La stanza di Sergio Disco

Sergio Disco

LA MIA VITA CON LA MUSICA A TRIPOLI

di Sergio Disco

 

 

Foto 01 – Sergio Disco

Dopo l’incontro del 28 maggio del 2006 al Palacavicchi, organizzato da Paolo Cason, mi sono sentito al telefono con il mio amico musicista tripolino Roberto Mione che, rinvangando i nostri trascorsi musicali a Tripoli, mi ha invogliato non solo a scrivere, ma ha permesso di farmi ricordare (non l’avevo dimenticata ma sicuramente l’avevo nascosta nei meandri dei miei ricordi) quella che è stata la mia gioventù vissuta a Tripoli e la mia grande passione che è la musica. Nonostante io abbia sempre avuto  più dimestichezza con la musica che con la scrittura mi accingo a scrivere quelle che sono stati i punti salienti della mia vita con la musica a Tripoli. 

I miei ricordi vanno molto lontano perché risalgono alla mia tenera età di due anni. Mi divertivo a vedere mio fratello maggiore Antonio, più anziano di me di tre anni, che, seduto davanti alla radio e con due coperchi di alluminio di pentole da cucina, seguiva il ritmo delle canzoni  che venivano trasmesse alla radio. Già da allora dimostrava grandi capacità ed attitudine alla musica; oggi è professore emerito di piano al Conservatorio di Treviso.  Tutto questo può sembrare strano a chi legge, ma grazie al suono ritmato di quei due semplici coperchi, con cui riusciva ad estrarre piacevoli e spassose armonie, gli fu regalata una fisarmonica a 48 bassi dal nostro indimenticabile zio Carlo Guarrasi, che all’epoca si dilettava a suonare  sia la fisarmonica che il pianoforte.

Foto 02 - Mio fratello Antonio a 6 anni e zio Carlo Guarrasi

Inutile dire che dopo nemmeno due mesi mio fratello era veramente padrone dello strumento e all’età di 6 anni era considerato a Tripoli un bambino prodigio, tanto che mio padre Corrado, piccolo artigiano dell’elettromeccanica,  si sentì “obbligato” a comperargli un pianoforte di terza mano, ma molto buono. Dico “obbligato” perché all’epoca, alla fine degli anni quaranta, a casa nostra di soldi ne entravano veramente pochi, non dico che si mangiasse a giorni alterni perché questo non me lo ricordo, però ricordo benissimo che mio padre, per sostenere la nostra famiglia, lavorava sette giorni su sette e l’unico riposo che si concedeva era quando era costretto a dover dormire.

 

Foto 03 -Mio padre Corrado nel 1948 

Le buone doti di mio fratello Antonio convinsero i miei genitori a fargli studiare musica dalla maestra Scianna.  Due o tre volte la settimana mio fratello, con la fisarmonica a tracolla, si recava a piedi a casa della maestra, che abitava non lontano dalla nostra abitazione di Sciara Sidi el Bahlul.  La maestra, con molto tatto e psicologia, convinse mio fratello, oltre a studiare la fisarmonica, per lei strumento secondario, a studiare il pianoforte.

Nel vedere ed ascoltare mio fratello che suonava e migliorava sempre di più, venne anche a me il desiderio di imparare a suonare. Ricordo che le prime basi me le diede proprio lui, insegnandomi il vario giro degli accordi: tutto questo mi permise di iniziare a strimpellare qualcosa. Cosa suonassi all’epoca non lo ricordo più, ma notavo che anche per me si avvisavano segnali positivi  per la mia attitudine alla musica. Nel  pomeriggio, dopo il ritorno da scuola,  a casa era una continua gara a chi occupasse prima il pianoforte. Qui ha inizio la gara tra me e mio fratello, tutti e due a studiare musica dalla maestra Scianna e tutti e due che miglioravamo sempre di più.

 

Foto 05 - Antonio alla fisarmonica ed io al piano con la maestra Scianna 

Quegli anni era purtroppo anni di miseria, il petrolio non era stato ancora scoperto in Libia e la nostra situazione economica familiare ne risentiva. Inutile dire che la miseria  di quei tempi era rallegrata dalle nostre suonate, che principalmente erano dedicate alla musica classica. Tutti gli amici abitanti in Sciara Sidi el Bahlul  venivano rallegrati, almeno speravamo, dal nostro pianoforte. Ricordo che spesse volte i signori  Paolo e Maria  Ponzio, con le loro figlie Pinuccia e Mirella, venivano a casa nostra per trascorrere insieme la serata. Il signor Ponzio aveva un negozio di alcolici di fronte casa nostra, all’angolo tra Sciara Ibn Sina e Sciara Sidi el Bahlul, pertanto per  rallegrare queste serate, ci portava delle bottiglie di un ottimo Marsala all’uovo, che lui stesso produceva con la sua ditta. Ma, sia io e che mio fratello, preferivamo lo zabaione preparato dal Signor Paolo, che sbatteva zucchero e uova, trattate con la chiara e montate dentro un grande pentolone e,  poco prima di aggiungerci il marsala, ci riempiva due bicchieroni. Quello si che era gustoso!

