Un sogno italiano, la Libia 

Capitolo IV°

Paolo Savasta

 

CAPITOLO QUARTO

 

                             DA EL ALAMEIN AL MARETH

 

 

Prima di dare inizio alla descrizione di quella che fu certamente la battaglia

più importante, la più decisiva di tutte quelle che si svolsero in Africa

Settentrionale, storicamente conosciuta come la battaglia di El Alamein, battaglia che ci costò di riflesso anche la perdita della Libia, vorrei che il

lettore venisse a conoscenza della zona ove si svolsero quelle decisive operazioni belliche. La presento in una esposizione geografica - geologica - toponomastica e con un piccolo cenno storico ( MAPPA N°18 ).

El Alamein che tradotto dall’arabo significa le “due vette“, per alcuni storici  anche “due bandiere”,( a mio giudizio quest’ultimo termine non è appropriato ) prima della guerra era una località poco importante, situata quasi sulle rive del Mediterraneo, nel Golfo degli arabi, con una piccola stazione ferroviaria intermedia tra Alessandria, da cui dista appena 9O Km. e Marsa Matruch ad oltre 130 Km.; la cittadella, pur godendo di un ottimo clima mediterraneo, non era molto popolata, ma con i fatti d’arme del 1942, divenne ed é tuttora conosciuta in quasi tutto il mondo militare.

Oltre alla linea ferroviaria, El Alamein è attraversata da una ampia strada litoranea che va dal confine libico sino ad Alessandria, che possiamo considerare come il proseguimento della via Balbia.                          

L’immediato  entroterra,  in  parte  sabbioso  e  pietroso  era allora abbastanza transitabile anche nelle piste, ma spingendosi in profondità sino alle depressioni di El Qattara, il terreno diventava inaccessibile, agli automezzi e carri armati; le depressioni erano e lo sono ancora oggi, vaste distese cedevoli di paludi secche e in alcuni punti ancora acquitrinose e salmastre, con sabbie mobili contornate da salienti irregolari e scoscesi che arrivano sin quasi all’oasi di Siwah; oltre le depressioni vi é ancora al Sud il deserto sempre con sabbie mobili.

Milioni di anni addietro, ove oggi sono queste paludi, era mare e in seguito, a causa certamente di un evento catastrofico, quel mare venne ad essiccarsi  trasformandosi in palude e deserto, né fa fede il ritrovamento di reperti e pietre contenenti stelle marine ormai fossilizzate; le depressioni in taluni punti sono a oltre 6O metri sotto il livello del mare.

Dalla costa sino alle depressioni per una profondità di circa 7O Km. si ergono delle creste, paragonabili comunemente a ciglioni, ad altezze da 100 ai 200 metri e qualcuna oltre i 300, alcune divennero famose per le battaglie che si svolsero attorno ad esse, come:  Tel el Eisa ( vetta di Gesù ), Ruweisat, Alam el Halfa, Alam Nayil, Bab el Qattara, Qaret el Himeimat, Deir el Munassib, Deir

Alinda, Samaket Gabala; queste creste erano collegate tra loro da piste, tracciate in passato da spostamenti di carovane, a queste piste facevano capo dei “passi“ facilmente controllabili; famosi e conosciuti dalle nostre truppe, quelli di “passo del cammello“ ( in arabo “Erquayb Abu Gabala” )e “passo del carro“ ( “Naqb Abu Dweis” ), di chiara definizione moderna.

 

Rommel dopo avere eliminato ogni resistenza a Marsa Matruch, il 30 giugno si era già attestato nella zona di Sidi Abd el Rahman a 11 Km. dalle posizioni inglesi di Deir el Shein, presidiate dalla 1^divisione sudafricana e dalla XVIII brigata indiana; più a Sud nella zona di Qaret el Abd, vi era la 2^divisione neozelandese, a Ruweisat la 1^divisione corazzata inglese, a Bab el Qattara la VI brigata neozelandese, a Naqb Abu Dweis la IX brigata di fanteria indiana, a Himeimat la 4^divisione indiana e alla estremità della linea di difesa la 7^divisione corazzata; attorno al perimetro di El Alamein era stata preparata una linea difensiva tenuta dalla III brigata sudafricana.

Dall”inizio del mese di luglio sino al giorno 11, in quelle zone, si svolsero alcuni sporadici combattimenti; l’armata italo tedesca era riuscita a conquistare le posizioni inglesi di Tell el Eisa e Ruweisat, ma Auchinleck dopo qualche giorno, li riconquistò; restarono però in mano italo-tedesca le posizioni di Qaret el Abd, Bab el Qattara e Naqb abu Dweis. Frattanto da ambo le parti si riorganizzavano e s’intensificarono i campi minati, che i combattenti italiani appellarono subito come “giardini del diavolo“; da parte italo tedesca, pare che lungo le loro posizioni vennero messe a sito molti di questi “giardini del diavolo” con una nuova originale sequenza: ogni campo o sacca aveva una lunghezza di quattro cinque chilometri e una larghezza di alcuni chilometri, il campo era circondato da un reticolato che ne delineava i confini, dentro venivano interrate anche bombe di aereo dai 100 ai 500 Kg., erano bombe inglesi recuperate nei depositi dei campi di aviazione nemici di Marsa Matruk, Fuka ed 

in altri campi di fortuna lungo la frontiera, queste bombe venivano collegate tra loro da fili leggermente coperti di sabbia e a loro volta connessi a spolette, quando il filo veniva calpestato o trascinato provocava per contatto l’accensione delle medesime e di conseguenza lo scoppio della bomba; vi erano poi mine anticarro e antiuomo, inoltre i passaggi, non minati, che usavano le pattuglie italo-tedesche, quando uscivano e rientravano da operazioni notturne, venivano mascherati simulando di essere minati onde ingannare i genieri inglesi; lo stratagemma era quello di sotterrare sotto quei corridoi barre di ferro o altri rottami metallici e quando gli sminatori nemici, che di notte penetravano in quei campi minati per aprire vie di sicurezza alle loro fanterie e carri armati, allorché queste dovevano attraversarli per attaccare le nostre posizioni, cercavano anche d’individuare e minare i passaggi segreti che usavano le nostre pattuglie per entrare e uscire dai quei campi; naturalmente passando i loro apparecchi magnetici su quei tratti falsamente minati, essi segnalavano la presenza di mine e quindi gli sminatori sicuri che quel tratto era minato passavano oltre. Altro stratagemma usato dai nostri genieri era quello di sovrapporre due e anche tre mine antiuomo una su l’altra, ingannando così il geniere nemico che, come sopra detto, aveva il compito di aprire dei passaggi per la fanteria, localizzando la mina la disinnescava e non si accorgeva che


 sotto un leggero strato di sabbia vi potevano essere ancora una o due mine; i genieri tedeschi misero in uso anche mine con rivestimento in legno o involucro isolante che così sfuggivano alle rilevazioni del detector; anche i genieri inglesi usarono un analogo accorgimento per le mine antiuomo e anticarro, le avvolgevano in teli gommati e quando il detector dell’avversario vi passava sopra non le segnalava perché il telo gommato faceva da isolante. Erano tutti stratagemmi per ingannare il nemico  quando questi per attaccare era costretto ad entrare in un campo minato, che quasi sempre seminava morte.

Generalmente tutti i lavori di sminamento e messa in opera di mine avvenivano di notte, in quanto di giorno il lavoro, che era lungo e fatto allo scoperto, metteva l’artificiere alla mercé dei cecchini nemici ma soprattutto bersaglio ai tiri di artiglieria; i “giardini del diavolo“ nel corso della guerra e anche molti anni dopo causarono migliaia di morti.

 

Le fortificazioni campali nei due schieramenti, vennero a rinforzarsi ulteriormente soprattutto nei mesi di luglio-agosto. Per l’armata italo-tedesca fu provvidenziale l’arrivo in Libia della 164^divisione tedesca, posta prima al comando del generale von Mellenthin, promosso a tale grado sul campo, poi del generale Lungershausen e della 288^brigata paracadutisti Ramcke, ambedue i contingenti erano stati ritirati da Creta; inoltre in quel periodo arrivò anche la divisione Folgore. Tutti questi reparti furono trasportati in Libia a mezzo via aerea, in quanto con i convogli marittimi, per il predominio navale e aereo inglese nel Mediterraneo, certamente  sarebbero stati decimati.

Il primo battaglione della Folgore che arrivò in Africa Settentrionale fu il IV al comando del maggiore Alberto Bechi Luserna; era partito dallo aeroporto di Galatina(Lecce) su aerei SM.75 e SM.82, che atterrarono in Cirenaica (aeroporto di Derna) il 15 luglio del 1942; il battaglione fu subito trasferito prima a Tobruch, poi a Fuka e il 21 era già a El Daba in attesa dell’arrivo del resto della divisione, che giunse entro metà agosto, proveniente parte dalla Grecia  (Tatoi) sempre per via aerea e il resto ancora da Galatina.

La divisione paracadutisti “Frattini” dal nome del suo primo comandante (il 1°agosto prenderà la denominazione di Folgore) venne ingannevolmente data disponibile al generale Cavallero da parte dello SM/RE del generale Ambrosio, promessa a Rommel con rapido spostamento aereo dopo essere stata ritirata dalla riserva strategica costituita per l’operazione C.3 (occupazione di Malta); occorsero invece 32 giorni per trasferire la Folgore in A.S.(10 giorni di tradotta dalle Puglie a Tatoi in Grecia via Balcani). Un vero e proprio tradimento.

Particolare storico: il progetto italo-tedesco per l’

l’occupazione di Malta venne preparato dal generale Gandin per l’esercito, dall’ammiraglio Girosi per la marina e dal generale Cappa per l’aviazione. Il generale Gandin che aveva a lungo collaborato con lo Stato Maggiore tedesco dell’OBS di Kesselring, venne ucciso a Cefalonia dalla rappresaglia tedesca dovuta allo ignobile armistizio

voluto da Badoglio.

Gandin non era certamente antitedesco ma ubbidì agli ordini di Badoglio e ci lasciò la vita.

 

Per una maggiore conoscenza storica della divisione Folgore, è necessario che il lettore segua attentamente certi particolari che ora descriverò: agli inizi del 1941 erano già pronti tre battaglioni, il primo costituito da Carabinieri, comandato prima dal maggiore Bixio Bersanetti poi dal maggiore Edoardo Alessi (il lettore ne ha avuto conoscenza nel terzo capitolo),il secondo al comando del maggiore Zanninovich e il terzo guidato dal maggiore Guido Lusena; i tre battaglioni costituirono poi il 1°reggimento paracadutisti, il cui comando inizialmente venne affidato al colonnello Bignami, si fregiò del motto “Ex alto fulgor” che in seguito si trasformò in “Folgore“ per tutta la divisione; il motto era stato ideato da Don Maglioni,Cappellano militare del reggimento.

A settembre del 1941 nasce il 2°reggimento, con i quadri del 5°-6°e 7° battaglione; solo nei mesi di novembre-dicembre venne formato un 3°reggimento con il 9°-10°e 11° battaglione seguito dall’8° battaglione guastatori e dal reggimento artiglieria con genieri e servizi. Ecco completata organicamente la divisione Folgore, pronta per l’occupazione di Malta, comandata dal generale Enrico Frattini, una nobile figura di Soldato, proveniva dal Genio militare. Si era volontariamente offerto, da cinquantenne, al generale Roatta per comandare la divisione paracadutisti, dopo il rifiuto a tale incarico pericoloso ma prestigioso di numerosi pavidi generali.

