RADUNO
EX LALI DI TORINO - Aprile 2012
ITALO GAGLIANO
– Come l’ho vissuta
Lasalliani
di Libia
RIFLESSIONE
SULLA DUE GIORNI DI
TORINO
Torino, 22
aprile 2012
A FRATEL
ARNALDO
Se
ci pensiamo bene, l’elettronica segue, all’inverso, il cammino del big
bang. Lì, da un nucleo della dimensione di una nocciola, si sprigionò
un universo di proporzioni inimmaginabili e in continua dilatazione.
Negli anni 50 l’archivio elettronico di un reparto delle questura di
Roma occupava un’intera stanza. Oggi potete concentrarlo in un chip che
pesa all’incirca mezzo grammo.
Un
mondo in continua integrazione e trasformazione. E’ il paradigma
olistico della scienza moderna, cui la scienza e la prassi
dell’educazione non si sottraggono, anzi. L’educazione è di per sé
trasformazione continua, in cui nessun elemento può essere isolato da
quelli che lo circondano. Dalla condizione delle radici puoi dedurre lo
stato del tronco, del fogliame, della frutta e viceversa. E’ uno schema
adattativo che vale per tutti i settori della realtà che ci circonda e
anche di quella che ci pervade, in altre parole la nostra realtà
interiore. Un mirabile parallelismo assimila i processi fisici e i
processi sociali, psicologici, cognitivi, clinici. Forse un giorno,
scoprendone i codici, comuni o analoghi, e le relative compatibilità o
i rigetti, riusciremo a migliorare le condizioni di vita del pianeta.
All’indomani
della guerra, ci affacciavamo alla vita, tenuti per mano da
straordinari educatori. L’incontro dei lasalliani di Libia a Torino,
rivangando le nostre esperienze di cinquanta o sessant’anni fa, ha
fatto emergere gli strati più profondi di ognuno di noi.
La
due giorni è stata per tutti noi fonte di forti emozioni. Non si poteva
restare, come capita talvolta a un giornalista, osservatori inerti e
neutrali. Perciò, questa non sarà la cronaca della due giorni di
Torino, ma del modo in cui io l’ho vissuta. E perciò segnalerò in
sostanza gli episodi che mi hanno colpito di più. Intanto io non sono
più quello che ero il giorno prima di prendere il treno per Torino. Ho
imparato, o messo a fuoco, cose su cui non avevo riflettuto a
sufficienza nei 78 anni della mia vita. Gli elementi della realtà
fisica, organica, psicologica o sociale che si combinano, si integrano,
si armonizzano, producono nuove sintesi e trasformano, in piccolo o in
grande, il mondo intorno. Fondamentale fu, allora, quel nostro
influenzarci a vicenda su valori alti e forti, estremamente moderni e rispettosi di un’etica
tanto religiosa quanto laica,
un credo interrazziale, cosmopolita, ecumenico, multietnico e quindi
multiculturale, universale, umanistico, ricondotto a una spiritualità
comune a tutte le culture degne di questo nome. Se volete,
l’anticipazione dei valori del Concilio Vaticano II, indipendentemente
dal credo di ciascuno e dalla stessa pratica religiosa individuale.
Valori che si riverberano sul contesto politico-economico e sociale, e
di cui continua a esserci un estremo bisogno in una società in cui
corruzione, razzismo, pubblici ladrocinii, discriminazioni in danno
degli emarginati, delle donne e in genere dei più deboli sono
tutt’altro che debellati. Con l’ampliarsi dei diritti e naturalmente
delle conoscenze, diritto primario di ognuno, la società non solo
migliora, ma prospera. Per fortuna, da qualche decennio, le ragazze
possono frequentare le scuole lasalliane, non sono dunque più escluse
da un’impareggiabile offerta educativa
arricchita dalla presenza di docenti
laici, uomini e donne.
Comincio
a scrivere il mio racconto da Torino, per poi completarlo e ritoccarlo
a Roma. Al centro La Salle, su una collina che sovrasta il Po e la
chiesa della Gran Madre di Dio, con lo juvarriano Santuario di Superga
poco distante, tutto ispira serenità, pace, elevazione dello spirito.
Un vispo signore novantottenne, in tonaca nera con facciole bianche,
contempla silenzioso le montagne circostanti e la sede del nostro
raduno. E’ Fratel Amilcare. Quasi un secolo di vita. In pratica, lo
stesso tempo trascorso dall’insediamento lasalliano in Libia.
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Fr.