 

 

 

Foto 06 - Mirella Ponzio e Guglielmo Scianna e Mamma Caterina, Paolo e Maria Ponzio   

Tra gli amici, vicini di casa, ricordo anche la Signora Longo, con i figli Roberto (valente ex redattore di questo notiziario, che purtroppo ci ha lasciato poco tempo fa), Guido e Luciana, che abitavano  nell’appartamento sotto al nostro. Luciana, in particolare, era una fan della cantante Mina, di cui conosceva a menadito  tutte le canzoni. Inoltre aveva delle ottime doti canore e spesso nel pomeriggio la si vedeva passeggiare e cantare nel cortile della sua casa Le mille bolle blu, Tintarella di Luna, E’ l’uomo per me, Il cielo in una stanza, E se domani, La città vuota  e tutte le altre canzoni che all’epoca avevano fatto di Mina una cantante di “grido”, con la sua estensione di voce, una cantante veramente straordinaria. Luciana non era da meno; essendo molto giovane, era ben intonata e quadrata (termine musicale) ed ho sempre pensato che prima o poi anche lei sarebbe diventata una cantante veramente brava.

 

 

Foto 07 – Roberto e Rosetta Longo sposi tra mio padre Corrado  e mia madre Caterina 

 

Nell’abitazione adiacente alla nostra viveva un’amica araba, molto bella e prosperosa, si chiamava Attiga. Spesso anche lei veniva a trovarci, il suo modo di fare era molto aggraziato ed attraente … forse molto attraente. Aveva un carattere  spigliato, tanto che quando era con noi, all’interno delle mura di casa nostra, si toglieva i veli e spesso per scherzare saltava in braccio a papà…Mamma Caterina spesso si mostrava un po' gelosa, ma Attiga,  per rabbonirla, abbracciava pure lei.  Attiga spesso andava nell’officina di mio padre per preparare sia a lui che ai suoi operai lo sciai  (tè), usanza molto seguita dalla gente libica. Oggi pensando ad Attiga mi viene il dubbio che papà sia stato sempre fedele alla mamma, ma se così non fosse,  papà si era “concesso” ad una bellissima donna araba. Tra gli operai di papà ricordo Guglielmo Scianna, figlio della nostra maestra di musica e Pippo Melilli, famoso per la sua Lambretta, che riverniciava spesso con colori diversi o che ne modificava il motore per renderla ancora più veloce. 

 

Foto 08 - Luciana ed Elvira Longo  e Guglielmo Scianna con mio fratello Duilio in braccia

Ritornando ai ricordi delle nostre esibizioni musicali, queste avvenivano nelle serate quando  non veniva trasmesso alla radio il gioco musicale a quiz  Il Musichiere di Mario Riva  o quando, con l’avvento della televisione, non riuscivamo a prendere i canali della televisione italiana.  Antonio ed io ci cimentavamo a far ascoltare i nostri progressi a tutti gli amici, per la gioia e la soddisfazione di papà e mamma. Erano belle serate,  indelebili nella mia memoria per la gioia che procuravano a me e agli altri,  trascorse veramente in un’atmosfera di serenità unica. Mi piacerebbe far capire l’atmosfera di quei tempi, quando un po’ di musica ed il calore di un’amicizia fraterna riusciva ad allontanare cattivi pensieri ed i problemi che giornalmente assillavano chi aveva l’onere di sostenere dignitosamente  una famiglia numerosa come la nostra. Eravamo alla fine degli anni cinquanta, quando in Libia la situazione economica era incerta ed il boom economico per la scoperta del petrolio non era ancora scoppiato.  Nel 1958 mio padre Corrado, per la morte di mia sorellina Daniela, vissuta soltanto cinque giorni, firmò addirittura delle cambiali per poter affrontare le spese del funerale. La sera prima della morte di mia sorellina mi trovavo insieme a mio zio Carlo e mia zia Assunta in casa di suo padre Gaspare Guarrasi,  che aveva una locanda di fronte al Lido Vecchio e  dove alcune volte passavamo in compagnia le nostre serate a giocare al Mercante in Fiera o a tombola.  Mio zio era molto spassoso quando  teneva il banco e noi tutti ci divertivamo ad  ascoltarlo quando con la sua  parlantina imitava  il dialetto maltese-tripolino-siciliano.

 

Foto 09 - Famiglia Guarrasi al Lido, Famiglia Guarrasi a cena e zio Carlo 

Quella sera vinsi circa 50 piastre, che l’indomani spesi tutte per comprare dei fiori alla mia sorellina Daniela, tanto desiderata da miei genitori e purtroppo persa così prematuramente. Premetto che la presenza di mio zio Carlo fù importante per la mia vita musicale. Quasi tutti i sabato e le domeniche, andava a suonare con la sua band in giro per Tripoli per festeggiare battesimi e nei matrimoni.  Viste le ristrettezze economiche del tempo, racimolare qualche sterlina faceva comodo e poi era anche un divertimento.  Mio zio, notando che mio fratello Antonio era ormai  diventato un provetto musicista,  lo volle  portare con sé a suonare nelle serate tripoline. Il complesso musicale  di mio zio era molto richiesto dalle famiglie maltesi che abitavano nella Città Vecchia e ogni occasione (battesimi, comunioni e matrimoni) era buona per ingaggiarlo a suonare. La mentalità di quel tempo imponeva che mio fratello, ancora un ragazzino, pur essendo probabilmente il migliore musicista del gruppo, venisse pagato meno degli adulti; ma per  lui questo non aveva alcuna importanza, lanciato com’era nel mondo della musica. 