 

La divisione ormai completa, iniziò sulle coste dell’isola d’Elba, le esercitazioni di addestramento al combattimento, con simulazione di attacchi a roccaforti e città, finti sbarchi, occupazione di aeroporti, assalti all’arma bianca, conoscenza delle carte topografiche, vennero scelte zone che avevano una certa somiglianza con il territorio maltese; quelle esercitazioni così particolari, fecero presupporre ai paracadutisti di una prossima azione di lancio, ma essi mai immaginarono che l’obiettivo fosse la conquista di Malta, anche se per quella conquista, era nata e addestrata la divisione Folgore. Poi l’addestramento venne proseguito in Puglia fra Brindisi e Lecce.

 

Altre forze armate del nostro esercito e della marina, compivano analoghe esercitazioni, in vista della attuazione C.3, erano i paracadutisti nuotatori del reggimento San Marco, reparti speciali della Milizia fascista (quattro battaglioni), un battaglione Arditi paracadutisti della Regia aeronautica; sempre per quel progetto furono costruiti particolari canotti e motozattere, si studiarono tute speciali in gomma e autorespiratori per i sommozzatori, si costruirono solide scale metalliche atte a scalare scogliere inaccessibili; l’aviazione dal canto suo si preparava per il difficile compito di protezione. Per l’eventuale azione su Malta, oltre ai reparti speciali vennero coinvolte le divisioni “Friuli“, “La Spezia“, “Superga“, altre G.U. come le divisioni “Assietta”, “Livorno”, “Napoli” che furono considerate di rincalzo; complessivamente in quella operazione dovevano essere impiegati non meno di 100.000 uomini solo da parte italiana, mentre i tedeschi avrebbero partecipato con una divisione paracadutisti, reparti speciali corazzati, fornendo inoltre gran parte degli aerei e alianti necessari, sia per il trasporto che per attacco.

Comunque tutti quei preparativi e addestramenti furono tenuti rigorosamente segreti, non certamente per i servizi segreti inglesi, che in Italia funzionavano al meglio; ne erano solamente a conoscenza quei pochissimi comandi impegnati in quella operazione. Solo dopo che il tanto vantato attacco a Malta fu annullato, gli uomini dei reparti interessati ne vennero a conoscenza, questo creò malcontento soprattutto tra i paracadutisti, gli arditi e i marinai del S.Marco, che erano stati sottoposti a pesanti sacrifici negli addestramenti.

 

Dopo l’abbandono del piano su Malta, gli alti comandi di Roma cercarono di tacitare i paracadutisti prospettando loro un’altra possibilità di lancio di guerra, con molta probabilità in Africa Settentrionale e certamente l’obiettivo avrebbe dovuto essere Alessandria; così arrivò improvvisamente l’ordine di trasferimento in Grecia del 186°Reggimento, che partì a luglio del 1942 da Ostuni (Puglia) in ferrovia; il reggimento attraversò tutta l’Italia centrale e settentrionale, entrò in Jugoslavia e infine, nei primi giorni di agosto, arrivò a Tatoi (Grecia),dopo 2.000 km.di ferrovia, si accampò nella zona dell’aeroporto di Atene. I molti massacranti giorni di viaggio, trascorsi sulle famose tradotte di guerra, non intaccarono minimamente, né il morale, né lo spirito combattivo di quella magnifica gioventù. Da Tatoi il 7 agosto il reggimento venne imbarcato su aerei italiani che atterrarono nello aeroporto di Tobruch.

Il 187° Reggimento come gli altri due reggimenti, arrivarono in Africa con il completo equipaggiamento di lancio, ma inspiegabilmente a tutti furono ritirati i paracadute che vennero ammassati, parte in un deposito di Derna, altri in uno di Tobruch e qui devo fare conoscere un particolare molto agghiacciante che mi fu riferito a suo tempo da amici “ folgorini “ che avevano vissuto l’odissea della Folgore. Pare che durante una ispezione ai paracadute nel deposito di Tobruch fu scoperto che un gran numero di essi erano stati manomessi: funi di vincolo tagliate, altre bruciate con acido e per non allarmare i paracadutisti venne detto che le avarie ai paracadute erano state fatte dai topi che avevano rosicchiato le funi.... se quanto mi é stato riferito corrisponde a verità... lascio ogni commento al lettore!

Analogo sabotaggio venne fatto al battaglione carabinieri paracadutisti, già in Libia dal 1941, che trovarono i loro paracadute IF41/SP. danneggiati nel fascio funicolare e nelle calotte. Furono riparati dalle Suore Bianche dell’Istituto religioso di Tripoli.

 

Altro particolare.... demoralizzante e inutile, sia il 186°Reggimento in Grecia che gli altri reparti in Puglia prima di partire per l’Africa, dovettero togliere dalle giubbe il piccolo paracadute in oro che denotava la loro appartenenza a reparti paracadutisti e la divisione prese il nome di “Cacciatori d’Africa “; solo nell’agosto quando tutta la divisione venne riunita a El Daba (Egitto),i paracadutisti furono autorizzati a rimettere sul braccio il piccolo paracadute dorato.

Questo accorgimento venne spiegato dal fatto che l’invio della divisione in Africa Settentrionale, doveva essere segreto, quindi ecco l’eliminazione del  simbolo di paracadutista e la nuova denominazione di “Cacciatori d’Africa”. Particolare sconcertante: Radio Londra di allora, disse subito che era inutile quel camuffamento in quanto avevano scoperto da tempo la destinazione della divisione. I tre Reggimenti paracadutisti vennero inviati in Africa Settentrionale senza le bandiere di guerra.

 

Man mano che i reparti della Folgore arrivavano scaglionati, venivano aggregati alle divisioni di fanteria che tenevano le posizioni nella zona di El Alamein, quella che ne usufruì maggiormente fu la divisione Brescia alla quale furono assegnati due battaglioni il 5° e il 7° che parteciparono alla conquista dei capisaldi inglesi di Bab el Qattara, Alam Nayil, durante la seconda offensiva di Rommel a fine agosto 1942.

Nel mese di settembre la divisione ormai completa nei suoi tre Reggimenti, il 186°comandato dal colonnello Pietro Tantillo, il 187°dal tenente colonnello Luigi Camosso e il 185°artiglieria dal colonnello Ernesto Boffa, venne dislocata allo estremo sud dello schieramento dell’Asse: da Deir el Munassib sino a Qaret el Himeimat

Un particolare non trascurabile, nei reparti della Folgore che arrivarono in Africa Settentrionale mancavano due battaglioni il 3° e l’11° che non partirono in quanto trattenuti in Italia destinati a formare il primo nucleo della costituenda divisione Nembo.   

 

In Africa Settentrionale dopo le prime scaramucce agli inizi del mese di luglio, il feldmaresciallo Rommel decise di lanciare una offensiva frontale così da non dare tempo al generale Auchinleck di riorganizzarsi; nei giorni 10 e 11 luglio Rommel iniziò una serie di attacchi, che lo portarono a conquistare il ciglione di Ruweisat, ma un contrattacco dell’8^Armata lo costrinse a ripiegare nuovamente alle posizioni di partenza; Rommel non desistette e dal 20 al 25 contrattaccò nuovamente conquistando tutte le importanti posizioni tenute dagli inglesi in quel settore; gli attacchi e contrattacchi del mese di luglio causarono forti perdite da ambo le parti con la differenza che Auchinleck riceveva continui rinforzi, per la vicinanza del fronte da Alessandria, di soldati e materiale soprattutto americano, quindi poteva reintegrare il perduto, infatti a fine luglio era giunta in Egitto la 9^ Divisione australiana e la 44^Divisione di fanteria britannica, era in arrivo anche l’8^ Divisione corazzata forte di oltre 350 carri armati del tipo “Valentine” e la  50^Divisione; Rommel al contrario, aveva le sue truppe, anche se rinforzate dai nuovi arrivi, ormai esauste, con pochi carri armati efficienti, scarsezza di carburante. Le preziose tonnellate di combustibile catturato a Tobruch e Marsa Matruch si erano frattanto esaurite e le basi di rifornimento erano lontane dal fronte dell’Asse: Tripoli a oltre 2.300 Km.,quella più vicina era Tobruch a oltre 600 Km.

Rommel constatando la tragica situazione che si era generata in quel mese di luglio durante la sua offensiva che possiamo considerare come la prima battaglia di El Alamein, non fidandosi degli aiuti promessi dal generale Cavallero e dal feldmaresciallo Kesselring, fece chiaramente capire la sua decisione di lasciare il comando e rientrare in Patria, anche perché incominciava a risentire disturbi gastro-intestinali, ma intervenne l’ordine perentorio di Hitler di restare sul posto e continuare l’offensiva; anche Cavallero e Kesselring si precipitarono al Quartiere generale di Rommel assicurandogli che era in navigazione un convoglio con un carico di 5.000 tonnellate di combustibile, quantitativo che era stato previsto per iniziare un altra offensiva sino ad Alessandria; purtroppo ne arrivò a Tobruch solo una piccola parte; il convoglio era stato decimato dagli aerei e dai sottomarini nemici, due navi cisterna vennero affondate mentre entravano nel porto di Tobruch; Kesselring a sua volta aveva promesso l’invio di 500 tonnellate di combustibile al giorno a mezzo via aerea; anche con questo mezzo, di combustibile ne arrivò ben poco, in quanto parte veniva consumato dagli stessi aerei addetti a quel trasporto.

 

Nel mese di luglio, il comando superiore Africa Settentrionale, decise di occupare l’oasi di Siwah in territorio egiziano, onde prevenire un possibile attacco inglese da quel settore che avrebbe potuto colpire, per aggiramento, le nostre retrovie e di conseguenza lo schieramento dell’Asse ad El Alamein; l’oasi di Siwah aveva in quel momento un ruolo strategico importante, in quanto era il centro di piste con direttrici a Nord verso Alessandria e il Cairo, mentre a Sud toccavano Giarabub e da lì si diramavano verso la costa e l’interno del Fezzan.

Siwah nei millenni passati ebbe celebrità storica in quanto in essa si trovava, secondo la leggenda, l’Oracolo di Giove Annone spesso consultato da Alessandro Magno durante la conquista dell’Egitto.

L’oasi di Siwah ha molte sorgenti naturali e una di queste che gli antichi chiamarono “ La fontana del Sole”, aveva e pare ancora oggi una particolare funzione delle sue acque, al sorgere del sole sgorgava acqua tiepida, a mezzodì diventava fredda, al tramonto del sole ritornava tiepida e a mezzanotte era bollente; questo secondo la leggenda, ma il noto esploratore padovano G. Battista Belzoni nel 1819 riuscì ad arrivare ed esplorare Siwah e conoscendo la leggenda volle verificare l’esistenza di quella “Fontana” e la temperatura delle sue acque, ebbene egli ci ha confermato che quel fenomeno era realtà.

Venne scelta la 136^Divisione Giovani Fascisti, costituita nel maggio del 1942, divisione che prese quel nome in onore dell’eroico comportamento che i volontari giovani fascisti dimostrarono a Bir el Gobi; la divisione oltre ad avere i due battaglioni GG.FF. aveva un nucleo autoblindo del Nizza Cavalleria,comandato dal tenente colonnello Grignoli, un reggimento di artiglieria, un gruppo Sahariano, il 9°Battaglione bersaglieri corazzato tratto dalla divisione Trieste, inoltre una sezione Sanità e due squadre piloti esperti per la guida di automezzi nel deserto; pur essendo stata definita come unità corazzata aveva........ solo due carri armati M.14 ed un ridotto organico divisionale, il comando venne affidato al generale Ismaele Di Nisio. In seguito si aggiunsero due battaglioni tedeschi il 3° e il 330° al comando del maggiore von Luck.

