Intervista a Giovanna Ortu
Presidente AIRL (Associazione
Italiana Rimpatriati dalla Libia)
|
Giovanna Ortu |
Servizio a cura di Nicoletta
Fanelli
Le vicende
della seconda Guerra Mondiale
portarono la Libia, che era stata
colonia italiana dal 1911 e prima di
allora era stata soggetta alla
dominazione turca, sotto
l'occupazione britannica che si
prolungò fino alla Risoluzione
dell'ONU del 15 dicembre 1950 con la
quale la Libia diveniva
indipendente.
I rapporti fra
l'Italia e la neonata monarchia
libica vennero regolati nell'ottobre
1956 con un trattato bilaterale che
regolava tutte le questioni fra i
due Stati derivanti dalla
Risoluzione dell’O.N.U.: fra l'altro
l'Italia trasferiva allo Stato
libico tutti i beni demaniali e - a
saldo di qualunque pretesa -
corrispondeva la somma di 5 milioni
di sterline. Il cambiamento di
regime avvenuto in seguito al colpo
di Stato del 1° settembre 1969, e
l'ascesa di Gheddafi al potere
portarono in pochi mesi all'adozione
di misure via via più restrittive
nei confronti della collettività
italiana, fino al decreto di
confisca del 21 luglio1970. Gli
Italiani, privati di ogni loro bene,
dopo essere stati sottoposti ad
inutili vessazioni, furono costretti
a rimpatriare entro il 15 ottobre
del 1970. Il Governo italiano per
non compromettere le relazioni con
un paese strategico dal punto di
vista della posizione geografica e
delle forniture petrolifere, non
denunciò la violazionedell'accordo
né chiese l'arbitrato espressamente
previsto dal Trattato stesso.
In tutti questi
anni i rapporti bilaterali sono
stati altalenanti con episodi spesso
anche gravi ma l’interscambio
economico è andato via via crescendo
ed è nell’ordine di 7-10 miliardi di
euro. Nel 1998 i Ministri degli
Esteri dei due governi hanno firmato
un accordo di “normalizzazione” che
trascura completamente la questione
del risarcimento per i beni
confiscati mentre prevede il
pagamento da parte libica alle
imprese italiane dei crediti vantati
per commesse eseguite negli anni
Ottanta che a distanza di nove anni
non è ancora avvenuto.
Dottoressa
Ortu, innanzitutto la ringrazio per
tutto l'impegno dimostrato in questi
anni, a nome non solo della mia
famiglia ma anche di tutte quelle
persone che sono state colpite da
quest'enorme ingiustizia, di cui
subiscono le conseguenze ancora oggi
dopo 37 anni. Mi dica qualcosa della
sua vita fino agli inizi di questa
sua crociata...
Sono nata a
Tripoli nel 1939, ma durante tutto
il periodo bellico sono stata in
Italia e sono rientrata in Libia nel
1948. Ho completato le scuole
elementari presso le suore
Giuseppine di Città Giardino poi le
scuole medie e il liceo scientifico
presso le ottime scuole italiane di
Tripoli. Dopo la breve parentesi
universitaria fino alla laurea in
legge conseguita presso l’Università
di Roma, ho vissuto in Libia e nel
1970 come tutti gli altri sono
forzatamente rientrata in Italia.
Di quegli anni ricordo soprattutto
l’atmosfera serena anche nei
rapporti con i libici e le altre
collettività di differente religione
ed il passaggio graduale da una
economia essenzialmente agricola a
benessere diffuso arrecato dalla
scoperta degli enormi giacimenti
petroliferi. Questa atmosfera cambiò
di colpo dopo la rivoluzione libica
del 1969. Gheddafi infatti decise di
non rispettare gli impegni presi dal
precedente governo ed in particolare
l’accordo italo-libico del 1956 che
garantiva la residenza in Libia
della 1956 che garantiva la
residenza in Libia della
collettività italiana ed il rispetto
dei loro beni.
Rientrata in
Italia come dette inizio alla sua
esperienza?
All’epoca del
rimpatrio ero una giovane madre
trentenne tutta dedita alle cure
della casa e della mia bambina
ancora in fasce. Ma, dopo il primo
periodo di profondo sconforto, ho
sentito il bisogno di reagire
proprio per elaborare questo "lutto"
aderendo con pieno vigore ad una
delle associazioni che erano sorte
all’indomani del rimpatrio. Il mio
primo obiettivo è stato quello di
ricondurre ad unità questa
frammentazione che ci era costata
cara in termini di credibilità e che
era dovuta alla nostra inesperienza
a relazionarci con le istituzioni:
era mancata una linea comune di
proposta e rivendicazione dei
diritti così pesantemente violati.
Come e
quando arrivò a riunire le diverse
associazioni?
Non fu solo
merito mio ma di tante persone,
molte delle quali purtroppo non ci
sono più, che si impegnarono
soprattutto a riannodare i contatti
con i profughi sparsi in tutta
Italia: comunque dell’inesperienza
di quei primi anni paghiamo ancora
oggi il prezzo perché molti
sfiduciati non vollero partecipare
più alla vita associativa.
