Nel 1969 un giovanissimo colonnello abbatte la monarchia libica, dà vita a un nuovo sistema politico-sociale e comincia a puntare verso un grande e ambizioso obiettivo

MUAMMAR GHEDDAFI
IL PROFETA DELL'AFRICA UNITA

di CARLO BATÀ


Primavera 1942: le forze corazzate dell'Afrikakorps tedesca e le unità mobili italiane stavano sferrando una massiccia offensiva contro l'VIII armata britannica. Era il capolavoro tattico di Erwin Rommel, che a giugno al suo arrivo ad el-Alamein, a breve distanza dal Nilo, venne poi promosso feldmaresciallo.

Con scarsi mezzi e uomini in numero inferiore al nemico riuscì a tamponare le falle dell'esercito italiano in piena ritirata nell'arido deserto della Cirenaica, dove le potenze europee stavano contendendosi il possedimento coloniale riservato all'Italia, lo "scatolone di sabbia", come era stato definito da Francesco Saverio Nitti in un discorso al Parlamento nel 1911.

La posizione strategica della Libia e dei suoi mille e ottocento chilometri di costa, a breve distanza dall'Europa meridionale, la rendeva l'oggetto del desiderio dei due fronti contrapposti. Spettatori di una guerra a loro estranea, i berberi di Libia, che nel corso dei secoli avevano visto la loro terra invasa da fenici, greci, romani, vandali, bizantini, arabi, normanni, spagnoli, Cavalieri dell'Ordine di Malta e turchi, prima dell'avventura italiana.

Il nome LIBIA era stato riesumato dal governo fascista nel 1934, quando venne presa la decisione di unificare le tre province di Tripolitania, Cirenaica e Fezzan, realizzando un unico corpo statale di quasi due milioni di chilometri quadrati. Libia, infatti, era il termine con cui i Greci chiamavano tutte le terre conosciute ad occidente dell'Egitto, al di là della civiltà sorta sulle fertili rive del Nilo.

Mentre decine di migliaia di soldati si rincorrevano nel deserto, arretrando ed avanzando come pedine, in una tenda di pelli di capra a venti chilometri a sud di Sirte, nasceva Muammar Gheddafi, figlio di due poveri beduini nomadi analfabeti. Il giorno esatto della nascita non è stato mai accertato, in quanto non esisteva l'obbligo di registrare la nascita dei neonati. Fin dalla più tenera età all'unico figlio maschio della famiglia era assegnato il compito di far pascolare le capre e i cammelli, di raccogliere l'orzo ed il grano ed era concesso l'onore di imparare a leggere il Corano, il libro sacro dell'Islam, nelle lezioni tenute all'ombra di un ulivo da un fghih, un maestro che passava da un accampamento di beduini all'altro, vivendo delle offerte ricevute.

All'età di sei anni, mentre stava giocando nei campi con alcuni coetanei, una mina lasciata dagli italiani, come ricorderà spesso negli anni seguenti Gheddafi, esplose all'improvviso, causando la morte di due suoi cugini e lasciando indelebile sul suo avambraccio destro una lunga cicatrice.

Tra il 1956 ed il 1961 (mentre il continente africano stava lottando duramente per l'indipendenza tanto agognata), Gheddafi frequentò le scuole islamiche a Sirte e a Sebha, il capoluogo del Fezzan, la regione più desertica e meno popolata del paese. La famiglia non poteva permettersi spese e così Gheddafi dormiva nella moschea, tornando a dare una mano ai propri genitori, come raccontato dalla madre con orgoglio, il giovedì e il venerdì, i due giorni sacri, percorrendo a piedi i trenta chilometri di deserto che separavano la costa dalla tenda errante in cui era nato. Nonostante alcuni rimproveri e sospensioni (una mattina in classe invitò l'insegnante madrelingua inglese ad andarsene dal paese), terminò la carriera scolastica e si iscrisse all'Accademia militare di Bengasi, concludendo il corso brillantemente nel 1968, dopo un breve periodo di specializzazione a Beaconsfield, in Gran Bretagna.