Il 20 luglio una colonna motorizzata nella quale vi era anche un battaglione GG.FF.,partì da Giarabub via terra e il 22 arrivò a Siwah occupandola dopo un breve combattimento con la guarnigione egiziana, rinforzata da elementi inglesi  del LRDG, che vennero subito eliminati; contemporaneamente l’altro battaglione GG.FF. aviotrasportato con Junker 52 tedeschi, atterrava sull’aeroporto nei pressi dell’oasi completando l’occupazione.

Per due mesi la nuova guarnigione rimase inoperosa, salvo sporadici attacchi di autoblindo inglesi, i componenti della 136^ Divisione ma soprattutto i giovani volontari GG.FF. scalpitavano in quanto avrebbero voluto combattere e non avere il ruolo di presidio; il 22 settembre il feldmaresciallo Rommel visitò Siwah e il sistema difensivo attuato dalla divisione, riaccendendo in quei soldati la speranza di un combattimento, infatti annunciò una prossima azione della divisione contemporaneamente a quella di El Alamein che avrebbe dovuto avere come obiettivo il Cairo; purtroppo questo non avvenne in quanto la battaglia finale di El Alamein prese altra piega. I nostri militari pur avendo avuto degli scontri con reparti esploranti inglesi, sempre in attesa di veri combattimenti, ebbero un nemico più pericoloso e peggiore dell’inglese, un nemico che avevano tra le loro file....... la malaria che causò molte vittime; essa era dovuta alla puntura di una zanzara anofele, che nel laghetto di Siwah aveva trovato il giusto ambiente per riprodursi, tale zanzara era originaria dalle foci del Nilo.

Torno a citare un episodio che definisco vergognoso da parte dei nostri alti comandi di Roma: il 29 agosto a Siwah con i due battaglioni dei ragazzi di Bir el Gobi, venne formato ufficialmente il reggimento GG.FF. onde dare consistenza, non tanto numerica ma giuridica alla divisione; era consuetudine, sino dai tempi della nascita dell’esercito italiano, che ad ogni reggimento costituito, venisse consegnata la Bandiera di guerra; al reggimento GG.FF. questo diritto istituzionale e il privilegio di combattere col vessillo nazionale al vento, venne inspiegabilmente negato, la Bandiera reggimentale non venne mai assegnata, restando così, con i tre della Folgore, gli unici reggimenti italiani privati della Bandiera da combattimento; molte allora furono le rimostranze, sia dai giovani volontari che da parte di valorosi generali, la scusante trovata dagli alti comandi, fu quella di dire che il reggimento non aveva diritto, in quanto i componenti erano considerati “volontari”, anche se portavano le stellette... a mio avviso fu una faziosa e ipocrita scusa, causata da prevenzioni politiche fuori luogo. Non conosco quale fu la scusante ufficiale per i reggimenti della Folgore, certamente vergognosa anche quella.

 

Nel mese di agosto si verificarono in campo avversario degli avvenimenti che cambiarono l’organizzazione militare britannica in Egitto; il 3 agosto giunse al Cairo il Primo Ministro Churchill per rendersi conto della situazione su quel fronte; egli nutriva seri dubbi sull’efficienza dell’8^ Armata, ma soprattutto nutriva perplessità nell’alto comando del Medio Oriente (generale Auchinleck). Al Cairo Churchill incontrò il capo di Stato Maggiore Imperiale il generale Brooke e con lui erano presenti anche i generali Wavell giunto dall’India, Smuts arrivato dal Sudafrica, Tedder comandante dell’aviazione del Medio Oriente e l’ammiraglio Sir Henry Harwood, comandante, in quel momento, della flotta inglese di tutto il Mediterraneo. Il tema principale di quell’incontro era la sostituzione del generale Sir Claude Auchinleck, quale comandante dell’esercito imperiale inglese del Medio Oriente; i convenuti furono d’accordo nello affidare il nuovo comando al generale Harold Alexander, mentre per quello dell’8^Armata erano stati proposti, sia il generale Gott, comandante del XIII Corpo d’Armata che il generale Bernard Montgomery, il quale si trovava ancora in Inghilterra. Le argomentazioni della scelta sui due generali furono laboriose, ma un fatto tragico mise fine a quelle discussioni: il 7 Agosto, il generale Gott mentre con il suo aereo, si recava al Cairo in quanto convocato da Churchill, venne abbattuto da un ricognitore tedesco e il generale perdette la vita; non vi fu altra scelta se non affidare il comando dell’8^ Armata a Montgomery che era un ottimo ufficiale di fanteria, aveva partecipato insieme con Alexander, con il Corpo di spedizione inglese alla guerra in Francia, ma certamente non era un esperto dei mezzi corazzati, al contrario di Rommel che invece primeggiava in quel campo; il 15 agosto sia Alexander che Monty, con questo diminutivo venne chiamato in segno di affetto dagli inglesi, presero possesso delle loro cariche; al generale Auchinleck venne offerto il comando degli eserciti inglesi di stanza in Iraq e Persia, ma egli con signorile dignità rifiutò, anche perché era un comando in sottordine (suo superiore sarebbe stato Alexander)

Allontanare il generale Auchinleck dal Comando del Medio Oriente e dall’8^ Armata, fu una vera ingiustizia che egli non meritava, in effetti  Auchinleck ad El Alamein aveva fermato l’avanzata di Rommel e a mio avviso salvò anche l’Egitto.

Con il siluramento del generale Auchinleck, caddero in disgrazia il generale Dorman Smith, vice capo di Stato Maggiore Generale di Auchinleck, il generale Corbet capo di Stato Maggiore per il Medio  Oriente e il generale Ramsden che fu comandante del XXX° Corpo d’Armata e che aveva sostituto Auchinleck in un momento critico (il generale Ramsden verrà “perdonato” da Montgomery che gli affiderà il comando di una divisione di fanteria scozzese, certo un comando in sottordine), tutti questi generali vennero posti sotto accusa per le disfatta subita nella battaglia di Ain el Gazala e per la perdita di Tobruch.

 

Se Auchinleck non fosse riuscito a fermare Rommel ad El Alamein, dietro i resti dell’8^Armata non vi erano che deboli forze inglesi demoralizzate e in disordine non certamente capaci di contrastare l’avanzata della armata italo-tedesca, che sicuramente, disponendo di forze adeguate e sufficienti rifornimenti, avrebbe conquistato la Palestina, la Siria e forse, sarebbe arrivata ad occupare i pozzi petroliferi in Iraq e a congiungersi con l’altra parte della tenaglia realizzata nel Caucaso dalla Werhrmacht, infatti questo piano era nelle intenzioni del Fuhrer, dell’OKW e del feldmaresciallo Rommel.

A torto o a ragione, la storia proclama il generale Montgomery come il vero salvatore dell’Egitto e addirittura di tutto il Medio Oriente, ma non si dà importanza al fatto che Montgomery quando nell’ottobre del 1942 iniziò la sua offensiva, si trovò dinanzi un avversario ormai esausto, con un Rommel seriamente ammalato, in più l’8^Armata aveva ricevuto enormi rinforzi in uomini e mezzi, soprattutto carri armati, che superavano le 1300 unità e ancora aerei e artiglieria americana; nel mese di settembre-ottobre infatti, erano giunti in Egitto, con convogli americani, ben 270 dei nuovi e validi carri armati “Sherman”, che andarono a rinforzare adeguatamente l’aliquota dei 210 carri “Grant“ arrivati nel mese di agosto, l’artiglieria ebbe in dotazione 100 cannoni semoventi da 105 mm. e arrivarono in Egitto anche 85 aerei da bombardamento pesante “Liberator“ USA e 32 bombardieri pesanti inglesi “Halifax“. A questo prezioso armamento bisogna aggiungere migliaia di tonnellate di materiale, equipaggiamenti e munizionamento affluite sia dall’America che dall’Inghilterra; da considerare inoltre che l’aviazione inglese in quei giorni aveva il predominio assoluto dei cieli con oltre 1200 aerei, ancora Montgomery ebbe a disporre di 220.000 soldati ben equipaggiati. In campo avverso, le divisioni corazzate italo-tedesche, invece si trovavano a corto di carburante, i carri armati erano ridotti a poche centinaia, appena 200 quelli tedeschi, tra  Mak III e Mak IV ( di quest’ultimi solo 30), mentre 300 erano italiani, con i sorpassati M.11 e M.14 e non tutti efficienti. L’arrivo in Libia delle divisioni Folgore e 164^tedesca, nonché della brigata paracadutisti Ramcke, furono sì un valido aiuto come soldati, ma queste due Unità in effetti mancavano di automezzi e artiglieria pesante; pochi erano gli automezzi addetti ai rifornimenti i quali, nel loro tragitto dalle basi logistiche al fronte, venivano quasi sempre attaccati dai “commandos” del Long Range Desert Group (LRDG), il che causava ritardi, perdita di prezioso materiale e la distruzione di automezzi.

 

A proposito della pericolosità di questi “commandos”, vorrei segnalare alcune delle loro incursioni dietro le nostre linee effettuate nel mese di settembre; obiettivi furono: Tobruch, Derna, Bengasi, Barce, Gialo e non mancarono attacchi e sabotaggi anche in Tripolitania.

Sin dagli inizi del 1941, i “commandos“ inglesi del L.R.D.G. come già descritto, erano stati attivi colpendo le nostre retrovie e le guarnigioni che presidiavano l’interno del Fezzan, come Uau el Chebir, Murzuch e molte altre località della Cirenaica. Nel luglio del 1942, il nuovo comandante del Long Range Desert Group, il colonnello John Haselden, aveva studiato un progetto per colpire profondamente le retrovie avversarie: primo obiettivo Tobruch, quale importante centro per l’approvvigionamento di carburante alle truppe di Rommel; il progetto venne preso in seria considerazione dall’ammiraglio Sir Henry Harwood che lo elaborò con gli Stati Maggiori inglesi in Egitto anche se vi furono delle titubanze in quanto l’azione presentava, per la sua portata e complessità e per  l’attuazione, gravi rischi di riuscita, ma pur presentando tali difficoltà, quel progetto venne comunque approvato.

Il piano su Tobruch prevedeva un attacco via mare, uno via aerea con la partecipazione di ben 200 aerei e uno via terra; venne stabilito anche il giorno

