Un sogno italiano, la Libia 

Capitolo I°

Paolo Savasta

 

C a p i t o l o   PRIMO

 

                                                                                                                                

Dopo la fine del 2° Conflitto Mondiale, mi sono spesso domandato quali erano state le vere cause che ci portarono alla guerra. Mi domando ancora oggi, se l’Italia poteva restarne fuori! Se eravamo nelle condizioni favorevoli per parteciparvi! Perché scegliemmo l’alleato tedesco invece di affiancare Francia e

Inghilterra, come nella Prima Guerra Mondiale!               

 

Poter conoscere infine, se vi furono responsabilità o errori nella politica internazionale del fascismo! E’ risaputo che Benito Mussolini oltre che capace politico era anche un abile “prestigiatore della parola“, questo dono lo portava

spesso a risolvere a suo vantaggio controversie e ad appianare pericolose  situazioni in Convegni internazionali ai quali partecipava: proverbiale la sua simpatia per la politica inglese che in seguito si tramutò in aperta inimicizia; in questo capitolo cercherò di rendere chiare tali contraddizioni.

Tutte queste perplessità mi hanno stimolato a cercare la verità per giungere alla conclusione del perché Mussolini, allora capo del Governo italiano, il 10 giugno del 1940, dichiarò guerra a Francia e Inghilterra e in seguito a Grecia, Jugoslavia, Russia, Stati Extraeuropei e per ultimo agli Stati Uniti.

Come ho già esposto nella “Premessa“, per appagare la mia curiosità e apprendere la verità, ho letto quanto hanno scritto illustri storici su argomenti militari e di politica internazionale.

In quelle letture ho valutato il pro e il contro della nostra politica, trovando spesso discordanze tra gli uni e gli altri; da quelle contraddizioni ponderandole con attenzione, ho tratto le mie considerazioni, riuscendo in gran parte a dare una risposta alle domande che mi ero posto e che ora esporrò al         lettore, il quale alla fine della lettura di questo capitolo potrà giudicare il mio pensiero.

 

L’osservazione del quadro politico italiano, inizia quando l’Italia era al massimo della sua potenza e certamente in quel periodo, perno non trascurabile nella politica europea.

Dopo la conquista dell’Abissinia (1935-1936) in Italia venne a crearsi una ripresa economica che fu l’inizio di un certo benessere. Le inique sanzioni del 1935, volute dalla Società delle Nazioni, dietro pressione inglese, erano ormai un lontano ricordo; il mondo ci guardava con rispetto e simpatia, l’Italia poteva marciare tranquilla e sicura, il fascismo si era ben consolidato; il Duce a giusta ragione si pavoneggiava: aveva consegnato nelle mani del Re Vittorio Emanuele III un Impero, l’Italia ritornava ai lustri di Roma Imperiale.In Libia l’opera bonificatrice e di colonizzazione voluta dal Governatore Generale Italo Balbo incominciava a dare i primi benefici; ma ecco allo orizzonte addensarsi nuove nubi minacciose che non facevano sperare nulla di buono. In Europa rinascevano contrasti internazionali che negli anni antecedenti al 1935 si pensava fossero stati risolti con le numerose conferenze tenute; causa principale di questi contrasti fu sempre la Germania nazista di Hitler.

 

Naturalmente  per avere una visione chiara delle cause che ci portarono in quella disastrosa guerra, é necessario riportarci alla nostra politica internazionale  del 1922, anno dell’avvento del fascismo al Governo e risalire sino al 1939, non trascurando qualche accenno alla politica italiana  antecedente al periodo fascista.

Nel 1922 Benito Mussolini, appena posto a Capo del Governo, si trovò ad ereditare questioni di politica internazionale lasciate insolute dai precedenti governi: quelli di Giovanni Giolitti, di Vittorio Orlando, di Ivanoe Bonomi e Luigi Facta, di questi due ultimi governi i loro presidenti si dimostrarono deboli e impreparati sia nella politica internazionale che in quella interna. Iniziamo a conoscere le vicende politiche italiane dal 1922.

                                                        

In Italia, in quello anno, avvenne un cambiamento radicale nel governo; il 30

ottobre, Benito Mussolini che era stato eletto deputato  nel maggio del 1921, fu

dal Re d’Italia chiamato a formare un nuovo governo a seguito delle dimissioni del Premier Luigi Facta; Mussolini accettò e si presentò in Parlamento per la fiducia: ottenne 306 voti favorevoli, compresi quelli di Giolitti, Bonomi, Orlando, Salandra, De Gasperi, Meda e Gronchi che nel dopoguerra diventerà Presidente democristiano della Repubblica italiana, di contro ne ebbe 116 sfavorevoli. In quella votazione così piena di consensi al Capo del fascismo, gli avversari politici sostennero la invalidità del voto, accusando che i deputati in aula, al momento della votazione, erano stati intimoriti dalla presenza nella capitale delle squadre fasciste che avevano partecipato alla marcia su Roma. Quelle affermazioni non corrispondevano alla  verità che era ben altra: Vittorio Emanuele III aveva constatato la inefficienza dei governi Bonomi e Facta, colpevoli di non aver saputo frenare la disoccupazione che saliva a ritmi sconvolgenti, mentre l’inflazione marciava a passi da gigante, con grosse industrie che fallivano come l’Ansaldo e l’Ilva, inoltre l’anarchia  incominciava ad essere presente; davanti a tali gravi situazioni e constatando che la classe media, i banchieri e gli industriali, vedevano nel fascismo la salvezza dell’Italia, il Re non ebbe dubbi nel porre a Capo del governo Benito Mussolini. Da tale situazione si era reso conto la stragrande maggioranza dei deputati ed ecco la ragione del loro voto favorevole al Capo del fascismo.

 

La sera stessa del 30 Ottobre, il nuovo capo del Governo sottopose al Re la lista dei componenti del suo Governo; Mussolini che avrebbe potuto formarlo unicamente con elementi fascisti, fu così accorto da nominarne appena tre (Oviglio, Di Stefani e Giuriati), il resto comprendeva, l’indipendente Giolitti (alla Pubblica Istruzione), il nazionalista Federzoni (al Ministero delle Colonie), il Generale Diaz al Ministero della Guerra, il Ministero dell’Agricoltura fu assegnato ad un altro liberale il De Capitani e ancora ai Lavori Pubblici e quelli dell’Industria e Commercio, andarono i democratici Carnazza e Rossi; Mussolini tenne (ad interim) i Ministeri degli Esteri e dell’Interno.   

 

Tale evento fu anche bene accettato dalle grandi Potenze: in Inghilterra uno dei maggiori organi di stampa, il “Times “, in un articolo del 30 novembre 1922 così commentava le ragioni che avevano portato al Governo il fascismo “...la Rivoluzione nazionalista fascista è legittima, in quanto è riuscita senza turbamenti ha portare ordine nei servizi pubblici e nelle proprietà private. legittimo quindi il suo potere....” A questi commenti favorevoli si unirono quelli dei più importanti ambienti  bancari e dei Circoli  aristocratici della Gran Bretagna.(1) 

 

Mussolini sin dai primi mesi di governo, dovette affrontare i molti problemi internazionali: alcuni ci riguardavano direttamente ( Dodecaneso, l’Oltre Giuba, Fiume e Dalmazia), problemi impostati e mai risolti dai precedenti governi. Egli si trovò sempre preparato su ogni argomento, in quanto pretendeva dai suoi ambasciatori di essere informato dettagliatamente sulla situazione politica della nazione ove erano accreditati, soprattutto su quanto avveniva a Berlino. Come capo di Governo e anche in forma privata intrattenne ottimi rapporti con i maggiori esponenti politici di Francia e Inghilterra, rapporti che andarono avanti ottimamente sino al 1935 anche se in alcuni incontri internazionali vi furono contrasti di vedute a volte anche spinosi ma che venivano quasi sempre appianati con soddisfazione da ambo le parti: merito come risaputo della dialettica politica di Mussolini.

 

Alcuni storici sostengono superficialmente che la politica estera di Mussolini, dal 1922 al 1935, fu ispirata e voluta da una sua amante, Margherita Sarfatti, donna intellettuale di origine ebraica, anglofila e antitedesca; dicono anche che era lei a scrivergli i discorsi ufficiali. Queste avventate affermazioni sono poco credibili e a mio avviso da scartare, poiché si trattò sempre di calunnie messe in giro per ridicolizzare la figura di un uomo che godeva in quei momenti, in tutta l’Europa, di un forte prestigio. Chiunque abbia letto o approfondito la conoscenza della vita politica di Mussolini, può rendersi conto

che con quella intelligenza, con quel temperamento forte e burrascoso, non poteva lasciarsi influenzare da una amante, sia pure di grande intelletto e carattere  come la Margherita Sarfatti, che nella migliore delle ipotesi le avrà

dato consigli e suggerimenti utili.

 

Mi dispiace che tra questi storici debba citare l’inglese Richard Lamb che, come già detto, reputo lo scrittore straniero più obiettivo; anche egli pone il problema Sarfatti, poi spogliandosi da pregiudizi e antipatie ci descrive un Mussolini ammirato, odiato, di grande popolarità, se pur grottesco nella mimica dei suoi discorsi, fu abile trascinatore di folle, imprevedibile nelle decisioni, statista che in molte circostanze si dimostrò politico cauto e ragionevole, sempre attento alla situazione internazionale e agli interessi del suo paese...; un Mussolini forse sconosciuto  anche agli italiani.

Diverso è il giudizio di un altro inglese, Denis Mack Smith, il quale pure ammettendo che il Duce possedeva grande intelligenza e capacità di governo da considerarlo il migliore politico della sua generazione, cade poi in contraddizione con se stesso e ci presenta un Mussolini arrogante, insensibile, rozzo, che soleva nei suoi discorsi dire tante sciocchezze più degli altri politici del suo tempo, un Mussolini che si circondava di collaboratori adulatori, capaci di presentarlo come capo di enorme intelligenza o di profonda umanità, di magnetismo e carisma con un potere immenso. Fortunatamente conosciamo il livore anti-italiano e la scarsa attendibilità del Mack Smith il 

quale se avesse l’obiettività e onestà di storico, potrebbe parlarci a lungo degli errori di Churchill che invece con grande indulgenza trascura.

A questi collaboratori, secondo lo stesso Smith, il Duce elargiva onorificenze e lauti compensi: penso che tale giudizio così infondato e denigratorio esca solamente da una mente d’oltre Manica anti-fascista e anti-italiana. Desidero invece far conoscere, a solo titolo di cronaca, alcuni  giudizi su  Mussolini, espressi da autorevoli personalità inglesi; ecco cosa scriveva Austen Chamberlain, allora segretario degli Affari Esteri del governo inglese (siamo nel 1926):“...le sorti dell’Italia sono dirette da un Uomo straordinario, che è diventato il fondatore di un nuovo sistema politico e creatore di una nuova Italia....“. Lo stesso Winston Churchill nel 1933 così valutava il Capo del Fascismo “...è il genio di Roma, il più grande legislatore italiano...” (2)

Apprezzamenti così lusinghieri non venivano solamente da parte inglese ma anche da Pierre Laval, quando fu Ministro degli Esteri francese e in seguito anche  Primo Ministro, il quale espresse sempre la sua ammirazione e amicizia verso Mussolini.

Nel corso della sua carriera politica, Mussolini commise certamente degli errori  ma per la sua popolarità, la stragrande maggioranza degli italiani lo perdonò sempre. Quando venne eletto capo del Governo, Mussolini aveva appena 40 anni.

 

1922 CONFERENZA DI LOSANNA - 20 Novembre 1922

 

In  Svizzera si aprì, nel novembre di quello anno, una Conferenza alla quale parteciparono  le seguenti Nazioni: Italia - Francia - Inghilterra - Russia - Grecia e Turchia. Argomento principale fu la controversia tra Grecia e Turchia circa i territori della Anatolia, che dopo la sconfitta della Turchia nella 1^ Guerra Mondiale erano passati sotto la giurisdizione della Grecia. A seguito di una nuova guerra tra Grecia e Turchia che va dal 1920 al 1922, i turchi riconquistarono quei territori annettendosi anche alcune isole greche dell’Egeo: da qui la controversia. La Conferenza di Losanna doveva risolvere quella spinosa questione; lunghe furono le discussioni che si appianarono in poche reciproche  concessioni. Solo nel 1923, con la seconda  Conferenza, sempre a Losanna, vi fu il riconoscimento dei territori della Anatolia a favore della Turchia. La delegazione italiana, sia nella 1^ come nella 2^ Conferenza, era capeggiata da Benito Mussolini nella doppia veste di capo di Governo e Ministro degli Esteri, la missione francese era con il Ministro degli Esteri Raymond Poincaré, quella inglese con Lord Curzon, anch’egli Ministro degli Esteri.

In quella occasione la Grecia, con l’appoggio inglese, fece approvare e mettere all’Ordine del giorno, la richiesta di restituzione da parte dell’Italia, delle isole del Dodecaneso da noi tolte alla Turchia nel 1912: in quel momento le  isole erano da anni sotto amministrazione militare italiana. La richiesta greca era motivata dal fatto che nel 1912, tra i Governi italiano e greco era stato firmato un accordo con il quale l’Italia s’impegnava, entro il 1920, a restituire alla Grecia le suddette isole.

 

Naturalmente tale richiesta non trovò il consenso da parte di Mussolini che  fece presente come nella Conferenza di Londra del 1915 e quella di S.Giovanni di Mariano 1917 tra Inghilterra, Francia e Russia, era stato stabilito che le isole

del Dodecaneso dovevano restare all’Italia; analoga decisione venne riconfermata nel Trattato di Sévres del 1920, ratificata con l’articolo 122, che stabiliva definitivamente il possesso di quelle isole all’Italia. Quel voltafaccia anti-italiano dell’Inghilterra, rischiò di guastare i buoni rapporti che in quel momento intercorrevano tra i due governi. Nell’occasione Mussolini, vale la pena riconoscerne l’abilità diplomatica, approfittando di quella circostanza, chiese che venisse anche iscritta all’Ordine del giorno, la questione dell’Oltre Giuba che ci riguardava e quella dei mandati anglo-francesi nel Medio Oriente, mettendo così in imbarazzo la delegazione inglese che fu costretta a rimandare  “sine die“ la richiesta della Grecia. ( vedere FOTO N°1 )

 

Onde dare al lettore una migliore visione delle vicende che portarono l’Italia nel Dodecaneso e illustrare chiaramente la questione dell’Oltre Giuba, é necessario delineare alcuni principali aspetti della nostra storia africana.

Nel corso della guerra italo - turca del 1911 per la conquista della Libia, il governo italiano  e per esso lo Stato Maggiore Esercito, visto che la guerra sul territorio libico si era trasformata anche in guerriglia con gravi perdite umane ed un elevato costo in denaro, onde porre fine a quel conflitto, decise di portare la guerra sul territorio turco nella zona dei Dardanelli, così da costringere anche la flotta turca ad accettare una battaglia risolutiva; ma i turchi sapendosi inferiori come forza navale, non uscirono in mare aperto per affrontare la flotta italiana, rimasero ben protetti nelle loro basi dentro lo Stretto dei Dardanelli, punto nevralgico dell’Impero Ottomano.

Il capo di Stato Maggiore della nostra Marina ordinò allora alla flotta di bloccare lo stretto, così da impedire l’uscita delle navi turche che avrebbero dovuto portare rifornimenti alle loro truppe in Libia, naturalmente quel blocco danneggiava anche le navi di altri Paesi che avevano rapporti commerciali con la Turchia; vi furono delle proteste diplomatiche, ma  ciò non impedì che il blocco continuasse.

Per rinforzare lo stato di assedio venne dato ordine all’ammiraglio Ernesto Presbitero, comandante la flotta in quel settore, di iniziare l’occupazione di tutte le isole, sotto il dominio turco, poste in posizione strategica rispetto alle coste turche.

 

Il 28 aprile del 1912 fu occupata dai marinai italiani per prima l’isola di Stampalia (Astympalea), seguì l’isola di Rodi il 4 maggio, occupata dal 34° e 57° reggimento di fanteria agli ordini del generale Giovanni Ameglio; a fine giugno fu la volta delle isole di Scarpanto (Karpathos), Coo (Kos), Calino (Kalimnos), Nissiros, Calchi (Halki), Patmo (Patmos), Lero(Leros), Tilos o Piscopi, Simi, Caso (Kassos): in tutto 12 isole, con una superficie totale di 2.682 Kmq. e una popolazione di circa 122.000 abitanti in maggioranza  greca, con minoranze di armeni, turchi ed ebrei.

Nota storica: a quelle 12 isole a seguito del Trattato di Sèrves nel 1920, venne ceduta all’Italia, il 3 marzo 1921, l’isola di Castelrosso ( 2.265 abitanti ), isola a Sud-Est di Rodi, sulle coste dell’Asia Minore. ( MAPPA N°1 )

 

Nel 1912 la Turchia, vista l’impossibilità di continuare la guerra, chiese la pace, che venne firmata il 18 ottobre 1912 a Oucky nei pressi di Losanna  (Svizzera); tra le clausole di pace la Turchia oltre a riconoscerci la sovranità sulla Libia, cedeva le isole del Dodecaneso già da noi in precedenza occupate.

Nota storica e incredibilmente vera; agli atti dell’accordo di pace: l’Italia s’impegnava a versare annualmente alla Turchia, l’enorme cifra di venti milioni di lire, quale risarcimento delle entrate fiscali che la Turchia  traeva dalla Libia. Certamente questo accordo così insolito sarà e resterà unico al mondo: mai era avvenuto e senz’altro mai avverrà, che uno stato vincitore in guerra debba risarcire quello perdente. Pare che quel pagamento sia stato però versato per un solo anno (3)

 

Appena qualche giorno dopo la firma dell’accordo di pace, il rappresentante del Governo italiano firmava altro accordo con la Grecia, nel quale l’Italia  s’impegnava ( come sopra detto )a restituire entro il 1920, solo 10 isole da noi occupate, ad eccezione di Rodi e Stampalia. In effetti quelle isole, per la loro

posizione geografica, erano da considerarsi greche ma é anche vero che non fecero mai parte della Grecia poichè esse da secoli, erano parte integrale dell’Impero Ottomano, anche se abitate da minoranze etniche elleniche.

 

La parola Dodecaneso deriva dal greco “ dodeka “( dodici )e“ nesos “ ( isole ).

 

Ed ora passiamo alla questione dell’Oltre Giuba. Come sempre succede tra i paesi in guerra, da una parte o dall’altra, prima di conoscerne l’esito, si fanno accordi circa la spartizione delle terre che nella eventualità di vittoria andranno a conquistare; questo avvenne tra gli Alleati durante la Prima Guerra Mondiale. Infatti con gli accordi di Londra del 1915 e di S.Giovanni di Mariano (Contea della Savoia )nel 1917, già a guerra inoltrata, nella spartizione del bottino, all’Italia ( rappresentata dal ministro degli Esteri Sidney Sonnino ) con l’articolo 13 di detti accordi gli si riconosceva il possesso del Dodecaneso, della Dalmazia, della città di Fiume e dietro la formula di “compensi territoriali africani“ un tratto di territorio dell’Oltre Giuba ai confini della Somalia italiana; questa ultima concessione fu accettata dagli alleati dietro esplicita richiesta del nostro Rappresentante che chiese la modifica del vecchio confine. Inoltre all’Italia veniva concessa, come influenza politico-economica, una buona fetta di territorio turco nelle Province di Adalia, Aydin, Konia e Smirne; invece a conclusione della vittoriosa guerra quelle promesse vennero dimenticate, ci furono riconosciute solo le isole del Dodecaneso.