La personalità che, negli anni dell'adolescenza, più influì sulla maturazione del pensiero di Gheddafi fu senza dubbio l'egiziano Gamal Abdel Nasser, l'uomo che aveva guidato il colpo di Stato che nel 1952 rovesciò re Faruk. Quattro anni prima aveva combattuto nella guerra di Palestina e nel 1956 reagì in modo lusinghiero all'attacco militare sferrato contro l'Egitto dall'esercito di Israele, appoggiato da quello britannico e francese, pur non potendo evitare una cocente sconfitta.

Nasser cercò di modificare le istituzioni e le strutture sociali dell'Egitto e promosse una politica estera tesa all'uscita dagli ultimi retaggi coloniali e alla cooperazione attiva tra i paesi arabi, dalle coste dell'Oceano Atlantico del Marocco sino al Golfo Arabico. Nel 1956, per reperire i fondi necessari alla costruzione della diga di Assuan sul Nilo, procedette alla nazionalizzazione della Compagnia Internazionale del Canale di Suez, passaggio obbligato delle rotte commerciali tra Europa ed Asia, che provocò la dura reazione di Francia e Gran Bretagna.
( vedi qui la storia di questi fatti )

Dal 1958 al 1961 Nasser fu Presidente della Repubblica Araba Unita, nata dall'unione di Egitto e Siria. La stella di Nasser si spense solitaria in seguito alla delusione per la disfatta egiziana nel conflitto con Israele nel 1967 (vedi qui la guerra dei "Sei giorni" ) che offuscò il suo carisma, fino allora indiscusso. Proprio il riformismo sociale, il panarabismo e l'attiva opposizione ai paesi coloniali saranno le linee guida della politica di Gheddafi dopo la presa del potere nel 1969.

Infatti, il 1 settembre 1969, mentre il sovrano Idris I si trovava a Bursa, in Turchia, in un complesso termale con la moglie Fatima ed un seguito di trentacinque persone, in Libia venne effettuato un colpo di Stato militare, incruento non soltanto a Bengasi, centro della sollevazione, ma anche negli altri punti nodali del paese: la capitale Tripoli, Tobruk, il piccolo porto fatale a Rommel nella Seconda Guerra Mondiale, Derna, Beida e Sebha, dove tra i banchi di scuola era nata la rivoluzione.

Alcuni giovani ufficiali di tendenze progressiste sancirono la fine della monarchia: il potere venne assunto dal Comando della Rivoluzione, guidato da un Consiglio composto di dodici uomini, con a capo il Colonnello MUAMMAR GHEDDAFI. A poco più di ventisette anni, era il più giovane Capo di Stato del mondo.

La Costituzione provvisoria definiva la Libia "una Repubblica araba libera e democratica". Il nuovo governo venne subito riconosciuto da Egitto, Sudan, Iraq e Siria, ma non tardarono le note ufficiali anche di Unione Sovietica, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia ed Italia: il Paese doveva abbandonare il regime corrotto e cercare di modernizzarsi, lasciandosi alle spalle le lotte tribali, che ancora si scatenavano nelle zone meno controllate dal potere centrale.

La Libia aveva riacquistato l'indipendenza il 24 dicembre 1951, quando una deliberazione delle neonate Nazioni Unite, diede vita al regno di Idris I al-Sanusi, che in gioventù aveva combattuto contro l'Italia coloniale. La monarchia assunse posizioni vicine alla Gran Bretagna, con cui stipulò un'alleanza ventennale, e agli Stati Uniti, con cui nel 1954 venne stabilito il mantenimento della base militare di Wheelus Field.

Esattamente quattrocento anni prima era iniziata la dominazione turca, sotto i Giannizzeri, durata sino al 1911, quando l'Italia giolittiana subentrò al malato Impero Ottomano, prossimo alla dissoluzione. L'atteggiamento del nuovo corso nei confronti del precedente regime fu fin da subito ambivalente: da un lato un'aspra condanna della gestione dello Stato, della corruzione e degli sperperi; dall'altro il ricordo sentito per i combattenti caduti in nome dell'indipendenza a partire dai primi anni del secolo e il rispetto ossequioso per gli ideali religiosi tradizionali. La Libia aveva cessato di essere considerata uno "scatolone di sabbia" nel giugno 1959: a Zelten, in pieno deserto, era stato rinvenuto un enorme giacimento di petrolio, completando gli sforzi degli ingegneri italiani, che nel 1914 avevano toccato alcune gocce di petrolio a Sidi Mesri, presso Tripoli.
Lo scoppio della Prima Guerra mondiale aveva però interrotto le ricerche.

