Micheli Scarrozza
era stato
chiamato a derimere una controversia che da un lato poteva sembrare di
lana
caprina, ma per altri aspetti, considerata anche la personalità dei due
contendenti, era questione tanticchia
dilicata. E chi era Micheli Carrozza, personaggio con carisma,
tenuto in
considerazione da tutto il paese di Almesi, poteva chiederselo soltanto
una
persona di fora, non certo un
paesano
o abitante del circondario.
L’oggetto
del contendere, in effetti, non
era
materia di cui don Micheli era profondo conoscitore, ché
in genere trattava
questioni più importanti, come l’abigeato, ma era spesso
interpellato in virtù della fiducia che
godeva e per colpa della cronica lentezza della giustizia istituzionale.
Era
successo che l’ingegnere Impeduglia, così conosciuto in paese ma
geometra in
effetti, persona ziccusa (insistente) e chiacchiaruna, nella ricorrenza
dell’anniversario della morte
della
suocera, aveva chiesto al parroco don Ruppusu
di ricordarla con una preghiera di suffragio durante la messa della
domenica prossima,
nell’intento che potesse giovare all’anima della povera defunta. In
cuor suo
l’ingegnere riteneva che la suocera,
essendo stata in vita un esempio di
dubbia integrità morale, potesse
aver bisogno, nell’aldilà, di un aiutino.
A
messa finita, con preghiera puntualmente spedita in cielo, in memoria
della
povera suocera, l’ingegnere si presentava in sagrestia per consegnare
l’obolo a
padre Ruppuso il quale, con garbo e
altrettanta umiltà, osservava subito, quasi chicchiannu
(balbettando), come era solito fare quando
c’erano soldi di mezzo, che
l’obolo spettante era di importo maggiore in quanto la preghiera era
stata rivolta
non durante una normale funzione giornaliera ma nel corso della messa
cantata
domenicale. Sorpreso, Impeduglia rimaneva un attimo perplesso ma,
facendo mente
locale, rispondeva che lui non aveva richiesto la messa cantata e che
una
normale funzione sarebbe stata più che sufficiente.
Il
parroco non si aspettava la replica, rimaneva mutu
alcuni secondi e poi puntualizzava che, pur non essendo stata
fatta esplicita richiesta per la messa cantata, dal momento che si era
riferito
alla “prossima domenica”, e
poiché nella
sua parrocchia tutte le domeniche si officiava la Santa Messa
“cantata”, la sua
richiesta di integrazione della tariffa era da ritenersi giusta, oltre
che
ineccepibile.
Per togliersi
dall’impiccio e valutando di non poter competere dialetticamente col
parroco,
che notoriamente ne sapeva qualcuna più del diavolo, l’ingegnere
troncava la
discussione dicendo che, per non sapere, in questa materia, né leggere
né
scrivere, si sarebbe rivolto a don
Micheli e quello che avrebbe deciso lui, avrebbe fatto.
A
sua volta don Micheli, di fronte a
un
caso che mai, nonostante gli anni, gli era capitato prima, disse che
avrebbe
esaminato tutte le carte, anche se materialmente le carte in questo
caso
mancavano e prese tempo una settimana per decidere, fermo restando che
nel
frattempo avrebbe sentito anche il parroco per conoscere la sua
versione dei
fatti.
Poco gli importava, ai fini
dei suoi traffici, che era una questione di puntiglio più che
d’interesse, ma
il solo fatto che qualcuno si fosse rivolto a lui, riconoscendone
l’autorità e che
era stata tirata in ballo una figura prestigiosa del paese, come il
parroco, il
suo peso corporeo era aumentato di qualche chilu
e più.
In
questa occasione, bisogna darne atto, don
Micheli aveva profuso tutto il suo impegno al punto tale che
la fama di cui
godeva in tutto il circondario, sia pure per questioni di diversa
natura, trovò
puntuale conferma di equità ed equilibrio nella composizione di questa curiosa vicenda.
Infatti,
dopo aver ascoltato la versione dei fatti dalla bocca di padre Ruppusu, incaricò una sua nipote di
recarsi in chiesa, senza dare nell’occhio, per copiare il listino dei
prezzi
dei servizi ecclesiastici, quali battesimi, cresime, matrimoni,
funerali, etc.,
preparato dallo stesso parroco ed affisso dietro la porta della sagrestia.
La
nipote, degna discendente di cotanto nonno e in ottemperanza agli
ordini
ricevuti, dovendo agire in fretta e senza dare nell’occhio, invece di
copiare
l’elenco, piuttosto lungo, staccava il foglio dattiloscritto che era
appeso
alla porta della sagrestia con una puntina, lo ripiegava con cura e lo
infilava
nella tasca interna.
Una
volta in possesso del documento, don
Micheli accertò che nel tariffario, per la messa a suffragio
dei defunti, era
indicato un solo importo, senza
distinzione tra messa normale e messa cantata. Rimase inoltre sorpreso,
leggendo il tariffario, che per il posto a sedere, durante la messa,
era dovuto
un obolo di cinque lire, mentre per il posto in piedi era prevista
un’offerta
libera, a prescindere dal tipo di messa.
