L'ARRIVO A TRIPOLI – 1955
Victoria
Giraud
20
Ottobre 2013
Traduzione
dell'articolo EXPLORING THE SHORES OF TRIPOLI tratto dal sito
http://www.victoria4edit.com/ articolo tratto dal libro "AN ARMY BRAT IN LIBYA" di Victoria Giraud
Dopo
circa 24 ore di viaggio aereo dalla Base Aerea Maguire in New Jersey a
quella
del Wheelus a Tripoli, in Libia, io e la mia famiglia alloggiammo la
nostra
prima notte all'Hotel Mehari, che si affacciava sul Porto di
Tripoli. Il
viaggio
mi era sembrato molto lungo anche perché l’unico posto su cui ognuno di
noi
poteva riposare era il proprio sedile, su di un aereo piuttosto
rumoroso che
probabilmente avrebbe avuto bisogno di qualche riparazione meccanica.
Comunque all’idea
di trovarmi a breve in un posto soleggiato e la prospettiva d esplorare
nuovi luoghi
sconosciuti mi sentii rinfrancata.
L’Hotel
Mehari
Facemmo
colazione nella sala ristorazione dell'hotel. Una grande sala ovale,
fronte
porto, che ci offriva una bella vista del mare con navi e barche a vela
ormeggiate al molo. Poi, con mia sorella, scoprii un tunnel
sotterraneo, che
attraversava la strada tra l’hotel ed il porto e che portava al
ristorante
dell’hotel. Questo tunnel, tutto illuminato e rivestito da pareti
bianche, era adornato
da quadri e da un acquario pieno di pesci vivacemente colorati. Forse a
causa
della mia giovane età (tredici anni), ricordo che rimasi più attratta
dalla
bellezza dei giovani camerieri italiani del ristorante che
della vista del tunnel.
Il
giorno dopo, mio padre, svegliatosi di buon umore, annunciò che avrebbe voluto
portarci tutti a fare un
giro su di un gharry (una parola
indiana per carrozza) per andare a visitare la nostra nuova
casa. La gharry a Tripoli
era una carrozza aperta
trainata da un cavallo con quattro ruote di grandi dimensioni. Non mi
sono mai
chiesta come mai venisse usata una parola indiana gharry
in un paese arabo, che per tanti era stato colonizzato da
italiani.
Le
carrozze a Tripoli
Un
conducente libico, che calzava dei sandali, si trovava sul viale
dell'hotel accanto
al suo gharry. Egli era
vestito
semplicemente con dei larghi pantaloni bianchi, una camicia, una maglia
nera e
un cappello di cotone aderente di colore bordeaux con un bottone di
stoffa nel
mezzo, simile ad un berretto. Il gharry di
color nero, era attaccato a un cavallo marrone che lasciava trasparire
tuttala
sua magrezza. Anche se il conducente aveva una conoscenza
limitata della
lingua inglese, egli aveva già intuito che desideravamo fare un tour
della
città, sia della nuova che della vecchia.
Appena
saliti ed accomodati uno di fronte all’altro sui sedili posteriori
della
carrozza ci trovammo come d’incanto a passeggiare su quel viale che
costeggiava
il mare e che gli italiani chiamavano col quel bel suono musicale di Lungomare.
Il
Lungomare
Mentre
il sole si rifletteva sull’acqua color blu-marino del porto ed una
leggera
brezza soffiava tra le fronde delle palme di datteri che
fiancheggiavano la
strada, attraversammo una parte della città nuova, per dirigerci verso
il
Castello (una antica fortezza una volta dimora di pirati-barbari), che
si
trovava all'estremità ovest del porto.
Il
Castello (clicca
sulla foto per vedere un video di Jeffrey Corbin)
Nella
città nuova predominavano edifici dall’aspetto moderno, quasi tutti di
di color
bianco e dal tetto a terrazza. Qua e là c’erano anche delle Moschee e
dei
Minareti costruiti con stile moresco.
Dopo
poco siamo passati poi vicino la Cattedrale italiana, un grande
edificio di
granito, impreziosito da alta cupola e dal maestoso campanile
adiacente. Sembrava
un monumento trasportato direttamente dall’Italia. Gli italiani, che
avevano
colonizzato la Libia dal 1911, hanno influito molto nella storia
recente di questo Paese. Essi governarono il paese fino alla
seconda guerra
mondiale, poi
nel 1951 le Nazioni Unite concessero l'indipendenza alla Libia.