Grazie ai petrodollari (la Libia era il maggior produttore del continente africano ed i suoi commerci non dovevano dipendere dal canale di Suez, che l'Egitto riaprì solo nel 1975), il nuovo governo rivoluzionario procedette alle prime riforme: i salari minimi vennero raddoppiati e gli emolumenti dei ministri dimezzati, per dimostrare come la ristrutturazione radicale della società libica dovesse comprendere anche le alte sfere. Venne promossa la partecipazione dei lavoratori nelle imprese, vennero creati ospedali ed ambulatori rurali, per eliminare alcune epidemie facilmente curabili. Certamente il disegno di Gheddafi fu facilitato dall'esiguità della popolazione, che superava di poco i due milioni di abitanti. L'alcool fu bandito, i locali notturni ed i casinò vennero chiusi: scomparvero i caratteri latini dalle insegne e nelle scuole fu vietato l'insegnamento delle lingue straniere. Venne restaurata la Sharia, la legge islamica che nasce direttamente dal Corano. Le parole d'ordine furono censura di tutto quello che fosse estraneo alla morale islamica ed all'austerità. Lo stesso Gheddafi rifiutò qualsiasi concessione al lusso e continuò ad abitare in una caserma di Tripoli.

In ottobre furono stracciati i trattati capestro che erano stati stipulati con le potenze occidentali: fu annullato un accordo con Londra per l'installazione di un sistema di difesa aereo e furono evacuate tutte le basi militari britanniche, alcune delle quali erano servite come punto di appoggio durante l'attacco congiunto di Gran Bretagna, Francia ed Israele contro l'Egitto il 29 ottobre 1956.
In dicembre il governo di Tripoli raggiunse un accordo con quello di Washington per l'abbandono della base di Wheelus Field, utilizzata da Israele contro l'Egitto durante la guerra dei sei giorni nel giugno 1967, quando l'esercito israeliano guidato dal generale Moshe Dayan avanzò in profondità nel Sinai e nel Golan. A soli sette chilometri dalla capitale, infatti, in un'enorme area di oltre cinquemila ettari erano ospitati ben dodicimila persone, tra soldati statunitensi e i loro familiari.

Nell'estate dell'anno seguente, con l'esproprio dei beni degli italiani residenti in Libia e l'espulsione di ventimila cittadini italiani, furono eliminate le ultime vestigia del colonialismo italiano. Dalla confisca si salvarono le società dipendenti dall'ENI e dalla FIAT, con cui il governo libico avrà sempre un rapporto privilegiato (nel 1976 per quattrocento quindici milioni di dollari, la Libia acquisterà il 10% delle azioni della casa automobilistica di Torino).
L'Italia divenne il primo partner commerciale della Libia: negli anni Settanta si diceva che un automobile su tre viaggiasse sulle strade italiane con petrolio libico. L'obiettivo primario era quindi quello di ripristinare la sovranità di uno Stato formalmente indipendente, ma che nella realtà dipendeva politicamente ed economicamente dall'esterno. Gli altissimi proventi dell'oro nero, la produzione libica superava infatti quella di Iraq e Kuwait, sarebbero stati destinati, si diceva, alla crescita del paese, con infrastrutture e vie di comunicazione: le banche furono trasformate in aziende miste, in cui lo Stato deteneva almeno il cinquanta per cento delle azioni; le compagnie petrolifere (tra cui la britannica BP Exploration Co. Lybia e la statunitense Bunker Hunt) vennero nazionalizzate dietro indennizzo.

