La stanza  di Fabio Chiodi

Fabio Chiodi

 DIARIO DI UN PROFUGO  di   Fabio Chiodi

Un brano tolto dalla Prima parte del libro

 

....Un giorno mi presentarono Miriam, una ragazza molto bella, forse in quel periodo una tra le più belle ragazze italiane a Tripoli

Tripoli 1951 - Ai giardinetti con due amiche

Miriam era molto corteggiata ed essere riuscito a fare la sua conoscenza per me era una cosa eccezionale. Penso di essermi innamorato subito di lei. Facevamo passeggiate ai giardinetti, andavamo in barca al porto, frequentavamo il thè danzante al Circolo Italia, ogni occasione era buona per stare con lei. Spesso veniva con noi anche  la  sua  amica  Maria  Luisa,  a  me  però  interessava  Miriam. 

Questa amicizia andò avanti per diversi mesi ma per colpa della mia stupida timidezza, quando eravamo soli non avevo il coraggio di rivelarle i miei sentimenti. Un giorno la vidi sottobraccio al mio amico Uccio che era più grande di me e questo mi fece rimanere molto male. Per diverso tempo non mangiai più, non volevo vedere gli amici, poi piano piano superai la delusione e mi venne in aiuto una mia amica sposata. La frequentavo da diverso tempo e spesso  andavo da lei per confidarle le mie pene. Lei mi consolava a parole e cercava di sbloccarmi dalla mia timidezza. Poi un bel giorno le cose ci sfuggirono di mano e finimmo a letto. A quel punto non capii più niente, mi ero innamorato della mia amica sposata e iniziò un periodo d'incontri segreti: quando il marito usciva per andare a lavorare andavo a trovarla a casa, oppure lei veniva a trovarmi sul posto di lavoro e dentro un deposito abbandonato amoreggiavamo. 

La  cosa  andò  avanti  per  circa  una  anno  poi  dovetti  accettare  un lavoro fuori Tripoli e la cosa finì. A questo proposito voglio raccontare un fatto a cui non sono mai riuscito a dare una spiegazione. Ero rientrato in Italia ed un giorno sentii il desiderio di rintracciarla e dato che eravamo sotto lo feste di Natale, pensai che quella poteva essere una buona occasione per chiamarla. Abitava a Roma, riuscii a  trovare  il  suo  numero  telefonico  e  la  chiamai.  Mi  chiedevo  se dopo venti anni si ricordasse ancora di me. 

Al telefono rispose lei: «Pronto chi parla?» 

«Pronto signora come sta?» 

«Scusi ma chi parla?» riprese lei.

«Non le posso dire il nome, deve indovinare», cercavo di scherzare. 

«Guardi non mi sento molto bene, se non mi dice chi è riattacco»  rispose lei. 

«Un attimo per favore. Deve andare con il pensiero a molti anni fa, è stata una grande passione». 

Rimase un po' in silenzio, poi disse: «Sei Fabio?» 

Quando risposi che ero io lei iniziò a piangere. Io pensai che dopo venti anni fosse ancora innamorata di me. 

Lei mi chiese ancora: «Come mai mi hai telefonato?» 

Ed io replicai: «Ho sentito il bisogno di chiamarti per farti gli auguri». 

Lei insistette affinché la richiamassi molto presto, mentre continuava a piangere. Ero rimasto un po' scosso e mi chiedevo perché piangesse così tanto. Passarono alcuni giorni, poi una sera mi telefonò l'avevano  dimessa  dall'ospedale,  non  c'era  più  niente  da fare». Allora capii perché continuava a piangere quando l'avevo chiamata: non era ancora innamorata di me, ma sapeva che se ne sarebbe andata via per sempre. Non sono mai riuscito a capire perché dopo venti anni ho sentito il bisogno di chiamarla prima che morisse.... 

Fabio Chiodi

* Pubblicazione autorizzata da Taggete Edizioni