 dell’azione: il 13 settembre 1942. Per quella azione furono addestrati oltre 1.000 uomini appartenenti all’11° Commando Marine, ma ne vennero scelti solo 600, posti sotto la guida del ten.colonnello Unwin. Quei “commandos“ divisi in tre gruppi, nelle primissime ore della mattina del 12, vennero imbarcati su due cacciatorpediniere, numerose torpediniere e molte lance a motore fornite dalla Royal Navy; la consistente flottiglia era protetta dall’incrociatore “Coventry“. Quella massiccia forza, partita nelle primissime ore della mattina del 12 settembre dal porto di Alessandria, nella nottata del 12 al 13 era già dinnanzi a Tobruch dando inizio allo sbarco, ma per il mare grosso solo 150 “ commandos “ riuscirono a prendere terra in una zona fuori dal porto di Tobruch, che doveva essere l’obiettivo principale. Nonostante le difficoltà nelle quali vennero a trovarsi quei pochi sbarcati, essi riuscirono a cogliere di sorpresa e a uccidere a sangue freddo i serventi di alcune batterie costiere italiane che vennero distrutte; contemporaneamente aerei inglesi effettuarono, ad ondate, massicci bombardamenti sulla cittadella, anche per distrarre i difensori dal vero attacco, ma la guarnigione di Tobruch non si fece sorprendere e reagì con prontezza, merito anche dei marinai del battaglione San Marco. Vennero uccisi e catturati quasi tutti i componenti di quel primo nucleo di sabotatori. I due cacciatorpediniere, che ancora tentavano di sbarcare altri “commandos“ e l’incrociatore di scorta, visto che la sorpresa non era riuscita cercarono di allontanarsi, ma l’artiglieria costiera e soprattutto gli attacchi aerei italiani riuscirono ad affondarli, unitamente ad alcune lance a motore; pochi furono i superstiti che ebbero la fortuna di rientrare in Alessandria. Anche la colonna inglese, proveniente via terra, che con uno stratagemma era riuscita ad entrare in Tobruch non ebbe sorte migliore; essa era formata da 90 incursori del Long Range Desert Group, comandati personalmente dal colonnello Haselden, partita alcuni giorni prima del 12 dal Cairo, percorrendo oltre 2.500 Km. di deserto, quasi tutti su piste interne sino a Cufra, per poi risalire verso la costa sino a Tobruch. Ed ecco quale fu lo stratagemma usato per entrare nella fortificata cittadella: i commandos, parte in divisa inglese, fingendosi prigionieri, altri sotto false spoglie di soldati tedeschi, come guardie di scorta. Quest’ultimi falsi soldati, erano stati scelti tra coloro che parlavano correttamente il tedesco e i vari dialetti, erano in effetti ebrei nati e vissuti in Germania sino a quando, per le famose leggi razziali, furono costretti ad abbandonarla rifugiandosi in Palestina e allo scoppio della guerra si arruolarono nell’esercito inglese; essi viaggiavano con documenti militari tedeschi abilmente falsificati, montavano su tre autentici automezzi tedeschi, bottino di guerra e con questo inganno, alquanto sleale, al di fuori da tutte le Convenzioni Internazionali sulle leggi di guerra, arrivarono indisturbati sin dentro Tobruch, riuscendo a danneggiare alcune strutture militari; solo per i sospetti di un ufficiale tedesco della polizia militare essi vennero scoperti e non poterono causare altri danni. Vi fu però una accanita lotta, il gruppo cercò allora di uscire da Tobruch e prendere la via del deserto, ma quasi tutti vennero uccisi o catturati, cadde anche il colonnello Haselden; solo pochi uomini riuscirono a raggiungere il deserto e per cinque settimane essi vagarono in quel desolato territorio, nutrendosi di qualche radice, di insetti e topi del deserto, solo cinque superstiti vennero infine avvistati e salvati da una pattuglia inglese, ma erano ridotti a larve umane, tra loro uno era impazzito.

Il compito principale di quei “commandos“ provenienti via terra, era quello di arrivare il giorno prima dello sbarco dei 600, distruggere le postazioni costiere onde facilitare lo sbarco, liberare circa 4.000 prigionieri inglesi concentrati dentro Tobruch, armarli con quanto potevano recuperare sul posto e tenere per 24 ore impegnata la guarnigione italo-tedesca, onde facilitare l’azione degli altri “commandos” che dovevano arrivare via mare; per fortuna quel progetto studiato così minutamente al Cairo non ebbe successo, anche per le sopravvenute difficoltà durante il percorso nel deserto, che causarono un notevole ritardo nel coordinamento con gli incursori via mare.

Ma la causa principale dell’insuccesso fu la macchinosa articolazione del piano e le difficoltà di attuazione con orari diversi e interventi di altri reparti.

Lo schieramento di una così potente forza per attaccare la piazzaforte di Tobruch derivava, come constatazione, dal fatto che Tobruch era diventata per Rommel la principale base di rifornimento per le sue truppe, infatti onde abbreviare le distanze con gli altri centri di approvvigionamento e il fronte, era stato potenziato il porto di Tobruch atto ad accogliere contemporaneamente molte navi da carico, in quanto era il porto più vicino e distava poco meno di 600 Km. dal fronte, a differenza di Bengasi che era a oltre 980 Km. e addirittura ai 2.300 del porto di Tripoli.

A distanza di qualche giorno dall’attacco su Tobruch, altri “commandos“ del Long Range Desert Group, partiti da Cufra tentarono altre incursioni contro nostre città  costiere  e dell’interno.

Il 15 settembre, un reparto di “commandos“, erano circa 200, dello  “Special Air Service“, al comando del ten.colonnello David Stirling, partendo dalla base di Cufra, ormai in mano degli inglese dal marzo del 1941, si spinse sin dentro Bengasi con l’intenzione di distruggere le attrezzature portuali ed affondare qualche nave, liberare anche qui 16.000 prigionieri, armarli e resistere per qualche giorno, in attesa dell’arrivo da Malta di un corpo di spedizione che avrebbe dovuto occupare la città, era previsto anche un lancio di paracadutisti sull’aeroporto di Benina (Bengasi); questa volta i nostri presidi erano all’erta e gli assalitori vennero respinti e in gran parte catturati, anche qui per il decisivo apporto dei nostri marinai del S.Marco del battaglione Tobruch.

Contemporaneamente all’attacco su Bengasi, anch’esso preceduto da un bombardamento aereo di circa due ore, un altro gruppo, del L.R.D.G., comandato dal maggiore Eason Smith riuscì a penetrare nello aeroporto di Barce iniziando a minare e distruggere gli aerei, il tempestivo intervento della Polizia Africa Italiana (P.A.I.) bloccò l’azione e in uno scontro a fuoco quasi tutti gli “incursori“ vennero eliminati; solo un piccolo gruppo ebbe la fortuna di rientrare alla base.

Sempre nel mese di settembre un battaglione di sabotatori del “Sudan Defence Force” e soldati francesi di “France Libre“, partendo anch’essi da Cufra, si spinsero sino a Gialo con l’intenzione di occuparla e creare una nuova base avanzata, così da colpire più facilmente le basi logistiche della Sirtica e del Fezzan, ma anche quella azione andò male per gli inglesi, poichè i sabotatori vennero respinti dalla guarnigione di Gialo.

Un altro episodio di sabotaggio da parte inglese si era  verificato nel giugno del 1942, quando ancora si combatteva attorno a Tobruch; un reparto del L.R.D.G., proveniente dall’interno del deserto, cercò di penetrare dentro l’aeroporto di Derna ma l’impresa fallì per una quasi incredibile circostanza. Il reparto nemico composto in maggioranza da legionari francesi della brigata degollista “France Libre”, giunse durante la notte in vista dello aeroporto, mentre il gruppo si organizzava per attaccare, un legionario di etnia tedesca si offrì per controllare la migliore via di accesso allo aeroporto, si spinse da solo e giunto in vista di un posto di guardia tedesco, parlando in tedesco, li avvisò dello imminente attacco, si prestò anche a guidare i reparti armati tedeschi sul posto ove si trovavano gli assalitori che presi alla sprovvista, non ebbero il tempo di difendersi e furono quasi tutti catturati; il gesto di quel legionario non fu un tradimento, egli era sì un legionario francese, ma tedesco per nascita e certamente anche per sentimenti, quindi nel partecipare a quella impresa aveva già in mente di come comportarsi a ritornare tedesco. ( 1 )

 

Sul fronte di El Alamein dopo attacchi e contrattacchi nel mese di luglio era subentrato, nelle prime settimane di agosto, un periodo di stasi, proprio in quel mese avvennero dei mutamenti ai vertici dei comandi nei due schieramenti avversari. Per gli inglesi, come sopra descritto, la sostituzione del generale Auchinleck, del suo Stato Maggiore, del generale Ramsden che dovette cedere il comando del XXX C.A. al generale Sir Oliver Leese, con poca esperienza di guerra del deserto ma uomo di fiducia di Montgomery. Per gli italiani il comando superiore Forze Armate Africa Settentrionale, prese la nuova denominazione di comando superiore Forze Armate di Libia con giurisdizione militare su tutto il territorio libico, compresa l’armata italo-tedesca che era agli ordini di Rommel e da quella data di fine luglio avrebbe dovuto passare sotto il comando del maresciallo Bastico; ma quel provvedimento ebbe valore solo sulla carta, in quanto tutta l’armata italo-tedesca ormai si trovava sul territorio egiziano, quindi fuori da quello libico e Rommel, qualificato come “comandante operativo” approfittò di questo inconcludente cambio di denominazione per continuare imperterrito a comandare in assoluto tutta l’ACIT (Armata Corazzata Italo-Tedesca), così che il comando superiore di Bastico veniva ad avere funzioni di semplice ufficio di collegamento con il comando tedesco. Frattanto Rommel che già accusava, come sopra accennato,i gravi sintomi della sua malattia, decise, nonostante questo “handicap”, di sferrare l’ultimo e decisivo colpo agli inglesi, con lo scopo di sfondare le munite fortificazioni di El Alamein e puntare decisamente su Alessandria e al Cairo. Il piano dell’offensiva venne studiato nei minimi particolari e si basava soprattutto sulla sorpresa e sul fare credere al nemico che il fronte da colpire era su un dato settore mentre in verità quello decisivo era in altra zona; Rommel onde dare credito al suo piano, nelle giornate del 28 e 29 agosto concentrò tutte le sue forze al Nord e al centro del sistema difensivo inglese, cioè dalla costa di Tell el Eisa sino a Bab el Qattara, trascurando volutamente la zona meridionale che da Bab el Qattara andava sino a El Taqa; in effetti quello era il settore ove avrebbe attaccato con le sue forze corazzate e da lì avanzare a raggiera sino alla cresta di Alam Halfa da dove le tre divisioni tedesche: 90a, 15a e 21a, le tre italiane: Ariete, Trieste e Littorio, avrebbero puntato a Est parte diretta sul Cairo (90a e 15a) e parte su Alessandria (21a, Ariete, Trieste e Littorio).

Al Nord due degli attacchi furono solo  secondari, tanto da distrarre il nemico e portarlo a concentrare le sue forze in quei settori; infatti sulla costa, la 164^divisione tedesca con le divisioni italiane Trento e Bologna,  sferrarono un forte attacco contro le posizioni inglesi tenute dalla 9^divisione australiana e 1^divisione sudafricana, mentre la zona centrale, difesa dalla 5^divisione Indiana e 2^divisione neozelandese, veniva a essere attaccata dalla brigata paracadutisti Ramcke, dalla divisione Brescia e dal 5° e 7° battaglione paracadutisti italiani della Folgore, che momentaneamente erano ancora alle dipendenze della Brescia; per inciso il 5° battaglione era comandato dal maggiore Giuseppe Izzo (futura M.O.V.M. nella guerra di liberazione), mentre il 7° dal capitano Carlo Mautino.

Anche il 187°reggimento Folgore che presidiava la zona di El Taqa, ebbe l’ordine di muovere su Deir el Alinda e Qaret el Himeimat e tenere saldamente quelle posizioni; per quella azione vennero formati due raggruppamenti, quello del ten.colonnello Bechi con il suo 4° battaglione e il 2° battaglione del maggiore Zanninovich, mentre l’altro del tenente colonnello Camosso, comprendeva il 9° battaglione del maggiore Aurelio Rossi e il 10° del capitano Amleto Carugno.

Nella battaglia di Alam el Halfa caddero combattendo sia il maggiore Rossi  (M.O.V.M.) che il capitano Carugno (M.A.V.M.), venne ferito anche il comandante Camosso.

 

A Deir el Alinda il 187° subì un contrattacco inglese  che tentava  di eliminare le posizioni tenute dal 187°, ma il nemico trovò a Deir Alinda una strenua resistenza tanto che non riuscendo a sfondare, ritornò sulle sue posizioni di partenza; in quella battaglia si sacrificò al completo la 29^compagnia del 10°battaglione, comandata dal tenente Franco Talò, compagnia che teneva la postazione a quota 101, la più avanzata di tutto lo schieramento della Folgore, quota che dovette difendere a costo di grande sacrificio, in quanto lo sfondamento da parte inglese avrebbe aperto una breccia e messo in pericolo tutta la linea difensiva del 187°.

A Deir Alinda il 10° battaglione, ormai ridotto a poche decine di uomini, venne sciolto e i superstiti passarono alle dipendenze del 9° battaglione.

