La stanza di VICTORIA GIRAUD

Le figurine dei giocatori di baseball

negli anni '50 a Tripoli

di Victoria Giraud

18 Settembre 2016

Traduzione dell'articolo US BASEBALL CARDS IN 1950s LIBYA tratto dal sito  http://www.victoria4edit.com/  e dal libro "An Army Brat in Libya" di Victoria Giraud

Ogni giorno il mondo diventa più piccolo grazie ad internet, ai satelliti ed ad altri mezzi di comunicazione. Dopo la seconda guerra mondiale, sia gli Stati Uniti che gli  altri paesi più sviluppati ed ormai anche il mondo intero, piaccia o no, sono tutti collegati.  

Come disse un poeta, saggista e religioso inglese, John Donne*, qualche tempo fa (nel1624) durante un sermone: "Nessun uomo è un'isola, intero in se stesso. Ogni uomo è un pezzo del continente, una parte della terra. Se una zolla viene portata via dall'onda del mare, la terra ne è diminuita, come se un promontorio fosse stato al suo posto, o una magione amica o la tua stessa casa. Ogni morte d'uomo mi diminuisce, perché io partecipo all'umanità. E così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana: essa suona per te."


John Donne

Le guerre, ironia della sorte, hanno avuto l’esito di riunire le persone e, da quando gli Stati Uniti sono diventati più potenti, abbiamo inviato i nostri militari con le loro famiglie in tutto il mondo. Ricordo che fu sorprendente scoprire che molte di queste persone che abbiamo incontrato e che vivevano in questi paesi stranieri, molto diversi da noi, sapessero molte cose sugli americani e sull'America, sia guardando i nostri film sia interessandosi agli eventi sportivi americani.

Un mio conoscente, Pete Remmert, che ha vissuto a Tripoli dal 1958-1962, mi ha raccontato una storia affascinante sul suo incontro e sulla sua amicizia con un ragazzo libico, mentre con la sua famiglia viveva in una bella zona vicino alla spiaggia di Giorginpopoli, situata ad ovest a pochi chilometri del centro-città. È bello narrare una storia positiva sul Medio Oriente, specialmente in momenti tragici come questi. 

Una strada di Giorginpopoli

Ecco le sue parole:

"Nel 1958 avevo otto anni. All’inizio abitavo con la mia famiglia in una casa della Base Aerea (Wheelus),  poi siamo andati a vivere a Giorginpopoli. Qualche volta mi addentravo nelle strade del quartiere, dove trovavo sempre un gruppo di ragazzi libici, un po’ più grandi di me, che giocavano in una maniera un po’ turbolenta. Uno di questi, a cui non piaceva il comportamento un pò rude dei suoi compagni, mi tirò da parte e mi propose, in un inglese perfetto, un’offerta che non mi sentii di rifiutare. Mi disse che raccoglieva le figurine dei giocatori di baseball americano, quelle figurine rettangolari che si trovano nelle confezioni di gomma da masticare".

Per quelli che non sono abbastanza vecchi da ricordare, mi sono informata su quali erano i giocatori di baseball più conosciuti in quel periodo, che venivano ritratti su quelle figurine. Anche se io non sono mai stata una vera tifosa di baseball, ricordo ancora qualche loro nome. Per esempio, alcuni giocatori famosi come Don Drysdale (l’ho visto giocare nel Los Angeles Dodgers), Mickey Mantle (un grande del New York Yankees), Whitey Ford, John Roseboro e Carl Yastrzemski.

 

Le figurine dei giocatori americani di baseball

Anche se Pete non si ricordava il nome di quel ragazzo libico, ha così continuato:

"Credo che avesse qualche anno più di me, era di corporatura snella e molto magro. Vestiva nella maniera tradizionale libica: indossava vesti bianche e durante i mesi più freddi portava al collo una sciarpa multicolore. Di solito si copriva il capo con un cappuccio di colore marrone rossiccio ma in qualche occasione anche un fez*.


Un ragazzo arabo con il fez

Tra l’altro ero tanto stupito della sua padronanza della lingua inglese. La sua conoscenza dei giocatori di baseball americano di quel periodo era decisamente superiore a quella di un qualsiasi ragazzo americano che io conoscevo. Inoltre mi fece gustare dei deliziosi datteri appena raccolti dalle palme, che mangiammo avidamente come fossero state caramelle. Gli dissi poi che a proposito dei miei pacchetti di gomme da masticare, a me interessava solo la mastica, mentre lui poteva tenersi tutte le figurine dei giocatori di baseball. Da quel momento giurò che  sarebbe diventato la mia guardia del corpo personale. Beh! Un pomeriggio mantenne sua promessa. Un gruppo di ragazzi libici più grandi di me decisero che mi volevano picchiare; allora immediatamente il mio giovane amico si tolse il berretto, piegò il busto in avanti e, come un ariete, si scaraventò contro uno di quei ragazzi. Questi, intimoriti dalla quella reazione, scapparono via e da allora non mi diedero più alcun fastidio”.

Datteri

NOTE  da Wikipedia

*John Donne (Londra, 1572  Londra, 31 marzo 1631) è stato un poeta, religioso e saggista inglese, nonché avvocato e chierico della Chiesa d'Inghilterra. Scrisse sermoni e poemi di carattere religioso, traduzioni latine, epigrammi, elegie, canzoni, sonetti e satire. Può essere considerato come il rappresentante inglese del concettismo durante il Siglo de Oro.

La sua poetica fu nuova e vibrante per quanto riguarda il linguaggio e l'invettiva delle metafore, specie se paragonato ai suoi contemporanei. Lo stile di Donne è caratterizzato da sequenze iniziali ex abrupto e vari paradossi, dislocazioni e significati ironici. La sua frequente drammaticità e i discorsi da ritmi giornalieri, la sua tesa sintassi e la sua eloquenza di pensiero furono sia una struggente reazione nei confronti dell'uniformità convenzionale della poetica elisabettiana sia un adattamento in inglese delle tecniche barocche e manieriste europee.