                                                                                  

Nota storica: alla Conferenza della Pace a Parigi nel 1919, il Primo Ministro Vittorio Orlando che rappresentava l’Italia, a causa di quelle mancate concessioni, abbandonò furioso il tavolo della Pace.

Inghilterra e Francia fecero la parte del leone: la prima ebbe il controllo della Mesopotania, Iraq, Transgiordania e Palestina con i porti di Haifa e Acri e tutte le colonie tedesche dell’Africa Orientale, inoltre si schierò apertamente con gli slavi sulla questione di Fiume; alla Francia con identica politica filo-slava venne assegnato il Libano, la Siria e parte delle colonie tedesche nell’Africa Sud-Ovest.

 

Veniamo a conoscere la questione dell’Oltre Giuba: nel 1887 iniziammo la nostra penetrazione pacifica in Somalia, acquistando dal Sultano di Zanzibar un ampio tratto di costa che da Chisimau arrivava a Mogadiscio e ancora nel 1889 a seguito di un Protettorato con i Sultani Jusuf di Olbia e Osman Mahmud della Migiurtinia, ampliammo la nostra influenza su tutto il territorio somalo sino a Capo Guardafui nella estrema punta della Somalia, di conseguenza fu necessario definire i confini con l’Abissinia e il Kenia inglese.

 

Nota storica: il Protettorato dei territori di Olbia e della Migiurtina dopo poco tempo si trasformò in possesso definitivo dell’Italia, in quanto i sopraccitati Sultani cedettero i loro territori, dietro compenso di una considerevole somma in pregiato denaro.

 

Con il Governo abissino ogni tentativo di definizione fallì, mentre per il Kenia a seguito degli Accordi del 4 marzo e 25 aprile 1891, tra il Governo inglese e quello italiano (Ministro Rudini) venne delineato il confine limitandolo solo alla sponda sinistra del fiume Giuba; fiume che nasce in territorio abissino nei territori dei Galla Sidamo e nell’Harrar, da due sorgenti e scendendo verso Sud entra in territorio della nostra Somalia all’altezza del paese di Dolo e lo percorre per 600 Km. sboccando nell’Oceano Indiano  a Giumbo nei pressi di Chisimau.

     

Ora dato che nelle Conferenze di Londra e S.Giovanni di Mariano era stato promesso all’Italia un tratto di territorio oltre il fiume Giuba, ecco giusta la presa di posizione di Mussolini nella Conferenza di Losanna.

 

Onde completare la conoscenza del fiume Giuba, aggiungo questa nota storica: le sorgenti del Giuba furono scoperte dal noto esploratore italiano, il capitano di artiglieria Vittorio Bottego. Venne barbaramente assassinato, da orde abissine nel 1897, durante una delle sue esplorazioni.

                       

1922 CONFERENZA INTERALLEATA DI LONDRA

 

L’8 dicembre, Mussolini si recò a Londra per partecipare a quella Conferenza, nata per definire le riparazioni di guerra dovute dai tedeschi agli alleati. Nel corso della Conferenza si arrivò a un aspro e duro scontro verbale tra il delegato francese e quello inglese; il primo pretendeva che la Germania pagasse sino in fondo il debito di guerra, mentre l’inglese era propenso ad eliminarlo, non tenendo presente che nella guerra del 1914-1918, la Francia era stata la nazione maggiormente colpita, sia in morti che in danni materiali.

Contro tale atteggiamento inglese, il ministro Poincarè minacciò di occupare la ricca regione della Ruhr se non avessero accettato la sua richiesta (occupazione che in effetti avvenne nonostante il parere contrario dell’inglese lord Gurzon e dello stesso Mussolini). Comunque a Londra Mussolini si adoperò per risolvere l’intricata situazione, proponendo un piano che consisteva nel ridurre il debito tedesco a soli 50 miliardi di marchi oro pagabili in due anni; naturalmente tale proposta venne bocciata dal francesi e la Conferenza si chiuse senza nulla di fatto, ma con l’aumentata animosità tra le nazioni europee.

 

1923 CONFERENZA DI LOSANNA

 

Non essendo riusciti a risolvere tutte le questioni nella prima Conferenza, gli alleati decisero di convocarne una seconda; così il 15 giugno del 1923 gli stessi Ministri si ritrovarono a Losanna; qui Mussolini ottenne il riconoscimento definitivo del Dodecaneso e l’Inghilterra cedette all’Italia  l’amministrazione del territorio dell’Oltre Giuba, il cui passaggio dei poteri fu ratificato solo il 29 giugno 1925.

Con l’annessione dell’Oltre Giuba, un territorio di circa 600 Km. di lunghezza e 150 Km. di profondità, la Somalia venne così ad avere: 7 Province con 33 Distretti e una popolazione di circa 1.200.000 abitanti compresi 8.000 italiani.

 

1923 – Il 9 gennaio di quello anno, 60 mila soldati francesi e belgi iniziarono  l’occupazione del bacino della Ruhr, suscitando una reazione durissima da parte inglese; stranamente, a distanza di pochi mesi Mussolini, cambiava politica e appoggiava l’azione francese, mettendosi in contrasto con la politica inglese. Pochi giorni dopo e precisamente il 12 gennaio, altro cambio repentino di umore di Mussolini, che confida a Sir Ronald Graham, ambasciatore inglese a Roma, la sua apprensione per la svolta negativa che si stava creando in Germania con l’occupazione francese della Ruhr e con il pericolo che si scatenasse una nuova guerra; in tal senso e molto preoccupato inviava una nota di protesta al Governo francese, consigliandolo di ritirare le truppe dal bacino in questione, e arrivare a un accordo con il Governo tedesco di Weimar nella persona del Cancelliere Wilhem Cuno. (4)

 

Dal 7 al 12 maggio 1923 i Reali d’Inghilterra, dietro invito del Governo italiano, visitano l’Italia: accoglienze di entusiasmo e cordialità ovunque; con quella visita il prestigio di Mussolini in Europa aumentò enormemente e in Gran Bretagna Egli consolidò con la classe politica e con il governo ottimi rapporti  politici e personali.

 

30 luglio, il Governo abissino del Negus Hailé Selassié, chiede di entrare a fare parte della Società delle Nazioni; la sua domanda fu prontamente appoggiata dalla Francia, contrari l’Inghilterra e l’Italia che non aveva mai digerito la sconfitta di Adua (1896). Anche quelle divergenze vennero appianate e Mussolini, onde evitare maggiori contrasti con la Francia, dette disposizioni al proprio rappresentante presso la S.d.N., di convalidare e accettare la richiesta del Negus.

 

Il 27 agosto 1923 un grave fatto sconvolse l’Italia, mettendo in stato di apprensione la diplomazia europea per il rischio di una guerra tra Italia e Grecia. Si trattava dell’assassinio perpetrato da elementi greci, attuato in territorio ellenico, sulla strada che da Gianina porta a Santi Quaranta, del

generale italiano Enrico Tellini, capo della commissione di controllo internazionale, che doveva definire un contenzioso insorto sul confine greco-

albanese; in quella imboscata furono uccisi anche il maggiore medico Luigi Corti e il tenente Mario Bonacini.

 

Il grave episodio suscitò in Italia grande sdegno, Mussolini sollecitato dall’opinione pubblica, ordinò un bombardamento navale su Corfù e la sua occupazione. Il Governo greco non sentendosi colpevole, ma pur sempre corresponsabile morale dell’eccidio, si appellò alla Società delle Nazioni, denunciando la violazione e occupazione del suo territorio, trovando subito l’appoggio dell’Inghilterra che chiese l’applicazioni di gravi sanzioni  contro l’Italia; la Francia fu meno drastica e propose che la questione venisse risolta tra gli ambasciatori dei due paesi. La Società delle Nazioni invece stabilì di affidare la questione ad una commissione neutrale di esperti, la quale dopo lunghe discussioni, decise che la Grecia, poteva avere avuto col suo esasperato comportamento una parte di responsabilità e la condannava, a titolo

d’indennizzo, a pagare all’Italia 50 milioni in oro; le navi e le truppe italiane avrebbero dovuto però evacuare immediatamente Corfù; tale decisione valse a Mussolini un aumento di popolarità sia in Italia che all’estero.

 

E’ bene conoscere come la stampa inglese in quel periodo, commentava l’ascesa del fascismo nella ricorrenza del primo anno di governo, ottobre 1922 - ottobre 1923, il più autorevole giornale inglese, il Times il 31 novembre 1923,  scriveva “...l’Italia non è stata mai così unita: il fascismo ha abolito il cosiddetto gioco a scacchi parlamentare, ha semplificato il sistema tributario, ha ridotto il disavanzo pubblico, ha enormemente migliorato i pubblici servizi, soprattutto Ferrovie e Sanità, ha ridimensionato una burocrazia inutile e impotente senza effetti negativi, ha perseguito una politica coloniale vigorosa e abbastanza valida. Tutto ciò ha richiesto un’opera indefessa e positiva, ma i doni principali che tale Governo ha conferito all’Italia, sono la sicurezza e l’orgoglio nazionale. Il fascismo ha dimostrato di avere grande coraggio, notevole saggezza e tantissima fortuna, si è meritato da tutto il mondo gli auguri sinceri di buon compleanno...”.

 

Questa é Storia d’Italia e la storia é di tutti: se  vi  furono riconoscimenti internazionali sull’opera del fascismo, é giusto che essi siano valutati per i meriti che produssero e come tali, conosciuti dal lettore.

 

1924 - Il 23 marzo cade in Inghilterra il governo conservatore di Baldwin e  subentrava al potere il primo governo laburista, guidato da Ramsay Mac Donald, molto vicino e favorevole alla questione italiana dell’Oltre Giuba. Infatti il nuovo Ministro degli Esteri Austen Chamberlain, che vedeva di buon occhio la politica estera italiana, ratificò nel giugno 1924 con un Trattato ad hoc la cessione dell’Oltre Giuba all’Italia. MAPPA N°2

 

1925 -  CONFERENZA DI LOCARNO.

 

Si svolse dal 14 al 16 ottobre: parteciparono Italia, Francia, Inghilterra, Germania, Belgio, Polonia, Cecoslovacchia. In quella sede fu firmato tra i partecipanti un Patto di reciproca assistenza militare; Francia e Belgio ritiravano le loro truppe dal bacino della Ruhr; la Germania rinunciava  ad ogni rivendicazione sulla regione Alsazia-Lorena; vennero stabilite delle garanzie sulle frontiere franco-tedesca e belga-tedesca. L’Italia in quella occasione, cercò di definire la linea di confine del Brennero ancora non risolta, ma la richiesta venne respinta in quanto non era stata posta all’Ordine del giorno. Nonostante il suo disappunto Mussolini si adoperò affinché quella che Egli riteneva una vera Conferenza di pace, raggiungesse i fini preposti.

Negli ambienti internazionali di allora si parlò di un conferimento del Premio Nobel della pace a Benito Mussolini, invece esso venne assegnato al Ministro degli Esteri tedesco Gustav Streseman e al suo collega francese Aristide Briand, promotori della Conferenza.

 

Sempre nel 1925 quando la commissione alleata, composta da americani, inglesi , italiani e francesi, stabilì di ritirare dal territorio tedesco la commissione di controllo per il rispetto del Trattato di Versailles e affidarla alla Società delle Nazioni, Mussolini e per esso il delegato italiano preposto a quella commissione, si oppose fermamente, in quanto certo, che senza alcun controllo diretto sul posto la Germania ne avrebbe approfittato: quella previsione di Mussolini si avverò.

 

1926 -1932 - In quei  sei  anni  gli avvenimenti politici internazionali  furono di scarso rilievo in Europa, salvo per l’Italia con la firma del Trattato di Tirana, nel novembre del 1926, che stabiliva il protettorato italiano  sull’Albania, trattato poco gradito dall’Inghilterra.

Nel febbraio 1929 avvenne la firma dei Patti Lateranensi tra Italia e il Vaticano, voluti espressamente da Mussolini; con tali Patti il Vaticano veniva riconosciuto come Stato sovrano.

 

Purtroppo sin dai primi mesi del 1932, la situazione politica in Europa  cominciò a peggiorare; la Germania, ormai quasi tutta in mano al nazismo,  avanzava a livello internazionale una serie di pretese. In quello anno iniziarono  due Conferenze in Svizzera: una a Losanna e l’altra a Ginevra, ambedue riguardavano però solo il problema tedesco.

 

1932 CONFERENZA DI LOSANNA.

 

Questa quinta Conferenza e terza a Losanna, ebbe inizio il 16 giugno 1932 andando avanti stancamente  per le lunghe sino al 9 luglio. Vi parteciparono l’Italia, la Francia, l’Inghilterra e la Germania. capi delegazioni di quelle Nazioni erano: per l’Italia l’industriale Alberto Pirelli, per la Francia il Primo Ministro Edouard Herriot, per l’Inghilterra il Ministro Neville Chamberlain “fratello del famoso Austen“, per la Germania Franz von Papen che era succeduto nella carica di Primo Ministro al grande statista Bruning.

 

L’argomento principale era il saldo delle riparazioni di guerra che la Germania doveva ancora pagare; tema che era stato già discusso nelle due Conferenze di Losanna nel 1922-1923 e ancora in quella di Londra nel 1922. Questa volta l’interesse e il pensiero dei partecipanti era quello di annullare definitivamente tale risarcimento come chiedeva la Germania; l’Italia e l’Inghilterra erano propensi ad annullare il debito, l’opposizione veniva sempre  dalla Francia che come già descritto, aveva maggiormente sofferto nella guerra 1914 -1918. Burrascose furono le discussioni, ma alla fine si arrivò ad un accordo: la Germania avrebbe pagato solo 2 miliardi di marchi oro contro i 50 richiesti nelle passate Conferenze. Un vero affare!

 

Mussolini caldeggiò ragionevolmente e apertamente la richiesta tedesca di azzeramento dei danni di guerra; con quello atto, che era condiviso anche da parte inglese, Egli volle dimostrare che infierire contro una Germania, in lenta e difficoltosa ripresa e per giunta con il nazismo ormai in casa, significava alimentare ancor più il malcontento del popolo tedesco, venendo così a creare un forte e pericoloso risveglio nazionalistico con conseguenti rivendicazioni; situazione futuribile che si verificò esattamemte qualche anno dopo; infatti, in quel periodo, la Germania attraversava un dissesto economico non indifferente e l’allora Cancelliere Bruning (non ancora dimissionario), sperava molto che gli alleati rinunciassero alla richiesta completa di riparazioni; quello atto di

generosità avrebbe aiutato la Germania a riprendersi dalla crisi. Purtroppo quanto sperato non avvenne e la conseguenza fu quella di fornire ai nazisti un arma propagandistica che subito sfruttarono

 

 

1932 CONFERENZA DI GINEVRA

 

Contemporaneamente alla Conferenza di Losanna se ne svolgeva un altra a Ginevra; anche qui erano presenti le stesse nazioni di Losanna. L’Italia era rappresentata da Pompeo Aloisi, il quale aveva avuto da Mussolini precise istruzioni di appoggiare ogni decisione inglese; la delegazione tedesca era guidata da Nadolny, uomo di fiducia di von Papen; essa era giunta a Ginevra con il preciso compito di trattare l’uguaglianza di “Status“ tra vincitori e vinti. Inghilterra e Italia appoggiarono subito tale richiesta, così come avevano sostenuto a Losanna l’azzeramento del debito di guerra; naturalmente la Francia, era contraria come sempre, ad ogni concessione alla Germania. Anche qui le discussioni  furono lunghe e dure; la Conferenza fu più volte sospesa e ripresa e i tedeschi, forti dell’appoggio inglese e italiano, quando abbandonavano per

consultazioni la Conferenza, nel rientrare in discussione aumentavano ancora più le loro pretese.

 

La Conferenza si chiuse con un solo vantaggio morale a favore dei tedeschi; quello di uguaglianza tra vincitori e vinti; lo “Status“ chiamato di “Mac Donald“ perché proposto dal Capo del governo inglese, permetteva ai tedeschi di poter avere un esercito di 500.000 uomini pari a quello delle nazioni vincitrici, quindi annullava di fatto parte delle dure clausole, imposte ai tedeschi dal Trattato di Versailles firmato il 28 giugno 1919. In quel Trattato  vi erano  altre condizioni che la Germania perdente doveva rispettare ma che non rispettò mai. Il Trattato di Versailles, negli gli articoli 42-43-44, imponeva alla Germania, oltre al disarmo delle sue frontiere che, dovevano essere “smilitarizzate” per una profondità interna di 50 Km. e per tutta la lunghezza dei suoi confini, di avere un esercito non superiore ai 100.000 soldati, composto esclusivamente da personale di carriera; per il naviglio, articolo 191, era tollerato solo il piccolo tonnellaggio; niente aerei da guerra, articolo 198, permessi soltanto alcuni velivoli da ricognizione per la sorveglianza del territorio, pochi aerei civili commerciali e scuole di pilotaggio sempre per uso civile; bandite tutte le industrie di guerra. Con gli articoli 100-106 veniva sottratta alla Germania la città di Danzica e parte di territorio della Prussia

Orientale; gli articoli 119-120 la privavano di tutti i suoi possedimenti coloniali

 

Veniamo ora a conoscere come i tedeschi, nonostante la presenza in Germania di una commissione alleata che doveva verificare il rispetto delle clausole imposte, riuscirono sin dal 1922, con abili sotterfugi ad armarsi. Artefici di quei stratagemmi furono i generali von Sèeckt e von Rathenau, divenuto questo ultimo nel 1924, capo del Ministero della Ricostruzione Civile che in effetti mascherava il Ministero della Ricostruzione Militare. In che cosa consistevano questi stratagemmi? Per l’aviazione, appena qualche anno dopo dalla fine della guerra, erano sorte in tutta la Germania numerose scuole civili di  pilotaggio per aerei a motore e a vela, consentite in quanto ritenute inoffensive dal Trattato di Versailles, scuole queste che in realtà erano sedi di addestramento per piloti militari; naturalmente nacquero centinaia di industrie per la costruzione di piccoli aerei civili e aerei commerciali, tanto é vero che dal 1924 al 1927 i tedeschi avevano la più grande flotta aerea commerciale di tutta l’Europa. Nel 1934 scadevano le clausole restrittive per la Germania, ma già, come sopra detto, queste non vennero mai rispettate e nel 1933, con l’avvento di Hitler al potere, quelle clausole divennero carta straccia, in quanto il nuovo capo della Germania non volle più riconoscerle e le industrie civili aeronautiche divennero di colpo industrie aeronautiche militari: gli aerei da civili si trasformarono con alcune modifiche in aerei militari e si procedette alla costruzione di aerei più potenti e sofisticati. Lo stesso stratagemma valse per la Marina: vennero costruite grandi navi da crociera e di conseguenza nacquero le industrie navali mascherate da stabilimenti civili. Si procedeva con questo ingegnoso sistema: venivano messe in cantiere un certo numero di grosse navi da crociera, naturalmente impostate in modo da essere trasformate al  momento opportuno in navi da

guerra; una parte di esse venivano lasciate incomplete nei bacini di carenaggio; anche queste, al diniego di Hitler di riconoscere il Trattato di Versailles, divennero formidabili incrociatori e corazzate e logicamente le industrie navali da civili furono trasformate in militari.