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Zio Carlo al piano e Antonio all'organo

Una sera tornando da una di queste feste, Antonio mi disse che aveva incontrato una persona che lo aveva molto apprezzato come musicista e dato che possedeva una tromba in disuso gliela regalò. Sul momento non diedi importanza a questo regalo, che rimase dentro una sacco di juta non so per quanto tempo. Il mio studio con il pianoforte proseguiva bene ma non con gli stessi risultati di mio fratello, che dimostrava sempre più di essere nato per suonare il pianoforte. Io sarei sempre stato secondo rispetto a lui e questa cosa mi inquietava. Il mio grande desiderio era sempre stato quello di suonare assieme a mio fratello, perché  forse avremmo battuto un record a Tripoli: fino ad allora due pianisti nello stesso gruppo musicale non erano mai stati richiesti. Antonio nel frattempo era entrato a far parte del gruppo Stardust.  Questo gruppo era formato da Mario Rocca al basso, Nini Occhipinti alla batteria, mio cugino Salvino Ragusa cantante e Giuseppe Perissinotto, capo orchestra, alla tromba, e che tromba, era un piacere ascoltarlo mentre provavano a casa mia. 

 

Foto 11 - Il complesso STARDUST con Mario Rocca, Giuseppe Perissinotto, Nini Occhipinti, mio fratello Antonio e Salvino Ragusa 

Bisognava trovare un rimedio al mio “secondo posto” ed il rimedio lo avevo davanti agli occhi, quel sacco di juta con una tromba vecchia da riaggiustare che forse poteva fare al caso mio. Purtroppo non sapevo come suonarla, ci soffiavo dentro e non usciva nessun suono. Siccome sono sempre stato caparbio di natura, per prima cosa incominciai ad osservare minuziosamente come la suonava il simpatico Perissinotto. Innanzi tutto notai  che metteva le labbra in una certa maniera ed in questo modo era capace di farne uscire delle note stupende. Ma la cosa non era così semplice come appariva,  perchè non capivo come  facesse a suonare con soltanto tre pistoni, che si muovevano in una serie di combinazioni. Per non fare sentire lo straziante rumore che facevo uscire soffiando  dentro quella tromba me ne andavo lontano da casa, su in terrazza.  Malgrado avessi preso questa piccola precauzione, un giorno papà, forse innervosito per gli affari che non gli andavano bene, si precipitò in terrazza, mi tolse la tromba dalle mani e la gettò per le scale causandole dei danni abbastanza seri. Ci rimasi molto male e nello stesso tempo capii che forse stavo sbagliando a suonare quello strumento. Passarono alcuni giorni e papà, pentito del suo gesto,  chiese  di ripararla ad un suo amico, il signor Mattiuzzi che, oltre a fare il tornitore era un bravo musicista ed esperto in riparazioni di strumenti a fiato e di ottone. Dopo qualche giorno mio padre mi riconsegnò la tromba, non solo riparata in tutte le sue ammaccature ma più funzionante e più bella di prima. Questo significava che avevo ottenuto da mio padre  l’intrinseco consenso di continuare a scoprire come funzionasse questo strumento diabolico. Qualche giorno dopo andai nel negozio  di articoli musicali  di Vincenzo Tinè e lì, con i miei pochi risparmi, riuscii a comprare la prima parte del metodo Gatti per tromba in Sib.  Visto che conoscevo già la musica per aver studiato per quattro anni il pianoforte, decisi di affrontare molto più seriamente e caparbiamente lo studio della tromba. Nel giro di pochi mesi riuscì ad ottenere dei suoni molto più dolci e grazie all’aiuto inconsapevole di Giuseppe Perissinotto, a cui rubavo con gli occhi le impostazioni più corrette sia delle labbra che delle mani,  iniziò la mia vita da trombettista.