Amilcare Repetto |
Amilcare
è un nome significativo. Fenicio di origine e maghrebino di nascita,
nostro quasi conterraneo, navigatore e condottiero, Amilcare Barca era
il padre dei due grandi generali
cartaginesi delle guerre puniche Asdrubale e soprattutto Annibale, colui che con le buone convinse
gli elefanti a superare le Alpi. Le stesse che Geo Chavez avrebbe
scavalcato ventuno secoli dopo con un monoplano almeno tre volte piu
leggero di ognuno dei pachidermi. Un’immagine adeguata a rappresentare
l’oneroso traghettamento del cuore e della mente di un giovane
dall’infanzia all’età adulta.
Fratel
Amilcare aveva 33 anni nel 1947, quando sbarcava in Libia, a 25 anni di
età, il nostro indimenticabile Fratel Arnaldo, principale animatore dell’ Azione Cattolica La Salle e delle attività sportive
e culturali connesse, mancato due anni fa nella terra delle sue
origini, proprio in questo Piemonte
oggi inondato dal sole, dopo aver peregrinato per alcuni decenni tra la
Libia e il Veneto.
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Fr. Arnaldo Grassano |
Mi
viene da pensare che Fratel Amilcare e Fratel Arnaldo, e molti altri
Fratelli siano stati e siano veramente fortunati per il fatto di aver
trascorso o di trascorrere parte della loro vita in luoghi come questo,
il Centro La Salle, dove alla bellezza dell’ambiente si somma una
superlativa qualità dei rapporti umani.
Penso che magari in Libia non era lo stesso, il caldo era torrido e la
massa di noi adolescenti scatenata e difficile da governare. Ma in
fondo non doveva essere così male, se sempre, come del resto tutti noi,
entrambi hanno ricordato quei giorni con infinita nostalgia. Penso alle rinuncie dei Fratelli,
in nome del futuro dell’umanità, compito per cui estraggono dalle
coscienze, e non dalle viscere di una montagna, o dai forzieri di una
banca, un elemento assai più prezioso di tutti quelli che figurano
nella scala di Mendeleev, l’intelligenza emotiva e creativa, e allo
stesso tempo i sentimenti più nobili, la generosità, l’empatia, la
solidarietà.
In fondo i Fratelli hanno anticipato
le idee di Don Lorenzo
Milani, un ebreo fiorentino fattosi cristiano per prendere il
posto di un sacerdote-educatore mancato anzitempo, come lui del resto.
Don Milani è sepolto da quasi mezzo secolo in un cimitero grande come
un orticello, al cospetto delle montagne. Per lui
in una corsa non contano né la velocità
né la vittoria, ma la direzione verso cui ci si muove. Se non studi –
diceva lo scomodo don Milani ai figli di contadini raccolti nella
canonica di Barbiana, sede della sua scuola e del suo esilio
ecclesiale, – il padrone ti prevaricherà sempre.
Scopro questi stessi concetti in un libro che ho appena comperato e che
intendo regalare ai miei due nipotini. I migliori risultati non li
ottieni con i sistemi produttivi ma con la formazione, valutata da test
scientificamente ineccepibili, degli addetti alla produzione, a
qualsiasi titolo e livello, e con assoluta esclusione di privilegi di
partenza, scorciatoie, sperequazioni, familismi, nepotismi e
raccomandazioni. L’autore è Roger
Abravanel,
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Don
Lorenzo Milani |
Roger
Abravanel |
nato
nel ’46 ,
laureato a vent’anni, scienziato sociale e saggista tra i più
ragguardevoli della nostra epoca, per tutta la vita formatore e
scopritore di talenti. I due suoi libri più importanti si intitolano Meritocrazia
e Regole. Il primo è alla sesta ristampa, il secondo ci arriverà presto. E il
cielo sa quanto di regole questo paese abbia bisogno, dopo un ventennio
tormentato. ( In questi giorni è in vendita al
pubblico un'altro suo libro, scritto con Luca D'Agnese,
Italia cresci o esci!!
-
ndr).
Proprio
a Torino scopro che Abravanel è nato a Tripoli e ha studiato dai
Fratelli delle Scuole Cristiane. Che devo dirvi? Dodici anni di età ci
separano. Io cattolico, lui ebreo. Sono felice che abbiamo avuto gli
stessi maestri, ci siamo abbeverati alle stesse fonti e nutriti dello
stesso cibo intellettuale e spirituale.