Per l’esercito i 100.000 soldati non erano altro che altrettanti ufficiali che in seguito verranno opportunamente trasformati in istruttori e comandanti di reparti ad ogni livello nella gerarchia militare. Vi era però un inconveniente: il Trattato non permetteva che il piccolo esercito potesse avere uno Stato Maggiore: anche in questo caso i tedeschi riuscirono a ingannare gli alleati con un altro ingegnoso sistema: gli ufficiali tedeschi che avevano combattuto nella guerra 1914-1918, ritornati alla vita civile, si erano costituiti in private associazioni di Arma; quindi fu facile farli riunire in seminari o convegni di ex combattenti dove senza destare sospetti, venivano addestrati allo studio di nuove discipline di guerra ( 5 )

 

Per curiosità storica: Alla firma del Trattato di Versailles oltre alla presenza delle potenze vincitrici, vi erano quelle “associate”, in effetti nazioni che avevano dichiarato guerra alla Germania ma non ne presero parte diretta come: Bolivia, Brasile, Cuba, Haiti, Cina, Panama e lo Stato serbo-croato-sloveno (Jugoslavia ).

  

Ci si domanda: esisteva una commissione di controllo? Si che esisteva; aveva inizialmente sede permanente in Germania ed era composta da delegati delle potenze vincitrici; in effetti svolgeva un controllo molto blando, infatti  mai  si era accorta di tutti quei preparativi di riarmo. Nel 1925 a seguito degli accordi di Locarno, essa fu ritirata dalla Germania e il controllo venne affidato alla Società delle Nazioni, con il compito di fare saltuariamente delle ispezioni: naturalmente queste tempestivamente venivano a conoscenza dei tedeschi che correvano immediatamente ai ripari. Nota comica, nel 1926 la Germania venne ammessa a fare parte della S.d.N. e logicamente le informazioni  sulle ispezioni furono più precise.

 

Dal 1922 al 1932 gli alleati avevano avuto la possibilità di fermare il riarmo tedesco ma non fecero nulla, salvo la Francia, che da sempre si era battuta per il disarmo, qualche volta appoggiata da Mussolini. La storia per questo atteggiamento così remissivo condanna in primo luogo l’Inghilterra o meglio alcuni dei suoi Governi.

Qualche altra  notizia sulla Conferenza di Ginevra; essa si chiuse il 14 ottobre del 1933 dopo oltre un anno, con un completo fallimento; la delegazione tedesca si ritirò definitivamente dietro ordine di Hitler che frattanto  era divenuto Cancelliere, quindi Capo del Governo: era il 24 marzo del 1933. Mussolini accolse con freddezza quella nomina anche perché, avendo proposto a Ginevra un “Patto a quattro” che vincolava Francia, Inghilterra, Germania e Italia ad una reciproca assistenza militare, alla parità degli armamenti per almeno un periodo 22di 10 anni, quindi un vero Trattato di pace; con il ritiro della Germania dalla Conferenza, quel Patto in questione fu un vero fallimento, da notare che il Patto era stato in precedenza approvato oltre che dalla Francia e Inghilterra  anche dal delegato tedesco naturalmente con l’approvazione del suo Governo. (6)

 

L’Ambasciatore inglese Sir Ronald Graham allora a Roma, scrisse nelle sue memorie, che Mussolini, quando il suo Patto andò a vuoto per il ritiro della delegazione tedesca, ebbe parole molto dure e furiose contro Hitler.

 

1934 -  Il 17 febbraio a Roma, Italia, Francia e Inghilterra  firmano un accordo a protezione dell’indipendenza dell’Austria. Un mese dopo sempre a Roma, Italia, Austria e Ungheria siglano un Patto di alleanza basato sulla reciproca assistenza militare qualora una delle tre nazioni fosse

stata attaccata da altra potenza non firmataria (netto riferimento alla Germania nazista).

A giugno si verificò un avvenimento politico nuovo: Mussolini incontrava a Venezia Hitler. L’accoglienza di Mussolini al nuovo Cancelliere del Reich fu molto fredda; gli argomenti in discussione furono ovviamente di politica internazionale. Il Capo del fascismo mise bene in evidenza che il Governo italiano teneva molto all’indipendenza austriaca; Hitler in quella riunione assicurò che la Germania non intendeva interferire nella vita politica dell’Austria.                                    

Un mese dopo quello incontro, il 25 luglio veniva assassinato a Vienna, da sicari nazisti, il Presidente austriaco Engebert Dollfuss che guidava un governo di coalizione; immediatamente in Austria scoppiarono delle rivolte fomentate da elementi nazisti, mentre Hitler si preparava ad invadere il territorio austriaco. Mussolini prese subito una ferma posizione a difesa dell’indipendenza di quel paese frenando così ogni velleità di Hitler; 3 divisioni italiane vennero schierate in assetto di guerra sul confine austriaco, dimostrando che l’Italia rispettava gli accordi firmati a febbraio con Francia e Inghilterra. Questo risoluto atteggiamento di Mussolini frenò le intenzioni del capo del nazismo che desistette in quella occasione dai suoi propositi di conquista. Quel gesto di forza del Capo del governo italiano venne accolto con favore e compiacimento dall’Inghilterra: possiamo dire che fu il primo scontro di forza di uno Stato europeo nella lotta contro Hitler per impedirgli di impadronirsi dell’Europa; certamente quella fu allora una sconfitta per il nazismo; purtroppo, cinque anni dopo, la Germania nazista aveva completato la conquista di buona parte dell’Europa. Nel 1934 con la morte per senilità del maresciallo

Hindenburg, Hitler assume anche la carica di Presidente del Reich e le inerenti prerogative di capo dello Stato germanico.

 

1935 - Fu l’anno in cui emersero contrasti internazionali e anche un cambiamento di rotta della politica italiana, preludio di quella catastrofe che qualche tempo dopo sconvolse il  mondo intero. Il riarmo clandestino della Germania era ormai diventato un fatto determinante, tanto é vero che Hitler non lo nascondeva più, anzi comunicava con orgoglio che la Germania possedeva una forza aerea militare che presto avrebbe superato in potenza e numero quella inglese; annunciò il ripristino obbligatorio del servizio di leva che il Trattato di Versailles gl’impediva. Dura la reazione di Francia e Italia, molto blanda quella inglese; comunque onde reagire alla evidente violazione del Trattato, che pur essendo scaduto nel 1934 era ancora tenuto in vita dalla Società delle Nazioni, Mussolini si fece promotore di un altra Conferenza, per discutere la nuova situazione, Conferenza che venne tenuta in Italia a Stresa.

 

Scorriamo brevemente gli avvenimenti che maturarono dall’inizio del 1935: dopo l’assassinio a Marsiglia (9 ottobre 1934) di Alessandro Re della Jugoslavia e del ministro degli Esteri francese Barthou, per mano di due anarchici croati; in Francia a sostituire il ministro assassinato, venne richiamato Pierre Laval, che nel 1931 era stato Primo Ministro e da sempre nutriva simpatia per Mussolini da questi ricambiato; naturalmente detta simpatia era rivolta anche alla nostra politica internazionale. Nel mese di gennaio, Francia e Italia firmarono a Roma

un patto di alleanza, consolidando così l’amicizia italo-francese. Con quello accordo la Francia riconosceva i diritti civili degli italiani di Tunisia, inoltre cedeva all’Italia  un tratto di deserto del Fezzan in Libia, un pezzo di territorio della Somalia francese ai confini con l’Eritrea, una partecipazione nella ferrovia Gibuti - Addis Abeba: in compenso l’Italia s’impegnava a seguire una politica di rigore nei confronti della Germania nazista.

 

Sempre nel mese di gennaio la Germania assorbì il territorio della Saar, ricca zona con giacimenti di carbone, anche se non vi fu alcuna azione di forza da parte tedesca in quanto la popolazione della Saar, in maggioranza tedesca, decise con un plebiscito di fare parte della Germania. Il Trattato di Versailles aveva tolto alla Germania sconfitta il territorio della Saar, affidandone l’amministrazione alla Francia, la riannessione dello Saar, secondo Hitler, sanava ogni ingiustizia.

 

1935 CONFERENZA DI STRESA

 

In quello anno, Benito Mussolini vedendo che ormai la Germania nazista non rispettava più i Trattati che proibivano il suo riarmo e lo aveva apertamente dimostrato, convocò una ennesima Conferenza a tre: Italia, Francia e Inghilterra, che ebbe luogo a Stresa sul lago Maggiore dall’11 al 14 aprile. Argomento delle discussioni sempre lo stesso: il disarmo della Germania e l’annullamento del progetto nazista di impadronirsi dell’Austria.

Francia e Italia sostenevano il concetto dell’aperta violazione da parte tedesca ai Trattati di Versailles, Locarno, Ginevra e Londra, quindi ne chiedevano la condanna. Ma la delegazione inglese capeggiata dal Primo ministro Mac Donald e dal Ministro degli Esteri John Simon fece capire che mai gli inglesi avrebbero accettato sanzioni contro la Germania: pare che dietro questo atteggiamento vi fossero da tempo, trattative segrete per un accordo navale tra i due Paesi.

La delegazione francese con il Primo ministro Flandin e il ministro degli Esteri Laval, non conoscendo certamente quei retroscena, si meravigliò per l’atteggiamento inglese e  propose  di portare la questione tedesca dinnanzi al Consiglio della Società delle Nazioni.

Mussolini, presente sempre nella duplice veste di Capo di governo e Ministro degli Esteri, appoggiò pienamente la proposta francese e pronunciò un duro discorso contro il riarmo tedesco, non risparmiando critiche verso l’atteggiamento inglese e riaffermando ancora la sua volontà di proteggere l’indipendenza austriaca da eventuali attacchi esterni, monito chiarissimo alla Germania di Hitler.

In quella sede Mussolini propose una singolare iniziativa: quella di togliere ogni restrizione militare ad Austria, Bulgaria e Ungheria, che erano state alleate della Germania durante la Prima Guerra mondiale, subendo anch’esse le clausole del Trattato di Versailles; la proposta però obbligava quelle nazioni a unirsi in un blocco militare centro-europeo anti-tedesco.

 

L’iniziativa di Mussolini venne accettata con entusiasmo dai francesi ma l’Inghilterra pose riserve, che portarono alla non attuazione del progetto: da

quella proposta italiana, chiaramente di posizione anti-tedesca e del contrario atteggiamento inglese incominciarono a incrinarsi i rapporti di amicizia con l’Inghilterra.

 

Il 17 aprile, due giorni dopo la chiusura della Conferenza, nonostante le ambiguità e le titubanze degli inglesi, la Società delle Nazioni decretava,  all’unanimità, la condanna del riarmo tedesco e riconfermava l’obbligo di non introdurre la leva obbligatoria in Germania (cosa che Hitler aveva già  ripristinato  qualche mese prima); contestualmente a tale decisione il Capo del governo italiano auspicava una azione di forza qualora Hitler avesse proseguito nel riarmo. Nonostante la ferma condanna della S.d.N., la Gran Bretagna firmò con la Germania gli accordi navali da tempo in gestazione. Nel parlamento inglese vi furono ripercussioni negative e lo stesso Winston Churchill  contestò apertamente tali accordi quando questi vennero proposti per l’approvazione: era il 21 giugno 1935.

 

Come si seppe dopo, quegli accordi stabilivano, anche senza il consenso degli alleati, che la Germania poteva costruire navi da guerra, ma non oltre le 10.000 tonnellate di stazza e in quantità non superiore a un terzo della flotta inglese; gli veniva così concessa la costruzione di 2 corazzate, di 11 incrociatori, 25 cacciatorpediniere e un numero di U.Boote non superiore ai 20 sommergibili. Ma anche in quella occasione i tedeschi ingannarono l’opinione pubblica internazionale, costruendo, prima due corazzate, la Scharnost e la Gneisenau, chiamate anche “corazzate tascabili”, che trasformarono poi in incrociatori pesanti, poco dopo vennero varate le corazzate Bismarck e Tirptiz, che raggiungevano le 45.000 tonnellate cadauna, quindi superavano  di gran lunga le 10.000 tonnellate stabilite dagli accordi. In quanto ai sottomarini, oltrepassarono in abbondanza la quota stabilita, tanto che nel 1940 i tedeschi ne possedevano ben 57, più della flotta subacquea inglese. L’ammiragliato inglese pur essendo venuto a conoscenza dell’inganno, non contestò nulla e attuò lo stesso gli accordi. Giustamente Churchill fece presente che autorizzare la Germania a costruire navi da guerra, sia pure per un terzo della flotta inglese, che allora era più potente e numerosa di quella di Francia e Italia messe insieme, avrebbe consentito a queste due nazioni di costruire, rimodernare e ampliare le loro flotte, ciò che in effetti avvenne.

( 7 )

Ecco quanto lo storico inglese R.B. Mac Gallum, scrisse sulla Conferenza di Stresa  “..............con la sua forza militare e con il suo governo forte e maschio, l’Italia assicura l’equilibrio del potere in Europa..........”

In ottobre due avvenimenti si verificarono in Italia; la guerra d’Abissinia e le conseguenti sanzioni sancite dalla Società delle Nazioni; due avvenimenti che suscitarono in Italia acclamazione per la guerra e rabbia per la presa di posizione dell’Inghilterra.

 

Il 3 ottobre Benito Mussolini denunciò alla Società delle Nazioni, alcuni incidenti che si erano verificati a Ual-Ual sul confine somalo-etiopico, chiedendo che il Negus manifestasse delle scuse per l’incidente e pagasse un indennizzo, riconoscendoci inoltre il possesso della zona; ma la S.d.N. condizionata pesantemente da Francia e Inghilterra, mai volle intervenire a sanare la questione, di conseguenza Mussolini ordinò alle truppe italiane di varcare i confini della Eritrea e della Somalia e iniziare l’occupazione della Abissinia. Dobbiamo riconoscere che gli incidenti di Ual-Ual, furono solo un pretesto anche se questi avvennero realmente: le vere ragioni erano da ricercarsi in fatti più nobili, quali il prestigio, la sicurezza, l’avere attivato una politica coloniale a livello internazionale ma credo che il fattore principale, al quale il popolo italiano teneva molto, era quello di riscattare due umilianti sconfitte: prima quella di Dogali del 20 gennaio 1887 in cui venne massacrata l’intera colonna del Ten.Colonnello De Cristofori ( 500 uomini ) che tentava di portare soccorso al nostro presidio di Saati (Dogali), assalita da bande di abissini al comando di Ras Alula; poi quella dal Negus Menelik II imperatore d’Etiopia inflittaci nel marzo del 1896 in Adua.

 

A ragione quindi, possiamo affermare che quella guerra non fu improvvisata ma aveva origini ben lontane fin da quando mettemmo piede in Africa sul finire dell’800. Forse farà bene al giovane lettore conoscere, sia pure con breve accenno, la storia della nostra penetrazione nel Continente nero.

 

L’Italia giunse in quel lembo d’Africa, che era la Baia di Assab sul Mare Rosso, ufficiosamente nel 1869, tramite la Società di navigazione genovese di Raffaele

Rubattino che con la mediazione e l’influenza del Missionario Giuseppe Sapeto acquistò, per 6000 talleri di Maria Teresa (moneta d’argento austriaca circolante in tutta l’Africa di allora), la Baia di Assab dal Sultano Ibrahim Ben Ahmed, capo indiscusso di quel territorio; a quei tempi 6000 Talleri corrispondevano a circa 30.000 lire italiane.

 

Sembra invece che il Sapeto fosse stato anche l’intermediario di Re Vittorio Emanuele II e avesse acquistato la Baia di Assab per conto del governo Italiano, mascherandolo come acquisto privato della Società Rubattino; questo perché l’Italia ufficialmente non voleva, in quei momenti, ostacolare gli interessi di Francia e Inghilterra in Africa.

 

La Società Rubattino amministrò quel territorio sino al 1879, quando il Governo italiano, ne riscattò il possesso, pagando alla Rubattino la somma di 416.000 lire, divenendo ufficialmente possessore della Baia e così da considerarsi e qualificarsi come potenza coloniale, alla stessa stregua di Francia, Inghilterra e Germania.

Dal piccolo porto di Assab, l’Italia iniziava una pacifica  penetrazione verso l’entroterra, acquistando sempre dal solito Sultano anche alcune isolette dinanzi alla Baia. A seguito della uccisione in Dancalia, nella zona di Caribull, dell’esploratore Gustavo Bianchi e di alcuni  soldati italiani che lo scortavano, il governo decideva allora di occupare il porto di Massaua, che come tutta la costa Eritrea, da quel porto sino al confine del Sudan, era sotto la giurisdizione del governo egiziano, il quale fece una blanda protesta ma nello

stesso tempo ritirò da Massaua il suo piccolo presidio, lasciandoci campo libero.

Con l’occupazione di Massaua nacquero le prime controversie con il Negus abissino Johannes I il quale essendo cristiano-copto aveva assunto quel nome; il Negus proclamava che tutto il territorio eritreo era dell’impero etiopico e non dello Egitto, quindi Massaua era sua proprietà e noi dovevamo sloggiare. Ovviamente non vi era alcuna intenzione da parte italiana di lasciare Massaua ed iniziarono le prime scaramucce che presto si trasformarono in vere battaglie, tanto che fummo costretti ad occupare tutto l’entroterra della città.

Alla morte di Johannes I avvenuta, il 10 marzo 1889 in combattimento contro i Dervisci musulmani ribelli, gli succedette Menelik II, Sovrano del territorio dello Scioà, ma che l’Italia aveva già riconosciuto quale Imperatore di Etiopia ancor prima della morte di Johannes I, con un Trattato segreto il 20 ottobre 1887. Menelik II se pur tozzo nel fisico, ambizioso e scaltro, era uomo di cultura e di idee moderne, non amava le guerre, fu uno dei migliori leader africani di allora. Con il Trattato di Uccialli, località in territorio etiopico, Menelik II riconobbe il nostro possesso di Massaua e parte del territorio del Tigrai; infatti l’articolo 17 di quel Trattato, delineava i nuovi confini dell’Eritrea sulla linea del Mareb e nello stesso tempo concedeva all’Italia alcune zone d’influenza commerciale in Dancalia e Tigrai che erano sotto la giurisdizione del Governo etiopico, inoltre quel Trattato consentì l’Italia di rappresentare diplomaticamente l’Etiopia alla Conferenza Internazionale di Bruxelles; come contropartita Menelik II pretese dall’Italia armi per il suo moderno esercito e una grossa somma in denaro.

Il Trattato di Uccialli, siglato il 2 maggio del 1889 dal conte Pietro Antonelli, nipote del Cardinale Giacomo Antonelli, in rappresentanza del governo italiano, venne ratificato a Napoli, il 1°ottobre 1889, in lingua amarica e italiana tra il capo del Governo italiano Francesco Crispi e Ras Makonnem delegato di Menelik II. Purtroppo qualche anno dopo, il governo etiopico denunciava il Trattato, in quanto sosteneva che l’Italia non aveva rispettato gli accordi dell’articolo 17, violando inoltre le zone di confine e sobillando i Ras della Dancalia e Tigrai a ribellarsi al Governo abissino, ma pare che la cattiva traduzione del testo del trattato, sia dall’amarico all’italiano e viceversa, abbia anch’essa generato altri contrasti per diverse interpretazioni; questi fatti sfociarono poi nella guerra italo-etiopica del 1892, finita tragicamente per noi ad Adua nel 1896.

 

Con la guerra d’Abissinia del 1935, la popolarità di Mussolini in Italia si era ingigantita, perché gli italiani avevano dato, senza riserve, il loro consenso e approvato con entusiasmo quella impresa; anche in Germania si ebbe una ondata di

plausi per l’Italia fascista mentre in Inghilterra, che era uscita sconfitta politicamente dal confronto con Mussolini per avere apertamente criticato quella guerra, il suo governo ci osteggiava, solo alcuni politici inglesi guardavano ora l’Italia con occhi direi benevoli.