Malgrado i miei primi positivi approcci con la tromba continuavo a suonare il pianoforte. In quel periodo conobbi Piero Mallo, cantante, che insieme a Franco Carbone,  Albino Pluda e a Walter Lupi suonavano in un ristorante, La Riviera, che si trovava a Zavia, nei dintorni di Tripoli.  Piero ebbe modo di sentirmi suonare al pianoforte e gli piacque subito come lo accompagnavo. Mi disse che, per motivi di lavoro,  Walter Lupi li doveva lasciare e quindi avevano la necessità urgente di un avere un nuovo pianista. Era il 1961 ed io allora avevo poco meno di quattordici anni ed il mio problema più grosso era quello di dovermi assentare da casa fino a tarda ora.  Generalmente si suonava solamente il sabato sera e questo non mi creava problemi per la scuola, ma ero troppo piccolo per ottenere il permesso dai miei genitori. Piero Mallo mi disse di non preoccuparmi perché, oltre ad essere un bravo cantante, era un eccellente negoziatore: non solo riuscì a convincere mio padre a farmi andare a suonare con loro e che ci prestasse anche la sua macchina. Papà all’epoca aveva una Fiat 1100 familiare, con una bagagliaio spazioso, molto adatto al trasporto degli strumenti che erano veramente ingombranti. A La Riviera  suonammo per circa sei mesi. Incominciai così a guadagnare i miei primi soldi, che mi permettevano di non pesare sul bilancio familiare.

Contemporaneamente conobbi Nini Occhipinti che progettava  di creare un complesso che ricalcasse le orme del famoso cantante Peppino di Capri,  in quei tempi  idolo musicale per antonomasia. Il progetto di Nini vedeva al pianoforte mio fratello Antonio, alla chitarra Sandro Fargion, cantante Salvino Ragusa, io alla tromba  e lui alla batteria. Il progetto si concretizzò a breve, anche se fu un complesso anomalo perché suonavamo senza il basso, strumento indispensabile in qualsiasi gruppo. Provammo per diversi mesi a casa di Sandro Fargion e tirammo fuori un repertorio molto bello e completamente uguale a quello dei Rockers  di Peppino di Capri. I pezzi forti erano Parlami d’amore Mariù, Voce ‘e notte, Luna caprese, Twist again, Don’t play that song, I’ te vurria vasà, Nessuno al mondo, Malatia, Nun è peccato, Roberta, Addio mondo crudele, Champagne. Insomma tutto il repertorio di Peppino al quale ne aggiungemmo tanti altri tipo Tequila, Peter Gunn (musica famosa a quei tempi per i film che vedevamo alla televisione americana del Wheelus). Sapore di sale invece era cantata con maestria da Nini Occhipinti e che la dedicava alla sua girl friend dell’epoca,  Mary Wray, una ragazza americana bellissima che incantava con i suoi dolci occhi verdi.  C’era anche Il cielo in una stanza, oltre a tutto il repertorio di Mina. Ma per esibirci in pubblico avevamo la necessità di comprare un’amplificazione più consona alla nostra levatura, ma purtroppo mancavano i soldi. Per risolvere il nostro problema ci venne incontro la mamma di Sandro Fargion che ci finanziò l‘acquisto, con l’accordo che l’avremmo rimborsata senza interessi con i soldi ricavati dalle nostre esibizioni musicali. Nacque così il complesso The Jets; era il 1962 ed io avevo poco più di 14 anni. La nostra prima esibizione avvenne al Casinò Uaddan dove riscuotemmo un grande successo,  non solo per il repertorio che presentavamo, ma anche grazie alla bravura di mio fratello Antonio che era riuscito ad organizzare bene tutti i pezzi musicali e a Sandro Fargion che alla chitarra era veramente bravo (il suo pezzo forte era Apache).

Foto 12 - Da sinistra Sergio Disco, Nini Occhipinti, Salvino Ragusa, Antonio Disco e Sandro Fargion

Iniziammo così a suonare in tutta Tripoli dove le nostre quotazioni crescevano sempre di più ed i compensi erano sempre più alti tanto che saldammo quasi subito il debito con la Signora Fargion.  I locali dove ci esibivamo maggiormente erano il Beach Club e l’Under Water Club. In quest’ultimo locale furono organizzate meravigliose feste in maschera dove ci imbattemmo con colui che presto sarebbe diventato un grande impresario teatrale, David Zard (per gli amici Dodi).

Foto 13 - David Zard

Credo che Dodi  iniziò questa sua attività proprio con noi, quando ci chiamò a suonare all’Hotel  Mehari, ad un defilè,  durante una serata organizzata per mostrare gli abiti di un grande stilista di moda o unicamente per la bellezza di alcune stupende ragazze francesi che ci sfilavano davanti, facendoci innamorare al loro passaggio.  Quella sera tutti noi sembravamo  stregati da tanta bellezza, anche se loro, quasi fossero dee, ci degnavano solamente del loro conturbante sorriso.

