Quando
osservo
il
mare,
lo
sguardo
può
spingersi
fino
all’impossibile
del
conosciuto,
del
raggiungibile.
Domando
al
mio
amico
invisibile,
gli
parlo,
mi
confido,
racconto.
Da
piccola
mettevo
una
lettera,
un
messaggio,
sotto
il
cuscino
aspettando
i
consigli
dal
sonno.
Avvolta
nella
mia
scialabìa
(abito
arabo)
ho
incrociato
le
mani
e
ho
chiesto
al
vento
che
accompagna
il
mio
respiro
di
portarmi
lontano,
di
essere
leggera,
di
vivere
sospesa
nel
cielo.
E
ho
ricordato.
C’è
un
posto
lontano
da
me
e
da
tutto,
sapevo
della
sua
esistenza,
ci
andavo
di
notte
e
nei
momenti
in
cui,
non
vista,
alternavo
pensieri
e
fantasie,
desideri
e
incomprensioni.
Un
sogno
si
propone
ogni
volta
che
apro
lo
spiraglio
della
mia
creatività.
Da
sola,
percorrendo
strade
ancora
sconosciute,
arrampicandomi
su
per
i
viottoli
impervi,
accecata
dalla
vista
del
sole,
incantata
dai
raggi
della
luna.
Finché,
stanca,
mi
abbandono
al
suono
delle
onde
del
mare,
seduta
sulla
spiaggia
di
un
luogo
amico.
E
là,
sulla
riva
amata,
cerco
percorsi
nuovi
e
soluzioni
pacate,
cancello
tormenti
e
chiamo
la
pace,
che
entri
finalmente
nel
mio
cuore,
che
mi
inondi
tutta.
Alle
spalle
ho
il
deserto,
non
lo
vedo
e
so
che
è
là
da
milioni
di
anni.
La
sua
presenza
incombe
silenziosa,
implacabile,
con
rigori,
silenzi,
la
pace,
e
aspetta
solo
di
essere
esplorato.
Ci
ripenso
quando
un
giorno
ho
visto
una
vecchia
gabbia
di
ferro,
ormai
tutta
scorticata,
arrugginita
dalla
salsedine
e
dal
tempo,
buttata
e
dimenticata
sotto
a
un
cespuglio
nel
mio
giardino.
Mi
proietta
ai
sogni
ad
occhi
aperti.
Gabbia,
volare,
uccelli.
Tante
associazioni
che
nascono
spontanee
in
un
momento
di
riflessione.
La
mia
libertà.
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