in
persona a impedire il duello. Un giurì d’onore stabilì che la soluzione
della contesa
fosse rinviata al termine della campagna militare.
Bixio
fu subito punito da
Garibaldi con gli arresti mentre Agnetta si guadagnò la stima dell’Eroe
dei due
Mondi, oltre ai gradi di Capitano maggiore.
Nel
1861 Agnetta si
congedava dall’esercito ed era orientato a chiudere pacificamente la
questione
con Bixio, seguendo il consiglio che gli aveva dato Garibaldi. Bixio
invece,
incautamente, accusava il contendente che si era fatto mantenere da una
prostituta, con il chiaro intento di lanciare, più che un’accusa, una
vera e
propria calunnia. A questo punto Agnetta così rispose: «Un
uomo che
a un invito d’onore risponde con la calunnia per evitarlo, non so
veramente
qual nome egli meriti e di quale titolo egli sia degno.»
E
il duello, ormai
inevitabile, ebbe luogo a Brissago, al confine con la Svizzera. I
padrini
disposero Agnetta e Bixio, armati di pistola, alla distanza di circa 30
metri,
uno difronte all’altro e dopo il via avevano facoltà di spostarsi in
avanti e
sparare a volontà.
Agnetta
colpì
l’avversario al primo colpo alla mano destra, procurandogli una
dolorosa ferita
e la perdita della funzionalità permanente.
Duello
alla pistola
Bixio
ammise che era
stato punito alla stessa mano con la quale aveva dato lo schiaffo al
suo
rivale. Tuttavia rimasero in buoni rapporti per il resto della loro vita
Nel
1862 Agnetta fu
assunto alla Prefettura di Palermo, con la qualifica di consigliere di
terza
classe, iniziando così una carriera che svolse in diverse città del
nord, del
centro e del sud ed esercitando le sue funzioni sempre con molta
energia e
determinazione. Terminò il servizio nel 1889, a Massa, dove morì a
causa di una
malattia, assistito dalla moglie Emilia Sauvet.
Per
meglio comprendere la
complessa personalità dell’Agnetta si riporta un giudizio che nel 1874
la
signora Emilia Peruzzi Toscanelli, patriota fiorentina, gli aveva
chiesto sulla
situazione siciliana:
Emilia
Peruzzi Toscanelli
«La
Sicilia è travagliata da vecchi
mali pei quali i rimedi i più opportuni sono le strade, le opere
pubbliche in
genere e soprattutto l’istruzione pubblica e precipuamente
l’elementare. Ai
vecchi mali se ne aggiunge un altro di sua natura acutissimo ed è la
profonda corruzione
delle masse che è giunta a tal punto da generare la Mafia. Qualunque
siciliano
non ha mai potuto sapere da che derivi questo vocabolo, però la cosa
che denota
è una specie di associazione segreta che tende a far vivere gli
affiliati senza
travagliare e ad eludere la legge in tutte le conseguenze sue. Infatti
mercé le
male arti della Mafia la legge dei giurati è convertita in strumento di
impunità. La Pubblica Sicurezza ignara, avvilita, spaventata, più non
funziona.
Le aziende comunali sono in mano di mestatori altrimenti mafiosi in
guanti
gialli [...] I pubblici funzionari, la massima parte ignara dei
costumi, della
lingua e delle speciali tradizioni di questo specialissimo paese,
sentono il
vuoto che li circonda e di null’altro si curano che di abbreviare il
loro
soggiorno nell’isola, vantando poi come servizi speciali l’esser
rimasti
fantocci impotenti in quest’isola sciagurata.”
In un
equilibrato giudizio sul carattere di Agnetta, lo storico Mario Rosi
affermava:
«Non
piacquero generalmente le sue
maniere burbere e risolute, che mantenne in tutti gli uffici militari e
civili,
ma egli s’impose spesso ad elementi turbolenti col grande coraggio
personale,
che fu sempre apprezzato durante le insurrezioni e le guerre, e qualche
volta
riuscì utile pure nelle amministrazioni provinciali.»
Infine
un aneddoto:
Il re
Vittorio Emanuele gli aveva
regalato un prezioso orologio e, tempo dopo, incontrando Agnetta, gli
chiese:
«Come va l’orologio?». Si sentì rispondere: «Benissimo ma ha un grave
difetto, vi
sono incise le cifre reali e quindi non posso impegnarlo».
Re
Vittorio Emanuele II
Meritano
di
essere ricordate le principali imprese che lo videro impegnato sin da
giovane
in azioni militari:
Partecipò
ai
moti di Messina del 1847 e, nel 1848, con i trapanesi Enrico Fardella e
l’avvocato Salvatore Calvino, alle vicende rivoluzionarie in Sicilia,
durante
la presidenza di Ruggero Settimo;
Quando
i
Borboni ebbero la meglio sui rivoluzionari, nel 1849, fu costretto a
rifugiarsi
in esilio prima a Malta e successivamente a Parigi, Londra e in Egitto;
Nel
1859
aveva combattuto con Garibaldi e l’esercito piemontese, nella seconda
guerra
d’indipendenza, contro gli austriaci;
Nel
1860
fece parte dell’organizzazione dell’impresa dei Mille, con i patrioti
Giuseppe
La Farina, Agostino Bertani, Salvatore Calvino e Giacomo Medici, i
quali gli affidarono
il compito del trasporto delle armi e munizioni che Garibaldi non era
riuscito
ad imbarcare;
Nel
1862
stava per partecipare alla spedizione di Garibaldi che fini
tragicamente ad
Aspromonte ma dovette rinunciare perché assunto in prefettura.
In conclusione, in
Sicilia Nino Bixio non aveva lasciato un buon ricordo, per il suo
carattere
rozzo, scontroso e soprattutto per la feroce repressione seguita ai
fatti di
Bronte, immortalati nella novella “Libertà”, di Giovanni Verga.
Giovanni Verga
Lungo il suo
cammino Bixio ha incontrato un uomo coraggioso, Carmelo Agnetta, che
anteponendo
la sua dignità alla stessa vita, gli ha fatto pagare un conto salato,
sfidandolo a duello e invalidandogli, con un colpo di pistola, la mano
con la
quale aveva osato colpirlo a tradimento.
Questa, in sintesi,
la storia che fa onore a Carmelo Agnetta, patriota, vivace e
intelligente, uomo
d’azione e di coraggio, garibaldino, siciliano.
Sono certo
che merita di essere ricordato.
Francesco CARONIA
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