La
Cattedrale
La
carrozza ci portò poi alla statua della Fontana della Gazzella,
situata in una rotonda circondata
da
alte palme di datteri proprio sul viale del Lungomare. La fontana
conteneva la
statua di una donna nuda seduta mentre, con la mano destra, accarezzava
il
collo di una gazzella, un animale che assomiglia ad un piccolo cervo
cornuto.
La
Fontana della Gazzella - Una gazzella vera
A
breve distanza fummo tutti colpiti dalla vista di un edificio bianco
circondato da palme. Simile a un palazzo principesco, di forma
rettangolare, ad
ogni angolo aveva una torre leggermente più alta dell’edificio, mentre
nel
centro del grazioso edificio, dove era sistemato l’ingresso che
accoglieva gli
ospiti dell’hotel, c’era una torre ancora più alta, con cimase che
adornavano
ognuno dei suoi angoli. Tutte le sue numerose finestre terminavano ad
arco
tondo o ogivale. Controllando la sua guida, mio padre si rese subito
conto che quello era il Grand Hotel, troppo
costoso per le nostre
tasche.
Il
Grand Hotel
Non
credo che fosse stato troppo caro per le tasche del Vice-Presidente
degli Stati Uniti di allora, Richard Nixon, che aveva alloggiato
proprio lì durante
un suo viaggio di lavoro per conto del Presidente Eisenhower, o per gli
attori
Sophia Loren e John Wayne, che, qualche anno dopo(1957), ebbero modo di
soggiornare in questo stesso hotel mentre giravano da protagonisti
un film nel deserto libico, dal titolo “Legend of the Lost,” (che in
Italia
uscì col titolo “Timbuctù”)
Una
locandina del film “Legend of the Lost”, in italiano fu titolato
“Timbuctù”
Arrivati
ai bordi della città vecchia, scendiamo dalla carrozza ed entriamo nel
Castello. Questi conteneva tante sale che esponevano un grosso
assortimento di antichi
cimeli dei corsari nonché manufatti dalla storia libica. Le pareti più
alte
della struttura erano di pietra dalla forma strana, per lo più
rettangolare, proiettata
verso l’esterno. Nella parte superiore c’erano parecchie grandi
aperture a
forma di archi. Sul lato porto c’erano dei cannoni in mezzo a questi
archi, gli
stessi cannoni che avevano sparato contro US Marines nel 1801.
I
corsari riuscirono ad affondare numerose navi. Le cinque vittime degli
US
Marine sono stati sepolti in un cimitero locale e ricordati dagli
americani
ogni 4 di luglio (fino a che tutto il personale americano servizio
dovette
lasciare la Libia nel 1970). Vedi
nota
*01
Tripoli
è anche famosa per l'Inno
dei Marines,
il quale contiene
un riferimento a questo conflitto nel verso:
"Dai palazzi di Montezuma alle
coste di Tripoli..."
Vedi
nota *02
Risaliti
in carrozza, siamo passati attraverso un’arcata ci ha portati dalla
città nuova
alla città vecchia. Qui le strade erano strette e gli edifici
fatiscenti e
vecchi. Sia le case. che sembravano piccole
così come i negozi, non erano imbiancate e pulite come nella città
nuova. E le
strade erano affollate. C’erano tante persone: donne e uomini donne
arabi
occupati a svolgere il loro lavoro. Molti degli uomini erano vestiti
come il
nostro conducente, mentre
altri erano vestiti
in modo più tradizionale. Oltre ai sandali, ad una camicia, e a
pantaloni molto
larghi, indossavano una panno leggero avvolto intorno alla testa e
sopra esso
una larga pezza di stoffa colore marrone o bianco, chiamato
barracano,
che
copriva la testa, le spalle e terminava sotto le ginocchia. Si dice, ma
è tutto
da verificare, che i loro pantaloni siano stati disegnati in quel modo,
cioè
larghi e con il cavallo allungato quasi fino alle ginocchia, per
catturare il
profeta Maometto, che, una volta resuscitato, potesse rinascere come un
uomo.
Le donne, minuziosamente coperte da una veste bianca simile a quella
degli
uomini, dalla testa ai piedi, avevano scoperto solo l'occhio destro e
camminavano
con dei sandali ma senza calze.
Donna
araba col solo occhio destro scoperto
Il
nostro viaggio in carrozza è proseguito lungo il viale del porto, così
abbiamo potuto vedere pescatori, che seduti lungo il bagnasciuga,
riparavano le
reti da pesca, mentre altri erano intenti a raccoglierle nelle loro
piccole
barche da pesca.
