La stanza di Francesco Prestopino

Francesco Prestopino

Versi sulla sabbia. La poetica coloniale italiana

a cura di   Francesco Prestopino

Ogni collettività esprime nella poesia i propri sentimenti, le proprie ansie, gli entusiasmi, le gioie e i dolori. Questo vale anche per gli italiani di Libia, ovvero quegli italiani vissuti in Libia nel corso del Ventesimo secolo. Quindi attraverso le espressioni poetiche da essi prodotte è possibile ricostruire e interpretare, almeno a grandi linee, la loro storia.

         I Versi sulla sabbia offrono appunto un panorama di cultura civile  e danno ai loro cantori, anche ai più stentati, la nobiltà e la dignità della testimonianza storica. Questo volume esamina la produzione poetica degli italiani di Libia e dei libici nelle varie fasi storiche in cui essa si è manifestata. I capitoli in cui questa produzione si manifesta sono, in ordine cronologico, i seguenti:

         I versi che accompaganarono la guerra Italo-Turca, ed in particolare:

La canzone di Mario Bianco, una de “Le Canzoni delle gesta d’Oltremare” di Gabiele D’Annunzio che commemora il guardiamarina Mario Bianco, morto da eroe combattendo contro i Turchi sulla spiaggia della Giuliana per la conquista di Bengasi.

La Canzone-marcia A Tripoli, resa famosa dalla cantante bolognese Gea della Garisenda, che inizia con Tripoli, bel suol d’amore.

La madre, lirica famosa della poetessa Ada Negri.

         Le poesie della Libia italiana, fra cui:

Arabia felix, in cui Silvio Campanile, confinato politico nell’isola di Ustica, manifesta la sua comprensione e solidarietà con i libici costretti a vivere lontano dal loro paese e che provano un’immensa nostalgia della loro terra.

Africa italica. Le canzoni della Libia, una raccolta di poesie di Carlo Comerio, dove si nota un notevole interesse verso i libici.

Canti di nomadi, raccolta di poesie dell’ufficiale Umberto Ajelli, che valorizza i canti dei nomadi che costituivano la maggioranza della popolazione libica.

Le canzoni d’amore del popolo di Cirenaica, raccolta di canti di abitanti della Cirenaica.

Canti popolari libici, raccolti, tradotti in italiano e pubblicati da Ester Panetta. Nella introduzione questa grande studiosa della lingua e dei costumi degli abitanti della Libia scrive: <<In Libia e nell’Africa del Nord in genere tutti hanno un gran gusto per il poetare e spesso sono vivaci improvvisatori: una festa, un lutto, un litigio offrono occasioni per dare sfogo alla loro vena e i versi sono sempre cantati. Quelli che maggiormente suscitano l’entusiasmo di chi ascolta hanno l’onore di essere tramandati, sempre oralmente, e ci sono versi che entrano a far parte del patrimonio quotidiano, perché ripetuti in conversazione come proverbi, epigrammi, ecc.>>.

         I canti del colonialismo fascista e della guerra in Libia

Fra questi canti sono soprattutto da evidenziare quelli dei “bimbi libici”, più comunemente chiamati “Ragazzi della quarta sponda”. Molti di questi si trovano raccolti nel periodico Quarta sponda, uscito negli anni 1942-1943. Ma ebbero pure notevole successo le canzoni patriottiche trasmesse dalla radio durante il secondo conflitto mondiale. La più famosa delle quali è stata probabilmente La sagra di Giarabub, il cui ritornello divenne popolarissimo:

         Colonnello non voglio pane;

         dammi piombo pel mio moschetto:

         c’è la terra del mio sacchetto

         che per oggi mi basterà.

         Colonnello non voglio l’acqua;

         dammi il fuoco distruggitore,

         con il sangue di questo cuore

         la mia sete si spegnerà.

         Colonnello, non voglio il cambio:

         qui nessuno ritorna indietro

         non si cede neppure un metro

         se la morte non passerà!

