Ho
iniziato
a
scrivere
questi
appunti
quando
non
si
pronunciava
il
nome
del
dittatore,
era
per
paura.
Sono
nata
a
Tripoli
e
faccio
parte
di
quel
gruppo
d’italiani,
profughi,
espulsi
da
Gheddafi,
nel
1970.
Tripoli,
la
Libia
intera,
oggi,
ormai
è
stata
bruciata,
devastata
da
un’orda
di
barbarie.
Il
mio
cuore
è
a
pezzi,
e
anche
quello
di
tanti
amici
che
con
nostalgia
inevitabile
partecipano
a
questa
tragedia.
È
il
2011,
sono
a
Roma,
al
sicuro,
nella
mia
casa,
non
mi
stacco
dalla
TV,
sono
giorni
di
guerra,
le
news
internazionali,
quelle
locali,
per
seguire
ogni
possibile
svolta
che
mi
auguro
di
risoluzione
positiva
e
di
pace.
Che
cosa
voglia
dire
“positiva”
non
lo
so;
sono
morti
e
in tanti,
ragazzi,
donne,
bambini,
centinaia
di
persone,
migliaia,
vecchi,
in
nome
della
cosiddetta
libertà.
Febbraio,
a
una
settimana
dallo
scoppio
della
guerra,
io
sono
al
mio
terzo
viaggio
a
Tripoli,
dopo
l’espulsione,
un
viaggio
ricco
di
contatti,
incontro
nuovi
amici.
Per
decenni
gli
ex
residenti,
ossia
noi,
siamo
stati
esclusi
e
indesiderati
dal
Paese.
Iscritti
in
una
ricca,
quanto
infamante,
black
list.
Ho
fatto
rientro
a
Roma
il
giorno
prima
che
scoppiassero
le
tensioni
e
la
guerra
civile
subito
dopo.
Ho
trascorso
là
una
settimana
in
totale
sicurezza,
mentre
i
disordini
erano
già
in
atto
in
Tunisia,
con
la
rivolta
del
pane,
anche
in
Egitto,
dove
una
protesta
importante
era
esplosa
già
da
giorni.
Correggo
i
vecchi
appunti;
mi
sento
finalmente
libera
di
arricchirli
di
particolari
e
dettagli
che
per
prudenza,
in
precedenza,
avevo
taciuto.
Posso
dichiarare
fiera
che
con
tutti
i
disagi
subiti
dagli
italiani
rimpatriati
forzatamente
nel
1970,
nella
nostra
famiglia
abbiamo
coltivato
con
molta
rassegnazione
l’accettazione
e
mai
l’odio
per
quando
ci
era
accaduto,
nonostante
la
perdita
di
ogni
bene.
Questo
sentimento
ci
ha
guidato
e
permesso
di
ricostruirci,
di
mantenere
l’equilibrio
psicologico,
di
andare
avanti,
di
integrarci,
anche
se
a fatica,
una
volta
in
Italia.
Nonostante
l’amara
esperienza,
abbiamo
guardato
avanti,
considerando
che
il
passato
fosse
ormai
morto.
Anzi,
a
oggi,
devo
dire
è
stato
utile
ciò
che
abbiamo
vissuto,
per
capire
in
quale direzione
si
dovesse
andare,
per
non
commettere
più
gli
stessi
errori.
Per
rimanere
radicati
alla
nostra
cosiddetta
patria,
se
non
altro,
per
non
diventare
matti.
La
TV
-
e
siamo
nel
2011
-
è
accesa
giorno
e
notte,
la
seguo
appena
gli
impegni
me
lo
permettono;
telefonate,
sms,
notizie
su
facebook,
sono
i
mezzi
per
rimanere
in
contatto
con
gli
amici
cari,
conoscenti
di
tutte
le
nazionalità,
per
avere
le
ultime
news
sulla
sorte
di
quel
paese
che
molti
di
noi
nati
là,
amiamo
ancora,
e
che
ci
unisce
forte
come
una
colla
trasparente.
Che
cosa
succederà,
riflettevo,
ancora
ce
lo
chiediamo,
quale
sarà
il
destino
di
questa
terra
insanguinata,
profanata,
invasa
da
mercenari
e
straziata
dal
desiderio
ingordo
di
potere,
lo
sapremo
un
giorno,
mentre
continuo
a
rivedere,
a
correggere,
ad
arricchire
di
particolari
le
pagine
che
seguono.
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