 

Un breve cenno storico su quella guerra e di Ual Ual che ci dette il via alla conquista dell’Abissinia. La menzionata località era un posto di confine tra la Somalia e l’Etiopia, sorvegliata da appena 80 “Dubat” al comando di un nostro ufficiale; il compito di questo presidio era di presidiare i numerosi pozzi di acqua dolce che in passato erano causa di scontri tra le varie tribù che abitavano lungo quel confine, di conseguenza il governatore italiano della Somalia, onde evitare i continui scontri, decise di fare presidiare la zona che aveva il nome di Ual Ual e regolarizzare l’uso dei pozzi da parte delle tribù confinanti.

Verso la fine di ottobre del 1934, si presentarono a Ual Ual truppe abissine al comando del Deggiac Gabre Marian, che scortavano una commissione inglese-etiopica la quale doveva rettificare, secondo loro pretese, quel tratto di confine.

 

La commissione impose al comandante del nostro presidio di lasciare Ual Ual perché quella zona, nella nuova definizione dei confini, era ora sotto la giurisdizione dell’Etiopia; naturalmente il comandante italiano si rifiutò di lasciare il suo posto, a quel rifiuto i soldati etiopici aprirono il fuoco contro il nostro presidio, che fu costretto data la piccola consistenza ad abbandonare la zona; ma il 5 dicembre successivo, lo stesso presidio di “Dubat”, rinforzato da altra truppa e con l’appoggio di alcuni carri armati, riconquistò

Ual Ual; nella breve assenza degli italiani, gli scontri tra le tribù erano ripresi e continuarono fomentati dagli abissini. Analoghi scontri armati, tra opposte tribù, avvenivano anche ai confini dell’Eritrea, anche qui per questioni tradizionali di acqua, di pascolo e diffusa animosità, lotte che da secoli si susseguivano e che ancora oggi continuano.

 

Nota storica: i “Dubat” erano indigeni della Somalia italiana, arruolati in bande regolari al comando di un ufficiale o sottufficiale nazionale; pur non fregiandosi delle stellette furono soldati fedelissimi e valorosi. La loro divisa consisteva in tre semplici strisce di tela bianca, che essi si attorcigliavano una ai fianchi, una messa di traverso sulla spalla destra e l’altra veniva ad avvolgere il capo come turbante; l’armamento consisteva nel fucile Mod.91, ma la loro arma terribile era il famoso “billao”, il caratteristico pugnale somalo a due lame disuguali, in quanto una era a taglio netto mentre l’altra era dentellata. Il motto di questi reparti era “OVUNQUE PRESENTI”

 

La parola “Dubat” deriva dall’indumento che indossavano, infatti il turbante in somalo e conosciuto con il nome di “Dub”, mentre la tela con la quale essi avvolgevano i fianchi veniva  chiamata “At” sempre in lingua somala, unendo queste due parole ecco la denominazione di “Dubat”. ( FOTO N°4-5 )

 

La guerra di Abissinia ci costò 4.000 morti, di cui 2.000 tra ascari e dubat, con un impegno militare di 350 mila soldati nazionali, 87.000 indigeni, armati con 10.000 mitragliatrici, 1.100 cannoni, 250 carri armati e circa 350 aerei con una spesa per il nostro erario di 11 miliardi di allora.

Purtroppo fu una “conquista” che pagammo amaramente in quanto non riuscimmo mai a pacificare buona parte di quel territorio nei 6 anni di

nostro “dominio”, considerando oggettivamente che l’Inghilterra attivò la guerriglia in A.O.I. finanziando ribelli e predoni sino alla Seconda guerra mondiale.

 

Ora affrontiamo l’altro avvenimento: le sanzioni contro l’Italia. Subito dopo l’entrata delle truppe italiane in territorio etiopico, il Negus Hailé Selassié, figlio di Ras Makonnen, denunciò la violazione del suo territorio alla Società delle Nazioni, la quale, in base dell’articolo XVI del suo Statuto, applicò sanzioni economiche contro l’Italia.

 

In quella velleitaria decisione vi fu ancora una volta la mano pesante del ministro inglese Antony Eden che aveva sempre mal sopportato e osteggiato con personale intenzionalità la politica estera di Mussolini. Era il 10 ottobre 1935: delle 52 Nazioni che componevano il Consiglio della S.d.N., solo Austria,

Ungheria, Albania e Germania non votarono contro l’Italia. Le sanzioni imposero al governo italiano l’embargo di tutto quel materiale che poteva servire alla guerra, ad eccezione del petrolio, del carbone e la non chiusura del Canale di Suez; ciò ci permetteva di portare in breve tempo tutto il materiale occorrente per continuare la guerra. Da notare che gli U.S.A. con politica squisitamente affaristica, fornirono invece all’Italia, centinaia di ottimi trattori caterpillar che furono di grande e valido aiuto, specie in Somalia. Sul “caso Suez“ vi sono due versioni ambedue possibili e credibili; la prima da attribuirsi all’ambigua politica di pace condotta sino allora dai governi inglesi: in quel frangente il governo era presieduto da Sir Stanley Baldwin, il quale pur non nutrendo né antipatie né simpatie verso l’Italia a differenza del  ministro Eden, pensava che una forte restrizione di sanzioni e la chiusura del canale di Suez alle navi italiane (chiusura prospettata sempre da Eden), avrebbe potuto scatenare una guerra tra i due paesi. La seconda versione era militare, interessando sempre l’Inghilterra; in quel momento la Gran Bretagna non disponeva nel Mediterraneo di una forza navale tale da contrastare la superiorità della marina italiana; inoltre le navi inglesi ferme nelle basi del Mediterraneo come Alessandria, Malta e Gibilterra, scarseggiavano di munizionamento e non avevano cannoni antiaerei. (8)

 

Vi era anche un altro particolare che intimoriva gli Inglesi: la propaganda fascista aveva fatto circolare la voce che l’Italia possedeva piloti suicidi, una specie di Kamikaze, pronti in caso di guerra a lanciarsi con il proprio aereo, carico di potente esplosivo, sulle navi inglesi alla fonda nelle loro basi del Mediterraneo: gli Inglesi vi avevano creduto, anche se in realtà si trattò soltanto di un “bluff”.

Anche in quella occasione Churchill aveva fatto notare al suo governo il  pericolo in cui andavano incontro gli inglesi se avessero insistito nella chiusura del Canale di Suez; egli pronunciò in parlamento un caloroso discorso

contro una eventuale guerra e riguardo alle sanzioni, così si espresse “...volere delle pesanti sanzioni per l’Italia, porterebbe solo vantaggi alla Germania, in quanto Mussolini sarebbe così costretto a schierarsi nel campo avversario...”.

Questa profezia di Churchill si avverò appena un anno dopo soprattutto per l’incomprensione e la cecità dei governanti inglesi.

E’ vero che il Governo di Stanley Baldwin, anche con il parere contrario di Eden, si adoperò, dietro suggerimento di Churchill, affinché le sanzioni contro l’Italia fossero alleggerite, ma tale provvedimento non eliminò l’incomprensione che si era frattanto creata tra i due governi.

La Francia di Laval che non voleva inimicarsi l’Italia, aveva capito che non riconoscere la politica di Mussolini in Africa sarebbe stato un grave errore; propose quindi con il Ministro degli Esteri inglese, Samuele Hoare, un piano per risolvere pacificamente la guerra  in Abissinia.

 

Tale proposta che prese il nome dei due firmatari, venne denominata “Piano Hoare-Laval“; prima di passare all’approvazione dei parlamenti francese e inglese, venne sottoposta alla attenzione di Benito Mussolini, che dopo averla letta e portata a conoscenza del suo Governo, diede il suo placet favorevole !

Occorre riconoscere che Mussolini dette la sua approvazione al piano anglo-francese per due ragioni importanti in quei momenti: quando gli venne sottoposto il patto si era agli inizi di dicembre, e le nostre truppe si trovavano già in territorio etiopico da due mesi, ma erano ferme sulle posizioni conquistate perché erano iniziate le grandi piogge che rendevano impossibile l’avanzata  per le disastrose condizioni del terreno: quella forzata sosta inattiva, incominciava a creare, tra i vari comandi militari, oltre che inerzia anche malumori; la seconda ragione, consisteva nel finanziamento della guerra, l’Italia in quel momento era impegnata in un conflitto dispendioso, oltre che sul piano militare soprattutto su quello economico, in quanto assorbiva una grande quantità di denaro tendente sempre ad aumentare; Mussolini si era reso conto di quelle effettive difficoltà e di conseguenza arrivò all’accettazione del Piano “ Hoare-Laval “ ( vedi MAPPA N°3 a fine capitolo ).

 

Cosa proponeva quel Piano per risolvere pacificamente quella guerra ?  L’Italia otteneva parte del territorio etiopico e cioé tutta la Dancalia, il Tigré con Adua e Macalle (due località piene di sacri ricordi per gli italiani), tutto l’Alto Ogaden che veniva a fare parte della Somalia italiana ed ancora altra fetta del territorio dell’Oltre Giuba; in compenso il Governo italiano doveva riconoscere al Negus Hailé Selassié, uno sbocco sul Mare Rosso nella Baia di Assab nell’Eritrea italiana. Per l’Italia la proposta era vantaggiosa ma non lo fu per il Negus, che respinse il patto quando gli venne fatto conoscere.

 

Come verità storica è bene ricordare un particolare certamente a molti storici sconosciuto, che il Governo italiano di allora, in data 2 agosto 1928, aveva concesso al Governo etiopico, un “punto franco” nel porto di Assab per 130 anni, concessione che mai l’Etiopia usò. Inoltre veniva anche autorizzato al Negus di costruire una strada che da Dessiè, in territorio abissino, arrivava sino sulla costa del Mar Rosso in Assab,territorio dell’Eritrea italiana.              Anche questa concessione non venne attuata dagli abissini; quella “costruzione” fu fortemente osteggiata dall’ingegnere minerario inglese Ludovico Nesbitt, non è stato mai appurato il vero scopo di quell’ostruzionismo, eppure il Nesbitt era nato in Italia ad Albano Laziale, da madre italiana nel 1891; questi fu un esperto esploratore che conosceva profondamente la Dancalia, visitata lungamente con un altro esploratore, l’italiano Raimondo Franchetti, barone veneziano che morì tragicamente in un incidente aviatorio a sud del Cairo (Egitto) il 7 agosto del 1935.

 

Dopo la conquista dell’Etiopia, il Governo italiano nel 1939, realizzò in breve tempo la costruzione di una strada asfaltata di ben 870 Km. che da Dessie arrivava ad Assab sul Mar Rosso.

Il Piano “Hoare-Laval“ il 7 dicembre 1935, fu discusso ampiamente al parlamento inglese e nonostante l’opposizione del solito Eden, che stranamente in quel periodo aveva anche le funzioni di secondo ministro degli Esteri con le stesse prerogative di Hoare che ne era il titolare, venne accettato nella prima convocazione ma nella seconda convocazione del 18 dicembre fu inaspettatamente respinto. Il ministro Hoare per disappunto dette le dimissioni, ma passò a dirigere il Ministero dell’Interno. Il suo posto venne preso da Antony Eden che così divenne il titolare degli Esteri.

 

L’opposizione settaria e insensata a quel Piano da parte di Eden, che diverrà il nemico pubblico n.1 degli italiani, fu un grave errore della diplomazia inglese: forse, se fosse stato accettato, oggi la storia avrebbe un altro corso; quella bocciatura invece dette il colpo di grazia alla politica internazionale dell’Italia verso la Gran Bretagna e spinse Mussolini, come aveva previsto Churchill, ad allearsi controvoglia con la Germania, pur  non nutrendo simpatie nel nazismo.

La guerra proseguì e il 5 maggio 1936, il maresciallo d’Italia Pietro Badoglio entrava in Addis Abeba occupata, concludendo la guerra con l’Etiopia e Mussolini poteva così consegnare nelle mani del Re d’Italia l’Impero dell’A.O.I.

 

Il 9 maggio, il Duce dal famoso balcone di Piazza Venezia annunciava agli italiani e al mondo intero l’Italia imperiale.

 

1936 – In precedenza il 7 marzo Hitler, che ormai da tre anni aveva il potere assoluto in Germania, dichiarava ufficialmente che non intendeva più sottostare ai Trattati  di Versailles e di Locarno e dava disposizioni al suo esercito di rioccupare la Renania che era da sempre una regione (Land) della Germania: occupazione questa che si svolse senza spargimento di sangue. Frenetiche consultazioni ebbero subito inizio tra Francia e Inghilterra, che considerarono quella occupazione una “atto di aggressione”. Il Capo del governo francese Albert Sarraut e il ministro degli Esteri Flandin si trovarono d’accordo nell’usare la forza militare contro la Germania. I due uomini di Stato si recarono per ben due volte in Inghilterra onde convincere l’alleato inglese a intervenire con le armi, ma trovarono sempre blande promesse e il consiglio di rivolgersi alla S.d.N.; solo il ministro Austin Chamberlain, che ricopriva il ruolo di Cancelliere dello Scacchiere, aveva accettato favorevolmente il progetto francese di usare la forza militare, ma quando pronunciò, alla Camera dei Lords il discorso per un intervento armato inglese, si trovò innanzi a un muro di incomprensione; lo stesso Lord  Lothian  che era  Capo della Camera, rispose a Chamberlain che i tedeschi in fine dei conti rientravano in casa loro.

 

La Francia  si rivolse allora alla S.d.N. che subito impose alla Germania di evacuare la Renania, in caso negativo avrebbe trasmesso la questione alla Corte

dell’Aia che era stata costituita nel 1899, per risolvere senza appello ogni divergenza internazionale. La Società delle Nazioni rivolse un appello anche a Mussolini affinché convincesse Hitler a più miti consigli: Mussolini però nulla fece in quanto il suo  risentimento  verso la S.d.N. e l’Inghilterra  non si era ancora placato per le sanzioni che erano state imposte all’Italia.

Hitler da parte sua, non tenne conto delle minacce della Francia e proseguì imperterrito nella sua politica di graduale espansione territoriale; naturalmente egli giocò al “bluff“ in quanto ormai conosceva i tentennamenti dell’Inghilterra, pur sapendo che in quei momenti la sua potenza militare era di gran lunga inferiore a quella franco-inglese.

 

Un particolare non trascurabile su quelle vicende: la rioccupazione della Renania o meglio della “fascia“ smilitarizzata non fu bene accetta da parte di alcuni generali tedeschi con mentalità prussiana, che conoscevano bene i rischi di una guerra avventata con un esercito inferiore a quello nemico. Nel 1936 la Germania poteva contare su appena 40 Divisioni contro le oltre 100 della Francia e della sua alleata Cecoslovacchia che ne aveva altre 35 ottimamente armate e bene addestrate; tali forze avrebbero facilmente battuto quelle tedesche su tre fronti anche senza l’aiuto delle divisioni inglesi

 

Nel mese di febbraio–marzo, dello stesso fatidico anno, scoppiava la guerra in Spagna, altro tragico avvenimento che vedeva Italia e Germania unite nel combattere lo stesso nemico: il comunismo !

Le cause di quella guerra furono la crescente corruzione del governo repubblicano spagnolo, prettamente comunista, che aveva creato malcontento tra la popolazione con l’eliminazione fisica degli avversari politici, con vessazioni verso i benestanti e i cattolici, con stragi di sacerdoti, dissacrazioni di chiese e oltraggi, ma il malcontento più sentito fu soprattutto nell’esercito. La scintilla della insurrezione prettamente militare, scaturì a seguito dell’assassinio, da parte comunista, del deputato conservatore Calvo Sotelo. L’esercito spagnolo si ribellò, ad eccezione di alcuni reparti della marina che uccisero i loro ufficiali restando così nell’esercito repubblicano. Il generale Francisco Franco, allora comandante militare del Marocco spagnolo, postosi a capo dei militari “nazionalisti“ attaccò le forze governative repubblicane proclamando decaduto il governo spagnolo comunista, era il 17 luglio 1936.

 

La diplomazia europea entrò subito in azione proponendo il “non intervento“: aderirono Francia, Inghilterra, Italia, Germania e Russia che firmarono un accordo; ma ben presto quell’accordo si sciolse e tutti i firmatari, apertamente o con sotterfugi, aiutarono sia l’uno che l’altro dei contendenti.

Italia e Germania intervennero a favore di Franco apertamente, la Russia anch’essa apertamente, inviò armi e tecnici al governo repubblicano, mentre Francia e Inghilterra, mascherandoli come soccorsi umanitari, mandarono aiuti militari solo ai repubblicani. Il Ministro dell’Aeronautica francese Pierre Cot, non tanto segretamente, fece pervenire ai repubblicani aerei e personale aviatorio. Andarono a combattere in Spagna con l’esercito repubblicano anche  volontari (non tanti) comunisti italiani, addestrati in Russia, passati in Spagna attraverso la frontiera francese assieme a fuoriusciti antifascisti. 

L’Italia fu quella che s’impegnò maggiormente in aiuti, anche se all’inizio dello scoppio della guerra Mussolini si mostrò restio ad inviare anche soldati  (a onore della verità il generalissimo Franco aveva chiesto inizialmente solo armi); l’incertezza di Mussolini durò poco poichè quando venne a conoscenza che la Francia intendeva mandare aerei e armi al governo repubblicano, cosa che regolarmente attuò (come sopra citato), prese la sua decisione; prima inviò  3.000 Camicie Nere, che poi diventarono 10.000 e a fine dicembre 1936, i soldati italiani in Spagna arrivarono a circa 75.000, pari a 5 divisioni, con l’aggiunta di 700 aerei e l’apporto discreto ma reale della marina per operazioni belliche sulla costa spagnola. La cooperazione tedesca fu invece più limitata ma selettiva anche perché i generali tedeschi vedevano malvolentieri l’impegno di massa dell’esercito tedesco; Hitler mandò in Spagna alcune squadriglie aeree da bombardamento e da caccia nonché specialisti aeronautici e di artiglieria, riuniti nella Legione di volontari denominata “Legione Condor“; certamente Hitler approfittò di quella guerra per sperimentare l’efficacia e la potenza dei suoi aerei, ma soprattutto l’abilità dei suoi piloti e il comportamento in battaglia dei reparti d’assalto.

 

1937 - Mentre la guerra in Spagna era ancora in corso, nel mese di settembre si verificarono nel Mediterraneo alcuni incidenti; sottomarini sconosciuti affondarono alcune navi mercantili russe che trasportavano in Spagna, secondo quanto dichiarato dal governo repubblicano spagnolo, “viveri” e “medicinali” destinate al fabbisogno della popolazione civile; in realtà trasportavano armi russe. Ovviamente i sospetti caddero sull’Italia in quanto essa possedeva sommergibili non certamente su Franco che non ne aveva. Fu indetta sull’argomento una conferenza a Nyon con la partecipazione delle nazioni mediterranee, considerando che si ebbe un attacco anche a navi inglesi.

Durante le discussioni vi furono momenti di alta tensione contro l’Italia; si ebbe anche il pericolo che si scatenasse una guerra, ma vinse il buon senso da parte di tutti i convenuti; le cose si appianarono e l’Italia fu riconosciuta estranea a quegli incidenti. Nel dopoguerra, venne fuori la notizia che gli affondamenti furono eseguiti da sommergibili italiani, fra cui uno del comandante Junio Valerio Borghese).

