Ci sono
personaggi che non si sono distinti per
particolari conoscenze in campi come quello letterario, scientifico,
artistico
o sportivo e che tuttavia, per la singolare attività svolta e
l’interesse
suscitato, hanno lasciato una traccia del loro passaggio in questo
mondo che
merita di essere ricordata perché consente di capire meglio la società
del
tempo, gli avvenimenti e i personaggi storici, in un contesto più ampio
e più
ricco di riferimenti.
A
maggior ragione se questi personaggi sono vissuti a
stretto contatto con le più alte cariche politiche e religiose dello
Stato e se
ad essi hanno rivolto l’attenzione, per varie ragioni, poeti come il
romano
Giuseppe Gioachino Belli e l’inglese George Gordon Bayron, lo scrittore
inglese
Charles Dickens, il mondo dello spettacolo con i registi Mario
Monicelli,
Pasquale Festa Campanile, Luigi Magni e gli autori Garinei e Giovannini
della
commedia musicale di grande successo, Il Rugantino.
A
questo punto il misterioso personaggio è stato
svelato, si tratta infatti di Giovanni Battista Bugatti (1779 – 1869),
detto
mastro Titta , boia dello Stato Pontificio, esecutore materiale delle
sentenze
di condanna a morte a carico di soggetti responsabili di gravi reati,
nel
periodo dal 1796 al 1864, per ben 68 anni. E’ stato al servizio di Pio
IX nel
periodo dal 1846, data di elezione del Papa al soglio pontificio, al
1864, data
in cui il Bugatti è andato in pensione.
Mastro Titta mostra alla folla una testa femminile
recisa
Mastro
Titta iniziò la sua attività a soli 17 anni ed
eseguì oltre cinquecento condanne alla pena capitale, con le modalità
stabilite
dalle rispettive sentenze , che prevedevano l’impiccagione, la
decapitazione
con mannaia e successivamente mediante ghigliottina, la mazzolatura
(uccisione
con un preciso colpo di mazza sulla testa) e squartamento (pena
aggiuntiva per
i reati particolarmente efferati), taglio delle mani, del naso, degli
orecchi e
estrazione degli occhi.
Una
scrupolosa osservanza del rito religioso era
prevista il giorno dell’esecuzione della pena. Il condannato doveva
confessarsi
prima di uscire dalla prigione, quindi, con le mani legate dietro la
schiena,
accompagnato dalle guardie nella chiesa più vicina per raccomandarsi
l’anima a
Dio. Per raggiungere il luogo dell’esecuzione si formava una lunga
processione
con monaci incappucciati dediti alla preghiera, bambini accompagnati
dai
genitori, guardie a piedi e a cavallo. In genere il patibolo veniva
eretto in
piazza del Popolo, dalle parti di Campo de’ Fiori o vicino a
Ponte S.
Angelo, ovviamente per le esecuzioni di condanne per reati commessi in
Roma e
provincia
Mastro Titta offre una presa di tabacco a un
condannato prima dell'esecuzione
Mastro
Titta era il boia per tutto il territorio dello
Stato Pontificio e sulle annotazioni dell’epoca si riscontrano
esecuzioni da
lui eseguite a Frosinone, Foligno, Perugia, Orvieto, Viterbo e
Civitavecchia.
A
Foligno mastro Titta iniziò la sua attività di boia
eseguendo con perizia e serietà professionale, il 22 marzo del 1796,
l’impiccagione e lo squartamento di un certo Nicola Gentilucci,
condannato per
l’uccisione, per motivi di gelosia, di un sacerdote e due frati.
Nell’esercizio
delle sue funzioni era distaccato,
scrupoloso e molto attento alle regole. Era stato costretto a
sospendere il
proprio lavoro, soltanto per pochi mesi, durante il periodo della
Repubblica
Romana nel 1849, anno in cui il governo repubblicano di allora aveva
abolito la
pena di morte. Col ritorno al potere di Pio IX, però, la pena capitale
era
stata ristabilita e le esecuzioni capitali erano riprese come prima.