Col passare del tempo il gruppo subì purtroppo qualche trasformazione perché Sandro Fargion ci dovette lasciare per dedicarsi interamente alla preparazione degli esami di maturità dell’ultimo anno del Liceo. A lui subentrò Albino Pluda al sax, anche lui molto bravo, ma perdemmo quella che era una caratteristica importante del complesso che stavamo imitando. La caratteristica dei Rockers era la chitarra ed il sax, per cui perdemmo quei fraseggi particolari fatti con la chitarra che si sentivano nelle canzoni di Peppino di Capri, ma subentrò il  sax tenore di Albino con una voce che nulla aveva da invidiare al sassofonista di Peppino di Capri.  Chiamammo  questo nuovo gruppo New Jets. The Jets e i New Jets durarono complessivamente circa  due anni. Una sera capitai insieme ad alcuni amici al night del Suk el Muscir dove suonavano i fratelli Rocca Carmelo, Mario e Antonio insieme a Walter Deodati e  Piero Mallo. Piero mi invitò a prendere addirittura il posto al pianoforte facendo alzare il grande Walter Deodati.  Quella sera suonammo un paio di canzoni insieme, ma fu l’occasione per conoscere Walter,  al quale precisai che nulla avevo a che fare con il pianoforte se non per averlo studiato per un po’ di anni, ma lo misi a conoscenza che stavo imparando a suonare la tromba.  Tutto ciò ebbe su di me un effetto positivamente scatenante, perchè ero riuscito a farmi conoscere da quelli che erano definiti i Big della musica di Tripoli. Passavano a suonare da un locale all’altro,  senza mai smettere una sola serata: dal Mokambo, al Suk el Muscir, dal Florida all’Uaddan, dal Rose’s Garden al Bowlarena,  tutti night club, i cui proprietari (cito Mohammed Nga, Mustafà Greghni e Ubaldo Contenti) conoscevano bene i fratelli Rocca e Walter Deodati, come dei veri professionisti, di cui si fidavano ciecamente e a cui potevano affidare senza problemi l’esecuzione musicale di qualsiasi balletto straniero che venisse ad esibirsi a Tripoli. Walter Deodati, dopo essere rientrato in Italia a seguito degli eventi del 1970, fu assunto alla RAI come assistente musicale e anche lì ha fatto valere le proprie qualità di vero e grande musicista. Certi pezzi erano scritti con un tempo molto difficile; c’era la musica turca in 11/8 ed  alcuni pezzi in 7/4, dove solo la sua bravura  e quella dei fratelli Rocca permetteva di non perdere la cadenza in quella che era la ritmica particolare di quei  brani e dove i balletti danzavano con una coreografia ben precisa. Tante volte Antonio Rocca era costretto  a barcamenarsi tra due locali: prima andava ad accompagnare lo spettacolo all’Uaddan, perché il batterista non era in grado di eseguire certi ritmi e subito dopo si precipitava al Bowlarena, per un’altra esibizione. In realtà non si trattava di night club ma di cabaret, il cui ambiente sicuramente non era adatto ad un ragazzo della mia età, anche se tutto questo mi ha permesso di crescere molto in fretta. Aggiungo che tutto sommato, da buon samaritano, mi ero facilmente ambientato ai locali notturni.

Con Walter iniziai ad approfondire lo studio della tromba, tanto che due volte alla settimana mi recavo a casa sua, dove gratuitamente me la  insegnava a suonare. Imparai tante cose da lui e presto mi capitò l’occasione di prendere parte agli show che venivano rappresentati al Circolo Italia. Questo era un circolo ricreativo, con vista sul lungomare, dove si riunivano una buona parte dei molti italiani che risiedevano a Tripoli, dove si svolgevano incontri di boxe, si festeggiavano matrimoni, compleanni, battesimi, cresime e comunioni, dove nel teatro all’interno venivano invitati ad esibirsi  artisti e cantanti italiani di fama e dove si svolgevano giochi e quiz a premi e recite teatrali.  Finalmente avevo il privilegio di suonare insieme a Giuseppe Perissinotto, Cassiba e Bicio Aliffi, tutti bravi trombettisti, facendo così parte della grande Orchestra della trasmissione locale Venerdi Quiz, creata dall’indimenticabile Roberto Longo, sotto la direzione musicale del maestro Walter Deodati. Suonare con loro è stato molto bello e dilettevole e, visto che mi consideravano il “cucciolo” del gruppo, facevano a gara a dispensarmi consigli utilissimi alla mia formazione musicale. Nello spettacolo Follie di Primavera, durante le prove, Walter aveva scritto il pezzo introduttivo e pensava che dovesse essere cantato da due persone di sesso diverso. Se per la voce femminile avevamo in Clara Clementi la migliore interprete, c’erano invece problemi a trovare una buona voce maschile. Molti dei migliori cantanti erano temporaneamente assenti perché impegnati nel lavoro, come ad esempio mio cugino Salvino Ragusa, che lavorava nel settore petrolifero nel deserto e che tornava a Tripoli solo per circa due settimane ogni due mesi e su cui non potevamo contare.

Foto 14 - Clara Clementi ed io

(Guardate il filmato e ascoltate la canzone cliccando sulla foto)

Un pomeriggio durante le prove il maestro Deodati, sempre alla prese con il problema del cantante, volse il suo sguardo verso l’Orchestra e poi verso di me. Aggiustandosi gli occhiali disse: - Sergio, queste sono le parole, imparatele a memoria, tu farai coppia con Clara -. In  precedenza non avevo mai cantato e questa sua idea mi aveva preso alla sprovvista e mi spaventava, ma non osavo contraddirlo. Il mio battesimo di cantante insieme a Clara ebbe un successo discreto. Non avevo una gran voce ma in compenso ero intonato, tanto da non ricevere nessun fischio da parte della platea ma solo applausi anche grazie alla buona copertura dell’orchestra. Chiaramente questa fu l’unica volta che mi cimentai come cantante.