Fin dai primi discorsi emerse l'ascendenza e la matrice nasseriana del pensiero di Gheddafi: la promozione dell'unione di tutti gli Stati arabi del Maghreb (che in arabo significa ponente) e del Mashrek (levante) e l'accesa esaltazione del panarabismo e del nazionalismo arabo, come linea di condotta di tutti i paesi musulmani della regione. "L'umanità", si legge nel Libro Verde, un piccolo volume, compendio delle idee di Gheddafi, "continuerà ad essere arretrata finché rimarrà incapace di esprimersi in un'unica lingua".
In un incontro con alcuni studenti, ricordò i tempi in cui astronomi arabi scoprirono, tanti secoli fa, le stelle che portano ancora il loro nome; esaltò le scoperte scientifiche e matematiche degli scienziati arabi, che inventarono, ad esempio, l'algebra. Il tutto velato dall'immensa nostalgia di quando il Mar Mediterraneo era un mare arabo e la civiltà islamica, con il pensiero di Avicenna ed Averroè, era al suo culmine. Riecheggiava nelle sue parole l'intuizione di Braudel, che definì l'Islam un'unica strada che dall'Oceano Atlantico arriva sino al Pacifico, passando per la parte meridionale dell'antica massa continentale europea; un'unica strada resa percorribile ed uniforme dal Corano.

Storicamente i paesi musulmani si estendono dalle aride coste senegalesi sino all'India, ma nuclei consistenti di diaspora si hanno in Cina e nelle ex repubbliche sovietiche dell'Asia. Essi disegnano sulla cartina geografica una sorta di falce allungata, che ricorda l'hilal, la luna nel suo primo quarto, divenuta nel tempo il simbolo dell'Islam. Furono avviate fervide trattative con l'Egitto di Anwar el-Sadat, con la Siria di Hafez al-Assad e con la Tunisia di Habib Bourghiba. Sadat e Gheddafi si impegnarono a dar vita ad uno Stato unitario a decorrere dal 1 settembre 1973, in modo da eliminare i 1.115 chilometri di frontiera artificiale, tracciata nel deserto dai governi europei nel periodo coloniale.
Quasi quotidianamente Gheddafi lanciava strali contro Israele, accusato di essere un corpo estraneo in un contesto di paesi arabi, e i paesi che lo sostenevano: venne approvato un cospicuo sostegno finanziario all'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) guidata da Yasser Arafat e furono vendute alcune batterie di missili Sam-9, che il governo del Libano dispose lungo la frontiera con Israele.

Uno dei punti di svolta del governo rivoluzionario libico è avvenuto sicuramente con il discorso che Gheddafi tenne il 15 aprile 1973 a Zuàra, piccola cittadina costiera della Tripolitania orientale non distante dal confine con la Tunisia. Nel giorno del mawlud, ossia della nascita di Maometto, venne annunciata ad una piazza brulicante di persone una rivoluzione culturale in nome del Corano, i versetti dettati dall'arcangelo Gabriele e trasmessi da Maometto (Qur'an in arabo significa lettura ad alta voce) ai suoi discepoli dopo l'Egira. I seimila versetti divisi in 114 surat, ossia capitoli, avrebbero dovuto da lì in avanti orientare la vita quotidiana e rappresentare l'unica fonte di saggezza per tutti i musulmani. A differenza del Cristianesimo, infatti, che divide religione e politica, l'Islam le considera inscindibili: il Corano, libro di comportamenti, non di precetti religiosi, è anche Codice civile e penale.

E non solo: Gheddafi più volte rivolse ai Paesi non islamici l'invito ad apprendere gli insegnamenti dei versetti sacri: "Il Corano", disse in un'intervista, "non è monopolio degli arabi; esortiamo l'intera umanità a studiarlo". A metà maggio Gheddafi espose quella che passerà alla storia come la "terza teoria internazionale", alternativa al comunismo totalitario e al capitalismo sfruttatore e neutrale tra le alleanze militari della Nato e del Patto di Varsavia. "La scienza", disse, "nonostante le sue meravigliose realizzazioni, non ha dato tutte le risposte al significato della vita. Il Corano dà queste risposte.[…] Che tutti i popoli venerino Dio, invece che creature mortali come Lenin e Stalin in Russia, oppure vacche e idoli come in India, oppure macchine e ricchezze, come in molte parti d'Oriente e d'Occidente".