Nella notte del 3-4 settembre una pattuglia del raggruppamento Camosso, al comando del sottotenente Monaco, riuscì a catturare il generale Clifton comandante la 6a brigata neozelandese.

In quelle azioni gli inglesi incominciarono a conoscere di che tempra  erano i paracadutisti italiani.

 

Rommel certo che la ricognizione aerea nemica avesse constatato e segnalato a Montgomery l’ammassamento italo-tedesco a Nord e al centro ed averlo convinto della sorpresa, spostò improvvisamente nella giornata del 29-30 le sue forze corazzate al Sud, tra Bab el Qattara e Gebel Kalak e, nella notte di plenilunio del 30, iniziò la penetrazione in quel settore, che purtroppo risultò fortemente minato e difeso, mentre il feldmaresciallo era convinto che fosse poco fortificato secondo le segnalazioni (errate) avute dal suo “servizio informazioni”, ricavate da alcune (false) carte topografiche inglesi... e qui ebbe la sorpresa a sue spese.

Il generale Montogmery aveva “intuito” (di seguito verremo a conoscere le vere ragioni di questa “intuizione”) che Rommel avrebbe sferrato il suo attacco in quel tratto di fronte, si parlò allora anche di tradimento da parte  italiana e tedesca, questo era anche possibile visto che il servizio di spionaggio nemico aveva dei buoni agganci tra personalità italiane e senz’altro anche tedesche; ma la vera ragione del come Montgomery fu a conoscenza del piano di attacco di Rommel, lo si deve al fatto che gli inglesi erano venuti in possesso del cifrario segreto tedesco e quindi intercettavano e decodificavano gli ordini di Rommel attraverso un congegno cifrante/decifrante denominato “Enigma”, utilizzato dal sevizio ULTRA. Il generale Montgomery nelle sue “Memorie” non fa cenno di essere venuto in possesso di informazioni così preziose sull’attacco di Rommel attraverso spie o intercettazioni; egli giustificò la sua “intuizione”, riferendosi al tipo di tattica strategica che in Rommel era ormai usuale; tattica che aveva applicato con successo nelle battaglie di Ain el Gazala, di Tobruch e Marsa Matruch, vale a dire quella di fare credere al nemico che attaccava in un punto, mentre il vero obiettivo era un altro; inoltre Montgomery spiega che capì in quale zona doveva avvenire il vero attacco di Rommel,  attraverso le condizioni atmosferiche di quel settore, dalla disponibilità, in quel momento delle forze meccanizzate tedesche e anche dal ritmo dei rifornimenti. A mio avviso queste giustificazioni non sono convincenti, é vero che anche Rommel, nelle sue “ Memorie “, non fa cenno ad alcun tradimento, che il fallimento del suo piano fu dovuto solamente a scarsezza di mezzi e di carburante, comunque resta in me, oltre al fatto delle intercettazioni, il dubbio di un tradimento.

Quindi il segreto di Montgomery risale non alla sua bravura o “intuizione”, un merito certamente che nel generale inglese non eccelleva, era anche un esibizionista riconosciuto, ma a quelle intercettazioni e del possibile tradimento. In realtà il servizio ULTRA ad El Alamein, aveva parlato diffusamente del piano di attacco di Rommel e, di conseguenza, Monty non ha alcun merito se non quello dello sfruttamento.

Montgomery dietro quelle sue “intuizioni” era corso ai ripari, rafforzando la  7^divisione corazzata con la 22^ e 23^ brigata corazzata (sempre della 7^divisione) che erano tenute come riserve, spostando anche il XIII Corpo d’Armata, in quel momento comandato dal generale Horrocks, altro generale di fiducia di Montgomeny, che aveva sostituito il generale Gott dopo la sua morte; pose a difesa di Alam Halfa la 44^ divisione di fanteria giunta da poco dall’Inghilterra, inoltre escogitò anch’egli uno stratagemma che certamente decise a suo favore, in buona parte, le sorti di quella battaglia sfruttando le notizie ULTRA.

Esperti cartografi inglesi del quartiere generale di Montgomery, realizzarono su indicazioni del Servizio di controspionaggio, del reparto “Intelligence” dell’8^Armata, delle carte topografiche della zona dove Rommel avrebbe dovuto attaccare, carte logicamente false, ove venivano segnalati tratti di deserto accessibili mentre erano intransitabili causa le sabbie mobili, zone segnate non minate che in effetti erano minate, punti ove non risultavano zone fortificate ma che erano invece fortemente armate; costruite queste carte, esse furono rese credibili con appunti a penna, segni di riferimento, addirittura macchiate di the, come se fossero state continuamente consultate; poste le carte in una borsa da ufficiale, disposta questa su un autoblindo “Scout” portato su un campo minato, nei pressi di un avamposto tedesco e abilmente fatto saltare; ora era consuetudine che quando un carro nemico saltava su una mina, questo veniva subito individuato e perquisito dalle pattuglie avversarie, in quel caso tedesche, così in quel blindato venne trovata la borsa con dentro le carte, che consegnate al quartiere generale di Rommel, furono studiate da esperti cartografi e... riconosciute autentiche.

Rommel pur possedendo carte della zona, certamente non aggiornate e conoscendo che le sue pattuglie poche informazioni potevano fornire sulle caratteristiche del terreno, ritenne provvidenziale il possesso di quelle carte, invece esse causarono una infinità di danni.

Quando i carri armati tedeschi iniziarono l’avanzata, seguendo le istruzioni di quelle carte, finirono sui campi minati, altri reparti s’insabbiarono cosa che successe anche alle divisioni Ariete e Trieste, le quali rimasero forzatamente bloccate dalla sabbia e non poterono seguire le divisioni tedesche che avanzavano, inoltre dove Rommel riteneva di non trovare resistenza, ebbe la sorpresa di subire forti attacchi soprattutto per la presenza del nuovo e micidiale cannone controcarro da 76/55 inglese presente in 90 pezzi che distrussero numerosi carri Mark IV nella zona di Ruweisat. Già dal giorno 31 agosto, la battaglia di Alam Halfa era da considerarsi perduta per l’armata italo-tedesca; l’aggiramento della cresta di Alam el Halfa non venne neanche iniziato, ma Rommel persistette ancora nei suoi attacchi e questi gli causarono ancora gravi perdite, resistette per alcuni giorni poi, quando si rese conto che l’accerchiamento dell’8^Armata non era più attuabile, ordinò la ritirata sulle posizioni di partenza. Quella battaglia, che prese il nome di: “2^battaglia di El Alamein“, durò 6 giorni e fu l’ultimo tentativo per conquistare l’Egitto ma fu anche la battaglia che esaurì lo sforzo d’attacco che sino ad allora aveva sostenuto l’armata dell’Asse, la quale perdette anche valorosi comandanti. Durante quei giorni di battaglie, venne ucciso il generale von Bismarck, comandante della 21^panzerdivision, fu ferito il generale Nehring, comandante del D.A.K. sostituito subito dal generale von Vaerst il generale Nehring lo troveremo ancora in Tunisia al comando del 90°Corpo d’armata tedesco), anche il generale Kleemann della 90^divisione leggera rimase ferito, Rommel venne così a privarsi dell’aiuto di tre generali di punta, inoltre altri 7 ufficiali superiori dello Stato Maggiore del D.A.K. caddero in combattimento.( MAPPA N°19)

 

Secondo fonti da ambo le parti, spesso contrastanti, le perdite in quella battaglia per l’Asse furono di 570 morti, 1.800 feriti e 57O prigionieri, più la perdita di 36 carri armati tedeschi e 11 italiani; mentre nelle dichiarazioni dell’avversario gli inglesi ebbero 1.750 tra morti e feriti e circa 300 prigionieri. 

Tra i tanti caduti, da parte italiana, desidero fare conoscere anche la morte di un giovanissimo soldato italiano, appena diciassettenne di nome Sergio Bresciani, nativo di Salò in  provincia di Brescia; Egli arrivò clandestinamente in Africa nel marzo del 1941, era sbarcato a Tripoli da uno dei tanti convogli che portavano in Libia armi, munizioni e soldati; da Tripoli sempre con mezzi di fortuna raggiunse il fronte, che allora era fermo ad El Agheila in attesa della controffensiva di Rommel.

Il Bresciani intenzionato a fare la guerra in quanto la sentiva profondamente, si presentò ad un ufficiale del 3°reggimento di artiglieria celere, non perché avesse scelto quel reparto ma esso fu il primo nucleo militare che incontrò; a quell’ufficiale spiegò la sua intenzione di combattere, implorò di non essere consegnato ai carabinieri per essere rimpatriato, il suo entusiasmo commosse l’ufficiale che lo assegnò a un pezzo anticarro, in qualità di servente, gli venne data una divisa ma senza le stellette, così l’avanguardista di Salò iniziò il suo dovere di combattente.

Partecipò sempre come servente al pezzo a tutta la controffensiva sino a Tobruch, lì compì i diciassette anni, ormai si sentiva un veterano anche se i suoi compagni di lotta lo indicavano con l’appellativo di “ balilla “; seguì il suo reggimento a Bir el Gobi, dove la sua batteria venne quasi distrutta,  ma il “ balilla “ fu sempre tra i primi a colpire il nemico, nel ripiegamento non ebbe tentennamenti, ormai non era più un servente ma venne promosso per meriti a puntatore. Nella 2^controffensiva per la riconquista della Cirenaica, compì prodigi con il suo pezzo, non cedette di un passo, arrivò ad El Alamein con alle spalle 17 mesi d’Africa. Nella battaglia del 30 agosto, di Alam el Halfa , Rommel per il suo coraggio gli appuntò sul petto la “Croce di ferro “, mentre il comando italiano lo propose per la Medaglia d’Argento e anche per una licenza premio di 15 giorni, ma il “balilla“ Bresciani rinunciò alla licenza, perché sapeva che era imminente la grande battaglia di El Alamein, inoltre ebbe l’onore di essere assegnato alla divisione “Littorio“ come puntatore su un carro armato. Purtroppo Bresciani si avviava fatalmente incontro alla sua ultima avventura; mentre era in perlustrazione il suo carro saltò su una mina, il “balilla“ venne estratto dal distrutto carro gravemente ferito, aveva una gamba spappolata e ferite per tutto il corpo, portato immediatamente nell’ospedale da campo della divisione Folgore, ove i medici fecero di tutto per salvarlo, purtroppo ogni tentativo fu inutile; il 4 settembre del 1942 Bresciani chiuse la sua esistenza che Egli volle porre al servizio della Patria, non tenendo conto di date, di ricompense, ne glorie o riconoscimenti politici, guardò solo al dovere e al sacrificio coronato tragicamente da tanti atti di eroismo.

Il 29 luglio del 1943; il Re d’Italia, Vittorio Emanuele III, gli conferì la Medaglia d’Oro al Valore Militare.

 

Rommel volle giustificare l’insuccesso del suo piano attribuendolo al mancato arrivo del carburante che non permise ampie manovre di movimento ai suoi mezzi corazzati, ciò in parte é vero, ma é anche vero che egli si trovò di fronte un Montgomery con grandi mezzi in armi e uomini che gettò senza risparmio nella battaglia, ma soprattutto quello che determinò la vittoria inglese fu la dovizia delle informazioni ricevute, i dettagli del piano di Rommel e l’apporto determinante della aviazione, che giorno e notte sottopose l’armata dell’Asse a terrificanti bombardamenti, nonostante il sacrificio di piloti e aerei della ormai esigua aviazione dell’Asse. E’ doveroso segnalare l’eroica morte di cinque ufficiali piloti che a bordo dei loro caccia Macchi 202, sfidarono i veloci Spitfire inglesi; questi i nomi di quei valorosi tutti decorati di M.O.V.M.: ten.colonnello Giuliano Mauro, maggiore Larsimont Pergameni Antonio, capitano Maestri Athos, capitano Ceccotti Livio e tenente Bevilacqua Ezio. Forse se Rommel avesse avuto quel carburante tanto insistentemente richiesto, la battaglia di Alam Halfa avrebbe preso altra piega, si sarebbe prolungata anche con qualche vantaggio, ma certamente non gli avrebbe dato la vittoria finale.