Foto 15 - L’Orchestra di Walter Deodati durante Venerdi Quiz

Con Valter presto ci fu l’occasione per suonare insieme al Giardino d’Inverno del Casinò Uaddan: tutto questo accadde nell’estate del 1967, dopo la guerra dei 6 giorni con Israele. Tripoli rimase sotto il coprifuoco per tutto il mese di giugno, gli ebrei furono costretti a fuggire in massa con tutti i mezzi; molti di loro trovarono asilo in Italia ed in Israele dove vivono tuttora. Malgrado tutto fu un’estate molto positiva per me, perchè suonare con Walter Deodati era per me un grande motivo d’orgoglio. Il gruppo musicale era formato da Emanuele Mallo (detto Nele), cantante e contrabbassista, Franco Carbone alla batteria, Walter Deodati al pianoforte, Albino Pluda al sax ed io alla tromba. Ormai ero lanciato, suonavo con il grande Walter! Lì suonammo per circa tre mesi e notavo che ero sempre più richiesto anche da altri musicisti come i fratelli Rocca Carmelo, Mario e Antonio, che rispettivamente suonavano il sax tenore, il basso e la batteria. (questa parte è ripetuta più sotto)

Oggi, a pensarci bene, posso affermare che la Tripoli di allora potesse essere definita la città dei musicisti, dove ne nascevano in continuazione come i fiori. Sicuramente il fatto di essere una città cosmopolita e l’influenza di gruppi stranieri famosi come i Beatles, Rolling Stones, Pink Floid, Genesis, quelli italiani come i Rockets, i Giganti, l’Equipe 84, i Camaleonti ecc. spingeva per imitazione molti giovani tripolini alla musica. Oltre alle grandi orchestre dirette dai maestri Loris Cavazzi e Walter Deodati, era sorta una straordinaria abbondanza di gruppi musicali. Ricordo i Gabbiani, i Milords, The Beatnicks, The Hepetas, The Diggers, The Golden Boys, The Laramy, Gemini, 5+1, The Wormy Circumstance, i Tombstones di cui ne feci parte per qualche tempo. Poi c’era il gruppo musicale formato dai fratelli Rocca, di Antonio De Vita e Marcello Puglisi, amici inseparabili. Con quest’ultimi mio fratello Antonio ed io suonammo per diverso tempo  al Circolo Sottufficiali della base americana del Wheelus. Ricordo Letterio Alabiso, Roberto Drago, i fratelli Nicolosi, il fisarmonicista Alfio Privitera, il padre di Michele (pianista della scuola della maestra Drago), con il quale suonai per poche settimane al Golf Club. Ricordo il grande batterista Terranova, che, successivamente, diventando un pezzo da novanta all’Alitalia fu costretto a trascurare l’hobby della musica per impegni più importanti in Italia.

E’ indimenticabile per me la grande occasione che ho avuto di suonare insieme a Valter Deodati in un grande spettacolo all’Uaddan, che lui stesso organizzò, insieme ad un gruppo che in quel momento si stava esibendo nello stesso Casinò, il cui capo orchestra era un suo vecchio amico, Eddie Caruso (trombettista ancora in auge). Di questo gruppo facevano parte il bravissimo sassofonista, Walter Monanni e anche il giovane Tullio De Piscopo, oggi noto batterista, cantautore e percussionista di livello internazionale. La Big Band in quell’occasione era formata da circa 14 elementi: quattro trombe, tre tromboni, quattro sax, batteria basso e pianoforte e in più si aggiunsero tre cantanti americani che si alternarono in vari pezzi di jazz di moda all’epoca. Lo spettacolo si chiamò FESTIVAL DEL JAZZ ed ebbe un grandissimo successo grazie alla bravura di Deodati, Caruso e De Piscopo.        

                   