Mettendo in dubbio l'effettiva democraticità del sistema parlamentare e della democrazia rappresentativa, Gheddafi propose l'unica soluzione all'annoso problema del rapporto tra governanti e governanti: la democrazia diretta, ispirata alla democrazia ateniese del quarto e terzo secolo prima di Cristo. I Congressi Popolari sparsi capillarmente sul territorio, sarebbero stati preposti a prendere le decisioni davvero importanti per l'intera nazione. Inoltre si esortava un rapido processo che conducesse alla piena proprietà dell'abitazione, dei mezzi di trasporto e della terra che ogni libico deve possedere per godere di libertà effettiva. "Il punto di arrivo", si legge nel Libro Verde, "è costituito dall'avvento della nuova società socialista, quando spariranno lucro e denaro, mediante la trasformazione della società in una società di piena produzione e mediante il raggiungimento della soddisfazione delle necessità materiali dei membri di questa società".

Per quanto riguarda il socialismo islamico, Gheddafi chiarì subito che sarebbe stata rifiutata la lotta di classe, si sarebbe tenuta nel massimo rispetto la proprietà privata, così come ingiunge il Corano, ma lo Stato avrebbe goduto di privilegi per poter contribuire attivamente allo sviluppo del paese.
Il 1973 si concluse in modo contraddittorio: da un lato, dopo la scomparsa nel giro di pochi anni dei più autorevoli esponenti del terzo mondo, Jawaharlal Nehru, Ahmed Sukarno, Kwame Nkrumah e Nasser, al quarto vertice dei paesi non allineati di Algeri emerse la personalità di Gheddafi, apprezzato per la sua spregiudicatezza, per il tentativo di dare spazio alla fede musulmana e per la decisa volontà anticolonialista.
Egli, come ricordato, era nato e cresciuto mentre gli eserciti di Germania e Gran Bretagna devastavano il territorio libico; alcuni suoi parenti erano stati uccisi nella lotta contro la colonizzazione italiana; infine, la maturazione del suo pensiero si ebbe durante i primi anni Sessanta, quando la maggior parte dei paesi dell'Africa raggiunse l'indipendenza, dopo tanti anni di dipendenza coloniale. Dall'altro, l'unione con l'Egitto non si concluse, in quanto all'ultimo momento Sadat respinse il progetto. Inoltre il 6 ottobre il Presidente egiziano ed il Presidente siriano Assad, nel giorno dedicato dagli ebrei all'espiazione (jom Kippur), ossia la più solenne celebrazione dell'anno liturgico ebraico, decisero, all'insaputa degli altri leader dei paesi arabi, di sferrare un deciso attacco contro Israele.
(vedi qui "LA GUERRA DEL KIPPUR" )

Gheddafi criticò l'azione isolata, che favorì l'ennesima vittoria militare dell'esercito israeliano (il quale, dopo un inizio difficoltoso giunse a minacciare Il Cairo), e affermò che la tecnologia bellica libica avrebbe potuto procurare al sistema difensivo di Israele gravi perdite. I rapporti tra Libia ed Egitto peggiorarono anno dopo anno. Nel 1977 si ebbero pesanti scontri alla frontiera e quando a Camp David, il 17 settembre 1978, fotografi di tutto il mondo immortalarono la stretta di mano tra Sadat ed il primo ministro israeliano Begin, si arrivò quasi alla rottura delle relazioni diplomatiche con l'Egitto.
Gheddafi non perdonò mai l'affronto a suo parere fatto da Sadat all'intero mondo arabo. Intanto però l'oasi di Aouzou, lungo la frontiera meridionale libica, generava una disputa ventennale con il Ciad, che si risolse solamente nel 1994 con la restituzione dell'oasi al governo di N'Djamena. Gheddafi si convinse che il progetto di unità araba poteva realizzarsi soltanto facendo un passo alla volta: nel giro di pochi anni egli cercò, invano, di favorire l'unione con la Tunisia, con la Siria e con il Marocco di re Hassan. L'immensa ricchezza della Libia (il reddito pro capite libico era tra i primi dieci al mondo) poteva ben amalgamarsi con popolazioni ben più numerose e con territori ricchi di altre materie prime, diversi dall'arido deserto libico.