Celebre il suo sermone Nessun uomo è un'isola (meditazione XVII) citato da Ernest Hemingway in epigrafe a Per chi suona la campana, e da cui trae ispirazione un omonimo libro di Thomas Merton.

John Donne nacque a Londra nel 1572 in una famiglia di credo cattolico romano. Le radici del prestigioso lignaggio da parte materna affondavano sia pur indirettamente a Tommaso Moro: la madre, Elizabeth, era infatti figlia di John Heywood, poeta inglese che aveva sposato una nipote del grande pensatore cattolico. Il padre, la cui famiglia era di origine gallese, era un ricco mercante londinese che morì quando Donne aveva soltanto quattro anni; presto la madre si risposò con John Syminges, che si prese cura della famiglia e dei figli.

Dopo aver studiato presso i gesuiti, a dodici anni John Donne entrò all'università di Oxford, che frequentò per tre anni passando poi a Cambridge, dove completò l'educazione senza però poter ottenere la laurea a causa dei principi religiosi che professava e che non gli permisero l'atto di fede protestante alla regina Elisabetta I. Nel 1593 il fratello Henry morì in carcere dove era stato rinchiuso per motivi religiosi, e l'episodio incrinò le convinzioni di Donne[1]. Tre anni dopo si associò alla corte del conte di Essex, e partecipò alle spedizioni del nobile inglese a Cadice e l'anno successivo alle Azzorre, impresa quest'ultima condotta alla ricerca di un tesoro spagnolo e a cui prese parte anche Walter Raleigh. Le due operazioni furono celebrate dal poeta nei versi di The Storm e The Calm.

Ritornato a Londra nel 1597, si impiegò come segretario del dignitario di corte Thomas Egerton con cui strinse amicizia e che servì fino al 1602, e durante il quinquennio probabilmente John Donne abiurò il cattolicesimo abbracciando il credo protestante[3]. L'esperienza si interruppe bruscamente a causa del suo matrimonio clandestino con la sedicenne Anne More, nipote di Egerton e figlia di un agiato possidente del Surrey e alto dignitario di corte, George More; evento che causò il licenziamento di Donne, la sua carcerazione temporanea e la fine delle sue prospettive di carriera[5]. Dopo essere stato per alcune settimane nella prigione di Fleet, per dieci anni fu costretto a vivere di elemosina e di aiuti per mantenere la famiglia che si andava ingrandendo. Si rifugiò a Pyrford, nel Surrey, sotto la protezione di un cugino della moglie; ricevette sussidi da Lady Magdalen Herbert e dalla contessa di Bedford. Furono anni duri per Donne, che si accostò al vescovo anglicano Thomas Morton (con il quale scrisse alcuni pamphlet) e che solo nel 1609 si riappacificò con il suocero]. L'anno dopo rese pubblica la sconfessione della sua fede con la diffusione di un libello anticattolico, guadagnandosi le simpatie del sovrano Giacomo I[5]. Nel frattempo cominciarono i disturbi dovuti a una nevralgia di origine reumatica che si acuì col passare del tempo. Infine Giacomo I riconobbe le doti di Donne, la preparazione culturale e le sue capacità oratorie, e per questo lo spronò a intraprendere la carriera ecclesiastica; Donne prese gli ordini all'inizio del 1615 e venne ben presto scelto a ricoprire la carica di cappellano di corte[6].

Anne More morì a 33 anni nel 1617 nel dare alla luce il dodicesimo figlio. Nel 1621 Donne ricevette la nomina a decano della cattedrale di Saint Paul, raggiungendo una posizione di grande prestigio che, nonostante le sue ambizioni, gli era stata preclusa come membro di corte – attraverso imprese eroiche o incarichi pubblici – e che poté conseguire invece come uomo di Chiesa. La sua salute si aggravò seriamente, compromessa per aver contratto il tifo, e il momento delicato lo portò a considerare con gravità le fragilità del fisico e la prospettiva della morte, soggetto che Donne, ormai irrimediabilmente rovinato dall'insorgere di un cancro allo stomaco, riprese in quello che viene ritenuto il suo sermone funebre, Death Duell, composto nel 1631. Gli ultimi momenti lo videro autoritrarsi in un sudario, e dal disegno fu ricavata da parte di Nicholas Stone una scultura marmorea, che restò indenne nell'incendio di Londra che distrusse la città nel 1666 e che è conservata nella cattedrale di St. Paul[3].

John Donne morì a Londra il 31 marzo del 1631; fu sepolto nella vecchia cattedrale di Saint Paul, dove è stata eretta una statua in suo onore portante un'epigrafe in latino, probabilmente composta dallo stesso Donne poco prima di morire. Il monumento rimase integro anche dopo l'incendio del 1666 e venne spostato nella cattedrale di San Paolo, gestita da Donne quando era in vita.

 

NOTE

*Il fez è un copricapo maschile di lana, spesso rosso, che prende il nome dalla città di Fez (o Fès, Fas), in Marocco, da cui sembra che sia originario, anche se la sua maggiore diffusione si è avuta in Oriente, in particolar modo nella Turchia degli Ottomani.

In Nordafrica viene invece chiamato ṭarbūsh (dal persiano sarpūsh) o shashia (i)stanbuli.

Benché il fez venga spesso confuso con la shashia, i due copricapi sono alquanto differenti: il fez è rigido, conico e di forma sollevata, mentre la shashia è morbida e la sua forma aderisce alla sommità della testa, alla maniera di una berretta a calotta.

 

  

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