Barche
da pesca (clicca
sulla foto per vedere un video di Dana Davenport)
Nell’aria
si respirava un forte odore di sale marino e di pesce morto. Presumo
che alcuni di questi stessi pescatori si siano dati da fare a
raccogliere il
nugolo di cavallette che invasero Tripoli l’anno dopo. Pare che i
libici
considerassero queste cavallette un’ottima prelibatezza da gusta re,
tanto che
dopo averle raccolte e messe in dei sacchetti le portavano a casa loro
per
arrostirle sul fuoco.
NOTE
*01
da Wikipedia
La prima guerra barbaresca
La prima
guerra barbaresca del 1802,
in inglese nota come Barbary War, fu la prima guerra
combattuta dagli Stati Uniti d'America al
di fuori dal territorio americano. Le guerre barbaresche furono
combattute tra
Stati Uniti e le potenze costiere del Nord-Africa:
il Sultanato del Marocco e
le reggenze di Algeri, Tripoli e Tunisi.
Le
reggenze di
Algeri, Tripoli e Tunisi avevano acquisito il ruolo di vere e proprie
entità
statali autonome a partire dal XVII
secolo.
Pur appartenendo
formalmente all'Impero
Ottomano,
queste città
godevano di un'indipendenza di fatto. Allo stesso tempo dovevano
provvedere in
modo indipendente alle loro esigenze economiche che soddisfacevano con
l'attività di guerra
di corsa.
Fino a quando le colonie americane facevano parte dei
territori inglesi di oltremare, tutte le navi mercantili provenienti dal Nord
America venivano
protette dalla Royal Navy,
che negli anni era giunta con i corsari a un precario accordo di pace.
Con
la dichiarazione
di indipendenza degli Stati Uniti d'America però,
a partire dal 1783 le
navi mercantili americane non godevano più di alcuna
protezione da parte della Royal Navy, e il neo-fondato Stato doveva
quindi
proteggere in modo indipendente i propri interessi nell'area del Mediterraneo.
Per scongiurare il pericolo di attacchi da parte dei
corsari il governo statunitense decise di pagare un tributo ai vari pascià,
affinché questi consentissero il passaggio delle navi
mercantili per quelle acque senza che queste venissero attaccate. Il
Congresso
approvò quindi nel 1784 un
budget annuo da mettere a disposizione per finanziare
i tributi e istruì i rispettivi ambasciatori in Francia e
in Inghilterra (Thomas
Jefferson e John
Adams),
affinché questi
raggiungessero un accordo con gli ambasciatori del pascià di Tripoli a Londra.
Nel 1786 Jefferson
e Adams incontrarono a Londra l'ambasciatore
del pascià di Tripoli Sidi
Hajji Abd
al-Rahman,
anche noto come Sidi Hajji ʿAbd
al-Rahman Adja, ma non furono in
grado di stipulare un accordo a causa della somma di denaro
eccessivamente
elevata richiesta dall'emissario del pascià. Jefferson riferì
dell'incontro
all'allora segretario
di stato John
Jay che
riportò a sua volta i termini dell'incontro al Congresso.
Benché Jefferson avesse sconsigliato di pagare il
tributo richiesto dal pascià, il Congresso decise in definitiva di
acconsentire
al pagamento pur di preservare gli interessi economici nell'area
mediterranea,
pagando un tributo annuo che si aggirava intorno al milione di dollari;
tributo che venne pagato fino all'anno 1800.
Con
la nomina a presidente degli Stati Uniti di Thomas Jefferson nel 1801 il
pascià di Tripoli richiese alla nuova
amministrazione il pagamento di ulteriori 225.000 dollari, affinché gli
accordi
presi in passato rimanessero validi. Jefferson si rifiutò di pagare il
tributo
e il pascià fece in risposta abbattere l'asta della bandiera di fronte
al
consolato americano di Tripoli (atto che si ripeté poi in Marocco, ad
Algeri e
Tunisi). Questo atto, che equivaleva a una vera e propria dichiarazione
di
guerra, fu quindi quello che segnò l'inizio del conflitto.
In
risposta, Jefferson inviò un gruppo di fregate per
difendere i mercantili americani e gli interessi statunitensi in
questi territori, ordinando ai rispettivi capitani di attaccare tutti i
battelli ostili in queste acque. Il pascià, che sapeva di non poter
competere in
mare aperto con la potenza di fuoco delle imbarcazioni statunitensi,
evitò
quindi di fatto ogni genere di scontro. Allo stesso tempo però la
questione
risultava irrisolta e l'anno seguente Jefferson ordinò l'invio di
ulteriori
sette navi per preparare un blocco navale della città di Tripoli. Fu
quindi
disposta una squadra, composta tra l'altro dalle seguenti
unità: USS Argus, USS Chesapeake, USS Constellation, USS Constitution, USS Enterprise, USS Intrepid, USS Philadelphia e USS Syren.