Nel 1977, Gheddafi decise di saldare ulteriormente i legami tra politica e religione con l'istituzione della Jamahiriya (che in arabo significa Stato alle masse) Libica Araba Socialista. La Rivoluzione islamica, che si propose il ridimensionamento del potere degli ulema, i dottori di diritto e teologia, attorno ai quali ruotavano le forze dell'Islam radicale, prevedeva la nazionalizzazione dei beni religiosi, mentre si stabilì che solo il Corano costituiva l'unica fonte della fede musulmana: la Sunna (tradizione) e gli Hadith (detti del Profeta) non avrebbero più avuto alcun valore normativo. "La sola legge della Jamahiriya è il santo Corano", affermò senza remore Gheddafi. La data tradizionale dell'inizio dell'era islamica venne considerata non più l'Egira dalla Mecca a Medina nel 622, bensì la morte di Maometto nel 632. Uno dei cinque pilastri della fede, il pellegrinaggio alla Mecca ed al santuario dove è custodita la pietra nera deposta da Abramo, venne reso non obbligatorio: rimasero la professione di fede, le cinque preghiere giornaliere, l'elemosina ed il digiuno durante il mese del Ramadan, ossia il nono mese lunare.

La reazione degli ulema non si fece attendere: agitazioni nelle moschee e aperta contestazione al regime, che reagì duramente. Lo sceicco al-Bishti, che disponeva di un saldo seguito in Tripolitania, perse la vita in prigione dopo essere stato ripetutamente torturato; molti luoghi di culto, considerati pericolosi, vennero chiusi o distrutti; le organizzazioni islamiche non fedeli alla linea governativa furono perseguitate, come ricorda il Rapporto di Amnesty International del 1998, che riferisce di numerosi imputati condannati all'ergastolo e detenuti in luoghi segreti. Due furono in questi anni i tentativi eclatanti di uccidere Gheddafi, che rinunciò formalmente a tutte le cariche pubbliche ufficiali, conservando, oltre ad un immenso potere, il solo appellativo di guida della rivoluzione.

Nell'ottobre 1979 durante una parata militare, un pilota dell'aviazione libica si diresse con il proprio velivolo sulle tribune su cui si trovava Gheddafi: fu abbattuto all'ultimo istante. La primavera seguente una guardia del corpo lo ferì alla spalla con un colpo di pistola.
Gli anni Ottanta si aprono in Italia con un mistero: il 18 luglio 1980 un Mig-23 libico venne ritrovato nei pressi di Castel Silano, in provincia di Catanzaro. L'autopsia praticata dal dottor Rondanelli e dal dottor Zulo sul corpo del pilota, dichiarò che la morte risaliva a circa venti giorni prima.
Il 27 giugno un DC-9 dell'Itavia diretto da Bologna a Palermo era esploso in volo nel cielo di Ustica, provocando la morte di ottantuno persone. Sul perché due velivoli fossero precipitati a così breve distanza, non venne data spiegazione e le indagini furono fin da subito oggetto di depistaggi e di silenzi omertosi.

Questa è la versione di Gheddafi: il suo aereo personale stava sorvolando i cieli di Ustica "diretto in Italia per riparazioni". I servizi segreti statunitensi, che avevano progettato di ucciderlo, pensavano che egli fosse a bordo e cercarono di abbatterlo. Invece di colpire il giusto bersaglio, "hanno abbattuto l'aereo italiano e un altro aereo libico". Due missili raggiunsero il Mig-23, che fu poi ritrovato sulla Sila, e la carlinga dell'aereo civile italiano, facendolo inabissare con i suoi segreti nel Mar Tirreno.

I due decenni seguenti registrarono moltissimi episodi di forte attrito tra la Libia e la comunità internazionale, soprattutto il governo di Washington. Nel 1981 Jimmy Carter lasciava la carica di Presidente degli Stati Uniti al repubblicano Ronald Reagan. La politica estera della nuova Amministrazione fu fin da subito più aggressiva, cercando di colmare in qualche modo il vuoto e lo shock lasciato all'interno del paese dalla sconfitta in Vietnam. Negli ultimi mesi, inoltre, la vicenda dell'ambasciata statunitense a Teheran, dove studenti islamici avevano duramente contestato la presenza occidentale in Iran, occupando l'ambasciata americana e prendendo in ostaggio cinquantatré membri del suo personale, aveva screditato ancor più l'immagine del più potente paese mondiale, che aveva dovuto sopportare l'onta del fallimento del goffo tentativo di liberare i cittadini statunitensi.