Come per gli esempi del
big bang, del chip e dell’albero, tutto questo insieme di
considerazioni induce a modificare alcune radicate certezze. Un tempo,
ragione e sentimento erano considerati separati, antitetici e
inconciliabili. Sarebbe come dire che nella scala musicale il do è
antitetico al sol. Oggi la psicologia moderna, sulla scia di Piaget e
di Erickson, di
Melanie Klein e di Winnicott, ha capovolto quei concetti. Prima ancora
che la sua fame, il
neonato cerca di appagare le sue curiosità, il suo bisogno di
conoscere, strumenti indispensabili per la sua sopravvivenza. Resta un
mistero come nella vita di alcuni possano talora tornare a prevalere
fantasmi arcaici come la paura del diverso, eredità dell’epoca della
clava. Noi andavamo controcorrente, anche rispetto ad oggi. Basti
pensare a come sono accolti e considerati in certe regioni italiane gli
immigranti, gli stranieri in genere, i diversi. Al persistere di quella
vergogna che chiamiamo, o meglio che altri hanno voluto chiamare,
centri di identificazione ed espulsione. Alle decine di euro che gli
immigrati, a differenza degli italiani, devono sborsare per un
certificato di residenza. Al lavoro che non si trova per gli italiani,
figuriamoci per loro. Noi con i ragazzi arabi magari ci prendevamo a
sassate, come I ragazzi della via Pál
a Budapest, ma poi ci giocavamo insieme, e nei negozi entravamo per
comprare il cuscus, non per dargli fuoco.
I
n quella
specie di università per Under 18 che erano il convitto, la scuola,
l’associazione cattolica, tutti ambienti protetti, noi vivevamo in
perfetta letizia. Totalmente ignari o se preferite un’espressione di
moda, a totale nostra insaputa, diventavamo al contempo allievi e
professori di noi stessi e dei nostri compagni. Che dessimo un calcio a
un pallone, intonassimo un coro, cercassimo di impiccare Pinocchio a un
albero in uno spettacolo teatrale, replicavamo il grande disegno del
fondatore dei Frères, che per tutto il convegno ci ha scrutato dalla
balconata, per verificare i risultati di quella lontana educazione,
difficile negli obiettivi, ma non nei rapporti interpersonali. Noi,
giovani e incoscienti come eravamo, della difficoltà degli obiettivi
non ci accorgevamo. O non ce li facevano pesare. E quindi li
affrontavamo con grande disinvoltura. Io frequentavo l’associazione ma
non la scuola lasalliana, e al liceo, come ho ricordato anche al
convegno, ci insegnavano oltre a italiano, latino e greco, anche
inglese, francese e arabo, che voleva dire oltre alla lingua, costumi,
cultura e religione islamica. A 15 anni, curiosi come si è, non è
difficile non essere interessati al mondo e quindi essere cosmopoliti.
E ho l’impressione che, su questo versante, siamo rimasti tutti
quindicenni, contagiando ascendenti e discendenti non lasalliani.
Dopo
aver navigato il mondo per più di trent’anni, a quasi
sessant’anni mi sono concesso il regalo
di una laurea in psicologia, cioè un traguardo che la prassi miope di
un’azienda a dir poco disattenta mi aveva negato trent’anni prima,
assumendomi, anziché a Roma dove già vivevo, lavoravo e studiavo e dove
avevo già superato più di metà degli esami di giurisprudenza, in una
città adriatica lontana anni luce da qualsiasi simulacro di facoltà
universitaria. Sei lustri dopo, viaggiare attorno
e dentro l’uomo era diventato per me un
imperativo categorico più importante che trasmigrare da un aeroporto
all’altro.
A mio parere, il filone
più interessante della psicologia moderna è quello che collega emozione
e conoscenza. La psicologia e la pedagogia italiane hanno dato un
poderoso contributo a questo filone con i convegni internazionali del
prof. Nicola Cuomo (Univ. Bologna) sull’emozione di conoscere
con l’apporto delle categorie interessate e di prestigiose università
straniere. Giovanni Battista de La Salle, con la sua prassi, ci era
arrivato tre secoli prima.
L’inizio della mia
passione per il giornalismo coincide con il mio ingresso nella Azione
Cattolica La Salle di Tripoli, nel 1947. Fratel Arnaldo è stato il
primo della serie dei miei grandi maestri, seguito dal professor
Andreoli al Liceo Classico Dante Alighieri di Tripoli, e poi, in Rai,
da Vittorio Veltroni, capo dei radiocronisti negli anni 50,
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Vittorio
Veltroni |
Guglielmo Moretti, Paolo Valenti, Nando Martellini, Ruggero Orlando,
Antonello Marescalchi. Aggiungo Andrea Barbato e Piero Angela, ma mi
sento in colpa, perché l’elenco è sterminato.
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Paolo Valenti |
Nando Martellini |
Ruggero Orlando |
Andrea Barbato |
Piero Angela |
Da
Fratel Arnaldo, mi dividevano solo 12 anni di età.
