Tripoli 1949  -  Intercolite acuta

Pubblicato sul notiziario l'OASI n.2/2007 pag. 66

                       Mia madre ha sempre avuto, come tutti noi, grande fiducia nei medici e nell'arte di Ippocrate, il grande medico greco che diede inizio ad una scienza medica di tipo razionale e combattè la medicina magica e sacerdotale fondata su pratiche superstiziose. Tra l'altro nei suoi lunghi viaggi, Ippocrate, oltre che il nord della Grecia e l'Egitto, visitò anche la Libia quindi è stato un nostro .... concittadino. Tutti noi, e non potrebbe essere altrimenti, abbiamo sempre seguito con gratitudine e grande intereresse i progressi della Medicina. Ma un giorno, apprendendo dal telegiornale che si era verificato uno di quei casi seppur rari della cosiddetta "malasanità", mia madre mi confidò che la fiducia che aveva sempre nutrito verso la medicina tradizionale, almeno una volta nel corso della sua vita era vacillata e nell'affermarlo, mi guardava tentennando la testa facendomi capire che la cosa mi riguardava.                                                                                                              

Mi raccontò che nel settembre del 1949, quando avevo da poco compiuto un anno di età, ero con i miei genitori al pranzo che seguiva la vendemmia svolta presso un azienda agricola fuori Tripoli. Durante il pranzo, non visto da mia madre, mangiai dell’uva nera non lavata. Subito dopo venni colto da atroci  dolori alla pancia, seguiti da una diarrea inarrestabile, con un sensibile aumento della temperatura corporea. Noi abitavamo, in Sciara Manfredo Camperio, di fronte alla casa della famiglia di Corrado e Mario Salemi,  vicini al cancello d’ingresso del Lido Vecchio. Durante la prima settimana di malattia furono chiamati tre diversi medici italiani, che venivano dal centro città, che oltre ad un esoso onorario,  esigevano  il pagamento dello  trasporto in carrozza, andata e ritorno.  Tutti e tre mi diagnosticarono una “intercolite acuta”. Mia madre, che al ricordo di quei giorni aveva cambiato tonalità di voce, mi disse che dopo alcuni giorni di cure da loro prescritte stavo sempre più male. Avevo sempre  forti dolori alla pancia , continuavo a disidratarmi e piangevo in continuazione. In quel periodo mio padre, che tutti chiamavano Peppino, lavorava come operaio saldatore e tornitore  nelle officine meccaniche dei Fratelli D’Alba, che confinavano proprio con lo stabilimento balneare del Lido Nuovo.

Tripoli 1949 - L'officina dei Fratelli D'Alba ed il Lido Nuovo

Uno degli operai di questa officina, Salvatore Pace (Totuccio per gli amici),  era molto amico di mio padre sia al lavoro che fuori, e  vedendolo  così  angustiato gliene  chiese il motivo. Mio padre gli parlò  della mia malattia  e che purtroppo i  medici chiamati al mio capezzale non avevano trovato le cure giuste per farmi guarire.  Addirittura uno di essi (di cui preferisco non farne il nome, pace all’anima sua)  diceva  che non avrei avuto molte speranze di sopravvivenza.

Il giorno dopo  si presentò a casa nostra una signora, continuò mia madre, facendo un cenno di ringraziamento alla Provvidenza- Sono la signora Pace , la mamma  di Totuccio. Mio figlio mi ha parlato del vostro problema - disse - potrei vedere il piccolo Domenico?

Dopo avermi visto, toccato e appreso da mia madre le varie fasi  della mia malattia ed il motivo che l'aveva provocata -  disse -  Signora, io non sono una dottoressa, ma ho imparato alcune cose da mia nonna quando di medici ce ne erano pochi e le posso dire che potete stare tranquilli, Domenico guarirà presto.  Intanto cominciamo con il somministrare al bambino dei clisteri di acqua e aceto, uno ogni tre ore. Si procuri  al più presto di una buona quantità di semi di lino, li metta in una pentola con un pò d'acqua. Faccia filtrare il decotto e ci aggiunga un po' di latte. Lo faccia bere al bambino,  quando  è ancora tiepido. Vedo che il bambino è disidratato ed ha molto bisogno di bere. Metta la poltiglia del decotto calda, ma non caldissima, dentro  una pezza di lana e con questa dovranno essere fatti degli impacchi sull’addome del bambino. Prima ancora che la lana si raffreddi del tutto, ne prepari un’altra per sostituirla. Domani ritorno a vedere come sta il bambino.-

Puntualmente la signora Pace  tornò il giorno dopo ed il giorno dopo ancora. Il terzo giorno stavo già meglio. Con il suo rimedio medicamentoso la signora Giuseppa Pecoraro Pace mi aveva guarito.

Mia madre concluse sorridendo: " Uno dei tre medici, forse il più scrupoloso, non essendo stato più convocato, venne a vedere "come era finita". Anticipai le sue domande raccontandogli la storia della signora, dei clisteri e dei semi di lino. Il dottore accennò un sorriso tra l'ironico ed il divertito. Ma lo lasciai sorridere, anche perchè grazie a quegli impacchi, potevo ridere anch'io, ma di gioia."

Tuttora io non so se questa fosse stata la cura giusta per la mia malattia, ma so che i miei genitori furono per sempre riconoscenti alla signora Giuseppa e grati per avermi salvato la vita.

Oggi , 25 Marzo 2009, ho ricevuto una busta con un mittente : Pace Enzo - Piazza B. Croce 22 - 04011 Aprilia - LT, con dentro queste due foto, in cui viene  raffigurata la defunta Sig.a Giuseppa Pecoraro Pace - nata a Palermo il 2 luglio 1903   - morta a Palermo il 17 Luglio 1991

 

    

Tripoli 1949 - Con i miei genitori sul davanzale della finestra di casa mia dopo essere guarito.

 Grazie di cuore Signora Giuseppa !