I rapporti tra Reagan e Gheddafi, nonostante la Libia continuasse ad esportare oltre il quaranta per cento del proprio petrolio verso gli Stati Uniti, furono fin da subito tempestosi: il 19 agosto 1981, pochi giorni dopo che a Roma il governo Spadolini aveva reso esecutiva la decisione del Parlamento di approvare l'installazione di centododici missili Cruise nella base militare della Nato a Comiso, in Sicilia, nel cielo della Sirte due F-14 Tomcat, decollati dalla portaerei statunitense Nimitz, abbatterono due caccia libici Sukhoi-22 di fabbricazione sovietica. La maggior parte degli armamenti e della tecnologia militare libica era infatti comprata (in contanti come fu spesso ripetuto) dagli arsenali militari sovietici, soprattutto dopo il viaggio di Gheddafi a Mosca nel 1976, quando era stato trionfalmente accolto da Breznev, Kossighin e Podgorni.

Gheddafi reagì accusando Reagan di essere uno sceriffo assetato di distruzione; la stampa statunitense individuò il nemico da combattere, "l'uomo più pericoloso al mondo", titolò
Newsweek.

I rapporti con l'Italia, già tesi per la vicenda dei ventitré pescatori italiani di Mazara del Vallo (detenuti in carcere a Tripoli con l'accusa di essere sconfinati in acque territoriali libiche) ed irrigiditi dal tentativo di destabilizzare la Tunisia e dalla caccia agli oppositori al regime libico, con delitti commessi anche sul suolo italiano, peggiorarono anche per la pressioni fatte da Washington, che cercò di isolare economicamente e politicamente la Libia. Gheddafi cercava di usare l'equipaggio del peschereccio italiano come pedina di scambio per ottenere dai servizi segreti italiani i recapiti dei dissidenti libici rifugiati in Italia e poter procedere a fare giustizia, sommaria a parere delle autorità italiane, legittima, a parere di quelle libiche.

Seguirono cinque anni di relativa calma, finché il 15 aprile 1986, dopo ripetute esercitazioni della Sesta Flotta nel Golfo della Sirte oltre il trentaduesimo parallelo (considerato dal governo di Tripoli il limite delle proprie acque territoriali), cacciabombardieri dell'aviazione degli Stati Uniti attaccarono due postazioni militari libiche, Tripoli, Bengasi e la residenza privata di Gheddafi a Bab al'Aziziyyah, causando la morte di decine di civili, tra cui la figlia adottiva della guida della rivoluzione. Pochi giorni prima una bomba esplosa in locale tedesco frequentato da militari statunitensi, aveva provocato morti e feriti. E i servizi segreti libici furono subito i principali indiziati. Il conflitto armato sanciva così l'epilogo delle accuse rivolte al governo di Tripoli di fomentare e finanziare il terrorismo internazionale.

La rappresaglia libica non si fece attendere: "Missili su Lampedusa" titolò Il Messaggero il giorno seguente: due Scud-B, diretti alla base di ascolto statunitense Loran-C, caddero a poca distanza dalle coste italiane. I difficili rapporti tra i due Paesi furono ricomposti con paziente diplomazia, essendo vitali per le due economie i numerosi accordi commerciali già stipulati.

Il 21 dicembre 1988 nel cielo sopra la cittadina scozzese di Lockerbie un Boeing 747 della Pan Am esplodeva in volo, causando la morte di duecento settanta persone. Il 19 settembre dell'anno seguente stessa sorte toccava nei cieli del Ciad ad un DC-10 dell'UTA. Principali indiziati furono subito i servizi segreti libici, impegnati nella loro guerra sotterranea con gli Stati Uniti e decisi a mandare un forte e sanguinario monito alla Francia, impegnata ad appoggiare la sua ex colonia nella disputa di frontiera con la Libia. Il 21 gennaio 1992 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite approvò la Risoluzione 731, che ingiungeva alla Libia di consegnare due cittadini libici, sospettati delle due stragi, alle autorità britanniche o statunitensi. Il netto e categorico rifiuto libico portò al blocco delle comunicazioni aeree e all'embargo sulle forniture di aerei ed armi, sanciti dalla successiva Risoluzione 748.

