LA STANZA DI ROBERTO NUNES VAIS

Roberto Nunes Vais

reminescenze tripoline
di
roberto Nunes Vais

ANNI ZERO:

LA LIBIA PRIMA DELL'OCCUPAZIONE ITALIANA

 

CAPITOLO II - Paragrafo 4

Collegamenti  con l'Italia  -  Accertamenti   sanitari -  La  vita nella cittadina  -  Alcuni  negozi  e ritrovi pubblici  -  La  libera uscita dei militari  -  Piccoli  traffici  in Sciara Azizia.

 

Abbiamo  visto nella puntata  precedente  come Tripoli  era venuta estendendosi fisicamente  negli anni dal 1911 al 1920. La città era ormai collegata con l'Italia  per mezzo di un servizio marittimo  regolare  Tripoli-Malta-Siracusa.    Ricordo  ancora  i vecchi piroscafi  gemelli che facevano  la spola,  il «Melfi» ed il «Tebe»,  portando  in Libia vettovaglie,  merci e macchinari:  ma il carico p importante  era costituito  da tanti italiani pieni di entusiasmo,  fra i quali quanti  di voi che mi leggete, o dei vostri genitori, tutti  in cerca di un po'  di spazio e di un po'  di avvenire.

In quei tempi il piroscafo  era chiamato  «il Postale»  e giungeva puntualmente una volta alla settimana,  verso le dieci di mattina;  era un avvenimento  per la città: nell'istante  in cui la nave entrava  in porto,  da terra veniva sparato  un colpo di can none:  e fu così per anni. ..

Il piroscafo   si  fermava  in  rada,   issando  sull'albero   di  prora   la bandierina triangolare  bianco rosso e verde, con una "P" al centro (segnale distintivo appunto del "Postale"), e la bandiera gialla della "quarantena" in attesa che, dalla sua scialuppa, salisse sulla nave l'ufficiale medico, per accertarsi che non ci fossero a bordo infermi di malattie infettive.  Solo dopo questo necessario accertamento  sanitario  la gialla bandiera  veniva ammainata,  la nave accostava ed i passeggeri potevano  scen dere a terra. Talvolta  essendo le banchine occupate  da altri piroscafi,  il postale  si fermava  in rada e si scendeva a terra  per mezzo di grossi motoscafi.

Come si viveva a Tripoli in quel periodo?  La prima guerra  mondiale  aveva la sciato poco tempo e poche forze per altri progetti;  ciò nonostante  la vita aveva preso a pulsare in modo diverso, e la linfa vitale dei nuovi immigrati a trasfondersi  in tutti i campi. Negozi di una certa importanza  avevano incominciato  ad apparire  in Sciara Azizia,  alcune  industrie  erano  sorte  dal  nulla,  parecchi  ritrovi  pubblici  avevano aperto i battenti.

Ricordo  che i miei genitori andavano  spesso a fare acquisti di stoffe e biancheria ai «Grandi  Negozi Mele»,  di fronte  al vecchio Municipio. Vicino al Mele c'era una botteguccia  dominata  da un omaccione che sembrava uscito dal libro di Pinocchio: barba  ispida,  capelli sempre arruffati,   una voce bassa e roca,  perpetuamente scamiciato.   Avete  indovinato?   Cesare Filacchioni,   con  la  sua  «agenzia  giornalistica» come pomposamente amava chiamarla,  giornali e riviste esposti su un grande tavolaccio:  altro che brigante,  era una pasta d'uomo,  affabile e simpatico,  una delle istituzioni della vecchia Tripoli! All'angolo  dello stesso isolato c'era il vecchio Caffé Commercio,  col fronte  assai arretrato  sulla strada e, nel terrapieno antistante,  tanti tavolini  e sedie in ferro,  sempre affollati  di commercianti, di sensali, di operai,  di imbianchini  pronti  con i loro attrezzi  del mestiere. All'angolo   opposto  invece troneggiava dall'alto  di alcuni scalini il Caffé Copelli, che per molti anni doveva rimanere il ritrovo  elegante della città nuova.  Chi non ricorda  Giacomino,  quel simpatico cameriere  paffutello,   svelto di gambe  e di braccia,  sempre sorridente  e con la battuta  sempre pronta?  Lo chiamavano  «Se la va, la va» perchè,  alla richiesta  del conto  sballava  una  cifra  spropositata   -    salvo ridimensionarla,   se il cliente protestava,  mormorando   «Non l'è andà» ...