Per i
tanti servizi resi allo Stato Pontificio, mastro
Titta aveva ricevuto in dono da Papa Pio IX un alloggio in vicolo
del
Campanile al civico 2, a pochi passi da piazza San Pietro, il vitto e
lo
stipendio; quando nel 1864 era andato in pensione, il Papa gli aveva
concesso
un vitalizio di trenta scudi al mese, sufficienti per vivere
dignitosamente.
Il boia
aveva l’abitudine di annotare su apposito
libretto tutte le varie attività che svolgeva durante il suo lavoro di
boia,
con dovizia particolari, come le generalità dei condannati, il tipo di
reato
che avevano commesso e a danno di chi, gli estremi della condanna
sentenziata
dai giudici e le modalità particolareggiate dell’esecuzione della
condanna, con
eventuali imprevisti o reazioni anomale dei destinati al patibolo.
Risulta
annotata, per sentito dire, l’avvenuta
decapitazione in data 11/9/1599, nella piazza di Castel Sant’Angelo,
della
nobildonna Beatrice Cenci, della matrigna e del fratello maggiore.
All’esecuzione
avrebbero assistito due famosi pittori, Caravaggio e Orazio Gentileschi
con la
figlioletta Artemisia.
Inoltre,
sempre per sentito dire, è descritto quanto
accaduto nell’anno 1600 in piazza Campo de’ Fiori, sempre a Roma, con
la messa
al rogo del monaco domenicano Giordano Bruno, accusato di eresia da
Papa
Clemente VIII, ma passato alla storia come un esempio del pensiero
libero.
Per
espressa volontà del Papa, le esecuzioni che
dovevano servire da esempio ai cittadini, dovevano essere
eseguite in
piazza del Popolo per consentire la partecipazione allo spettacolo
di un
vasto pubblico ed in effetti i sudditi accorrevano sempre numerosi. Era
anche
tradizione che i genitori portassero dietro i figli ad assistere
all’esecuzione, a fini educativi e una volta morto il condannato i
bambini
ricevevano un ceffone dal padre che doveva servire da lezione per
rigare dritto
per tutta la vita.
Il
poeta romano Giuseppe
Gioachino Belli ha scritto un sonetto
per ricordare l’impiccagione, nel 1749, di un certo Antonio Camardella,
colpevole dell’uccisione del canonico Donato Morgigni. Nel sonetto, che
è
riportato integralmente, Il Belli chiama il boia “mastro Titta”, anche
se il
fatto narrato era accaduto circa un secolo prima e naturalmente
il boia
doveva essere un altro.
Giuseppe
Gioachino Belli
Questo
a dimostrazione della fama che si era
conquistata il personaggio mastro Titta, ormai diventato sinonimo di
boia.
Er ricordo
Er
giorno che impiccòrno Gammardella
io m'èro propio allora accresimato.
Me pare mó, ch'er zàntolo a mmercato
me pagò un zartapicchio e 'na sciammèlla.
Mi'
padre pijjò ppòi la carrettèlla,
ma pprima vòrze gòde l'impiccato:
e mme teneva in arto inarberato
discènno: «Va' la forca quant'è bbèlla!».
Tutt'a
un tèmpo ar paziènte Mastro Titta
j'appoggiò un carcio in culo, e Ttata a mmene
un schiaffone a la guancia de mandritta.
«Pijja»,
me disse, «e aricòrdete bbène
che sta
fine medema sce stà scritta
pe
mmill'antri che ssò mmèjjo de tene».
Il
Belli ha immortalato Mastro
Titta, diventato ormai una figura leggendaria, anche nei sonetti: La ggiustizzia ar Popolo, 8 dicembre 1834 e Er dilettante de Ponte,
del 29 agosto 18.
Nel
maggio del 1817 si trovava a Roma e il giorno 17
aveva deciso di assistere ad uno dei rituali più antichi e rinomati
della
città, dove era prevista l’impiccagione di tre ladri, Giovan Francesco
Trani,
Felice Rocchi e Felice De Simoni, condannati dal Tribunale Pontificio
per
omicidio e rapina a mano armata. Il poeta rimane profondamente turbato
dalle
decapitazioni e dalla conseguente agonia delle vittime. Nella
lettera
inviata all’amico John Murrey, tra l’altro, così scrive:
“I
primi due uomini salgono sul patibolo con calma,
mascherando la propria paura. Il terzo non ce la fa. Appena vede la
lama si fa
prendere dal terrore, si dimena, si rifiuta di infilare la testa nella
ghigliottina. Urla così forte che il prete è costretto a recitare le
preghiere
a voce più alta, per coprire le grida del disgraziato….. i preti con la
maschera, i carnefici mezzi nudi, i criminali bendati, il Cristo nero e
la sua
insegna, il patibolo, i soldati, la lenta processione, il rumore rapido
e il
pesante cadere della lama. Lo schizzo del sangue e l’orrore delle teste
esposte».
