La stanza di Silvio Peluffo

Silvio Peluffo

Un incontro indimenticabile

di Silvio Peluffo

Sono tuttora grato al Generale Mohammed Zentuti perché fu lui a introdurmi a Corte per cine-fotografare tutte le manifestazioni alle quali il Sovrano avrebbe presenziato.

Alla vigilia di quello che per me sarebbe stato un grande avvenimento, il Generale Zentuti mi fece alcune raccomandazioni: non fare mai domande ma ovviamente rispondere se me le avessero fatte, massima riservatezza su tutto ciò che avrei visto e sentito prima, durante e dopo le manifestazioni.

Il primo incontro con Sua Maestà ebbe luogo a Misurata alla vigilia del suo primo viaggio da Re alla volta di Tripoli. Ero molto emozionato nonché imbarazzato, in quanto italiano, perché conoscevo bene la sua storia.

Nato a Giarabub nel 1890, Mohammed Idris El Mehdi Es-Senussi, era il Capo della Senussia: una Confraternita politico-religiosa molto potente che, in nome del risveglio religioso e dell’osservanza alla tradizione islamica, cercava di attuare un recupero dell’arabismo classico. Si oppose pertanto, anche per motivi religiosi, alla conquista italiana della Libia e soprattutto della Cirenaica i cui territori dell’interno gli furono assegnati nel 1917 con il patto di Akroma. In seguito alla ripresa del conflitto per la riconquista da parte italiana del territorio (1928-1930) fu costretto a riparare in Egitto rientrando soltanto alla fine della seconda guerra mondiale.

Mohammed Idris El Mehdi Es-Senussi

Avevo già potuto constatare, già dai primi giorni del suo Regno, che aveva dimenticato gli orrori della guerra ed il lungo esilio. Egli, capo di una setta religiosa molto ortodossa, aveva permesso che i non musulmani residenti continuassero a professare il loro credo, a lasciare aperte al culto Chiese e Sinagoghe e a tollerare la Processione del Corpus Domini che talvolta passava proprio davanti al Palazzo Reale. Anche l’attività delle Scuole dei Fratelli Cristiani non fu interrotta. Tutti hanno potuto continuare ed esercitare la propria professione ed i propri commerci.

Pensavo, però, che se mi avesse trattato con freddezza e distacco, non avrei certamente avuto motivo di meravigliarmi.

Ma i miei timori si rivelarono infondati poiché, quando iniziai a scattare le prime foto e i primi filmati, dimostrò subito di gradire e di apprezzare il mio lavoro. E non si infastidiva neanche quando, per esigenze tecniche, mi avvicinavo indugiando troppo con la cinepresa.

Quando non scattavo fotografie e non filmavo, senza farmi accorgere, l’osservavo con attenzione. Indossava sempre impeccabili costumi nazionali. Era un uomo dal portamento molto nobile e dall’aspetto sempre tranquillo. Conversava raramente con coloro che facevano parte del suo seguito e quando lo faceva, parlava sommessamente e a monosillabi. Non l’ho mai visto ridere né sorridere. Era sempre molto serio, ma sereno e mi dava l’impressione di essere un uomo che pensasse molto. Impressioni che non mutarono negli anni successivi.

Per quanto riguarda il suo atteggiamento nei miei confronti, trovandomi molto spesso vicino a lui, mi accorsi che qualche volta mi guardava direttamente senza mai dirmi una sola parola. Ebbi la sensazione che veramente gradisse non solo il mio lavoro ma anche il mio modo di comportarmi.

Non potrò mai dimenticare quanto accadde in occasione di un viaggio del Re da Tripoli alla volta di Tobruk per la consegna della bandiera di combattimento ad una unità corazzata dell’Esercito Libico. Alcuni chilometri dopo il villaggio che allora si chiamava Corradini, giunti all’altezza di una zona dunosa dove i nostri agricoltori avevano fatto crescere rigogliosi ulivi, fece fermare la macchina, scese da solo e, dando qualche preoccupazione alla scorta, si recò ai bordi della strada soffermandosi a guardare le piantagioni. Scesi anch’io per chiedergli se dovevo scattare delle fotografie, mi disse “là”, (no) e mentre stavo per allontanarmi fece un cenno con la mano in direzione degli ulivi e mi disse: “Queies” (buono).

...giunti all’altezza di una zona dunosa dove i nostri agricoltori avevano fatto crescere rigogliosi ulivi...

Quell’unica parola e per il modo con cui era stata pronunciata, ha avuto per me lo stesso effetto di un lungo discorso. Rivolta verso di me, chiaramente come italiano, mi fece capire che era una manifestazione di ammirazione nei confronti dell’opera dei nostri contadini.

Fu sempre in occasione di quel viaggio che, tramite uno dei suoi collaboratori, mi chiese di scattare alcune foto ufficiali; quella che figura in questo articolo fu scelta da Lui personalmente. Prima di lasciare Tobruk rimasi a dir poco sbalordito quando la stessa persona del suo seguito mi disse che Sua Maestà il Re aveva espresso desiderio di scattare nel Palazzo Reale di Tripoli delle fotografie alla Regina Fatma. Il giorno dopo il mio arrivo a Tripoli contattai la sua segretaria che era già al corrente del desiderio del Re.

La sera stessa del nostro colloquio telefonico, in uno dei saloni più belli del Palazzo Reale, incontrai la Regina Fatma che sorridendo mi disse di essere pronta per essere fotografata; il risultato è quello che appare in questo mio articolo.

 La Regina Fatma

Difficilmente potrò dimenticare Re Idris, questa figura severa ma serena, questa persona sempre seria ma non autoritaria, il portamento semplice ma regale.

Sono questi avvenimenti che hanno reso interessante e piacevole la mia professione:

Silvio Peluffo