Sullo stesso marciapiedi  del Copelli,  proprio  di lato  al Castello,  era sorto un grande  locale per trattenimenti,   il Suvini e Zerboni:  una grande struttura in ferro e vetro,  preconizzante  lo stile «Liberty». Era il salone delle feste e degli avvenimenti importanti  della città.  Di fronte  a questo salone, altri due notevoli richiami:  lo studio fotografico  dei Fratelli La Barbera,  che esponeva sempre le fotografie  degli ultimi avvenimenti cittadini,  e l'emporio De Poli con le sue grandi vetrine, in una delle quali per anni fece bella mostra  di sé un poderoso  cavallo perfettamente  imbalsato, ferrato  e sellato di tutto  punto.

Dal Caffé Copelli e Commercio,  fino al quella che sarà poi Piazza Cattedrale, c'erano  sui due lati della strada  due basse e discontinue  file di archi,  con negozi etti di tutti  i generi.  Ricordo  ancora, sotto  i portici  del vecchio Municipio  il rinomato salone  da barbiere  di Carcillo e proprio vicino la cappelleria  dei Fratelli  Angelotti, orgogliosi  e gelosi dei loro «Borsalino»:   dovevano  loro  stessi metterli  in testa  al cliente,  aggiustarli a modo  loro,  toglierli:  guai a chi li toccava!. .. 

Più in g la ben fornita  cartoleria  dei Fratelli Brangi,  il ricco negozio di «coloniali»  di Fantocci  e Beretta,  ai quali poi subentrerà  quel gran  lavoratore  di Paolino Viganò, brillantemente  coadiuvato  dalla efficientissima  sorella Pierina.  Sempre sullo stesso marciapiedi  l'elegante bazar  di profumi   ed articoli  orientali  del buon Haggea,  punto  di riferimento  di tutte le signore eleganti,  o «bene»,  come si direbbe oggi Di fronte,  verso la fine degli almi dieci, spunterà  un altro  famoso  caffé  della vecchia Tripoli:  il Sordi! Anche questo allineava,  sotto i piccoli archi, due file di tavoli e comode poltroncine  di vimini, ed un'altra   fila sui marciapiedi,  sempre pieni di gente.Tl  Sordi era famoso  per i suoi dolci, ma ancora  lo batteva  in questo campo la pasticceria  del «Genovese»:  un bel pezzo  d'uomo   grosso  e severo,  dallo  spiccato accento  «zeneze»,  che però  non  ce poteva  con  quei  furfanti  dei miei  fratelli  e compagni  di scorribande,  che inghiottivano  sei o otto paste per uno,  ed avevano  la faccia tosta  di pagarne  meno della metà ... Proprio  all'angolo  cori Sciara Hassuna  Pascià c'era  un locale tipico,  il "Cantinone":  piuttosto  buio, un lungo bancone per la mescita di vino, dietro ad esso delle enormi botti coline del dolcenettare:   fiaschi e bottiglie sparsi dappertutto.   Al banco il piccolo e cordiale proprietario,   quasi una botticella  anche lui, ed alla cassa la moglie: una bella signora,  florida  come una  campagnola  e sempre sorridente. Vicino alla piazza delle Poste c'erano  due negozietti di articoli musicali, una dei Bonaccorso  (il padre di Ignazio) e l'altro  dei Fratelli Tiné: spartiti musicali, chitarre, mandolini,  qualche «grammofono» a manovella, organetti:  gli strumenti alla buona di quei tempi.  Dal mio  ottimo  posto di osservazione,  sul lungo  balcone  al primo piano di Sciara Azizia, assistevo nelle ore del giorno al traffico  di persone e di cose: carri,  biciclette,qualche carovana,  asinelli,  carrozze.  Verso il tramonto   si riversavano per il Corso migliaia dì soldati in libera uscita, casco in testa e fucile a tracolla: andavano sempre armati  di tutto  punto  per il pericolo di improvvisi allarmi o colpi di mari o dei ribelli. Venivano  intercettati  da decine di venditori  ambulanti arabi  ed ebrei,  con-le loro bancarelle  mobili ai lati della strada,  colme di cianfrusaglie:  pettini, bottoni,  specchietti fazzoletti,  ecc. ecc., ed era un mercanteggiamento  continuo ed accanito.  I soldati avevano però capito il sistema: dopo un po'  offrivano  il loro prezzo,  face• vano finta di andarsene,  ma venivano immediatamente  richiamati  dal padrone  della bancarella:  "Bini,  bini,  amicu,  fai comi voi lei" ....

 



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