Le navi raggiunsero le coste del Nordafrica nel
corso del 1802.
Nell'ottobre
del 1803 la
nave USS Philadelphia si
arenò durante un pattugliamento
sotto costa e i corsari non
si fecero sfuggire l'occasione. Assaltarono la nave
dando luogo a un violento scontro a fuoco con l'equipaggio della Philadelphia.
Nonostante la resistenza opposta dall'equipaggio del Philadelphia,
i corsari riuscirono a impadronirsi dell'imbarcazione dopo diversi
tentativi
dei marinai di affondare l'imbarcazione prima che potesse cadere in
mano
nemica
La
Philadelphia in fiamme
Circa
trecento membri
dell'equipaggio, tra i quali c'era anche il comandante William
Bainbridge,
vennero fatti prigionieri. Ai corsari riuscì infine di portare
l'imbarcazione
fino all'entrata del porto di Tripoli, dove fu ancorata e usata come batteria
costiera contro
un eventuale tentativo degli americani di
assaltare il porto. La notte del 16 febbraio 1804 però
il capitano Stephen Decatur Jr. decise di attaccare
il porto di Tripoli con l'ausilio della USS Intrepid, un'imbarcazione di modeste
dimensioni sottratta in precedenza ai corsari e successivamente rimessa
in
servizio con la marina
statunitense.
Assieme
a un piccolo
gruppo del primo reggimento dei Marines,
Decatur riuscì a prendere il controllo dell'USS Philadelphia,
che venne immediatamente autoaffondata, permettendo ai marines di
attaccare la
città di Tripoli.[1] Il
14
giugno 1804 nell'intento
di affondare l'intera flotta del pascià
ancorata nel porto di Tripoli il comandante dell'USS Intrepid,
capitano Richard Somers tentò di condurre la propria imbarcazione
riempita di
esplosivo all'interno del porto per farla esplodere. La nave fu
tuttavia
colpita prima di raggiungere il porto ed esplose uccidendo Somers e
tutto il
suo equipaggio. Alla fine la situazione volse a favore degli
statunitensi nel
maggio del 1805 con
la presa, via terra, della città di Derna.
Indeboliti
dal blocco
navale e dai continui raid della marina americana, dopo aver subito la
perdita
della città di Derna il pascià Yusuf
Karamanli accettò
di cessare le ostilità firmando un trattato di
pace il 10 giugno 1805.
L'anno seguente (1806)
anche il senato
americano accettò
la pace con la reggenza di Tripoli ponendo di
fatto fine al conflitto.
*02 da Wikipedia
L'Inno dei Marines
From the Halls of Montezuma,
To the shores of Tripoli;
We fight our country's battles
In the air, on land, and sea;
First to fight for right and freedom
And to keep our honor clean;
We are proud to claim the title
Of United States Marine.
Our flag's unfurled to every breeze
From dawn to setting sun;
We have fought in every clime and place
Where we could take a gun;
In the snow of far-off Northern lands
And in sunny tropic scenes;
You will find us always on the job
The United States Marines.
Here's health to you and to our Corps
Which we are proud to serve;
In many a strife we've fought for life
And never lost our nerve;
If the Army and the Navy
Ever look on Heaven's scenes;
They will find the streets are guarded
By
United States Marines.
Traduzione
Dalle
sale di Montezuma
Alle spiagge di Tripoli
Combattiam le patrie guerre
In terra, mare e ciel
All'agon del giusto e libero
Per tener netto l'onor
Fieri siam di vantar titolo
di Marines degli Stati Uniti
Ad
ogni
vento qual bandiera
Dall'alba a quando cala il sol
Combattemmo in ogni clima e suol
Dove armi potem tener
Nelle nivee terre al Polo Nord
Come al tropico avvampar
Sempre troverai al lor compito
i Marines degli Stati Uniti
Salve
a
te ed al nostro Corpo
Che ci onoriam servir
Arrischiammo ognor la vita
E giammai il cor tremò
Se Esercito o Marina
Guardassero affreschi del paradiso
Troveranno le strade vigilate
dai
Marines degli Stati Uniti
Clicca
QUI
per ascoltare l'Inno
dei Marines
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