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Italo Gagliano a 15
anni |
Fratel Arnaldo da giovane |
Era
un ragazzino anche lui, ma con una testa piena di idee, di sogni, di
saggezza. Concordavamo su tutto. Lui non ordinava mai. Non ne aveva
bisogno. I suoi interventi non erano correzioni, ma arricchimenti e
valorizzazioni di un comune patrimonio.
Per nove anni, a
Tripoli, si dedicò a formare le coscienze e le abilità cognitive degli
adolescenti di qualsiasi provenienza, credo, stato sociale. Io
naturalmente interagivo sopratutto con i mei coetanei, ma facevo ogni
tanto una eccezione, ad esempio per Giorgio Gaja, che ha cinque anni
meno di me. Saltuario frequentatore dell’associazione cattolica
lasalliana, Giorgio è il figlio dell’allora console italiano a Tripoli,
Roberto
Gaja, divenuto poi segretario
generale della Farnesina, ambasciatore a Washington, prestigioso
editorialista. Dopo quattro decenni di carriera accademica e di
collaborazione con l’ONU. Giorgio
Gaja è oggi l’unico giurista
italiano presente in una corte internazionale di giustizia.
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Roberto Gaja |
Giorgio Gaja |
Invece,
Michele Lubrano, grande corrispondente dal Medio Oriente e da Parigi e
mio indimenticabile compagno di stanza al TG2, allora non lo conoscevo.
Eppure mi confessò
che il mio esempio aveva influito sulla sua scelta di dedicarsi al
giornalismo. Tra tutti gli amici lasalliani di allora, voglio
ricordarne alcuni: in primis Carlo Martines, oggi cardiologo in
pensione o sulle soglie, e poi quelli che con me giocavano a pallone,
Ivo Mallia, Mario Calandra, e due amici mancati di recente:
l’instancabile fucina di iniziative Gildo Drago e il rosso di pelo
Trompeo, mio compagno di giochi anche alle Case INCIS. Di un altro
coetaneo, Manlio Minale, che pure apparteneva alla mia squadra, avevo
perso la memoria. Sapevo naturalmente che era il magistrato più
importante della procura di Milano, ma non lo collegavo né alla
tripolinità né alla lasallianità. Averle riscoperte entrambe mi riempie
di orgoglio, così come mi commuove vedere un prestigioso civilista di
Pisa, l’avvocato Cordiano Romano, Jano per gli amici, altro compagno di
giochi delle Case INCIS, scoppiare quasi in lacrime nel raccontare il
nostro incontro di poco prima, a 60 anni di distanza dal precedente.
In sostanza,
ho la sensazione di non aver sprecato il mio tempo, e di essermi legato
a persone di valore. Con cui ci si divertiva e ci si impegnava, e si
traevano esempi dall’impegno dei personaggi più disparati, della
politica, della cultura, dell’arte e dello sport. Ricordo il paio di
volte in cui trascinai ai nostri spettacoli sette-otto campioni del
mondo di ciclismo dilettanti, e tra questi Antonio Maspes,
una leggenda insuperata, Sante
Gajardoni, Morettini, De Rossi,
Luciano Ciancola, con i
commissari tecnici della pista, Guido Costa, tripolino e compagno di
banco di mio zio Giovanni Campailla alle medie, e della strada,
Giovanni Proietti. Entrambi abbagliati, nelle due serate, dalla potenza
dell’azione educativa dei Fratelli.
(Clicca sul link
http://www.ernandes.net/ricordi/rionelido/rovecchior/index.htm - ndr).
A molti di noi, in tutti questi anni, devono essere fischiate spesso le
orecchie. Fratel Arnaldo, mi dicono la nipote Maddalena Grassano e Jano
Romano, che ogni estate lo ospitava in Versilia, non faceva che parlare
di quel gruppo di adolescenti con l’argento vivo al posto del sangue.
La differenza con Don Milani è lieve ma significativa. Mentre nella
canonica di Don Milani erano i più grandi a fornire esempi e nozioni, a
Tripoli i principali educatori in calzoni corti erano proprio i
coetanei, in uno spirito di totale armonia e fraternità, senza rivalità
ma piuttosto esaltando ed esultando per i risultati dell’altro.
Probabilmente, senza la straordinaria personalità di Fratel Arnaldo, e di Fratel Amedeo
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Fratel Amedeo |
che io non ricordo ma che tutti descrivono come un grande, e di tanti
altri tutto questo non sarebbe potuto succedere. Il fatto è che è successo. Ed
anche se non erano direttamente implicati nelle sorti del nostro
gruppo, anche con gli altri fratelli il dialogo era scorrevole e sempre
pieno di stimoli positivi.