Di sicuro c’è il fatto, che andò a trovarsi in una zona senza sbocco e sotto tiro nemico rimanendo intrappolato, uno smacco grave per la “volpe del deserto”.

L’aspra battaglia di Alam el Halfa, é passata alla storia, con questi appellativi: per i tedeschi come “ la Battaglia dei 6 giorni “, mentre per gli italiani, venne detta di “ Santa Rosa “, in quanto iniziata nella giornata di domenica 31 agosto e terminata il 6 settembre; nello stesso periodo la Santa Rosa a Viterbo, il cui corpo quasi integro nonostante siano passati molti secoli, viene venerata per quei 6 giorni con grande religiosità che coinvolge non soltanto la popolazione di Viterbo ma anche di grande parte d’Italia.

 

Per Rommel Alam el Halfa fu la negativa conclusione delle sue vittoriose avanzate e fu anche l’ultima sua grande offensiva, per i rimanenti mesi che egli rimase in Africa; per la verità storica né tentò ancora due in Tunisia ma non di quella potenza, una nel febbraio 1943 su Kasserine, nella quale ottenne anche dei buoni risultati, l’altra nel marzo del 1943, ove cercò, di sfondare la linea difensiva di Montgomery a Medenine; le concluse ambedue positivamente ma senza convinzione di successo. Dopo Rommel nessun altro generale tedesco o italiano tentarono in Tunisia di effettuare grosse offensive prima della resa totale delle truppe dell’Asse.           

Dopo quella sfortunata e perduta offensiva di Alam el Halfa, a Rommel si prospettarono due soluzioni: una quella di ripiegare e attestarsi su posizioni più difendibili che poteva trovare solo nel tratto: Passo Halfaya - Sollum - Bardia; l’altra rimanere su quelle di El Alamein e attendere l’attacco di Montgomery; Rommel scelse quest’ultima soluzione anche per una questione di prestigio personale. Presa tale estrema decisione, schierò la sua armata sui 70 Km. che andavano dalla costa sino alle depressioni. La scelta di El Alamein corrispondeva tatticamente al grande vantaggio di combattere su una zona limitata e priva di pericoli di aggiramento: per passare gli inglesi dovevano attaccare frontalmente, se fallivano perdevano.                                      

Lo schieramento ( vedere MAPPA N°20 ) venne ad assumere queste posizioni: al Nord la 164^divisione tedesca al comando del generale Lungershausen, con la divisione Trento del generale Giorgio Masina; scendendo verso Sud la divisione Bologna con il nuovo comandante generale Mario Marghinotti; seguivano in questo schieramento due battaglioni della brigata paracadutisti tedeschi Ramcke, poi la divisione Brescia del generale Brunetto Brunetti; ancora a Sud, erano in posizione altri due battaglioni di Ramcke e la divisione Paracadutisti Folgore del generale Enrico Frattini; all’estremo Sud dello schieramento (depressioni di el Qattara), nella zona di El Taqa, la divisione Pavia del generale Nazzareno Scartaglia. Dietro questa linea di difesa, si trovava il Corpo mobile di manovra, così dislocato: a Nord nella zona di Sidi Abd el Rahman era schierata la 90^divisione leggera tedesca, comandata dal generale von Sponeck, la divisione motorizzata Trieste del generale Arnaldo Azzi, poi il D.A.K. con la 15^panzerdivision del generale von Vaerst e la 21^panzerdivision generale von Randow, tra queste due unità la nostra divisione corazzata Littorio, comandata dal generale Gervasio Bitossi poi dal generale Ceriana Mayneri; al Sud l’Ariete del generale Francesco Alfredo Arena.

Le divisioni italiane dipendevano da tre Corpi di armata: il XXI° del generale Enea Navarrini (divisioni Trento, Bologna, e residui della Sabratha tenuta in riserva in quanto era ridotta a soli due battaglioni), il XX° con il generale Giuseppe De Stefanis (divisioni Littorio, Trieste e Ariete), mentre il X° comandato dal generale Orsi Ferrari aveva alle sue dipendenze la Brescia, la Pavia e la Folgore.

Nella zona da Bardia a Sollum, con funzione antisbarco, vi era una parte della divisione Pistoia appena giunta dall’Italia, mentre tra Sidi Barrani e Marsa Matruch, Rommel aveva schierato, sempre come truppa antisbarco, il  288°reggimento granatieri tedeschi.

L’armata dell’Asse ad El Alamein, ridotta nell’organico delle sue divisioni, nella imminenza della offensiva inglese, poteva schierare, su tutto il fronte, appena 96.000 uomini, dei quali 43.000 erano italiani e come sopra detto circa 500 carri armati, poche centinaia di cannoni e una esigua forza aerea di appena un centinaio di aerei, tra italiani e tedeschi.

Questa modesta forza aerea nel corso delle battaglie del mese di ottobre, riuscì ad abbattere ben 98 aerei nemici

 

Come il lettore potrà notare dalla mappa con la quale ho voluto rappresentare lo schieramento italo-tedesco, le divisioni italiane quanto quelle tedesche erano intercalate tra loro; era stato quello un piano strategico voluto da Rommel, in quanto inserire reparti tedeschi con più idoneo armamento tra quelli italiani, avrebbe dato più consistenza a quest’ultimi; era risaputo infatti, anche da parte inglese, che ai soldati italiani mancavano armi moderne e carri armati potenti, i reparti tedeschi invece, avevano quello di cui mancavano gli italiani; unendo così i mezzi tedeschi e il valore italiano, vi erano più possibilità di contrapporre, una valida difesa agli attacchi nemici che generalmente erano sempre stati condotti intenzionalmente sulle posizioni italiane. Comunque quel mettere insieme reparti italiani e tedeschi, non dette complicazioni di comando, grazie allo spirito di cameratismo che in linea era sorto tra ufficiali e soldati italiani e tedeschi

 

Di contro Rommel aveva tre Corpi d’armata inglesi: il X° comandato dal generale Herbert Lumsden, un veterano della guerra del deserto, il XXX° del generale Leese che, come già detto, aveva appena sostituito il generale Ramsden, e il XIII° del generale Horrocks; questi tre Corpi d’armata

incorporavano ben 10 divisioni delle quali 3 erano corazzate, più 2 brigate di fanteria alleate, una greca, l’altra francese; un potente esercito di 220.000 uomini, con 1.348 carri armati, oltre 1.300 bocche da fuoco di grosso e medio calibro e circa 830 di piccolo calibro e una poderosa forza aerea di grande capacità d’azione. Montgomery poteva disporre di circa 1.500 aerei di cui ben 1.300 dislocati in Egitto e Malta, tale forza era concentrata in 96 squadriglie inglesi, 13 americane, 13 sudafricane, 5 australiane, una rhodesiana, una greca, una francese ed anche una jugoslava, così che l’aviazione inglese in quel momento dominava nei cieli d’Africa e nella battaglia di El Alamein contribuì in modo efficace, attaccando nostri aeroporti, linee di comunicazioni, anche se l’attenzione maggiore fu quella di colpire e distruggere i convogli che portavano rifornimenti a Rommel; negli ultimi 4 mesi del 1942, gli aerosiluranti inglesi con mezzi navali di superficie e subacquei distrussero e affondarono oltre 200.000 tonnellate di naviglio; solo nei giorni del 27 e 28 ottobre  affondarono 2 grosse petroliere quasi all’altezza di Tobruch.

 

Le 10 divisioni inglesi e del Commonwhealt/Dominions schierate da Nord a Sud erano:

9^ divisione australiana del generale Morshead;

51^divisione di fanteria scozzese - generale Ramsden

2^ divisione neozelandese - generale Freyberg;

1^ divisione  sudafricana - generale Piennar;

4^ divisione indiana - generale Tuker;

50^divisione inglese  - generale Nichols;

44^divisione di fanteria inglese - generale Hughes;

7^ divisione corazzata - generale Harding;

1^ divisione corazzata - generale  Briggs;

10^divisione corazzata - generale Gatehouse.

Inoltre nella zona del Delta era schierata per ogni evenienza la

8^divisione corazzata  comandata dal generale Gardner

 

Nel mese di settembre 1942, si consolidarono da ambo le parti le rispettive posizioni, ma la malattia di Rommel andò a peggiorare. Certamente l’insuccesso della battaglia di agosto dette il colpo di grazia alla sua già malferma salute, che da mesi lo perseguitava, quella delusione intaccò completamente il morale, la volontà e anche aggravò il suo stato fisico, tanto che il suo medico personale il Dr Horster, che lo aveva in cura sin dalla Francia quando Rommel comandava la 7^divisione corazzata in quella campagna, diagnosticò una grave forma di itterizia, catarro cronico allo stomaco e all’intestino, scompensi cardiaci e laringite cronica, obbligandolo a rientrare in Germania con l’immediato ricovero nella clinica specializzata di Semmering nei pressi di Vienna.

 

Il 23 settembre Rommel lasciava il comando al generale George Stumme appena giunto dalla Russia ove aveva comandato il XL° Panzerkorps (Corpo d’armata). Il 17 Settembre avvenne il cambio di comando, Rommel non manifestò molta fiducia in Stumme, in quanto non lo riteneva particolarmente esperto nella guerra del deserto, ma il suo sostituto gli era stato mandato direttamente da Berlino.

Il 24 Rommel era in Italia ed ebbe colloqui prima con Mussolini, nella sua residenza estiva di Forlì, poi a Roma con il maresciallo Cavallero; in ambedue i colloqui egli espose la grave situazione in cui si trovava in quel momento l’ACIT, fece chiaramente capire che senza i promessi rinforzi non avrebbe potuto tenere la situazione e prospettò anche la perdita della Cirenaica, anticipando i possibili eventi futuri, mettendosi al riparo da possibili critiche e diminuzione di prestigio. Un abile mossa.

Il 26 eccolo a Berlino ed anche a Hitler chiarì quanto aveva detto a Roma, ma si trovò davanti a un muro di cieco ottimismo; ebbe solo promesse di aiuti che risultarono poi in parte non mantenute. A Berlino la guerra in Africa venne considerata quale operazione secondaria, poichè in quel momento il fronte più importante e impegnativo era quello russo; il giorno dopo quel colloquio Rommel venne ricoverato in clinica.

Nel mese di settembre ad El Alamein, le truppe dell’Asse erano in attività soprattutto per consolidare le loro precarie fortificazioni, in quanto non essendo nelle condizioni di contrattaccare per la nota situazione ed anche perché ormai la guerra non era più di movimento ma di posizioni, direi quasi di trincea; dall’altro fronte gli inglesi, in attesa dell’attacco finale, iniziarono a saggiare le posizioni tenute dagli italiani. A Sud la Folgore, che teneva un fronte di circa 15 Km., venne ripetutamente attaccata da forze corazzate nemiche, ma i paracadutisti non cedettero terreno, il loro eroico comportamento destò ammirazione nel nemico, molte furono le gesta di eroismo, dall’ufficiale al semplice paracadutista. Dal Nord al centro, lo schieramento italo-tedesco, venne tenuto sotto la costante pressione nemica che concentrò i maggiori attacchi di disturbo contro le posizioni delle divisioni italiane, soprattutto verso la Trento, la Bologna e la Brescia che non mollarono un centimetro di terreno.