Sempre nel mese di settembre Benito Mussolini fu invitato dal Fuhrer a visitare la Germania; i due Capi di stato s’incontravano  così per la seconda volta, dopo Venezia nel 1934. A Monaco il Duce ricevette un’accoglienza grandiosa che lo impressionò molto; andò poi a Berlino dove il Capo del fascismo pronunciò un discorso in lingua tedesca, dinanzi ad una folla di 800.000 berlinesi applaudenti (Mussolini parlava bene il tedesco, in quanto da giovane era stato insegnante di tedesco e di francese, ma conosceva e parlava anche inglese). Da quello incontro Mussolini ne uscì entusiasta; convinto dell’amicizia del Fuhrer e della potenza militare della Wehrmacht che gli venne presentata in azione nella grande parata di Meklemburg. Da quella visita, Hitler ne approfittò per allacciare un durevole rapporto di amicizia; il 6 novembre sottoscriveva con l’Italia un patto di amicizia denominato  “Asse Roma – Berlino”.

 

1938 - Fu certamente l’anno in cui si manifestarono avvenimenti tali da essere considerati, in seguito, fondamentali  della prossima  guerra.

 

Il 4 febbraio Hitler assumeva anche il Comando Supremo delle Forze Armate tedesche, così al potere politico aggiungeva quello militare.

 

Il 19 febbraio, per alcuni contrasti interni, il ministro degli Esteri inglese Antony Eden dava le dimissioni; l’acerrimo nemico di Mussolini e dell’Italia e soprattutto della politica internazionale italiana, non faceva più parte finalmente, del Governo inglese, il suo posto venne preso da Lord Halifax.

 

Il 20 febbraio il Fuhrer annunciava al mondo che la Germania intendeva riunire nel grande Reich tutte quelle popolazioni di origine tedesca che vivevano fuori dai confini della Germania: un chiaro ammonimento all’Austria, Cecoslovacchia  e Polonia, pur considerando la presenza anche in Italia di alloglotti Volksdeutschen in Alto Adige. Il giorno 11  marzo, Hitler iniziava l’occupazione

dell’Austria e il 13 marzo il famoso Anschluss era compiuto: l’Austria veniva incorporata nello Stato germanico; Mussolini questa volta non reagì, vedremo in seguito il perché. Hitler per quella mancata reazione fu molto riconoscente e lo dimostrò in un momento cruciale per Mussolini (liberazione del Capo del fascismo dalla prigionia sul Gran Sasso, da parte dei paracadutisti tedeschi) .

 

Nel mese di aprile il ministro degli Esteri italiano, il Conte Galeazzo Ciano e l’ambasciatore inglese a Roma, s’incontravano per dare inizio a quella politica di riavvicinamento voluta da Neville Chamberlain e ben vista da Mussolini. I punti stabiliti per quell’accordo di amicizia erano i seguenti: la Gran Bretagna s’impegnava a riconoscere ufficialmente l’annessione della Etiopia all’Italia che, come contropartita, doveva fare cessare quella propaganda anti-inglese che la stampa Italiana aveva da tempo montata; inoltre era previsto il ritiro di un certo numero di reparti militari italiani che erano stati dislocati in Libia alla frontiera egiziana e convalidare ancora, il rispetto dello “Status quo“ nel Mediterraneo, la possibilità da parte inglese di usufruire delle acque del lago Tana in Abissinia che regolamentavano il corso del Nilo azzurro in Sudan, attivare inoltre il reciproco controllo delle difese militari, che italiani e inglesi avevano attuato lungo i confini Egitto - Libia e Sudan - Eritrea; ma il

punto chiave al quale il Governo inglese teneva moltissimo era il ritiro delle truppe italiane impegnate nella guerra civile spagnola ancora in corso.

 

Il piano dell’accordo fu sottoposto per l’approvazione a Mussolini, in linea di massima il Duce dette il suo parere favorevole ma pose due condizioni: una, che Russia e Francia ritirassero anche loro le forze di specialisti, di aerei, di piloti e di reparti armati che ancora combattevano in aiuto del governo comunista repubblicano spagnolo; l’altra era che prima di ritirare le truppe italiane dalla Spagna, l’Inghilterra doveva riconoscere la sovranità italiana sulla Abissinia considerando oggettivamente che nel 1938 ben 16 Nazioni le quali facevano parte della S.d.N., avevano già riconosciuto giusta la nostra impresa militare in Etiopia. Naturalmente le richieste italiane portarono a lungo le discussioni sugli accordi che poi fallirono; quel Piano italo-inglese per la lunga durata, prese il nome di “Accordo di Pasqua “.

 

Dal 3 al 10 maggio Hitler visitò nuovamente l’Italia; arrivò accompagnato da von Ribbentrop, da Goebbels e Hess e con un seguito di circa 500 personalità, tra generali, ministri e giornalisti; nella forma l’accoglienza fu grande, con imponenti parate militari e la grande rivista navale a Napoli, ma nella sostanza  vi fu freddezza sia da parte del Re Vittorio Emanuele III, notoriamente antitedesco  e  soprattutto antinazista, sia da parte del Papa Pio XI, causa le leggi razziali applicate da Hitler in Germania che perseguitavano gli ebrei. Il Papa onde evitare un incontro con il Fuhrer, si ritirò a Castel Gandolfo e fece chiudere tutti i Musei vaticani. Analoga antipatia e freddezza si manifestò anche tra alcuni alti gerarchi fascisti, come Italo Balbo, De Bono e lo stesso Ministro Ciano, che non mostrò grande entusiasmo per quella visita.

 

A maggio ebbe inizio la crisi cecoslovacca: vi furono frenetiche consultazioni  tra Daladier, Capo del Governo francese, il suo Primo Ministro Bonnet e Neville Chamberlain, Primo Ministro inglese.

 

Ormai in Cecoslovacchia il partito nazista locale aveva preso il potere nella regione dei Sudeti, rivendicata dalla Germania; il legittimo governo cecoslovacco di Benes, che per quieto vivere aveva fatto larghe concessioni ai nazisti cecoslovacchi di Henlein, non si sentiva più sicuro e si rivolse allora al governo inglese, affinché venisse in suo aiuto per la critica situazione che si era determinata, ma ricevette solo vaghe promesse e il consiglio di concedere il plebiscito popolare per la regione dei Sudeti. La Francia che sin dal 1925 aveva firmato un Trattato di alleanza e reciproca assistenza militare con la Cecoslovacchia, era titubante a muoversi. Un analogo Trattato la Cecoslovacchia lo aveva con la Russia, ma questa aveva salvato la faccia  dichiarandosi, sì disposta ad aiutarla in caso di aggressione ma solo inviando aerei in quanto, dicevano i russi, per mandare truppe in Cecoslovacchia essi dovevano attraversare a nord il territorio polacco e a sud quello della Romania e Ungheria, certamente quegli Stati, per non inimicarsi la Germania, non avrebbero consentito il passaggio nei loro territori di truppe sovietiche. Così la Cecoslovacchia venne lasciata sola al suo destino, né una Conferenza riuscì a salvarla dalle mire tedesche.

 

CONFERENZA DI MONACO

 

Il 30 settembre 1938 si riunirono a Monaco in Germania i capi della diplomazia europea: per la Francia Daladier, per l’Italia Mussolini, per l’Inghilterra  Chamberlain, per la Germania lo stesso Hitler; assenti (non invitati) la Cecoslovacchia e la Russia. Anche qui lunghe e travagliate furono le discussioni: ogni delegazione propose un piano, ma nessuna di queste riuscì a convincere Hitler dal desistere dall’occupazione della regione dei Sudeti rivendicata dalla Germania. Mussolini, intuendo che le mire espansionistiche di Hitler dopo l’Austria non si sarebbero fermate alla sola regione dei Sudeti, si adoperò, con tutto il suo abituale impegno, per risolvere quella ennesima questione

che minacciava nuovamente la pace in Europa e nella veste di mediatore propose al presidente della Cecoslovacchia, dopo avere avuto assicurazioni da Hitler che non avrebbe occupato tutto il paese, di concedere, onde evitare la guerra, l’autonomia al territorio dei Sudeti, la cui popolazione era nell’80% di origine tedesca. Si trattava ovviamente di un compromesso ma non era certamente il pensiero perverso di un “guerrafondaio”.

Purtroppo la sua proposta, sempre per i tentennamenti inglesi, non ebbe buon esito, la Conferenza si chiuse con il solo vantaggio della Germania nazista e la Cecoslovacchia venne lasciata sola al suo destino.Il 1° ottobre mentre si discutevano ancora le varie tesi, l’esercito tedesco, dietro ordine di Hitler, varcava il confine cecoslovacco e iniziava la penetrazione nel territorio dei Sudeti. Con l’annessione di quella parte della Cecoslovacchia e con l’Austria, la Germania incorporò nel grande Reich ben 10.000.000 di altri cittadini di origine tedesca (i cosiddetti Volksdeutschen), che andarono ad ingrossare le file dell’esercito ed a incrementare i lavori nelle industrie belliche. La Conferenza si chiuse con un nulla di fatto e a tutto vantaggio della Germania nazista.

 

E’ vero che il Governo di Daladier era propenso ad intervenire militarmente  ma venne frenato dall’opinione pubblica che non voleva sentir parlare di guerra poichè, le sofferenze di quella del 1914 -1918 erano ancora vive.

 

Ecco una statistica, delle forze opposte che si sarebbero trovate di fronte in caso di conflitto alla data del 1°giugno 1938: la Francia, come già detto,  poteva mettere in campo 115 divisioni, di cui 5 di cavalleria e 2 motorizzate, la Cecoslovacchia di 35, modernamente armate con materiale di guerra tra il più sofisticato, erano armi che in quei momenti nessuno altro esercito europeo possedeva (da ricordare che la Cecoslovacchia aveva le famose fabbriche Skoda, che producevano cannoni e fucili tra i più perfetti del mondo), l’Inghilterra di 26 divisioni e ne aveva altre 29 in allestimento, la Polonia disponeva di 30 divisioni attive più 10 di riserva e ancora 12 brigate di cavalleria, quindi come si può notare una forza armata considerevole.

 

Di contro la Germania disponeva di 60 divisioni di cui 4 corazzate, ma era in grado di completarne in brevissimo tempo altre 36; ad esse si aggiungevano 12 divisioni fornite dall’Austria, anche se male armate. Di questo stato di inferiorità si resero conto i generali tedeschi i quali fecero presente a Hitler che una invasione del resto della Cecoslovacchia, avrebbe certamente scatenato una guerra e la Germania, in quel momento, non era ancora pronta a sostenere l’urto delle forze francesi - cecoslovacche e inglesi.

 

Quel tentativo di convincere Hitler a desistere nell’invasione della Cecoslovacchia venne considerato dallo Staff nazista un complotto; compromessi ne furono: il generale von Bock, allora Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, i generali Halder, Brockdorff, Hoepner e il Conte von Helldorff.

 

Hitler quando venne a conoscenza su quanto si tramava a suo danno con quel complotto, lo stroncò sul nascere ma non fu così spietato come agì in seguito con i congiurati del 1944, che furono tutti eliminati fisicamente; con questi dissenzienti si limitò ad allontanarli dall’esercito, ma dopo qualche anno li richiamò in servizio quando attaccò la Russia, inviandoli su quel fronte; solo

il generale Halder si salvò dalla Russia in quanto fu nominato Capo di Stato Maggiore dell’esercito; uno solo di quei congiurati non venne punito in quanto, scoperto si suicidò: era il generale von Bock.

 

Durante il processo di Norimberga in cui erano implicati gerarchi e generali nazisti, Halder dichiarò che nel 1938 se Francia e Inghilterra avessero dichiarato guerra alla Germania questa avrebbe capitolato, in quanto non aveva l’esercito pronto a sostenere una guerra e i generali avrebbero estromesso Hitler dal potere.

 

1939 - Altro anno carico di avvenimenti tragici e decisivi che in parte interessarono l’Italia. Ormai era palese che la minaccia di una guerra si avvicinava pericolosamente; la Francia non sperava più in una soluzione pacifica, la stessa sensazione la provava il popolo inglese, salvo qualche eccezione di alcuni suoi ministri; l’Italia si era ormai affiancata apertamente alla Germania.

 

Sempre in Inghilterra come sopra detto, pochi erano quelli che credevano ancora che colloqui diretti potevano scongiurare la guerra, tra questi in particolare il Primo Ministro Neville Chamberlain, il quale sul finire del 1938 e nei primi mesi del 1939, per ben tre volte si era recato in Germania incontrando Hitler per dissuaderlo d’intraprendere iniziative che mettessero in pericolo la pace in Europa; in ogni incontro il Fuhrer faceva promesse di pace che poi non manteneva.

 

In gennaio, Chamberlain era ancora convinto che un contatto diretto con Mussolini avrebbe portato a un miglioramento della situazione internazionale, eccolo quindi a Roma ove venne accolto con tutti gli onori spettanti a un Capo di Stato anche se Mussolini, come scrisse Ciano nel suo diario, non fu molto entusiasta di quella visita.

 

L’amicizia e la simpatia che Chamberlain nutriva per Mussolini lo portò a un  punto tale di fiducia da far pervenire al Duce copia del discorso che egli avrebbe pronunciato alla Camera dei Comuni di Londra, per riferire l’esito dell’incontro con il capo del Governo italiano. Nonostante quell’atto di cortesia, apprezzato da Mussolini, la politica di avvicinamento con l’Italia  non ebbe effetto. ( FOTO N°3 )

 

In verità lo scopo di quella visita era una chiara mossa di Chamberlain per allontanare da Hitler un futuro alleato; ma anche Hitler non fu da meno; é documentato che la missione compiuta a Parigi, dal Ministro degli Esteri tedesco von Ribbentrop, che ebbe un lungo colloquio con il collega  francese Bonnet, non fu altro che un tentativo di portare la Francia a staccarsi dalla Gran Bretagna così da isolarla; ma anche questa operazione non riuscì.

 

Il 15 marzo, truppe tedesche penetrarono in Cecoslovacchia occupando Praga e istituendo il “Protettorato di Boemia e Moravia“ affidato dal Fuhrer al nazista Heidrich che sostituiva von Neurabh. Il Premier inglese Chamberlain annunciò la fine della tolleranza diplomatica.

 

Il 7 aprile Mussolini, per non essere da meno di Hitler, sbarcava in Albania e in pochi giorni la occupava, defenestrando Re Zog che stranamente, prima chiese asilo politico all’Italia ma poi preferì la Grecia.

 

Sempre in aprile il feldmaresciallo del Reich Hermann Goering venne in visita ufficiale in Italia per illustrare a  Mussolini  e a Galeazzo Ciano, la linea di condotta della Germania nei riguardi della Polonia, allora nelle mire tedesche; é provato che la ragione principale di quella visita, verteva sì ad un rafforzamento di amicizia ma soprattutto a creare una vera alleanza militare.

 

Il 22 maggio il ministro degli Esteri italiano Ciano e quello tedesco von Ribbentrop firmavano a Berlino il famoso “Patto d’Acciaio“ che suggellava l’alleanza  militare  tra Germania e Italia.

Qualche giorno dopo la firma del Patto, Mussolini scriveva a Hitler una lettera che faceva recapitare a mezzo Ciano, nella quale esortava Hitler a non intraprendere alcuna azione di guerra prima del 1942, anno in cui l’Italia  sarebbe stata pronta militarmente, sia come esercito che come armamenti, per affiancarsi in guerra con la Germania.

 

Mussolini aveva ormai capito che la guerra era inevitabile, visto anche che la Germania oltre ad avere completato l’occupazione di tutta la Cecoslovacchia, aveva invaso, dietro accordi con la Lituania, anche  il territorio di Memel, era il 22 marzo del 1939. ( 9 )

 

Il Fuhrer di quella lettera non ne tenne minimamente conto e prosegui nelle sue minacce di conquista, questa volta a danno della Polonia; argomento di contestazione la “città libera” di Danzica. ( 10 )

 

A seguito della poca considerazione che Hitler ebbe per quella lettera, il Duce ne fu veramente contrariato e si disse molto preoccupato di tale politica tedesca nei riguardi di un alleato; approfittando di quello stato di tensione, alcune eminenti personalità del fascismo e dell’esercito, che non vedevano di buon occhio una alleanza con la Germania nazista, fecero pressione su Mussolini affinché si allontanasse da Hitler; tra i promotori, oltre a Ciano, vi erano  Balbo, De Bono, Grandi, Bottai e l’antitedesco Federzoni; per l’esercito i marescialli d’Italia, Pietro Badoglio e Rodolfo Graziani; favorevoli invece alla alleanza con la Germania, furono i gerarchi Roberto Farinacci e Achille  Starace. Dietro queste insistenze e con la pressione di Ciano, Mussolini venne solamente convinto a dichiarare, il 1°settembre 1939, l’Italia “Stato non belligerante“. (  11 )

 

Fu una forma di protesta consentita che non ebbe però molto effetto su Hitler, convinto della potenza militare della Wehrmacht.

 

Il 1°settembre alle ore 4,45 truppe tedesche iniziavano l’occupazione della Polonia; naturalmente la diplomazia tedesca si era al riguardo premunita, assicurandosi  la neutralità della Russia con un accordo tra von Ribbentrop e il russo Molotov, firmato il 23 agosto 1939. L’accordo prevedeva la spartizione della Polonia; così mentre i tedeschi attaccavano da Ovest, i russi a loro volta iniziavano l’occupazione da Est.

 

Nota curiosa: il Presidente americano Franklin  Delano Roosevelt, volle farsi garante di una pace in Europa e inviò a  Hitler un messaggio, esortandolo a non proseguire in una politica di “aggressione“ per almeno dieci anni e invitando Mussolini a convincere Hitler alla pace.

 

Immediatamente dopo l’aggressione alla Polonia, i governi di Francia, Inghilterra, Australia e Nuova Zelanda, il 3 Settembre 1939, dichiararono guerra alla Germania, iniziandola di fatto e motivandola a loro dire, dall’invasione della Polonia. L’URSS che aveva ugualmente iniziato a invadere la Polonia, venne “risparmiata” da critiche e dall’offensivo titolo di “invasore”.

 

L’Italia  essendosi dichiarata “Non belligerante“ rimase fuori dal conflitto ma per poco tempo; infatti il 10 giugno 1940 entrava in guerra affiancandosi alla Germania contro gli alleati.

 

Non appena il 2°conflitto mondiale ebbe termine, la stampa nazionale ed estera, gli storici improvvisati che subito spuntarono come funghi, i politici venuti fuori dalle ceneri del fascismo tutti animati da faziosità, furono lesti nell’accusare il Capo del fascismo quale responsabile, insieme a Hitler, delle distruzioni che quella lunga guerra portò al mondo intero ma soprattutto in Europa.

Altre accuse furono e sono ancora rivolte a Mussolini; per prima quella di avere condotto la  Nazione in una guerra non sentita né voluta dal popolo italiano e per giunta nella più completa impreparazione, di avere commesso molti errori militari nelle sue guerre “inutili”, inoltre quella di avere voluto fare una guerra in Abissinia, per sete di conquista e soffocare la libertà del popolo etiope e ancora colpe per le inutili guerre di Spagna, Albania, Grecia, Jugoslavia e per ultima quella di Russia.

 

Inizio a difesa della verità, con il contestare quanto  alcuni storici hanno scritto, affermando che quella guerra non fu sentita né voluta dal popolo Italiano che ne subì atrocemente le conseguenze nei 58 mesi di belligeranza, dei quali ben 19 combattuti sul nostro territorio e con l’Italia divisa in due, occupata da eserciti  stranieri  e finita con una lotta fratricida, che per la sua faziosità ci portò ad una instabilità politica - sociale che perdura ancora oggi.