Protagonista
principale del macabro spettacolo è
mastro Titta, uomo di grande abilità, che tratta con rispetto i
condannati e
che sa recitare a perfezione il suo ruolo di cinico esecutore delle
condanne a
morte papaline.
Nel
1844 lo scrittore inglese
Charles Dickens
compiva un
viaggio in Italia, durato circa un anno, dal luglio 1844 al giugno ‘45.
L’8
marzo del 1845 si trovava a Roma e volle assistere alla
decapitazione,
prevista per quel giorno, del giovane Giovanni Vagnarelli , contadino,
condannato a morte per rapina a mano armata e omicidio a danno di
una
pellegrina straniera, la contessa bavarese Anna Cotten.
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Charles
Dickens
In
genere, nel periodo di Pasqua, non erano
programmate esecuzioni ma in questo caso, considerata l’efferatezza del
delitto, i giudici avevano deciso di fare un’eccezione. Il patibolo era
stato
eretto in via dei Cerchi e Dickens descrive l’evento nei minimi
particolari,
col condannato che, pallido in viso, sale scalzo sulla forca, con
la camicia
tagliata intorno al collo e rifiuta di confessarsi per cui la
decapitazione
viene rinviata di qualche ora. Il suo giudizio sarà tagliente: Spettacolo
di una violenza unica, brutto, sporco, ributtante.
Ecco un
brano tratto da Lettere dall’Italia di
Charles Dikens:
“Si
inginocchiò subito, sotto la
lama. Il collo, posizionato in un foro, realizzato all’uopo in un ceppo
orizzontale, fu serrato da un simile ceppo situato superiormente,
proprio come
in una gogna. Subito sotto di lui era una borsa di cuoio. E in questa
la sua
testa rotolò all’istante.
Il boia
la teneva per i capelli,
camminando tutt’intorno al patibolo, mostrandola alla gente, prima
ancora di
potersi rendere conto che con un secco rumore, la lama era pesantemente
scesa.
Quando
ebbe fatto il giro dei
quattro lati del patibolo, fu fissata in cima ad un palo ….. gli occhi
erano
rivolti in alto, come se avesse distolto lo sguardo dalla borsa di
cuoio e
avesse guardato il crocifisso ….. Il corpo fu trasportato a tempo
debito, fu
ripulita la lama, smontato il patibolo e smantellato l’intero odioso
apparato.
Il boia ….. si ritirò nella sua tana, e lo spettacolo potè ritenersi
concluso”.
Anche
il mondo del cinema e
dello spettacolo ha
tratto
ispirazione dal personaggio mastro Titta con il film Rugantino,
diretto
da Pasquale Festa Campanile, con Paolo
Stoppa , Adriano Celentano e
Claudia Mori, Nell’anno del Signore, del
1969, scritto e diretto da Luigi Magni con Nino
Manfredi e Claudia Cardinale, Mastro Titta il boia di Roma e Il
Marchese del Grillo,
di Mario Monicelli e la
commedia musicale Il
Rugantino, di Garinei e Giovannini, regia di Pasquale Festa
Campanile, con
Aldo Fabrizi, Nino Manfredi, Lea Massari e Bice Valori.
In
conclusione vorrei fosse chiaro che non deve
sembrare un paradosso voler parlare di Giovanni Battista Bugatti come
fosse un
eroe del suo tempo, considerato che aveva materialmente condotto
al
patibolo più di cinquecento esseri umani, mentre è proprio il caso di
considerarlo un tramite, un gancio, per alzare un velo piuttosto
pietoso su
fatti e personaggi, passati alla storia, checonoscevo poco nella loro
grande drammaticità
o addirittura ignoravo.
Torino,
gennaio
2018
Francesco CARONIA