Cito in particolare il saggio e delicato fratel Albertino, fratel
Eriberto e fratel Anselmo
Ricci che, a malapena trentenne, volò via da una scala
verso il cielo mentre collaborava all’allestimento di una nostra festa.
A lui è andato, in tutti questi anni, il nostro commosso e grato
ricordo.
L’incontro di Torino, allestito da un formidabile trio
cultural-imprenditoriale costituito da Alberto Paratore (buon sangue
incisino non mente) e dal presidente e vicepresidernte dei lasalliani
di Libia Giancarlo Consolandi e Felice Spagnuolo, dai Fratelli operanti
al Centro La Salle e da altri validissimi collaboratori, è filato via
in modo perfetto.
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Alberto Paratore/strong> |
Giancarlo Consolandi |
Felice Spagnuolo |
Cito per primi gli
squisiti cena e pranzo di sabato e domenica, per passare ad argomenti
più elevati. Ha introdotto i lavori un concerto tra l’opera e il pop,
di una grande voce lirica e libica,
il giovane soprano Laura Vasta, tripolina figlia d’arte, con l’accompagnamento
sapiente al piano del maestro Andrea Turchetti. Il secondo giorno, con
una partecipazione straripante, per me inattesa, e con provenienze e
messaggi di ogni lingua e colore da varie parti del mondo (l’eco delle
nostre gesta circola in Australia, in America e dovunque vivono degli
Exlali) chi ha potuto, anche a nome di chi era assente e di chi non c’è più, ha portato la propria
testimonianza sugli eventi del passato e le prospettive del futuro. Un
ricco supporto audiovisivo ci ha fatto rivivere quei giorni. La Santa
Messa e la benedizione di Don Felice Radici ci hanno preparati al
congedo.
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Laura
Vasta |
Don
Felice Radici |
E’ stata una salutare immersione in un passato indimenticabile. E anche
su questo dovremo forse rivedere le nozioni acquisite. La regressione,
in psicologia, è generalmente considerata un’occorrenza negativa e
patologica. Ora, l’intelligenza vera non può che accomunare razionalità
e sentimento, che si integrano e reciprocamente si arricchiscono. Se
l’immersione nel passato si accompagna ai benefici dell’esperienza e
della memoria, grandi carburanti sia dell’azione fisica che del
progresso cognitivo, ne risultano esaltate l’identità, l’autostima, la
capacità di progettare il futuro. E noi resteremo attenti all’idea che
l’Italia di domani la faranno anche gli eredi dei lasalliani di Tripoli
e di Bengasi, ai quali avremo trasmesso i valori che i nostri maestri
hanno trasmesso a noi. Valori immutabili, se possibile anticipatori dei
tempi e in ogni caso aggiornati ad essi, così come i sistemi educativi
e tecnologici.
A proposito, il sistema wi-fi del centro La Salle funziona alla
perfezione.
In 65 anni di giornalismo, ho incontrato papi e capi di stato,
rivoluzionari e pacifisti, capitani d’industria e filantropi, ma prima
di tutti gli altri, mi restate e mi resterete nella mente e nel cuore
voi, che vestiate la tonaca, i jeans che allora non c’erano o il
blazer.
Amici degli anni trenta, una preghiera. Il più giovane dei Fratelli che
ho incontrato a Torino ha 45 anni.
Il paese ha bisogno di grandi educatori,
che ai Centro La Salle trovano, se c’è disponibilità, un approdo
ideale. Se in qualcuno dei vostri nipoti emerge la vocazione religiosa
o anche la vocazione all’insegnamento, non escludete l’idea di mandarlo
a sostenere le file dei docenti lasalliani. Oltretutto, come progetto
di vita, è di grande rilievo.
Vorrei concludere, dopo aver ringraziato tutti per la stima e l’affetto
che mi hanno circondato a
Torino.
Quando verrà il mio momento,
se
non deciderò di affidare le mie ceneri alle acque del Mediterraneo,
che oltretutto congiunge
Libia e Italia, mi piacerebbe, scusandomi
per l’ardire e l’impertinenza dell’accostamento, che sulla mia tomba fosse
scritta la frase
che figura sulla tomba
di Emanuele Kant,
a
Königsberg, la città prussiana in cui il genio
visse
e insegnò. E’
l’ultima
frase
della Critica della
Ragion
Pratica: IL CIELO STELLATO SOPRA DI ME, LA LEGGE MORALE
DENTRO DI ME.
Ecco, mi sembra proprio una
conclusione ideale, in perfetto stile lasalliano.
ITALO GAGLIANO
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