Da più di
venticinque anni l’Airl, che oggi
presiedo, è l’unico sodalizio che
rappresenta i rimpatriati dalla
Libia. Di questo ruolo molto
impegnativo e del tutto gratuito ciò
che mi pesa di più è la mancanza di
ricambio! Cosa non è stato fatto da
parte dei governi che si sono
avvicendati in 37 anni per ridarci
la dignità perduta? Noi italiani
eravamo e siamo dei testimoni
scomodi, pedine di scambio per
mantenere una forte presenza in
Libia, in nome del petrolio; ma, se
il governo italiano ci avesse dato
almeno in tempi ragionevoli un
giusto indennizzo, oggi non saremmo
in queste condizioni…Paradossalmente
il nostro governo ci ha trattato nel
modo peggiore non riconoscendo
neanche il valore morale delle
nostre vite spese a Tripoli. Basti
solo pensare che la confisca non ha
risparmiato nemmeno le posizioni
assicurative e quindi i nostri
profughi si sono trovati senza
pensione nonostante avessero
regolarmente versato i loro
contributi prima all’INPS di Tripoli
e poi all’istituto libico
corrispondente.
E’ veramente
una cosa inaudita. Cosa ha fatto il
governo italiano per porre riparo a
questa mostruosità?
Grazie ad una
nostra azione incessante, nel 1983 è
uscita una legge che ha consentito
il riscatto gratuito
nell’assicurazione italiana dei
contributi versati fino al 1956 e,
dieci anni dopo, un’altra legge ha
permesso di ricostruire le posizioni
fino al 1970. Lei capisce però che
nel frattempo molti degli aventi
diritto erano morti in totale
povertà. Anche riguardo agli
indennizzi c’è ancora molto da fare…
In effetti fino ad ora il nostro
impegno è stato premiato solo dalla
approvazione di alcune leggi a
favore di tutti coloro che hanno
perso beni all’estero di cui abbiamo
beneficiato anche noi. Quello che
chiediamo invece è un provvedimento
ad hoc che, tenendo conto del nostro
specifico diritto, consenta un
risarcimento se non totale almeno
adeguato. Basti pensare che ad oggi
la somma che lo Stato italiano ha
erogato ai seimila titolari delle
pratiche di indennizzo con decenni
di ritardo non corrisponde nemmeno
al valore nominale del 1970.
L’ironia della sorte vuole che la
somma totale che ci è ancora dovuta
corrisponda alle attuali richieste
del colonnello Gheddafi per danni
coloniali!
Pur nelle fasi
altalenanti dei rapporti fra i due
Stati ricordo che un paio d’anni fa
riusciste ad ottenere la promessa
del rilascio dei visti per tornare
da turisti in Libia.
Cosa provò
lei nel rivedere quel Paese dopo
decenni?
Sono tornata
una prima volta in Libia insieme a
mia figlia su invito del governo
libico che ci riservò un’accoglienza
straordinaria. Successivamente, nel
2004, alcuni membri dell’Airl si
recarono ufficialmente in Libia per
aprire la strada ad un dialogo e ad
una collaborazione cui i libici
attribuivano grande importanza. Le
grandi emozioni di quei momenti e la
gioia di aver posto fine ad una
“traversata del deserto” lunga
trentaquattro anni sono purtroppo
durate assai poco in quanto il
riaccendersi del contenzioso fra i
quanto il riaccendersi del
contenzioso fra i due Paesi ha avuto
pesanti conseguenze anche per noi
senza che il governo italiano
riuscisse ad ottenere da quello
libico il rispetto degli impegni
presi.
Attualmente
a che punto siamo nelle relazioni
tra Italia e Libia?
Gli ultimi mesi
sono stati caratterizzati da
difficoltà di dialogo non banali: la
rappresentanza libica in Italia è
stata completamente chiusa per
almeno quattro settimane senza
un’apparente ragione. Il Ministro
degli Esteri D’Alema ha voluto
situazione volando con la famiglia
in Libia per le vacanze pasquali,
una visita non preannunciata.
Comunque prima del ritorno ha
incontrato Gheddafi il quale gli ha
rinnovato la richiesta di una
autostrada lunga duemila chilometri
e non è chiaro fino a che punto il
nostro Ministro si sia
impegnato a
soddisfare questa pretesa
Passando a
parlare di argomenti organizzativi
interni, come va avanti
l'associazione?
Con molti
sacrifici. Tutto il nostro lavoro è
completamente gratuito, anche il
periodico Italiani d'Africa,
che è nato
quasi trent’anni fa con il
contributo di coloro che erano
rimpatriati prima dell’espulsione,
si finanzia grazie all'adesione dei
nostri associati.
Per quanto
riguarda me personalmente, si tratta
di un lavoro a tempo pieno
soprattutto da quando, dopo
un’esperienza lavorativa molto
importante come responsabile della
comunicazione di una grande società,
sono andata in pensione.
C'è secondo
lei qualcosa di positivo in tutta
questa vicenda?
L'esperienza.
Probabilmente se fossi rimasta in
Libia avrei fatto
L'esperienza.
Probabilmente se fossi rimasta in
Libia avrei fatto la “casalinga”
privilegiata, invece ho dovuto
imparare a lottare, per aiutare me
stessa, la mia famiglia e tutti gli
altri italiani rimpatriati con
un indubbio
arricchimento morale ed umano.
Quale è
secondo lei l'unica via rimasta ad
una conclusione risolutiva della
questione?
Basterebbe
un'onorevole transazione per uscire
in maniera dignitosa da questa
stagnante situazione, consentendoci
di recuperare in parte quello che
abbiamo perduto tanti anni fa per
elaborare definitivamente il tutto.
Spero che questo avvenga prima
possibile, per lei come
riconoscimento al lavoro speso in
questi anni e per tutti noi
italiani, che in un colpo solo si
sono visti spazzar via anni di duro
lavoro...
La ringrazio
per avermi concesso altro tempo
prezioso e ricordo a chi vorrà
tenersi aggiornato sulla situazione
di visitare il sito www.airl.it
Per chiarimenti
ed Per chiarimenti ed informazioni
utili, vi comunico
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