Seguirono sette anni di forte isolamento internazionale, durante i quali gli Stati Uniti accusarono la Libia di produrre iprite e gas nervino nell'impianto industriale e farmaceutico di Rabta. Soltanto nella primavera del 1999, dopo la consegna alla giustizia scozzese dei due indiziati della strage di Lockerbie grazie alla fondamentale mediazione di Nelson Mandela, la Libia venne riammessa a far parte della comunità internazionale.

Nelle numerose interviste concesse ai giornalisti di tutto il mondo negli ultimi trent'anni, le risposte date dal Colonnello non sono state sempre convincenti, ma a volte in tono provocatorio, altre volte tracciando scenari decisamente improbabili, Gheddafi ha cercato di illustrare il proprio progetto politico e la propria visione del mondo. E, vestito sempre con una camicia ad onde verdi e marroni ed una casacca nera sulle spalle, a piedi nudi come i beduini da cui discende, sempre e soltanto dalla sua dimora, una tenda diventata una casa viaggiante, dove l'odore dell'incenso si mescola con quello del sandalo. Scortata da alcuni Caravan, più di cento Toyota e due pulmini, che portano i generatori per l'illuminazione, essa viene piantata dovunque, nel deserto o nei giardini dei palazzi che ospitano gli incontri internazionali con gli altri leader arabi.

Proprio il dialogo con gli altri paesi della regione è stato sempre caratterizzato da avvicinamenti ed incomprensioni: il vecchio progetto del ghaneano Nkrumah, uno dei padri fondatori dell'Africa, di unire in un saldo legame i paesi del continente è ammirato, ma scatena in molti animi instabilità ed incertezza. Gheddafi fu uno dei primi a sostenere la causa di Nelson Mandela in Sud Africa e quella di Yasser Arafat in Palestina: "Il deserto del Sahara", ricordò ad Abuja nel 1991, in occasione della nascita della Comunità Economica Africana, "da sempre barriera di immensità per linguaggi e culture diverse, oggi è diventato un ponte naturale tra il Nord Africa ed i paesi al di là […]. La malattia dell'Africa è soprattutto la solitudine e l'isolamento".

In un'altra occasione propose la nascita di una moneta unica africana in parità con yen ed euro. Finalmente nell'estate del 1999 ben trentasei leader africani hanno firmato la prima parte di un trattato con cui si intese sostituire l'ormai obsoleta Organizzazione dell'Unità Africana, in vigore senza troppi successi dal 1962, con un organismo più dinamico ed in grado di affrontare in modo autonomo i gravi problemi che ancor oggi minano lo sviluppo nel continente.

Per quanto concerne la politica interna, replicando alle numerose accuse di soffocare con la forza il dissenso interno, Gheddafi ha risposto candidamente che "l'Africa non necessita di democrazia, ma di pompe d'acqua. La popolazione ha bisogno di cibo e medicine".
Questa è la replica alle numerose critiche del più controverso leader africano, impegnato a far sopravvivere l'eccezione libica anche nel terzo millennio. Sembrano essere state perdonate le numerose provocazioni e Gheddafi, abbandonando in parte progetti aleatori, che spesso sono stati condannati al fallimento, ha dimostrato sempre una notevole capacità di tenere sempre la rotta in acque troppo spesso tempestose ed avvelenate da polemiche e misteri.

CARLO BATÀ

Bibliografia
* Gheddafi messaggero del deserto, di Mirella Bianco - Mursia, Milano, 1977.
* Muammar Gheddafi e la rivoluzione libica, di John K. Cooley - Editoriale Corno, Milano, 1983. Gheddafi. * Una sfida dal deserto, di Angelo Del Boca. Laterza, Roma-Bari, 1998. Muammar Gheddafi, di Benjamin Kyle. Targa Italiana s.r.l., Milano, 1990. Gheddafi, di Mino Vignolo. Rizzoli Editore, Milano, 1982.

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NOTA: Gli ultimi sviluppi della politica libica di Gheddafi tendono a un riavvicinamento agli USA, dissociandosi così dal terrorismo islamico degli ultimi tempi.