Stante
così le cose, maturava il convincimento che la ragione pendeva più
dalla parte
dell’ingegnere che del parroco. Per contro, valutava anche che sarebbe
stato
opportuno schierarsi dalla parte del più forte, in questo caso, del
parroco,
come era solito fare in altre occasioni. Stavolta però prevaleva
l’interesse
per la notorietà, come ricaduta sul suo operato, che il personaggio
Impeduglia,
anche lui molto conosciuto in paese e
che sicuramente si sarebbe vantato del fatto, garantiva con certezza
quasi
assoluta.
Con
un tempismo che vorremmo ci fosse anche nei nostri Tribunali, don Micheli convocava le parti a casa
sua, ufficialmente per bere una tazza di caffè e nell’occasione
riferiva la sua
decisione, favorevole all’Impeduglia.
Aggiungeva
anche la motivazione nella quale riteneva che doveva considerarsi di
pari
efficacia l’effetto che avrebbe avuto la preghiera, sia che fosse
rivolta
durante la messa cantata, che in quella feriale, tenuto conto del
medesimo
contenuto della preghiera stessa.
Anche
il parroco dovette convenire sulla equipollenza delle due messe e a
malincuore
si dichiarava soddisfatto. Un piccolo particolare, tuttavia, gli era
sfuggito e
cioè il fatto che don Micheli,
anche se non lo dichiarava,
era molto scettico in fatto di religione e con la sua decisione
intendeva piuttosto
dire che quella preghiera non poteva cambiare il corso delle cose, pertanto non avrebbe potuto
sortire alcun
effetto, né in un caso, né nell’altro.
Compiuta
la mediazione, con piena soddisfazione delle parti , il padrone di casa
passava
ai saluti e nel congedare gli ospiti, faceva consegnare dalla cameriera ‘na
vascedda di ricotta caura,
a ciascuno, che fu bene
accetta.
Da
quel fatidico giorno in parrocchia venne abolito il tariffario e al suo
posto
comparve un cartello con la scritta che per tutti i servizi celebrati
in chiesa
e fuori, con la presenza del sacerdote, era dovuta un’offerta libera.
Ovviamente,
era sottintesa e coltivata la speranza del parroco di poter incassare,
in tale
maniera, qualcosina in più rispetto a prima, così dicevano in paese le
male
lingue che lo conoscevano bene.
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Appendice
“Nella chiesa del Carmine c’è
un massiccio sarcofago di granito, due pantere rincagnate che lo
sostengono. Vi
riposa l’ill.mo don Girolamo del Carretto, conte di questa terra di
Regalpetra,
che morì ucciso da un servo a casa sua, il 6 maggio 1622.
Se
ne parlava tempo addietro col parroco del
Carmine. Mi piacerebbe vedere com’è, dicono sia stato imbalsamato –
disse il
veterinario comunale. Un’idea folgorò il parroco. Disse – farò aprire
il
sarcofago, chi vuole vedere il conte pagherà cinquanta lire, la mia chiesa ha bisogno di tante cose.
Invece ha avuto
venti milioni dal governo per restaurare la chiesa, buttarla giù e
rifarla più
brutta; ha dovuto far rimuovere il sarcofago: e i regalpetresi hanno
visto
gratis l’Ill.mo don Girolamo del Carretto. Non tutti: perché il parroco
subito
si scocciò del pellegrinaggio tumultuoso, non
c’era sugo, chiuse le porte della chiesa”.
Con
queste frasi inizia La Storia di
Regalpetra, del grande scrittore Leonardo
Sciascia, che si può leggere nel libro Le
parrocchie di Regalpetra. Nessuna relazione, se non una
lontana somiglianza
col racconto di cui sopra, anzi, potremmo ritenerla una giusta
ricompensa,
un’occasione per rifarsi il palato, a quanti avranno avuto la pazienza
di
leggere questa “Messa Cantata”.
Casuale
deve pertanto ritenersi qualsiasi accostamento con la figura del
parroco e
quella di don Girolamo del Carretto: il parroco, nell’esercizio del suo
ministero chiedeva, per la sua chiesa,
un compenso alla luce del sole; don Girolamo del Carretto invece,
sempre sotto
lo stesso sole, soleva esigere dai sudditi, che si spezzavano la
schiena a
lavorare la terra, tasse del terraggio,
del terraggiolo e balzelli
vari.
Per
completezza d’informazione, dirò che don Girolamo, mentre era
affacciato al
balcone, fu assassinato da un servo con un colpo d’arma da fuoco. Si
racconta
anche che quella sera i regalpietresi, contadini soprattutto, mangiarono
con la salvietta,
volendo con
ciò esprimere, in
privato, solenne
soddisfazione.
A
Regalpetra, come ad Almesi, i parroci continuano ad esercitare il loro
ministero, per curare le anime, i don Girolamo del Carretto sono
scomparsi o forse
costretti a cambiare nome.
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