Lo scopo inglese era evidente, si basava sulla conoscenza del morale e  sull’affidabilità materiale degli italiani, incentrandole sulle negative esperienze avvenute in passato, sulla intenzione radicata di spronare sforzi e attacchi sulle G.U. italiane di fanteria: un facile bersaglio!

 

Per tutto il mese di settembre e buona parte di ottobre, gli inglesi tenendo ferme le loro divisioni corazzate, bersagliarono con tiri di artiglieria le posizioni italo-tedesche, mentre l’aviazione non dette respiro poichè giornalmente tonnellate di bombe venivano lanciate sulle nostre posizioni, neanche la notte era risparmiata, sgretolando sistematicamente ogni resistenza psico-fisica e combattiva. Secondo quanto scritto nelle memorie del generale Alexander, egli dichiara che in solo due ore e mezza, nella zona ove erano concentrate le maggiori forze di Rommel, l’aviazione inglese aveva scaricato su quelle posizioni ben 8O0 tonnellate di bombe.

Nel corso di quelle battaglie sia l’aeronautica italiana che la Luftwaffe, pur essendo in condizioni di inferiorità numerica, cercarono di contrastare la superiorità avversaria, impegnandosi duramente in violenti scontri aerei; in uno di questi scontri, precisamente il 30 settembre, ore 11,35, venne “abbattuto”,  un giovane pilota tedesco, aveva appena 22 anni, il capitano Joachim Marseille, asso della Luftwaffe con 158 vittorie omologate, decorato anche di M.O.V.M. italiana, gli inglesi nei loro comunicati di allora, si vantarono di avere abbattuto il più temibile avversario da caccia, ma la vera fine di quel temibile pilota tedesco fu che mentre era in volo, il motore del suo aereo prese improvvisamente fuoco e l’aereo non avendo più controllo precipitò al suolo causando la morte dell’asso Marseille; non dobbiamo dimenticare l’eroico comportamento del 4° e 3°Stormo da caccia e del 50°Stormo d’assalto dell’aviazione italiana che pur combattendo ancora con i sorpassati biplani CR.42 dettero filo da torcere ai piloti inglesi che guidavano aerei, velocissimi e potentemente armati. Nota interessante dei 98 aerei inglesi abbattuti dalla caccia italo-tedesca, nella battaglia di El Alamein, ben 45 furono attribuiti all’opera instancabile dei nostri piloti, anche se dotati di aerei con inferiori caratteristiche.

 

Nel frattempo il generale Montgomery preparava silenziosamente il suo piano di attacco per la grande battaglia, usando, oltre alla sorpresa, una serie di “bluff“, mimetizzando la sua poderosa forza corazzata in inoffensivi automezzi e le opere campali nascoste con coperture in reti, teloni e lamiere; infatti un carro armato, abilmente mascherato, veniva a sembrare, alla nostra ricognizione aerea, un carro da trasporto, con questo sistema riuscì in parte ad ingannare i comandi italo - tedeschi.

Anche Rommel usò ugualmente l’astuzia del carro armato ma in senso inverso, quale quello di trasformare semplici autocarri in falsi carri armati, onde far credere all’avversario di avere a disposizione grandi quantità di quei mezzi e spesso gli inglesi caddero in questo inganno, Rommel lo aveva già sperimentato con successo durante le battaglie in Cirenaica.

 

Montgomery volle completare il suo piano con un altro clamoroso stratagemma, per dare l’impressione al comando italo-tedesco dell’ACIT di attaccare a Sud del loro schieramento, quindi dette subito inizio in quel settore, alla costruzione di un falso acquedotto fatto abilmente con bidoni e tubazioni fuori uso, traendo in inganno, anche questa volta, la ricognizione che dall’alto non poteva notare che le tubature erano composte da bidoni; questo scaltro accorgimento, venne portato per le lunghe come lavori onde fare supporre al comando dell’Asse, che un eventuale attacco dell’8^Armata era subordinato al completamento dell’acquedotto, che secondo gli esperti tecnici tedeschi non poteva essere finito se non verso la fine di novembre; invece l’offensiva di Montgomery avvenne la sera del 23 ottobre ed in effetti fu una sorpresa per il generale Stumme, che aveva sostituito Rommel. Per Monty erano però modesti sotterfugi rispetto alla realtà costituita da migliaia di carri armati, cannoni, aerei, munizioni, carburante, rifornimenti alla cui distribuzione vennero impiegati 60 mila automezzi logistici.

 

 

Alle ore 21,40 del 23 ottobre ( Mappa n°21 ), oltre un migliaio di cannoni inglesi di ogni calibro, vomitarono  sulle posizioni italo-tedesche da El Alamein sino alle Depressioni, migliaia e migliaia di proiettili, ma la maggiore concentrazione di tiri di artiglieria, onde dare l’impressione che in quel settore doveva essere il punto di sfondamento, cadde sulle posizioni della Folgore e della Pavia, pare che sulle loro posizioni piovvero da 2.000 a 3.000 granate; per circa due ore la terra tremò su tutto il fronte, poi per alcuni istanti subentrò una certa calma, ma fu una illusione per i nostri soldati, infatti appena dopo le 22, la fanteria avversaria appoggiata da numerosi carri armati era già davanti le nostre posizioni che venivano nuovamente martellate dall’artiglieria; a Sud la Folgore, dovette sostenere i duri attacchi del XIII Corpo d’armata, che gli aveva messo di fronte la 44^divisione, la 7^divisione corazzata e la brigata francese, ma era a Nord che Montgomery concentrò il suo maggiore sforzo, in quanto vennero duramente provate le divisioni Trento, Brescia e Bologna, che dovettero fronteggiare il XXX° e il X° Corpo d’armata che era l’orgoglio dell’8^Armata.

 

Il giorno 24 la battaglia aveva preso già una svolta alquanto sfavorevole per Stumme, anche perché egli non ebbe la possibilità di fare intervenire compatte le 4 unità corazzate, che Rommel aveva predisposto nel retro dello schieramento, assegnando ad ognuna di esse un settore di azione di 15 Km. e che dovevano intervenire soltanto in caso di sfondamento della linea del fronte.

Nella stessa giornata del 24, il generale Stumme moriva in una tragica circostanza: mentre era in macchina con il suo capo di Stato Maggiore il colonnello Buechting, in ispezione notturna sulla prima linea, la sua macchina venne ripetutamente colpita da tiri di mitragliatrice, non si seppe se sparati da un carro armato o da un autoblinda infiltratasi nelle linee tedesche, a seguito di quel improvviso mitragliamento l’autista impaurito fece una forte inversione che provocò la caduta, fuori dall’automezzo, del generale Stumme che forse era anche riuscito ad aggrapparsi alla portiera, ma l’autista non si accorse di quanto stava capitando al generale e proseguì la sua folle corsa rientrando velocemente nelle linee tedesche e solo allora si accorse che sulla macchina non vi era più il generale ma solo il corpo del colonnello Buechting ormai morto in quanto colpito al capo; il giorno dopo pattuglie tedesche andarono alla ricerca del generale e riuscirono a trovare il suo cadavere; dalla perizia medica risultò che era morto per un attacco cardiaco, forse lo sforzo di restare aggrappato alla macchina gli fu fatale; lo sostituì il generale von Thoma, anch’egli giunto da poco dalla Germania, ma era già stato in Libia nel settembre del 1940, inviato da Hitler in missione, per accertarsi della situazione militare del nostro esercito in quel periodo. La scomparsa del generale Stumme mise in grave crisi il comando tedesco, anche perché il generale Wilhelm von Thoma non aveva grande esperienza di guerra nel deserto; il generale venne infatti catturato dagli inglesi a novembre nella battaglia di Tell Aqqaqir.

Il giorno 24, Hitler telefonò a Rommel in ospedale ove era ricoverato da 3 settimane, imponendogli l’immediato rientro in Africa; nonostante fosse ancora  convalescente, il feldmaresciallo ubbidì e nel tardo pomeriggio del 26 era già in Africa al suo quartiere generale di El Daba, prendendo subito in mano la situazione e contrapporre con un contrattacco la pericolosa minaccia nemica, sforzandosi di riunire le due panzerdivision; é noto che quello improvviso  rientro  produsse una azione rassicurante tra la truppa.

Certamente Rommel si era reso conto che ormai El Alamein era perduta, sapeva che la sua armata era a corto di carburante, nonostante ciò tentò, dirigendo personalmente un contrattacco, che per il momento riuscì soltanto ad arrestare l’avanzata nemica, ma perdette di conseguenza numerosi carri armati.

 

Avvalendosi del grande numero disponibile di mezzi e di uomini, Montgomery, con la 9^divisione australiana e la 1^divisione corazzata, era riuscito ad aprire un varco di circa 10 Km. nel sistema difensivo dell’Asse nel settore Nord, però il pronto intervento della 21^panzerdivision e della 90^divisione leggera, riuscirono momentaneamente a tamponarlo; anche al Sud dove la divisione Folgore teneva saldamente le sue posizioni, vennero sferrati attacchi, poi per qualche giorno vi fu una specie di tregua, tanto che il feldmaresciallo Kesselring, recatosi il giorno 28 ad ispezionare il fronte di El Alamein, ritenne che Rommel avesse in mano la situazione; Kesselring rientrato a Roma, in un colloquio con Mussolini, lo aveva assicurato che il fronte di El Alamein non destava in quel momento seria preoccupazione; in effetti egli era giunto al fronte nel momento in cui Montgomery aveva allentato la pressione per riorganizzarsi onde sferrare l’attacco finale, quella sosta naturalmente permise a Rommel di rafforzare le sue posizioni, quindi Kesselring aveva trovato una situazione alquanto calma ma non per questo meno preoccupante.

Nei colloqui tra i due feldmarescialli, Rommel per l’ennesima volta tornò a ripetere che se non arrivavano i rinforzi richiesti, non avrebbe potuto mantenere quel fronte, rinforzi che non giunsero a destinazione a causa di affondamenti di navi da carico e petroliere; altro grave problema di Rommel era il munizionamento, doveva razionare le granate, in quanto spesso l’artiglieria non poteva reagire per mancanza di proiettili, quando invece da parte avversaria, il loro bombardamento era illimitato e senza soste.

 

Dopo quei pochi giorni di calma  nella notte del 31 ottobre e nella giornata del 1° novembre, Montgomery sferrava l’attacco decisivo, quello finale: a Nord le fanterie della 9^divisione australiana, della 51^divisione scozzese, della 2^ neozelandese e 1^sudafricana con l’appoggio della 1^divisione corazzata, sfondavano il settore tenuto dalla divisione Trento e 164adivisione leggera tedesca, sostenuto anche dalla 90^Divisione tedesca, nonostante l’intervento della divisione corazzata Littorio e della 15^panzerdivision, che aveva dato il cambio alla 21^spostata più a Sud; al centro le posizioni attorno a Deir el Abyad tenute dalla divisione Bologna e parte della brigata paracadutisti tedeschi non ressero alla spinta della 4^divisione indiana, della brigata greca e della 10^divisione corazzata del X° Corpo d’armata inglese; un poco più a Sud anche la Brescia e il resto della brigata Ramcke cedettero contro l’attacco della 50^divisione inglese; le divisioni Ariete e Trieste, prodigandosi nel contrastare l’avanzata dei corazzati inglesi, subirono gravissime perdite. La Trieste agli inizi della grande e definitiva offensiva inglese del 1° novembre,  venne tolta dalla riserva mobile d’Armata e immediatamente inviata nella zona di Sidi Abd el Rahman in sostituzione della 21^ panzerdivision. A Sud la Folgore, con il suo 8°battaglione guastatori, i due battaglioni paracadutisti tedeschi Hubner e Burkardt e parte della divisione Pavia, non potendo più avere l’appoggio dell’Ariete, che Rommel aveva fatto risalire al Nord, resistettero caparbiamente ai duri attacchi della 7^divisione corazzata, della 44^divisione di fanteria e dalla brigata francese, alle quali si erano aggiunte la 10^ e 23^brigata corazzata.