E la guerra in Africa settentrionale provocò, oltre a gravi distruzioni, anche nunerosi morti, feriti e prigionieri italiani. Questi ultimi, rinchiusi nei campi di concentramento britannici, espressero il loro dolore per la penosa situazione in cui si trovavano e la nostalgia per la terra e i cari lontani, anche in versi, che poi vennero raccolti e pubblicati al rientro in Patria.

         Poesia italiana nella Libia post-coloniale

All’euforia colonialista segue un periodo di frustrazione morale e di grandi difficoltà economiche che non favorisce certo le espressioni poetiche. Tuttavia negli anni Cinquanta un giovane insegnante tripolino, Guglielmo Carnemolla, pubblica a Tripoli alcune raccolte di poesie, nelle quali, ispirandosi all’ambiente africano in cui vive da straniero, esprime i sentimenti che la sua situazione gli suggerisce. Significativi i titoli di alcune di queste poesie: Giuorno di Ghibli, Tramonto africano, Garian.

 

         Noi italiani di Libia siam tutti poeti…

Tutti gli Italiani nati o vissuti in Libia fino al 1970, insieme al dolore per aver dovuto abbandonare forzatamente il suolo libico, hanno portato con sé un forte sentimento nostagico per quella terra. Sentimento che anzicché affievolirsi è andato aumentando con il passare del tempo. E molti di loro hanno affidato ai versi le sensazioni suscitate dai ricordi dei giorni trascorsi in quel Paese. E’ pertanto impossibile riportare qui una adeguata selezione di tale enorme produzione alla quale hanno partecipato i rappresentanti di tutte le categorie sociali presenti in Libia. Ci limiteremo a riportare una selezione di titoli di queste poesie: Terra mia, Nel deserto, Ho lasciato qualcosa, Terre intorno a Bengasi, Ritorno, Il beduino, Gefàra, Lasciando Tripoli, Tripoli cara…Tripoli amara.

         Conclusione

Dall’esame dei temi e dei termini contenuti in queste poesie e dal modo come essi si susseguono e si intrecciano con il passare del tempo è possibile trarre numerose conclusioni. Conclusioni che ogni lettore potrà ricavare a seconda del proprio modo di pensare e della propria sensibilità verso le sollecitazioni che questi versi suscitano in loro. Comunque la cosa che caratterizza le poesie dei rimpatriati, colme di nostalgia e pervase di rimpianto per un passato che non può più tornare, è che in esse non c’è un solo verso che esprima odio, disprezzo, ingiuria per i libici o che offenda la Libia. Eppure la Libia era stata definita uno “scatolone di sabbia” e, fino alla scoperta del petrolio, praticamente lo era, ma per quello scatolone essi o i loro genitori avevano versato sudore, lacrime e sangue. Come spiegare allora un così profondo e diffuso attaccamento per una terra tanto avara e, almeno inizialmente, tanto ostile? Perché per essi è stato così crudele doverla abbandonare?

La risposta a questi interrogativi deve essere trovata proprio nei sacrifici, nelle rinunce, nel duro lavoro che essi hanno dovuto affrontare prima di arrivare a un relativo benessere economico. Ma anche al fascino dell’ambiente esotico, con i suoi spazi sconfinati, i cieli incredibilmente stellati, i tramonti fiammeggianti; alla maestosità dei monumenti affioranti dalle dune e riportati al loro antico splendore dai nostri archeologi. Ed ancora all’ammirazione e al rispetto suscitato dalla religiosità di un popolo povero, ma fiero e dignitoso.

 

 

 

Alcuni libri di Francesco Prestopino

Titolo Editore Anno Prezzo

I bimbi libici. Storia e storie dei ragazzi della IV Sponda 

La Vita Felice 2007  € 12.00 *

Versi sulla sabbia

La Vita Felice 2007 € 16.50  *

Una città e il suo fotografo. La Bengasi coloniale (1912-1941)

La Vita Felice 1999  € 16.50 *

Versi sulla sabbia. La poetica coloniale di Libia

La Vita Felice 2003  € 14.00 *

Sabbia, sudore e sogni

La Vita Felice 2004   16.50 *
* Spese di spedizione incluse nel prezzo