 

Certamente vi fu una parte di italiani che non approvarono la guerra  soprattutto perché combattuta a fianco della Germania nazista; erano anziani che avevano visto e vissuto la Prima Guerra mondiale subendone le conseguenze; a questi aggiungerei quel gruppo di fasulli intellettuali che sotto il fascismo non contavano nulla e quindi non erano riusciti ad “arraffare“ privilegi ed onori; poi veniva una sparuta schiera di quella aristocrazia secondaria, a mio avviso di presunti blasonati; infine gli antifascisti e la classe dei “traditori“ di professione, che l’Italia ha sempre sfornato nella sua millenaria storia. Chi ebbe fede e credo incondizionato alle ragioni che ci portarono alla guerra fu la gioventù italiana, quella gioventù sana che accorse al grido di richiamo della Patria; migliaia di giovani partirono volontari: io fui uno tra quelli; questi  giovani onorarono l’Italia su tutti i fronti.

 

Per la nostra impreparazione alla guerra, sono perfettamente d’accordo su quanto venne e viene scritto in merito, anche perché confermata da storici che meritano questo nome; nel capitolo seguente mi soffermerò ampiamente su questa impreparazione.

 

Passando all’argomento delle presunte soffocazioni della libertà del popolo etiope, iniziate con la guerra in Abissinia, vorrei ben porre in evidenza che l’occupazione della Etiopia non fu fatta per distruggere l’indipendenza di quel popolo ed eliminarne la libertà: anzi apportammo ordine e benessere in quello immenso territorio, ove l’arretratezza e la povertà erano fattori inconfutabili; lo stesso Ras Tafari prima che diventasse Imperatore con il nome di Hailé Selassié ne riconobbe l’esistenza, tanto é vero che lo fece presente durante il suo discorso tenuto alla Società delle Nazioni, nel settembre del 1923, quando l’Etiopia fu ammessa a farne parte.

 

Per quella guerra si accusò e si accusa ancora Mussolini di avere aggredito l’Etiopia, senza preavviso, con un pretesto “fasullo”, per sete di conquista, per depredarla delle sue ricchezze naturali; questa accusa non regge, in quanto Mussolini se avesse voluto aggredire l’Etiopia avrebbe potuto attuarla con facilità gia nel 1930, quando in Etiopia erano scoppiate delle rivolte contro il governo di Addis Abeba, condotte da Ras Gusga Ouele nel ricco territorio del Goggiam a sud del lago Tana. Sarebbe stato allora facile per il Duce correre in aiuto dei rivoltosi, tanto più che l’aiuto era stato richiesto da Ras Gusga che nutriva simpatie per l’Italia.    

 

Alcuni  storici  asseriscono  che le ricche  miniere di ferro, zolfo, sale, oro, platino e piombo che il Governo del Negus poco sfruttava, erano il vero obiettivo di Mussolini; questa tesi potrebbe avere la sua credibilità in quanto alcuni di detti minerali mancavano all’Italia che era costretta ad importarli da altre nazioni; altra tesi, era quella di eliminare la disoccupazione, inviando in quei territori migliaia di italiani bisognosi di sicuro lavoro e un migliore futuro per loro e famiglie, assicurando a quelle manovalanze e maestranze ottimi guadagni; per questa ultima tesi avrei qualche dubbio in quanto in Italia,in quel periodo la disoccupazione era stata quasi del tutto eliminata; comunque accetto queste opinioni ma resta sempre in me la convinzione, che il Capo del fascismo volle dare all’Italia, oltre l’Impero, anche un grande prestigio internazionale ma soprattutto un più sicuro avvenire al popolo.

 

Sempre al dire di quella stampa prezzolata, anti-italiana e anti-fascista, la vittoria italiana in Etiopia fu dovuta essenzialmente all’uso indiscriminato  dei gas, ai bombardamenti di indifesi villaggi e ospedali, alla “ferocia del soldato italiano” che eliminava i feriti e i prigionieri bruciandoli con i lanciafiamme, ancora con più crudeltà erano descritti i massacri di donne e bambini; a queste infamanti accuse del tutto infondate, anche se è stato accertato che l’Italia in quel periodo possedeva bombe e granate di artiglieria caricate a gas iprite e arsine, come le possedeva l’Inghilterra che ne fece uso contro la rivolta dei Curdi nel 1930  e anche nel 1935 contro gli agfani per domare una loro rivolta. L’utilizzazione delle armi chimiche furono usate per la prima volta dai tedeschi nel 1918 sul finire della Prima Guerra Mondiale, fu una strage, vennero lanciate sulle linee alleate bel 2.500 tonnellate di gas iprite; solo nel 1925 la Società delle Nazioni interdiceva l’uso delle armi chimiche e batteriologice, molte la Nazioni, tra queste l’Italia, accettarono il non uso di dette armi ma diverse Nazioni ignorarono tale decisione. Comunque nonostante quella proibizione voluta dalla S.d.N. tutte le Nazioni firmatarie custodivano dette armi nei loro depositi. Come sopra detto da certa stampa diffamatoria e anti-italiana l’Italia usò, per tutta la durata della guerra in Etiopia, bombe a iprite e granate a arsine che ne anticiparono la vittoria questo è un falso,     quella guerra che era già vinta in partenza dato il moderno armamento delle  nostre truppe; per onestà storica devo riconoscere che l’esercito italiano si usò iprite e arsine ma solamente due volte per giusta ritorsione in quanto nella battaglia dell’Amba Aradan sul fronte Nord, ove gli abissini usarono proiettili dirompenti, i famosi Dum-Dum, erano pallottole che quando colpivano l’avversario esplodevano nel suo corpo spappolandolo, infatti erano stati proibiti dalla S.d.N.; la seconda volta sul fronte del Sud ( Somalia ), quando venne accertato che la truppa abissinia massacrava i prigionieri e mutilava ( evirazione )anche  i cadaveri. A giustificazione di quel uso chimico, cito la giusta reazione espressa da due autorevoli personalità che parteciparono a quella guerra quali la M.O.V.M. Generale Angelo Bastiani e il noto giornalista Indro Montanelli che così scriveva sul “Giornale Nuovo“ in data 14-4-1983 “...sappiamo benissimo che indietro non si torna e i sogni di restaurazione non sono che sogni, ma siamo stufi di arrossire o fingere di arrossire del nostro passato coloniale, il soldato italiano non ha nulla da vergognarsi per le sue guerre africane...”

 

Vorrei porre al lettore una mia osservazione: perchè il Negus, quando rientrò in Etiopia dopo la nostra sconfitta, non accusò l’Italia di averlo combattuto usando i gas? Eppure avrebbe avuto tutto l’interesse di accusarci per giustificare la sua sconfitta, invece mai ne fece cenno al mondo, anzi trattò con umanità e protezione gli italiani, che nonostante il triste epilogo dell’Impero della Africa Orientale Italiana erano rimasti in quella terra.

Nella schiera di questi denigratori emerge, nel tradizionale livore anti-italiano, lo storico inglese Denis Mack Smith, il quale rincara la dose attaccando alcuni  generali che combatterono in quella guerra, come il generale De Bono che definisce un adulatore di Mussolini e sempre secondo lo Smith, lo qualifica come militare con poca esperienza di combattente e quando fu inviato in Etiopia, al comando delle truppe italiane operanti, “commise” enormi danni con azioni militari sbagliate, tanto che venne sostituito con Badoglio. Denigrare così un ottimo generale che non fu certo un adulatore, pur facendo parte del famoso Quadrumvirato del Fascismo formato da: Michele Bianchi, Italo

Balbo, Cesare Maria De Vecchi, Emilio De Bono, a mio giudizio non é leale, non é corretto che  storici poco seri esprimano giudizi e dicerie malvagie su nostri prestigiosi generali. La vera ragione di quella sostituzione fu il lavorio dietro le quinte di Badoglio, che aspirava a quel comando e non é da sottovalutare la rivalità che correva tra le due personalità; altro generale preso di mira dallo Smith fu Rodolfo Graziani, al quale attribuì una spietata conduzione di quella guerra, con stragi di inermi etiopici, dimenticando che lo stesso Graziani fu vittima di un attentato terroristico e ne uscì gravemente ferito con centinaia di ferite da schegge per tutto il corpo.

 

Al riguardo possiamo citare le stragi di boeri fatte dagli inglesi, su poveri coloni di origine olandese, che si erano inseriti nell’Africa Meridionale, essi lottarono disperatamente per ben 29 mesi ( 1899-1902 ) a difesa della loro indipendenza, contro le forze inglesi, alla fine dopo inutili massacri dovettero abbandonare il loro territorio.

 

Lo Smith nel suo libro “Le guerre del Duce“ scrive peste e corna anche su tutto l’apparato del fascismo, asserisce che i gerarchi fascisti erano tutti arrivisti, i nostri diplomatici degli incapaci, gli uomini di cultura, nella maggioranza ignoranti e presuntuosi, non risparmia i giornalisti i quali, sempre secondo lo Smith, pur di fare carriera scrivevano quello che Mussolini voleva per elogiare il fascismo; inorridisco nell’apprendere che uno storico, quale lo Smith si autodefinisce, possa avere scritto cose così false e orrende e mi meraviglio che i suoi libri circolano in Italia. E’ invece risaputo che da sempre alcuni storici inglesi, si considerano come “vendicatori storici” col compito di annullare, denigrare, alterare la verità per ridimensionare l’Italia a modesto paese europeo privo di orgoglio e capacità gestionale.

Potremo, volendo, parlare a lungo di scandali dalla classe politica inglese e dei suoi regnanti. Non lo facciamo per serietà.

Ed ora il mio pensiero su quelle “inutili” guerre, di cui viene accusato Mussolini., d’accordo che alcune di esse furono “inutili” e che il Duce commise degli errori militari, ma perché addossare dette colpe solo al capo del Governo

e non agli uomini che lo circondavano come consiglieri militari? Vedi sempre Badoglio e il suo “Staff”. Ad onore della verità debbo ammettere che Badoglio non condivise l’entrata in guerra dell’Italia contro la Francia, ma di questa sua presa di posizione è da far conoscere che egli era filo francese, amico personale del maresciallo di Francia Gamelin e questa sua simpatia era risaputa. E’ anche vero che Badoglio non approvò l’attacco alla Grecia, ma è da ricordare che fu Capo di Stato Maggiore Generale dal 1925 a fine 1940, quindi avrebbe dovuto contestare, sia la nostra im...preparazione alla guerra che l’entrata nel conflitto, non lo fece se non subito, dette le dimissione a fine dicembre 1940 solo dopo la disfatta in Grecia.

Iniziamo con la guerra di Spagna che per alcuni di questi storici fu considerata solo come un impegno gravoso del nostro esercito soprattutto per la difficile situazione economica in cui venne a trovarsi l’Erario, già dissanguatosi con la guerra in Abissinia, quindi guerra “inutile”; ma a mio avviso essa invece impedì l’affermazione nel Mediterraneo e nell’Europa sud occidentale del bolscevismo, facendo inoltre conoscere con grande anticipo sui tempi gli orrori dei comunisti con i loro metodi di governo. Oggi c’è una profonda revisione storica di quegli

eventi. Ecco perché non considero quella guerra inutile o come errore militare l’intervento italiano voluto ideologicamente dal Capo del Governo, anche dal fatto che gli italiani ritennero giusto che Mussolini, apertamente anticomunista, corresse in aiuto del generale Franco, che si era ribellato al Governo repubblicano comunista di Juan Negrin. L’aiuto a mio parere, fu certamente eccessivo e di conseguenza impegnativo, inoltre a fine guerra fummo generosi con il generale Franco, permettendogli di consolidare l’armamento del suo esercito onde avere sicurezza nel governo del paese; gli lasciammo 517 aerei, un grande numero di automezzi e carri armati e quasi tutta l’artiglieria; quel poco di materiale militare che rientrò in Italia era ormai così mal ridotto da non essere più riutilizzato. Lo storico Nino Arena nel suo libro inchiesta, già citato, conferma che con il materiale lasciato in Spagna avremmo potuto armare molte nostre divisioni, anche se quello armamento era obsoleto; ma le artiglierie e tutto il materiale di armamento ed equipaggiamento di cui le -nostre divisioni in servizio nel Regio Esercito non erano anch’esse obsolete?

 

Una nota storica molto interessante: durante il corso del Secondo Conflitto, quando fu chiesto al generale Franco, da parte dei Governi italiano e tedesco, di permettere il passaggio di truppe tedesche per una eventuale occupazione della base inglese di Gibilterra, il generalissimo Francisco Franco, allora reggente il potere in Spagna, si rifiutò adducendo motivi di neutralità e di precarie condizioni del suo esercito in quanto, accondiscendendo al passaggio di truppe, avrebbe rischiato di essere coinvolto in quella guerra che non era in condizioni di sopportare. Un “sacro egoismo” comune a molti governanti.

Questo rifiuto amareggiò molto Benito Mussolini, lo stesso governo inglese stigmatizzò l’operato di Franco, considerandolo una mente fredda ed egoista, per nulla grato a Mussolini e a Hitler per l’aiuto che aveva ricevuto durante la guerra civile spagnola, ma la Spagna, con quel rifiuto, si salvò anche se venne lungamente emarginata e messa sotto accusa dagli alleati. ( 12 )

 

Resta comunque assodato che il nostro intervento in Spagna lasciò un grande vuoto nelle Casse dello Stato e nel nostro armamento militare.

 

Guerra di Albania: ecco, a mio giudizio un errore militare e purtroppo una guerra “inutile” di Benito Mussolini, quando il 7 aprile 1939 ordinò all’esercito d’iniziare l’occupazione di quel territorio: certamente non fu una conquista di espansione territoriale né tanto meno fu oppressa la libertà di un popolo; come sopra accennato sin dal 1926 l’Albania era sotto l’influenza italiana e quindi l’Italia aveva una certa ingerenza negli affari nazionali e internazionali del governo albanese; inoltre la grande maggioranza della popolazione albanese guardava all’Italia con simpatia: le ragioni  furono  ben  altre, ma prima un breve cenno storico sul perché della nostra ingerenza nella politica albanese. Nel corso della Prima Guerra mondiale (1914-1918) le truppe italiane occuparono l’Albania che allora faceva parte dell’Impero Ottomano, alleato con la Germania; con il Trattato di Versailles, l’Albania veniva posta sotto amministrazione militare italiana, questo dal 1918 al 192O; dopo tale data sino al 1926, in Albania si susseguirono governi provvisori che non davano stabilità al paese, anche perché in continua guerra con la Jugoslavia per questioni di confine; solo nel luglio del 1926, venne firmato a Parigi da Francia, Inghilterra, Grecia, Jugoslavia, Giappone, Italia e Albania, un accordo che definiva la nuova delimitazione di frontiera tra Albania e gli Stati confinanti, all’Italia fu affidato il compito di fare rispettare i confini. Il 27 novembre sempre del 1926, venne firmato a Tirana un accordo bilaterale, di “amicizia e sicurezza” tra il Governo italiano e quello albanese, in effetti fu un vero protettorato, così l’Albania veniva a fare parte attiva della nostra politica nazionale e internazionale, con grande contrarietà della Francia e Jugoslavia che vedevano così perdute le loro mire su quel territorio.

 

Nel dicembre del 1928, il Governo italiano facilitò l’instaurazione di una monarchia, aiutando il capo tribù Ahmed Zog, che già nel dicembre del 1924 si era ribellato al governo albanese di Fan Noli, conquistando il potere e proclamando, nel dicembre 1925, la repubblica di Albania divenendone presidente; ma Ahmed Zog essendo uomo ambizioso e volendo un potere assoluto, dopo pochi anni di repubblica, nel 1928 la trasformò, con il consenso italiano, in monarchia costituzionale e si auto-nominò Re di Albania per se e i suoi discendenti.

 

L’occupazione dell’Albania irritò il governo inglese; lo stesso Neville Chamberlain, che aveva sempre visto con occhio benevole la nostra politica internazionale, si associò alla presa di posizione del governo inglese; solo Lord Halifax, da ministro degli Esteri approvò l’occupazione, sostenendo che essa era la conclusione militare che poneva fine a un protettorato (gli inglesi erano maestri in questi giuochi, vedi il protettorato dell’Egitto trasformato poi in occupazione militare, e così per l’India e la Palestina ).

 

Quali le vere ragioni che ci condussero ad invadere l’Albania? Non furono certamente militari ma politiche-economiche: infatti in quelle regioni il petrolio ebbe il suo posto importante. Sin dal periodo di quel protettorato i

rapporti ufficiali con il governo albanese, ma soprattutto con Re Zog, procedevano in buona armonia, addirittura nostri ufficiali facevano parte dell’esercito albanese come istruttori e comandanti; purtroppo agli inizi del 1938 e sino ai primi mesi del 1939 questi rapporti peggiorarono per intrighi  della Casa regnante; infatti Re Zog non tenendo conto degli accordi commerciali con il governo italiano, che aveva l’assoluta precedenza su tutte le contrattazioni commerciali, aveva preso impegni con compagnie francesi e inglesi, soprattutto con la Anglo-Persian Oil Company, per lo sfruttamento dei pozzi petroliferi che si trovavano in territorio albanese; ovviamente da parte italiana vi fu una dura reazione verso il governo inglese, che giustificava quelle concessioni, mentre ammoniva il governo albanese, di annullare ogni trattato con francesi e inglesi; Re Zog non dette ascolto e continuò nei contatti con quelle compagnie. In quel periodo la nostra politica estera con  Inghilterra e Francia non godeva di buoni rapporti ed era evidente che Mussolini mirasse a contrastare l’ingerenza franco-inglese nei Balcani, ma temeva anche una eventuale concorrenza della Germania che aveva anch’essa mire in quel settore.

 

Certamente quelle controversie, con un Mussolini abile politico, si sarebbero potute risolvere attraverso i canali diplomatici e non con una guerra, sia pure breve e con pochissime vittime; qui consiste l’errore militare di Mussolini, che con quella conquista volle mostrare, più alla Germania che alle altre Potenze Occidentali, che l’Italia era una nazione militare temibile da tenere in considerazione; la dimostrazione credo che abbia avuto poco effetto sia sul piano politico sia su quello militare per vistosi errori tecno-logistici commessi.

 

Ed ora descriviamo le altre “inutili” guerre che se non fossero avvenute, la guerra in Africa Settentrionale avrebbe avuto altro corso; se tutto quel potenziale di uomini e di materiale bellico perduto in Grecia, Jugoslavia e Russia fosse stato mandato in Libia, il fronte bellico più importante, certamente non avremmo perduto la guerra così drasticamente, nonostante i sacrifici e il valore del soldato italiano.

