La stanza di Giovanni Martelli

Giovanni Martelli

Uadi e ... Tsunami   ... "ai bagni Sulfurei"...

di   Giovanni Martelli

 

Il simpatico e bel ricordo di Ivana Borghi nel precedente numero de l’oasi sull’indimenticabile spiaggia dei “Bagni Sulfurei”, così chiamata per le sorgenti sotterranee cariche di zolfo, e sulle bizze dell’Uadi Megenin, mi ha fatto tornare alla mente un episodio, accaduto più o meno nello stesso periodo citato da Ivana, che coinvolse “tragicamente”  la nostra bella cabina in legno, costruita da mio padre  proprio sul letto del torrente.

Se non ricordo male, mio padre aveva, negli anni precedenti, effettuato alcuni spostamenti “tattici” della cabina proprio per evitare la piena del fiume. Ma non si rivelò un buon stratega.

La spiaggia dei “Sulfurei“ aveva una fila di moderne e belle cabine in muratura con veranda fronte mare, mentre, sul retro  di queste, oltre ad un’altra fila, sempre in muratura, erano state collocate numerose cabine di legno. Credo che mio padre non avesse trovato posto in quella zona o forse avesse ritenuto che la sua cabina avrebbe resistito alla furia delle acque dell’Uadi le cui piene avvenivano, in realtà, a distanza di anni  e solo a seguito di abbondanti piogge peraltro non così frequenti. In questo caso oltre che di strategia, peccò di troppo ottimismo.

Purtroppo quell’anno le piogge caddero copiose creando un’imprevista ed abbondante piena del fiume che ingrossandosi a dismisura, prima di giungere alla conclusione della sua corsa, trascinò con sé  tutte  le cabine che ostacolavano il suo naturale deflusso verso il mare. Oltre alle cabine, il fiume portò con sé tutto ciò che aveva trovato sul suo tragitto: piante, animali, etc.

L’accanimento dell’Uadi nei confronti delle cabine fu veramente tragico: il giorno dopo non una cabina aveva resistito alla furia dell’acqua e naturalmente anche la nostra.

Ricordo che quando papà (oggi 94enne con qualche acciacco ma in grado di guidare ancora l’auto) raccontò il fatto in famiglia, anche se già “grandino” ebbi un attimo di commozione, pensando che non avremmo più potuto disporre della nostra bella casetta di legno, che oltre all’uso precipuo per la quale era stata costruita ovvero quello di “spogliatoio”, veniva adoperata per cenette familiari e incontri con amici specialmente di sera, alla calda luce gialla  dei mitici lumi a petrolio. Non dimenticherò mai gli “arrosti” che la mamma (deceduta purtroppo all’inizio di quest’anno a quasi 94 anni) era solita preparare.      

Ricorderete infatti  che fu possibile per alcuni anni frequentare la spiaggia anche di sera, avendo così la possibilità di fare indimenticabili bagni notturni in mare ove poteva accadere che, a causa del buio, non ci si riconoscesse a distanza di pochissimi metri.

Lo sconforto si tramutò tuttavia ben presto in speranza, perché papà mi disse che il giorno dopo ci saremmo recati ai “Sulfurei” in quanto gli era pervenuta notizia che, sul vasto delta di sabbia rossastra tipo creta trasportata dal fiume, che si estendeva per alcune decine di metri oltre la sabbia chiara dello stabilimento,  erano stati avvistati relitti di barche e di cabine.

A questo punto si rende necessario un inciso in merito alla sabbia rossastra portata dall’Uadi: molti ricorderanno quando, ragazzi, giocavamo a confezionare palle di creta che ricoprivamo di fine sabbia bianca. Esse costituivano i proiettili delle battaglie che nascevano spontaneamente  tra squadre sul momento costituite. Ricordo che se raggiungevano il bersaglio a distanza ravvicinata lasciavano appunto … il ricordo.

Il tragitto in macchina mi sembrò lunghissimo ma, in realtà, da dove abitavo, in “Sciara Bagdad” nei pressi della Cattedrale, la distanza  era di soli pochi chilometri. Appena arrivati, mi precipitai di corsa in spiaggia seguito da mio padre che, con passo deciso, si diresse verso quello che sembrava fosse un basamento di cabina e che emergeva dalla sabbia all’altezza del  bar/ristorante di Cardellicchio, esattamente di fronte alla bellissima rotonda.

 In quel ristorante, alcuni anni dopo, con il compagno di scuola Adolfo Angeloni che visse per molti anni con la sua famiglia nella ex Scuola dei Fratelli di Sciara Espagnol, avrei gustato uno degli ultimi pranzi tripolini prima di lasciare definitivamente la Libia.