Foto 16 - Eddie Caruso e Tullio De Piscopo

Facendo ricorso alla mia memoria altri ricordi affiorano alla mia mente. Sicuramente gli anni, dal 1967 fino al nostro forzato rimpatrio in Italia, mi hanno visto impegnato molto con la musica, malgrado fossi stato assunto proprio quell’anno come ragioniere  alla Libia Motor. A partire dalla scoppio della guerra dei sei giorni tra Israele ed Egitto, tutto si fermò a Tripoli. Per me era l’ultimo anno di Ragioneria; affrontai gli esami di Stato con la paura di ritorsioni anche nei confronti di noi italiani, mentre tutta la comunità ebraica fu costretta a lasciare la Libia. Molti di loro si trasferirono sia Italia che in Israele dove vivono tuttora. Dopo un paio di settimane di coprifuoco per la comunità cattolica italiana  si tornò alla vita normale e nel luglio del 1967 il signor Mohamed Nga, proprietario del Casinò Uaddan cercò di riavviare il suo locale e in particolare volle riaprire il Giardino d’Inverno, che era la parte esterna del Casinò. Il locale aveva una bellissima vista sul lungomare di Tripoli, al centro c’era una grandissima piscina e intorno ad essa c’erano i tavolini per i clienti. L’ubicazione dell’orchestra era su un piano rialzato.  Il signor Nga chiamò Walter, il quale si diede da fare per organizzare un valido gruppo musicale. Questo era formato da Nele Mallo cantante e contrabbassista, Franco Carbone alla batteria, Walter Deodati al pianoforte, Albino Pluda al sax ed io alla tromba. Fu un’estate bellissima e  piacevole. Tutto sommato ci eravamo buttati dietro le spalle quel brutto periodo di giugno e cercavamo di guardare avanti. L’aver suonato accanto al maestro  Deodati aveva notevolmente migliorato la mia conoscenza musicale: ormai ero lanciato, suonavo con il grande Walter. Lì ci esibimmo per circa tre mesi.  Le mie quotazioni salivano sempre di più,  poichè godevo della stima di altri grandi musicisti; specialmente dei fratelli Rocca: Carmelo, Mario e Antonio, che rispettivamente suonavano il clarinetto e sax tenore, il basso e la batteria che in quel periodo, insieme a mio fratello Antonio e a Piero Mallo, si esibivano al Bowlarena.

Nel 1968 fui ingaggiato dal capo orchestra Mimmo D’Amore che suonava all’Uaddan con un bravissimo gruppo e con lui accettai di fare una tournée all’estero con un contratto che prevedeva di suonare per sei mesi in Iran, a Teheran,  in un bellissimo locale di nome Chattanooga. Fui costretto a dimettermi dalla Libia Motor ed il mio direttore, che amava molto la musica, mi disse che facevo bene a fare questa esperienza e che comunque quando fossi ritornato  in Libia potevo sempre contare sul mio posto alla Libia Motor. In Iran feci un’esperienza meravigliosa ma mi mancava molto la mia famiglia; ero giovane e non ero ancora abituato a vivere lontano da loro per un tempo così lungo.  Passati i sei mesi in Iran ebbi un’altra chance  di andare a suonare per due anni in Giappone ma rifiutai proprio per questi motivi.

Tornato a Tripoli ripresi a lavorare nuovamente alla Libia Motor e contemporaneamente fui ingaggiato da un meraviglioso gruppo musicale chiamato Tombstones, di cui facevano parte Paolo Taliana, Carlo Cappa, Pino Calvo e Leroy Johnson, un ragazzo di colore americano che si trovava temporaneamente a Tripoli presso la Base Americana, in attesa di andare a combattere in Vietnam.

Foto 17 - I Tombstones al Libya Palace Hotel

Aveva una voce meravigliosa e riusciva a trasmettere un feeling che mandava in estasi non solo chi ci suonava insieme ma anche tutto il pubblico, tra cui c’era una bellissima ragazza di nome Kelly. Proprio con lei ha inizio una storia particolare che inciderà sul destino della mia vita. Mentre mi esibivo con i Tombstones al Bowlarena  mi fu presentata Kelly, una bellissima ragazza, che in realtà si chiamava Lina diminutivo di Carmela.  Me ne innamorai subito. Iniziai a corteggiarla tanto da riuscire a conquistarla. Ci fidanzammo, come si usava all’epoca, con tanto di ricevimento ufficiale a casa di quelli che dopo diventarono i miei suoceri. Ci sposammo in Italia nel 1971 (il nostro matrimonio fu celebrato da Padre Modesto, nostro professore di Religione) e da Lei ho avuto tre figli meravigliosi. Purtroppo sono ormai 13 anni che lei non c’è più ma il suo dolce ricordo rimane indelebile nel mio cuore ed in quello dei nostri figli.

    Foto 18 - 1971 Padre Modesto con me e mia moglie Lina

I Tombstones durarono fino a quando Leroy Johnson fu costretto a recarsi in Vietnam e Paolo Taliana si trasferì in Australia insieme alla sua famiglia. Ho provato inutilmente a rintracciare Leroy in America ma purtroppo non sono riuscito ad avere sue notizie, nemmeno con l’aiuto di alcuni amici americani. Con Paolo Taliana sono tutt’oggi in contatto: vive a Melbourne dove è diventato maestro di chitarra e continua a suonare con vari gruppi riscuotendo un grande successo oltre ad essere autore di numerose canzoni.

Foto 19 - Paolo Taliana e consorte in vacanza due anni fa in Italia insieme a Pino Calvo, Carlo Cappa e Felice Fortuna

 

Finita la parentesi dei Tombstones, nei primi mesi del 1969 ripresi a suonare con  Valter Deodati, Piero Mallo ed i fratelli Rocca al Bowlarena. Qui ci esibimmo  tutte le sere fino a domenica 31 agosto 1969. Quella sera lo spettacolo andò avanti fino alle 3 di notte e appena giunto a casa, prima di coricarmi, sentii alcuni spari provenire delle vicinanze. Anche se preoccupato ero così stanco che mi addormentai subito. Mi risvegliai a colpo di stato avvenuto. Seppi che alcuni militari, alla guida di Muammar Gheddafi, avevano rovesciato la monarchia e dichiarato la nuova repubblica araba di Libia.  Fu quasi  l’ultima sera che suonammo a Tripoli, dico quasi, perché qualche settimana dopo mi accadde qualcosa che ora vi racconto anche perché lasciò un segno particolare nella mia vita.