 

Elenco brevemente quanto impegnammo su quei tre fronti partendo da quello greco. Alla data del 28 ottobre 1940, iniziarono le operazioni militari in Grecia; sul confine greco-albanese avevamo schierate, 6 divisioni di fanteria, una divisione alpina e una corazzata (Centauro) che contava, oltre ai normali battaglioni di fanteria, 3 battaglioni di bersaglieri, 3 battaglioni carri armati L.3 e 37 carri lanciafiamme; le 8 divisioni con una forza di 70.000 uomini, posti sotto la guida del generale Visconti Prasca, iniziarono quella guerra, che al dire di Galeazzo Ciano, doveva essere una passeggiata, invece si dimostrò subito disastrosa per il nostro esercito; i greci riuscirono a cacciarci oltre il confine albanese. La reazione di Mussolini fu terribile, tanto da  sostituire il generale Visconti Prasca, accusandolo della disfatta; al suo posto venne  messo il generale Soddu, ma anche egli venne sostituito  con il generale Cavallero, il quale riuscì a fermare l’avanzata dei greci e passare al contrattacco, grazie all’invio urgente dall’Italia di due Armate, la 9^ e la 11^, per un complessivo di 12 divisioni di fanteria più 4 divisioni di alpini. Questa forza umana venne rinforzata con 24 mila automezzi, oltre 400 aerei, 1.400 cannoni di vario calibro, 80 carri armati M.13 e L 3, 24 cannoni contraerei. le perdite umane furono disastrose, in appena 6 mesi di quella guerra avemmo 39.000 morti, 63.240 feriti, 52.1O8 tra congelati e ammalati per i disagi del terribile inverno greco. Il disastro sarebbe stato di gran lunga superiore se non fosse intervenuto l’esercito tedesco a salvarci da quella tragica situazione, nonostante l’eroico comportamento dei nostri soldati che pur con scarsi mezzi e l’inadeguato vestiario invernale, seppero tenere testa, per oltre sei mesi a un esercito, piccolo, ma addestrato ai combattimenti in alta montagna; inoltre con un morale, specie quello dei suoi generali, altissimo anche perché combattevano per difendere la loro terra.

 

Un particolare storico significativo: pare che Hitler quando apprese da Mussolini che le truppe italiane avevano attaccato la Grecia, ebbe uno scatto di ira, in quanto la sua diplomazia era in contatto con quella greca per accordi

circa l’uso di basi militari che sarebbero serviti alla Germania per certe operazioni nel Medio Oriente.

Nonostante il famoso “Patto di Acciaio” che legava militarmente l’Italia alla Germania nazista, dove ogni decisione militare doveva essere approvata da ambo le parti, Mussolini questa volta non ne tenne conto e agì senza consultare Hitler; qui non posso dare torto a Mussolini per avere agito all’insaputa dell’alleato, in quanto Hitler mai interpellò Mussolini sulle sue iniziative belliche.

Altro particolare sconcertante in quella guerra che durò 6 mesi, fu la mancanza di coordinamento tra aviazione ed esercito, tra artiglieria e fanteria, oltre alle manchevolezze su ogni livello di servizi, specie quelli logistici-  sanitari; ancora da segnalare le vicissitudini, della divisione corazzata Centauro, la quale allo inizio delle operazioni venne tenuta come riserva e in seguito, quando la situazione incominciò a diventare critica, invece di usarla come grande Unità corazzata, venne frazionata a tronconi che furono inviati nei punti più pericolosi del fronte. (13)

 

D’accordo che la presenza di una G.U. corazzata sul fronte greco-albanese, non era del tutto appropriata in quanto doveva agire su terreno prevalentemente montuoso, con scarse strade rotabili. Un tentativo di usare in forze i mezzi corazzati della Centauro a quota 731, tenuta dalla divisione Siena, si tradusse con la distruzione di alcuni carri armati M.13, ciò probabilmente giustifica del perché la Centauro venne scorporata, ma non giustifica l’averla impegnata in Grecia, viste le difficoltà del terreno; il suo posto era invece in Africa Settentrionale.

 

La campagna con la Jugoslavia iniziata nell’aprile del 1941, ebbe termine su quel fronte, alla data dell’8 settembre 1943, ma la tragica odissea dei nostri soldati e dei civili italiani andò avanti sino al 1947: pochi i fortunati che riuscirono a rientrare in Italia, molti a guerra ultimata finirono nelle foibe o morirono di stenti nei campi di sterminio iugoslavi.

 

In Jugoslavia inviammo la 2^Armata, comandata dal Generale Vittorio Ambrosio, che nel corso della guerra venne sostituito dal generale Mario Roatta a sua volta sostituito dal generale Mario Robotti che aveva comandato, sempre in Jugoslavia, l’XI Corpo d’Armata. La 2^ Armata suddivisa in 5 Corpi d’Armata era composta da 16 divisioni di fanteria, più altri reparti non divisionali per un complessivo di 400.000 uomini, con 26.300 automezzi, 4.200 trattori, 60 carri armati M.13 e 220 L.3: numericamente poderosa l’artiglieria anche se obsoleta, così composta: 1620 cannoni di vario calibro, 2.100 mortai da 45 mm. e 820 da 81 mm., 86.000 quadrupedi, con la partecipazione di oltre 480 aerei. Tutto questo materiale bellico all’atto dell’armistizio venne catturato in parte dagli slavi e il rimanente dai tedeschi; secondo le stime calcolate dallo storico Nino Arena, gli iugoslavi, con il nostro materiale catturato, riuscirono ad armare due nuovi Korpus partigiani in Jugoslavia e uno nella Venezia Giulia.

 

I caduti italiani nella campagna di Jugoslavia, prima dell’8 settembre, furono 11.362, i feriti 15.16O e i dispersi 9.391; le perdite più cruente si ebbero purtroppo dopo l’8 settembre con un complessivo di 71.000 tra caduti e dispersi; ai caduti del dopo 8 settembre, bisogna aggiungere 5.242 soldati della Repubblica Sociale Italiana (R.S.I.) che erano stati schierati a difesa dei nostri confini della Venezia Giulia. I civili di etnia italiana pagarono crudelmente il loro attaccamento alla Patria, ufficialmente si calcola, con approssimazione, che tra caduti e dispersi si supera la cifra di 27 mila ma i conti non tornano, poiché secondo le testimonianze degli esuli dalmati-istriani si arriva a 50 mila.

Fu grave errore politico-militare di Mussolini, che poteva lasciare ai tedeschi il compito della occupazione di quel vasto territorio, il quale faceva gola, non solo alla Germania ma anche alla Bulgaria e Ungheria che in effetti parteciparono con le loro truppe all’occupazione. Dopo qualche mese dall’inizio di quelle operazioni, intervennero i tedeschi che ci salvarono da una disastrosa situazione militare, lasciando all’esercito italiano il compito di controllare parte della Croazia e Slovenia e tutta la costa della Dalmazia sino a Ragusa, ma la guerra partigiana degli jugoslavi ci causò gravissime perdite umane.

 

Passiamo ora alla campagna di Russia, questa fu si una guerra “inutile”, la più  disastrosa iniziata nel 1941, certamente non richiesta inizialmente dai tedeschi ma semplicemente voluta da Mussolini, non per presunte necessità militari, come quelle di Grecia e Jugoslavia, ma per un principio ideologico e politico, poiché solo nel 1942 vi fu una esplicita richiesta tedesca di aiuto militare. Fu un altro disastro che ci costò oltre 84.000 morti e dispersi, 30.000 feriti e congelati; una buona parte dei caduti era deceduta in prigionia; enorme danno umano su una forza di 280.000 soldati che vennero impegnati in Russia, di cui 80.000 erano alpini.

 

Come perdita di materiale da guerra, abbandonato a seguito della tragica ritirata, occorre registrare 11.300 automezzi, oltre 4.000 motomezzi, un migliaio di cannoni e un numero imprecisato di aerei; lo  storico Nino Arena ci precisa che la cifra  esatta fu di 119 aerei perduti. Durante la ritirata, nel coraggioso tentativo di salvare il maggior numero di feriti da trasportare in Italia, perdette la vita il comandante del Corpo aereo italiano, il generale Enrico Pezzi, il suo aereo venne abbattuto con un carico di feriti.

Il primo Corpo di Spedizione Italiano in Russia (C.S.I.R.) al comando del generale Messe, fu inviato in URSS nel luglio del 1941 e operò sino all’agosto del 1942; aveva un supporto di 62.000 uomini, 3.500 automezzi, 1.550 motomezzi, 4.600 quadrupedi; purtroppo anche in questa spedizione, che doveva essere compiuta con i mezzi più moderni di nostra produzione, l’artiglieria era composta con i soliti cannoni da 47/32 controcarro che difficilmente riuscivano a fermare l’aggressività dei carri armati russi T34 da 32 tonnellate, mentre noi mettevamo in linea ancora i carri armati L3 da 3 tonnellate.

In agosto del 1942 lo STAMAGE decise d’inviare in Russia un Corpo più consistente, addirittura  l’8^Armata, al comando del generale Gariboldi, che lasciato il comando della 10^Armata in Libia era passato ad un alto incarico durante la guerra di Grecia; tale armata venne ad affiancarsi al CSIR che scompare come sigla, assumendo quello di Armata Italiana in Russia (ARM.I.R. ); così la forza militare dell’8^Armata aggiunta a quella del CSIR raggiunse i 280.000 uomini con 16.700 automezzi, 4.700 motomezzi, 25 mila quadrupedi, 60 carri armati L3 e L6, mentre l’artiglieria era composta da 722 cannoni obici, 19 semoventi da 40, 874 mortai da 81 e Brixia da 45, 266 pezzi controcarro Breda Ansaldo da 47/32, 224 mitragliare Breda 65 e ancora 1742 mitragliatrici Fiat 35 e Breda 37 e 2.657 fucili mitragliatori Breda; tutto questo materiale andò perduto durante la terribile ritirata.

L’intervento italiano in Russia venne giustificato ideologicamente e materialmente, onde compensare quale segno di gratitudine, l’intervento tedesco in Grecia prima e in Libia dopo; comunque resta sempre un terribile errore militare non solo di Mussolini ma anche di quelle alte cariche militari che eseguivano alla lettera i suoi ordini, anche se sbagliati, senza ribellarsi o quantomeno avere il coraggio di dimettersi in disaccordo fra esigenze politiche e strategiche, praticando invece, il complotto, il tradimento, il sabotaggio alla nazione in guerra.

 

Indubbiamente in quasi tutte le campagne di guerra intraprese, vi furono degli errori militari non solo di Mussolini ma come sopra già detto, anche di chi gli stava attorno e lo consigliava militarmente; purtroppo Mussolini non sempre ascoltò i pareri di validissimi generali che fecero in guerra il loro dovere e molti caddero alla testa delle loro truppe: il lettore ne conoscerà le gesta e i nomi nel capitolo sulla guerra in Libia.

 

Il Capo del fascismo non fu certamente uno stratega militare ma era soprattutto un abile e ineguagliabile politico, anche se commise l’errore di accentrare tutto il potere militare nelle sue mani; era Ministro della Guerra, aveva tutti

i Ministeri militari e in ultimo era anche capo Supremo delle Forze Armate, carica che per lo Statuto Albertino spettava al Re, ma Mussolini dopo la conquista dell’Abissinia, aveva assunto anche il titolo di 1°maresciallo dell’Impero che lo metteva sullo stesso piano gerarchico del Re Vittorio Emanuele III; pare che il Re non avesse gradito la nomina di Mussolini a 1° maresciallo dell’Impero ma non avendo la possibilità, per limiti di età, di visitare le truppe nei vari fronti come capo Supremo delle Forze Armate, di conseguenza fu costretto ad accettare l’alta Carica del Duce, affidandogli anche la delega di comandante Supremo su tutti i fronti.

 

Ora proviamo a contestare quanto certi “storici“ hanno scritto paragonando Mussolini a Hitler accusato di crimini contro l’umanità. L’accusa più grave viene sempre dall’inglese  Denis Mack Smith che ancora nel libro “Le Guerre del Duce“ a pagina 89 così scrive...” quando le operazioni militari in Etiopia ripresero, Badoglio usò una tattica molto più spietata di De Bono. Ordini espliciti di Mussolini imponevano all’esercito italiano di ricorrere, se necessario, ad ogni mezzo, dal bombardamento aereo indiscriminato su ospedali e villaggi, all’impiego su vasta scala di qualunque gas e addirittura alla guerra batteriologica (assolutamente falso e offensivo), naturalmente come da precisi ordini di Mussolini, queste azioni dovevano essere tenute segrete...”

Come documentazione lo Smith dichiara, che parte di quelle notizie le aveva  apprese da un articolo di un certo Angelo Del Boca, anche questo a mio avviso penna senz’altro rancorosamente antifascista e aggiungerei anti-italiana; articolo apparso sul quotidiano “Il Giorno“ del 12 novembre 1968... come si vede tra compari non si tradisce. A titolo di cronaca aggiungo che il Del Boca ha scritto ben 6 libri sulle nostre guerre africane, pur costretto ad ammettere che qualcosa di buono facemmo in quelle guerre, poi si lascia trascinare da suo anti-fascismo, scrivendo calunnie, fantasie, menzogne, peste e corna e, ancora a mio avviso, infangando l’Italia e l’esercito italiano. Merita soltanto disprezzo e inaffidabilità.

 

Sono congetture che reputo inaccettabili in quanto, frutto di dicerie non veritiere e falsate storicamente anche se questi scrittori hanno cercato altrove di documentarle, consultando gli archivi delle parti a noi avverse; io a riprova posso ancora portare le dichiarazioni delle due eminenti personalità che come sopra già accennato, parteciparono a quella guerra: uno il noto giornalista Indro Montanelli, con il grado di sottotenente, l’altro la Medaglia d’Oro al Valore Militare, Angelo Bastiani, divenuto poi generale e Presidente Nazionale delle M.O.V.M. d’Italia, allora sottufficiale al comando di un Reparto indigeno, che hanno rilasciato ampie dichiarazioni smentendo i due scrittori sopra menzionati; il Generale Bastiani partecipò a tutte le operazioni di guerra in Abissinia dal 1935 al 1941 ma non ebbe mai notizie di questi fatti.

Ancora oggi certe “penne” ricalcano quanto hanno scritto lo Smith e il Del Boca, falsando la storia, classificando noi carnefici e gli altri vittime, noi fucilatori di inermi capi, i nostri soldati massacratori di donne e bimbi,  mentre nessun accenno agli eccidi commessi dai ribelli etiopici. Da quanto scritto da questi “storici”, venne fondata, l’accusa a Mussolini di crimini contro l’umanità.

Le stragi inglesi in India per reprimere le varie ribellioni, soprattutto la inaudita carneficina dei Cipai o Cepoys (soldati indiani al servizio inglese ) che si erano ribellati, non sono mai menzionate. Pochi, ad esempio, parlano delle orrende stragi della RAF su Dresda e Lipsia, dove centinaia di migliaia di innocenti civili furono bruciati con le bombe al fosforo. Ma per questi assassini non ci fu nessuna Norimberga.

 

Sempre le stesse “penne“, mettono sullo stesso piano Hitler e Mussolini, circa  il disumano trattamento degli ebrei; complice di Hitler, il Capo del fascismo  volle invece scimmiottare le leggi razziali applicate dal Capo del nazismo nei confronti degli ebrei ma non arrivò mai al loro sterminio.

 

In Germania il problema ebraico invece fu molto feroce e crudele, le persecuzioni iniziarono già dal 1933, con uccisioni di esponenti ebraici nel mondo politico e della cultura; lo stesso von Rathenau, che fu uno degli esecutori della ricostruzione armata della  Germania sin dal 1922, venne ucciso perché di origine ebraica, i negozi degli ebrei vennero distrutti. Con l’approvazione della famosa Legge di Norimberga, il Parlamento tedesco dichiarò il non godimento dei diritti civili e politici al cittadino tedesco di origine ebraica, i medici e tutti i professionisti ebraici vennero isolati, ogni ebreo doveva applicare sul bavero della giacca o del cappotto la stella gialla di Davide, come riconoscimento di non appartenenza alla razza ariana.

 

Il 10 novembre del 1938, nella cosi detta “notte dei cristalli“ si ebbe il culmine, con saccheggi nelle abitazioni civili e nei negozi degli ebrei, vennero bruciate le sinagoghe da bande naziste e nessuna punizione si ebbe per quei criminali; dal 1940-42 avvennero le deportazioni di massa nei disumani campi di concentramento  e dal 1943 al 1945 la “soluzione finale“: risultato 6 milioni di ebrei eliminati dai nazisti tedeschi.

 

Questi orrori in Italia non furono mai compiuti durante il periodo del Governo fascista; la Legge del 6 ottobre 1938, emanata dal Gran Consiglio del Fascismo e logicamente avallata da Mussolini quale capo del governo, dichiarata come “Legge per la purezza della razza ariana”, si limitò all’allontanamento dai pubblici uffici degli impiegati di origine ebraica, così anche nelle scuole per gli insegnanti e gli alunni; i professionisti furono obbligati a istituire un loro albo professionale, vi fu la requisizione di qualche grossa proprietà immobiliare, il cittadino italiano di origine ebraica non portò mai alcun distintivo che segnalasse la sua diversità, i negozi degli ebrei non subirono alcun danno. Vi furono delle eccezioni a quella ingiusta e vergognosa Legge: i cittadini di origine ebraica classificati  come “Benemeriti della Patria“ non subirono  alcuna  restrizione, come anche chi aveva antenati combattenti nelle guerre del nostro Risorgimento o per chi era stato combattente nella Prima Guerra Mondiale, nella guerra di Abissinia e di Spagna, altro beneficio per coloro che si erano iscritti al Partito Fascista prima del 1922.

   

Come il lettore può notare, quella legge pur discriminante e settaria non fu disumana, cosa che invece contestano certi “storici“, a mio giudizio Mussolini non commise alcun crimine contro i cittadini italiani di origine ebraica, che da secoli vivevano in Italia pacificamente e con laboriosità; la maggiore parte di essi risiedevano a Roma.

 

Se vi furono delle deportazioni, queste avvennero dopo l’8 settembre 1943, quando a seguito di un ignobile armistizio i tedeschi occuparono Roma; di quelle deportazioni non si può addossare alcuna colpa a Mussolini: il Fascismo era finito in Italia il 25 luglio del 1943.

   

Rimanendo in argomento, richiamo all’attenzione del lettore un fatto (cui ho già accennato in un altro mio libro sulla Libia), che desidero far conoscere; il maresciallo dell’Aria Italo Balbo, Governatore Generale della Libia, quando assunse quella alta carica, nominò quale comandante dell’Arma dei Carabinieri della Libia il generale Ivo Levi che era di origine  ebraica  e non lo destituì neanche quando venne emanata quella vergognosa legge razziale; anzi Balbo si ribellò e fece sì che pochissimi degli oltre 25.000 ebrei che vivevano in Libia venissero colpiti dalle disposizioni impartite da Roma; vennero licenziati solo pochi anziani impiegati, ormai vicini alla pensione e sempre per sue disposizioni ottennero, oltre gli arretrati degli stipendi che erano stati sospesi appena emanata la legge anti-ebraica, anche la pensione. A coloro che furono licenziati  e che avevano intenzione di continuare a lavorare in privato,  si permise di ottenere licenze per svolgere attività in proprio; a onore della verità bisogna riconoscere che alcuni alti gerarchi del fascismo la pensavano come Italo Balbo; i nomi: il Ministro Teruzzi, il maresciallo d’Italia De Bono e Giuseppe Bottai che fu ministro dell’Educazione Nazionale.

 

Altra accusa rivolta a Benito Mussolini sempre da certa stampa servile, fu quella di avere scatenato una guerra così catastrofica  insieme a Hitler; anche questa accusa ha fondamenta false, Mussolini non volle la guerra, é assodato che più volte e in tutte le Conferenze Internazionali fu promotore di proposte di pace. Come già evidenziato precedentemente nella descrizione della politica internazionale del fascismo, che va dal 1922 sino alla conferenza di Monaco nel 1939, ci si rende conto che non fu Mussolini il colpevole, ma Hitler e i tentennamenti  pro Germania dei Governi inglesi che si erano susseguiti dal 1935  sino allo scoppio del Secondo Conflitto Mondiale, che incoraggiarono le mire espansionistiche della Germania nazista.