Mio padre, aiutato da un suo operaio, iniziò ad estrarre dalla sabbia il basamento della cabina, raccolse quindi altre parti di legno che, in più viaggi, caricò sul camioncino con il quale ci aveva condotti. A dir la verità non ero così sicuro si trattasse dei pezzi della nostra cabina, ma mi guardai bene dal proferir parola. Del resto i “relitti” abbandonati in mare sono …  di proprietà di chi li recupera.

Trascorsi alcuni giorni, papà ci comunicò che la nostra cabina era stata ricostruita e collocata, naturalmente non più sul letto dell’Uadi, ma sul retro delle cabine in muratura. Quando finalmente la rividi,  tirai un sospiro di sollievo e la gioia mi pervase pensando che le nostre estati sarebbero trascorse come prima, anche se dopo pochi anni non andò proprio così e la “colpa”  non fu più dell’Uadi …

Rammentando le estati passate ai “ Sulfurei”, mi sovviene il ricordo delle belle giornate che si trascorrevano in compagnia di tanti amici cantando  accompagnati dalle chitarre, protetti dall’ombrellone (talvolta si era anche in 15 sotto la stessa ombra). Per Ferragosto i festeggiamenti prevedevano un enorme consumo di angurie le cui bucce servivano poi per vere battaglie con lanci che inzaccheravano i malcapitati colpiti.Sono trascorsi molti anni da quei fatti: nelle spiagge del nostro bel Paese non ritrovo fra i giovani d’oggi quell’allegria che ci accomunava e che, oltre al piacere di stare insieme ci faceva cantare, ballare, ridere e scherzare. Ad una certa ora, sul calar del sole, quando la spiaggia si spopolava, iniziavano combattutissime partite di pallone nello sterminato campo a disposizione … Ma il tempo cambia le cose e le persone (in meglio?).

Per concludere queste mie pillole di  ricordi presentate un po’ alla buona,  cito  un ultimo evento che fino a poco tempo fa non avevo la certezza fosse realmente avvenuto ma pensavo si trattasse solo di un ricordo scaturito da qualche sogno. Invece l’evento, recentemente, mi è stato confermato da altri Tripolini.

Anche a Tripoli abbiamo avuto un piccolo “tsunami” che  ritengo avvenne negli anni 60. Mi trovavo una mattina d’estate  ai “Sulfurei” con degli amici,  quando i bagnini ci avvisarono di non entrare in acqua anzi di retrocedere almeno di una cinquantina di metri dalla battigia. Nel frattempo si precipitarono a far rientrare le barche che stavano al largo. Ci informarono che il mare si sarebbe ritirato per poi ritornare con forza ed allagare la spiaggia. Era  quindi opportuno allontanarsi al più presto dalla riva. Ci dirigemmo velocemente verso le cabine in muratura che si trovavano ad oltre un metro di altezza rispetto al livello della spiaggia ed attendemmo con trepidazione  il verificarsi dell’evento.

Dopo poco l’acqua del mare cominciò, infatti,  a ritirarsi lentamente ed iniziammo a veder affiorare le rocce  con il famoso “scoglietto”. Quella barriera rocciosa  costituiva la prima  meta per chi non era esperto nuotatore perché, con l’aiuto di pinne e di qualche bracciata, si raggiungeva velocemente dalla riva.

Vedemmo anche alcuni pesci che saltellavano su quel tratto di mare che era diventato spiaggia. Se non ricordo male, tuttavia, lo tsunami (probabilmente causato da un piccolo maremoto avvenuto chissà a quante miglia di distanza ) non durò molto ed il mare ritornò, ribollendo, a ricoprire tutto ed arrivò quasi in prossimità del muro delle cabine. Non ci furono fortunatamente né morti né feriti a parte forse qualche pesce che non aveva fatto in tempo a riacquistare il suo alveo naturale.

Ripensando a quel piccolo tsunami mi viene oggi  da notare che fummo subito tutti avvisati di ciò che sarebbe accaduto e parliamo di oltre quarant’anni fa quando non esistevano certo le tecnologie di oggi. Come mai lo tsunami avvenuto nel 2004 nel Sud Est asiatico, anche tenendo conto delle dovute proporzioni, non è stato comunicato in tempo da chi ne aveva la responsabilità?

Forse, alle volte, il buon senso, l’esperienza ed il “fiuto” contano  più di tante tecnologie.

 

Giovanni Martelli