Passato il periodo del coprifuoco, il proprietario del Bowlarena Sig. Mustafà, chiese ed ottenne il permesso dalle nuove autorità di riaprire il locale; così informò i fratelli Rocca che potevano riprendere a suonare. Nel frattempo sembrava che la  vita a Tripoli fosse tornata quasi alla normalità: io ero ritornato al mio  lavoro  alla Libya Motor. Lina, la mia fidanzata, più giovane di me, aveva iniziato il suo anno scolastico all’Istituto Guglielmo Marconi e io, alla fine delle lezioni giornaliere, le facevo da cavalier servente accompagnandola a casa con la mia Fiat 850 special. Questo accadeva tutti i giorni; stare con lei, anche per  cinque minuti, mi rendeva immensamente felice.

Ai primi di ottobre arrivò la serata che, con il mio gruppo e la mia tromba, tornavo ad esibirmi dopo circa un mese di pausa forzata al Bowlarena. Sceso dalla mia macchina, vidi che vicino all’ingresso del locale c’era parcheggiata una camionetta della polizia, in cui, alla destra del guidatore, stava seduta nella penombra una persona vestita in borghese che indossava una camicia bianca a maniche corte e dal profilo noto, ma sul momento non gli diedi peso. In quel momento era più importante per me ritrovare i miei amici musicisti e riprendere la mia attività musicale. Dopo aver iniziato a riscaldare (termine musicale) gli strumenti, alle 21.00 precise Carmelo Rocca, il nostro capo orchestra, come sempre super puntuale, diede il via al primo pezzo consegnando gli spartiti a tutti noi. In genere all’inizio della serata, essendoci poca gente nel locale, il primo pezzo era unicamente strumentale, poichè prevedeva anche una improvvisazione jazz di tutti gli strumenti. Appena iniziata la nostra esibizione venimmo circondati da alcuni soldati che ci puntarono addosso i loro mitra e ci intimarono con faccia feroce che dovevamo smettere immediatamente di suonare e che eravamo tutti sotto arresto. Solo allora mi resi conto chi poteva essere quella persona che avevo intravisto dieci minuti prima seduto nella penombra all’interno della camionetta davanti all’ingresso del locale: era proprio lui, il colonnello Muammar Gheddafi, pronto a preparare la retata e  che ci avrebbe arrestato con l’accusa di corruttori della civiltà islamica. Cosa che tuttora mi fa inorridire al solo pensarci. Venni portato a spintoni su una camionetta e fui imprigionato in una caserma di Polizia in Giadat Omar el Muktar, di fronte al Caffè Garibaldi, a non più di cento metri da casa mia. Passai una notte insonne dentro una cella insieme ad un prigioniero libico. Ero molto preoccupato, non tanto per me ma per il fatto che la mia famiglia e la mia fidanzata  non fossero state avvisate e  che potessero stare in pensiero per la mia sorte. Ricordo che in prigione non fui trattato male, ma continuavo ad essere molto nervoso. Quando al mattino un poliziotto mi portò un cappuccino ed un pezzo di pane per colazione,  io lo rifiutai  e mi misi a strillare perché volevo solo un telefono per avvisare i miei.  A questa mia sfuriata il poliziotto non se la prese, ma mi chiese comunque di firmare un foglio che dichiaravo di aver ricevuto la colazione e che se non lo avessi firmato avrei potuto avere delle noie, specialmente perché il mio arresto era stato voluto proprio dal Colonnello in persona.  Poi, siccome era una persona cortese, mi tranquillizzò dicendomi che sarei uscito presto. Uscii di prigione intorno alle ore 14, quando purtroppo la mia Lina era già uscita dalla scuola. Giunto a casa fui abbracciato da mio padre, che era stato informato del mio arresto dal mio amico Antonio Cavallaro, che la sera precedente si trovava al Bowlarena come cliente. Comunque mio padre non era molto preoccupato perché tramite un avvocato libico aveva saputo che sarei stato rilasciato quanto prima e di questo ne aveva informato la famiglia della mia fidanzata Lina.

Il ricordo di questo triste episodio della mia vita, accadutomi a Tripoli, me lo porto dentro ancora oggi, ma non per questo ho perso l’amore per quella bellissima terra, dove sono nato e che spero di poter rivedere quanto prima. Sarebbe per me un bel sogno se mi invitassero a ritornare e mi permettessero di suonare con la mia tromba per tutti i miei amici libici il loro inno Ya Biladi e per tutti i loro parenti morti recentemente in battaglia Il silenzio, magari accompagnato al piano da mio fratello Antonio. Imshallah!!

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