 

Oggi, alla luce delle documentazioni emerse dagli archivi dopo decenni di isolamento forzato, si può ragionevolmente affermare, che furono inglesi e francesi che con la loro stolta politica di chiusura verso l’Italia, portarono il Duce verso Hitler.

E’ dimostrato anche che Mussolini non vide mai di buon occhio il nazismo, questo anche dopo il 1935 quando la politica anti-italiana  voluta dall’Inghilterra  e in alcuni casi anche dalla Francia, lo fecero avvicinare ad Hitler; la politica internazionale di Mussolini dal 1922 al 1935 fu decisamente antitedesca e affiancò in quei periodi la politica di Francia e Inghilterra.

 

Nelle varie Conferenze Internazionali Mussolini, si allineò quasi sempre alle tesi di questi due Paesi anche se qualche volta sorsero dei logici e naturali contrasti; firmò Trattati a protezione di quelle nazioni che potevano essere minacciate dalla Germania nazista, vedi l’Austria, la Cecoslovacchia, la Polonia, ciò a dimostrazione che condannava aggressioni e provocazioni naziste.

 

Vorrei portare a conoscenza quanto scriveva lo storico inglese R.B. Mc Callum, sulla politica internazionale di Mussolini...”chiunque sappia leggere tra le righe dei documenti britannici, non può sottrarsi alla chiara impressione che Mussolini fosse disposto a servirsi anche della forza per tenere a freno Hitler...”(14)   

 

Su quanto hanno scritto alcuni storici, i quali confermano che la politica antinazista di Mussolini dal 1932 al 1935, avversa  allo avvento di Hitler al potere, era dovuta al fatto che il Capo del fascismo, vedeva nel nazismo ( o socialismo nazionale ) un avversario nella sua politica internazionale nella influenza nei Balcani e in Austria, questa tesi a mio avviso è accettabile, considerando la conquista dell’Albania.

Gli stessi storici asseriscono inoltre, che tra fascismo e nazismo vi erano delle affinità ideologiche, credo che questa sia una asserzione più propagandistica che reale. Il nazismo nacque  da una politica di ritorsione e vendetta nazionale causata dalla cocente sconfitta militare della Germania e in seguito alle umilianti condizioni di resa imposte dai vincitori; un popolo orgoglioso quale il tedesco, era naturale che non accettasse supinamente in toto il punitivo e gravoso Trattato di Versailles; questo Hitler lo capì e basò la sua politica nazista e sociale su quel diffuso malcontento: fu l’asso vincente e il nazionalsocialismo si estese su tutta la Germania.

 

Il fascismo invece, ebbe origine da una situazione economica disastrosa, da una incapacità politica altrettanto pericolosa che tendeva ad introdurre in Italia, oltre la dottrina social-comunista anche il suo potere, il ché avrebbe causato la perdita d’identità nazionale. Mussolini capì quale doveva essere la giusta via da seguire ed affrontò quei problemi; ecco allora l’avanzata del fascismo che fece presa oltre che sul popolo anche sulla classe industriale, militare e nel clero. Una chiara sconfitta di inettitudine politica.

 

Secondo il mio giudizio, non vi fu alcuna affinità ideologica o pratica tra fascismo e nazismo, poiché marciarono ambedue su direttive diverse.

 

Altro episodio significativo sulla politica di ambiguo tentennamento inglese nei confronti della Germania nazista, lo si ebbe, come sopra già descritto, nel marzo del 1936 quando le truppe tedesche occuparono la Renania, allora sotto amministrazione francese, il cui governo, presieduto da Albert Sarraut, reagì a quella occupazione e il ministro degli Esteri francese Flandin si rivolse all’Inghilterra  per avere un appoggio militare onde respingere dalla Renania i tedeschi ma ne ebbe un rifiuto.

 

Quella rinuncia della Gran Bretagna di aiutare la Francia fu un grave errore, se le due nazioni allora avessero dichiarato guerra alla Germania nazista, le sorti del mondo o meglio dell’Europa oggi sarebbero diverse, in quanto la Germania nel 1936, pure avendo già una forte flotta aerea, disponeva di un esercito   numericamente inferiore a quello di Francia e Cecoslovacchia, nazione questa che aveva siglato anni prima con la Francia un impegno militare in caso di guerra. In più vi era l’apporto sia terrestre che aereo dell’Inghilterra; da aggiungere anche le forze armate della Polonia, anch’essa impegnata da accordi militari con Francia e Inghilterra. Questa considerevole forza militare avrebbe, certamente pur con gravi perdite, sconfitto l’esercito tedesco anche perchè questo veniva ad essere impegnato su tre fronti. Viene spontaneo domandarsi: l’Italia come si

sarebbe comportata? Mussolini sarebbe corso in aiuto di Hitler? Io credo di no in quanto non vi era ancora nessun accordo militare e politico con la Germania.

 

Il rifiuto inglese di aiutare la Francia fece perdere l’occasione per bloccare le ricorrenti mire espansionistiche e di aggressività del nazismo; un atto di coraggio degli inglesi avrebbe risparmiato all’epoca la vita a milioni di soldati e di civili e la guerra gli alleati invece di averla vinta nel 1945 l’avrebbero potuta vincere nel 1936. Una colpevole debolezza inglese, da valutare e condannare.

 

Hitler, incoraggiato purtroppo dalle paure e dai tentennamenti del governo inglese, continuò nella sua politica aggressiva e di riarmo del III Reich. L’11 marzo 1938 fu la volta dell’Austria che venne occupata senza colpo ferire. Ci si domanda : perché questa volta Mussolini  non reagì come nel 1934 ?

 

Due a mio giudizio furono le ragioni: la prima fu che il Duce, pur avendo allineato la nostra politica internazionale a quella tedesca, ma non ancora convinto militarmente, aveva capito che non vi era, da parte inglese e francese, la fermezza e la volontà di bloccare Hitler e quindi Egli da solo nulla avrebbe potuto fare questa volta per garantire la pace in Europa, pur essendo stato nel 1934 il solo sostenitore dell’indipendenza austriaca e anche perché non intendeva avere ai confini del Brennero una poderosa Germania nemica. La seconda ragione fu quella che Hitler, da Mussolini interpellato prima della invasione, garantì che i confini del Brennero non venivano intaccati o violati, che la Germania o meglio il partito nazista austriaco, che in quel momento aveva quasi tutto il potere del paese, assicurava l’emanazione di un plebiscito “democratico” popolare che lasciava scegliere agli austriaci nel volere o non volere l’annessione nel “Terzo Reich“; dietro queste precise ammissioni del Fuhrer, il capo del Governo italiano si ritenne soddisfatto e non si oppose all’annessione. Il referendum fu fatto con un eclatante risultato, il 99% della popolazione chiese di essere incorporato alla Germania, solo 11.320 scrissero sulla scheda “NO“ e 5.776 furono le schede bianche; così il 13 marzo del 1938 l’Austria  divenne tedesca, il 14 marzo Hitler entrava trionfalmente a Vienna, l’Anschluss era compiuto. Il 5 maggio di quello anno Mussolini riconosceva ufficialmente l’annessione dell’Austria al Reich e faceva significativamente un passo avanti verso la nuova Germania.

 

Ancora nel 1938, dopo l’Anschluss, se Francia, Inghilterra e alleati europei tutti uniti avessero dichiarato guerra alla Germania, questa, come nel 1936, era ancora militarmente inferiore alle forze alleate messe insieme; i tedeschi in quel momento disponevano si di un numero maggiore di divisioni di fanteria e corazzate e come sopra accennato, ne potevano approntare in breve tempo altre, comunque sempre numericamente inferiori alle forze alleate che potevano mettere in campo almeno 200 divisioni. Su questi dati di fatto la Germania nazista non avrebbe avuto alcuna possibilità di vittoria anche se disponeva di un esercito magnificamente addestrato e una aviazione potente. Probabilmente a guerra iniziata, il Capo del nazismo sarebbe stato allontanato dal potere, in quanto molti generali tedeschi, conoscendo l’inferiorità numerica dell’esercito tedesco in quel momento, non avrebbero continuato una guerra da loro ritenuta già perduta. Ma allora, ci si domanda: perché quando scoppiò il conflitto del 1939, i generali tedeschi non si ribellarono a Hitler ? Nel 1937 c’era stata la sostituzione punitiva dei generali von Blomberg e Fritsch: un primo esempio.

 

Questa potrebbe essere la risposta: i generali si erano resi conto che la Germania nel 1939, aveva ormai l’esercito più potente del mondo anche se non numericamente ma il meglio armato, quindi sicurezza  nella vittoria! Infatti in un solo anno la Wehrmacht era riuscita ad approntare 86 divisioni di fanteria, 3 divisioni alpine, 6 divisioni corazzate pesanti, 4 divisioni corazzate leggere, 4 divisioni motorizzate e il numero di soldati mobilitati, in caso di estremo bisogno, poteva raggiungere in breve tempo la cifra di 4.500.000; la Luftwaffe agli ordini del maresciallo del Reich Hermann Gòring, era molto potente e la produzione industriale aviatoria, era in grado entro la fine del 1939, di produrre almeno altri 8.000 aerei; la Marina aveva già in mare: 2 corazzate pesanti, 6 leggere, 1 incrociatore pesante e 6 leggeri, 57 sommergibili, 21 cacciatorpediniere, 12 siluranti e un numero imprecisato di altro naviglio leggero. Questa impressionante forza militare, certamente fece decidere i

generali ad accettare la guerra e a non ribellarsi. Eppure nel 1944 un gruppo di generali tedeschi che contavano, tentò di eliminare Hitler e di porre fine al

conflitto, che certamente ritenevano perduto! Purtroppo il loro piano fallì e vennero tutti giustiziati.

 

L’occupazione della Cecoslovacchia avvenuta il 15 marzo, amareggiò e scoraggiò veramente il Duce che nella conferenza di Monaco aveva dato tutto il suo massimo appoggio per la riuscita di quella che doveva essere la Conferenza della pace; infatti ne troviamo testimonianza su quanto scrisse Galeazzo Ciano nel suo Diario in data 19 marzo 1939... “Mussolini fu fortemente indignato per la questione Cecoslovacchia in quanto Hitler lo tenne all’oscuro dei suoi veri propositi di conquista...”

Il disappunto di Mussolini venne recepito dalla diplomazia francese e inglese che subito ne approfittarono per spingere il Capo del fascismo a passare dalla loro parte dopo essersi resi conto degli errori fatti verso l’Italia e della necessità di rimediarvi. La Francia cercò di riallacciare quei rapporti amichevoli che purtroppo erano andati perduti nel 1935 con la guerra di Abissinia, il ministro degli Esteri francese Bonnet onde convincere Mussolini a un ravvicinamento fece delle piccole concessioni, quali una partecipazione azionaria alla amministrazione del Canale di Suez, un compromesso su Gibuti, ancora qualche altro beneficio sugli italiani residenti in Tunisia ma fu intransigente alle altre richieste di Mussolini, alcune delle quali di valide giustificazioni sulla cessione di Nizza, Savoia, Corsica e Tunisia: richieste naturalmente respinte e di conseguenza nessun ravvicinamento; anche l’Inghilterra tramite Neville Chamberlain, cercò di portare l’Italia alla vecchia amicizia degli anni 1922 sino al 1935 ma anche con l’Inghilterra che temeva richieste non accettabili il riavvicinamento fallì.

                   

Un paradosso, Mussolini malgrado non avesse simpatie per il nazismo e per la politica di aggressività di Hitler e fosse stato sino ad allora fautore di pace, il 22 maggio del 1939 si legava maggiormente alla Germania con il famoso “Patto d’acciaio“ che il conte Galeazzo Ciano e il ministro Joachim von Ribbentrop firmarono a Berlino.

 

Altro motivo di indignazione di Mussolini fu quando Hitler, non consultandolo, firmò segretamente con la Russia un trattato militare di non aggressione, in parole povere, quel trattato, non era altro che la spartizione della Polonia che il capo del nazismo si accingeva a conquistare: la scusante di quella occupazione, come noto, fu il famoso “corridoio di Danzica“. Mussolini venne a conoscenza, sia del patto del Reich con la Russia che dell’intenzione dell’aggressione al popolo polacco, tramite l’ambasciatore inglese a Roma.

 

Quella scorrettezza di Hitler nei confronti di Mussolini ormai alleato, fece sì che esponenti fascisti con Ciano in testa e militari quali Graziani, Cavallero, Baistrocchi e lo stesso Balbo, cercarono di persuadere Mussolini a rompere per violazione morale lo spirito dell’accordo militare (Patto d’acciaio) e uscire fuori dalla sfera tedesca; in un primo tempo, ancora sotto tale indignazione, Egli avallò la proposta di Ciano ma dopo qualche giorno scrisse a Hitler una lettera nella quale affermava che l’Italia avrebbe preso iniziative militari a favore della Germania qualora questa fosse stata aggredita da Francia o Inghilterra, mentre sarebbe rimasta neutrale qualora si fosse verificato il contrario. Sono certo che nelle intenzioni di Mussolini era presente non tanto la nostra impreparazione (che in effetti esisteva ), quanto il guadagnare del tempo onde avere ancora una possibilità di salvare la pace, appellandosi alle trasgressioni tedesche.

 

Hitler non tenne conto di quella lettera e attuò il suo piano di occupazione della Polonia: Mussolini come sopra già detto, si attenne allora a dichiarare l’Italia paese ancora neutrale e  “ Non belligerante “: siamo nel 1939.

 

Ovviamente il lettore si chiederà: perché Mussolini dopo avere dichiarato la  “Non belligeranza “, il 10 giugno 1940 entrò in guerra a fianco della Germania ?  Tre furono, a mio parere, le ragioni che spinsero il capo del Governo italiano  a dichiarare guerra a Francia e Inghilterra. La prima fu quella di mantenere fede allo spirito del “Patto d’Acciaio“ ove era contemplato, che qualora la

Germania fosse stata messa in stato di guerra da parte francese e inglese (il ché avvenne in quanto Hitler fu così abile da farsi dichiarare guerra), l’Italia

si sarebbe affiancata militarmente alla Germania. La seconda ragione fu quando Mussolini  vide la Francia in ginocchio, con i tedeschi che avanzavano su tutto il suo territorio e l’Inghilterra ormai sull’orlo di essere invasa, quindi sicuro che quel conflitto non sarebbe continuato ancora per oltre un mese e volendo sedersi al tavolo del vincitore dichiarò opportunisticamente la guerra.

 

La terza ragione a mio avviso, fu quella che maggiormente Mussolini tenne in

considerazione: se fosse rimasto neutrale, Hitler avrebbe preso quella neutralità come tradimento e certamente si sarebbe vendicato invadendo l’Italia, tesi questa forse non avventata, poiché la Germania in più occasioni dimostrò di fare da sola.

 

A chiusura di questo capitolo vorrei fare ancora qualche considerazione: è facile per molti improvvisati storici, per certa stampa calunniosa ma soprattutto per quegli italiani che con la loro secolare irriconoscenza settaria e la scarsa cultura del concetto di Nazione, hanno voluto addossare ogni responsabilità della guerra perduta a Mussolini. D’accordo che Egli ebbe delle responsabilità, a me è costato moltissimo attribuirgliele, ma condanno senza indulgenza quegli alti responsabili militari che gravavano attorno alla sua persona di capo militare, i quali accettavano ogni sua proposta senza contraddirlo, ribellarsi o dare le dimissioni, questo era il loro dovere e non giungere a soliti compromessi all’italiana con i risultati che tutti oggi conosciamo.

 

Io non credo sia giusto addossare tutta la responsabilità di una guerra perduta a un Uomo che era riuscito a portare l’Italia da modesto Paese politicamente sconclusionato a grande Potenza; certamente molti “storici“ per ragioni di opportunismo politico, hanno volutamente falsato la nostra storia. D’accordo che per ogni guerra perduta e inevitabile cercare un responsabile, per l’Italia fu prescelto, in funzione delle sue numerose attribuzioni come “Capro espiatorio”, Benito Mussolini. Pagò con la vita il suo amore per l’Italia e in un modo orribile, fu un assassinio e il suo corpo  dato in pasto alla teppaglia popolare che ne fece scempio.

 

Quanto da me scritto in questo capitolo sono riflessioni e argomenti a sola difesa di una parte della Storia d’Italia, che bene o male ci appartiene ed io una parte di questa storia ho avuto la fortuna di viverla e così ho voluto descriverla; lascio al lettore ogni giudizio su quanto ho inteso portare a sua conoscenza, così da permettergli di esprimere il suo concetto sulla politica internazionale italiana, che và dal 1922 sino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, compreso l’operato del capo del Governo, Benito Mussolini.

 

NOTE DEL !° CAPITOLO

 

 

 N°1 – Richard Lamb in “Mussolini e gli inglesi” pag.41

 

 N°2 – Richard Lamb in “Mussolini e gli inglesi” pag.45

 

 N°3 – Libia Italiana – Editrice Italia – pag.42

 

 N°4 – Richard Lamb in “Mussolini e gli inglesi” pag.53

 

 N°5 – W.Churchill – La Seconda Guerra mondiale –Parte 1^

 

 N°6 – Il Patto era stato firmato a Roma il 6 giugno dal rappresentante del  

       Governo tedesco, allora presieduto dal Cancelliere von Schleicher che

       era succeduto a Franz von Papen

 

 N°7 – W. Churchill – La Seconda Guerra mondiale – Parte 1^ -Cap.VIII

 

 N°8 – W. Churchill – La Seconda Guerra mondiale – Vol.1°

 

 N°9 – MEMEL, città della Lituania importante per il suo porto, con una

       popolazione di circa 49.000 abitanti, formata da russi, polacchi,

       slavi e con grande prevalenza di popolazione di origine germanica;

       disponeva di una superfice di 2.447 Kmq.

       Il Trattato di Versailles del 28 giugno 1919 tolse alla Germania    

       sconfitta quel territorio e, con gli articoli 28 e 29 lo proclamò

       “territorio neutrale” ma sotto controllo tedesco. Nel 1923, causa     

       alcune controversie, la Società delle Nazioni, tolse alla Germania

       il controllo del territorio e nel 1924 ne affidò la giurisdizione           

       alla Lituania. La Germania nazista il 22 marzo del 1939, occupava

       quanto era venuta ad un accordo pacifico con la Lituania.

 

N°10 – DANZICA, anche questa importante città sul mare Baltico con il porto

       di Gdynia; prima del conflitto mondiale del 1914-1918 era parte del

       territorio tedesco della Prussia  Orientale, alla sconfitta della

       Germania, sempre con il Trattato di Versailles venne dichiarata e

       internazionalizzata come “Città Libera”, affidandone alla  Polonia  

       l’Amministrazione doganale, concedendole anche il possesso definitivo          

       di tutto il territorio attorno alla città.

       Nel 1939, il governo del Reich chiese alla Polonia il libero accesso         

       a Danzica attraverso un “corridoio extraterritoriale” nel territorio  

       da essa occupato,  per collegare la città alla Prussica Orientale con

       capitale Konigsberg, permettendo così ai tedeschi di usufruire del

       porto di Gdynia, richiesta questa che venne respinta dalla Polonia,

       fornendo alla Germania, con tale lesiva decisione,il pretesto per

       il Secondo conflitto.

 

 N°11- Galeazzo Ciano – Diario datato 1-9-1939 Vol.1

 

 N°12- W.Churchill – La Seconda Guerra Mondiale – Vol.2°- Parte II

 

 N°13- Generale Luigi Mondini- Prologo del Conflitto italo-greco.

 

 N°14- Richard Lamb – Mussolini e gli inglesi – Pag.156