 

Nei giorni 2 e 3 novembre nella zona di Tell el Aqqaqir, avvenne la più micidiale e decisiva battaglia tra forze corazzate; i due belligeranti misero in campo quanto di meglio e più potente avessero in quel momento in mezzi corazzati; purtroppo la superiorità inglese ebbe il sopravvento, la già decimata divisione Trieste subì altre perdite, la divisione corazzata Littorio perdette un grande numero di carri armati, lo stesso destino toccò alla 21^panzerdivision, la divisione Ariete, ormai ridotta a pochi carri armati, dette il suo eroico ultimo contributo e finì quasi distrutta nonostante l’eroismo dei carristi e dell’8°bersaglieri, da citare anche il contributo dato dai battaglioni di fanteria delle divisioni Bologna e Brescia che subirono anch’essi gravi perdite. Rommel si rese conto che non avrebbe potuto più capovolgere le sorti della battaglia in suo favore, quindi volendo salvare il maggiore numero di uomini e di mezzi, prese l’estrema decisione di ripiegare. Infatti già dai primi giorni di novembre, Rommel aveva constatato la superiorità inglese, alla quale non poteva contrapporre che poche forze, non sperava più nell’arrivo di rinforzi che comunque mai sarebbero arrivati, le scorte di carburante erano quasi esaurite, quindi fu giusta e saggia la sua decisione di ritirarsi onde salvare il salvabile. Contemporaneamente alla decisione di ripiegare su altre posizioni, Rommel ricevette da Berlino un perentorio telegramma di Hitler che gli imponeva la resistenza ad oltranza ad El Alamein che secondo Berlino doveva essere tenuta sino all’ultimo uomo.......” Vittoria o morte .....” con questo demagogico e inutile ordine Hitler chiudeva il suo telegramma.

Rommel era rimasto dapprima sorpreso e indeciso sul da farsi, tanto che aveva già dato ordine di non attuare più il ripiegamento, ma poi consigliandosi con il suo Stato Maggiore e con il felmaresciallo Hesserling che approvò ogni decisione di Rommel, il quale forte di quello appoggio, annullò l’ordine insensato di Hitler e dette inizio al ripiegamento.

 

Purtroppo quella ritirata lasciò al loro destino, alcune divisioni di fanteria italiane, come la Folgore, la Pavia, la Brescia e parte della brigata paracadutisti Ramcke, che prive di automezzi non erano in grado di affrontare un rapido ripiegamento verso la costa. Queste gloriose divisioni, unitamente ai paracadutisti tedeschi, benché rimaste isolate resistettero, sino al giorno 2 - 3 novembre agli attacchi nemici, poi furono costrette ad abbandonare le loro posizioni che avevano strenuamente difeso per lunghi mesi, iniziando a piedi quel tragico ripiegamento che dopo pochi giorni si concluse con la loro cattura. Solo i paracadutisti tedeschi riuscirono a recuperare con un colpo di mano degli automezzi inglesi, con i quali poterono ricongiungersi al resto dell’armata di Rommel. Corsero voci di accusa verso Rommel, che per salvare il maggiore numero di soldati tedeschi, aveva requisito un certo numero di autocarri alle fanterie italiane; sinceramente non sappiamo se vi é verità su quelle accuse ma é anche vero che le divisioni di fanteria italiane erano scarsissime in quanto ad automezzi, abbiamo molti esempi su questo fenomeno, la prima ritirata di Graziani ne é una prova; causa la penuria di mezzi di trasporto, in quella ritirata vennero fatti prigionieri circa 130.000 nostri soldati, perché appiedati e quindi nella impossibilità di ritirarsi velocemente.

In verità Rommel disponeva di 200 automezzi italiani avuti dall’Intendenza A.S. ma ritenne opportuno utilizzarli per le esigenze delle sue G.U. mobili ed egoisticamente rifiutò di consegnarli agli italiani.

 

Dopo 12 durissimi giorni di lotta, la battaglia di El Alamein si era conclusa, l’8^Armata di Montgomery aveva inflitto una grave sconfitta alle truppe di Rommel che ormai erano in ordinata e non precipitosa ritirata, come allora affermò anche la stampa inglese. In quel ripiegamento l’aviazione inglese non dette tregua alle truppe dell’Asse; i resti di quella armata, che fu l’orgoglio di Rommel, marciava verso Fuka, ove le poche unità, ancora in grado di combattere, avrebbero dovuto creare una zona di difesa, purtroppo la pressione inglese impedì la possibilità di attuare quella difesa, quindi avvenne un nuovo ripiegamento generale su Marsa Matruch che cadde il 7 novembre, poi fu la volta di Tobruch, occupata dagli inglesi il 13. Continuando la ritirata, le truppe italo-tedesche evacuarono Bengasi il 20, e solo tra Agedabia ed El Agheila, Rommel riuscì a contenere l’avanzata dell’8^Armata, che in effetti ormai si limitava a seguire prudentemente a distanza quella ritirata non impegnandosi in grossi combattimenti, lasciando il compito di distruzione alla aviazione. Rommel tenne quella linea di difesa per pochi giorni, ma non aveva più carri armati, poichè degli oltre 480 disponibili a El Alamein, a El Agheila poteva contare solo su 35 carri tedeschi e non più di 20 carri M.14 della Littorio; i carri armati della 21^panzerdivision con quelli superstiti della Ariete e Trieste, che avevano fatto baluardo, prima a Tell Aqqaqir e poi a Fuka, non esistevano più; dei  96.000 uomini che erano stati schierati ad El Alamein, 10.000 erano morti, 15.000 furono i feriti, 34.000 prigionieri dei quali oltre 10.000 erano tedeschi, il resto erano sbandati e solo poco più di 9.000 potevano considerarsi ancora in condizioni di combattere, inoltre la grande parte dell’artiglieria o era stata distrutta o abbandonata, per mancanza dei mezzi di traino colpiti dalla RAF o perché privi di carburante.

Le statistiche fornite dagli inglesi circa le loro perdite, dettero allora questi numeri: 13.500 soldati tra morti, feriti e prigionieri, 500 carri di vario tipo distrutti sui 1.300 schierati che avevano partecipato alla battaglia, un numero imprecisato di cannoni perduti ( pare che una parte di essi vennero in seguito  recuperati, trovandosi in territorio ormai saldamente in loro mani).

 

La battaglia di El Alamein ebbe caratteristiche diverse da tutte le altre battaglie che si combatterono in Africa Settentrionale, fu una battaglia di posizioni dove l’avversario per avanzare doveva aprirsi una breccia, poi per il limitato campo d’azione molto fortificato da ambo le parti, solo il più forte in mezzi e uomini poté sfondare, questo appannaggio fu degli inglesi che di quella battaglia ne fanno tuttora un vanto storico.

Il Primo Ministro Churchill nelle sue Memorie cosi scrive: .....Prima di El Alamein non avevamo mai ottenuto una definitiva vittoria, dopo El Alamein non conoscemmo più la sconfitta.

Gli inglesi si sono sempre vantati di avere sfondato ad El Alamein le “salde difese” italo-tedesche, ciò è esagerato; dei 96.000 soldati italo-tedeschi schierati  su quel fronte, solo 89.000 erano in prima linea, gli altri 7.000 erano addetti ai servizi logistici di seconda linea.

I soldati di prima linea dovevano difendere un fronte di oltre 70 chilometri, vale a dire 1.200 uomini per chilometro, ciò a dimostrazione come le difese fossero sparpagliate.

Montgomery si è vantato nelle sue “Memorie”, che le posizioni nemiche erano saldamente fortificate e lo sfondamento da parte inglese, fu “una impresa gigantesca” dovuta alla sua abile strategia.

In effetti il sistema difensivo italo-tedesco si basava soprattutto sulla estensione di campi minati che avevano una profondità di 4-5 chilometri e in essi non vi erano zone che facessero da cuscinetto, i capisaldi distanziavano vari chilometri l’uno dall’altro, quindi fu facile per gli inglesi, avvantaggiati da una massa imponente di carri armati e l’uso incessante dell‘artiglieria, sfondare il fronte e penetrare in profondità.

 

Ad El Agheila erano anche giunti i superstiti della 136^divisione “Giovani Fascisti”, dopo una massacrante marcia di 1.100 Km. attraverso il deserto   (Mappa n°22 ), ecco la loro odissea: quando il generale Montgomery sferrò ad El Alamein l’attacco del 23 ottobre, che obbligò Rommel a ripiegare, la divisione, che era a Siwah rimase isolata e l’8 novembre dovette abbandonare le posizioni che teneva in quella oasi e ripiegare verso l’interno del deserto, in quanto non fu possibile sfruttare la pista per Marsa Matruch poiché questa era già stata riconquistata dagli inglesi, allora il generale Di Nisio prese l’estrema decisione di puntare su Giarabub; la divisione si mosse parte a piedi e parte su quei pochi automezzi Lancia 3RO e Fiat 740, alcuni dei quali non avendo più benzina venivano trainati da quelli in grado di muoversi, seguivano gli unici due carri armati che la divisione, pomposamente qualificata come corazzata, aveva in dotazione.

Purtroppo quella ritirata fu sempre sotto il costante bombardamento dell’aviazione nemica che causò ancora morti e feriti e la distruzione di diversi automezzi e dei due carri armati; benché decimata, nella giornata del 10, la divisione riuscì a raggiungere Giarabub, ma appena giunta sul posto il generale Di Nisio, essendosi aggravate le sue condizioni fisiche, causa la malaria che aveva contratto a Siwah, fu costretto a lasciare il comando e venne imbarcato sull’unico velivolo che ancora operava a Giarabub e trasportato all’ospedale di Derna, subentrò nel comando il colonnello Follini che decise di proseguire per Gialo.

Recuperata la guarnigione di Giarabub, la divisione continuò il ripiegamento, sempre nell’interno del deserto verso Gialo e Augila, con continui insabbiamenti degli automezzi e tirati fuori dalla sabbia a forza di braccia, sacrificando tutto ciò che era possibile mettere sotto le ruote, zaini, pastrani, giacche, persino le barelle dei feriti; il giorno 16, quello che restava della 136^ divisione “corazzata” GG.FF. giunse a Gialo accampandosi nell’interno del forte, ma l’aviazione inglese non dette loro pace, bombardando il forte, vi furono diversi feriti e la distruzione di altri automezzi.  

Dopo 1.100 Km. e 10 giorni di estenuante marcia in pieno deserto su piste sconosciute i superstiti di quella 136^ divisione affamati, assetati e ridotti a larve umane, il giorno 18 arrivarono ad Agedabia, dove furono subito impegnati, aggregati ai resti della divisione Sabratha, come retroguardia e copertura dei reparti italo-tedeschi che ormai si ritiravano verso la Tripolitania. ( vedere MAPPA N°22 del ripiegamento di Siwah e FOTO N° 1-2 )

Dal 22 novembre al 1°dicembre, le retroguardie dell’Asse riuscirono a frenare ad Agedabia l’avanzata inglese, grande merito di questa resistenza fu l’eroica difesa fatta dai due battaglioni Giovani Fascisti e dai superstiti fanti delle divisioni Sabratha, Bologna e Trento, ormai ridotti a poche centinaia di uomini.

Altra resistenza venne fatta a Buerat ai confini con la Tripolitania, dal 26 dicembre al 3 gennaio 1943 e anche qui i Giovani Fascisti si scontrarono con reparti del XXX° Corpo d’armata inglese; ultima difesa a Tarhuna, poi avvenne l’abbandono definitivo della Libia, Tripoli venne occupata il 22 Gennaio 1943.

 

Circa l’abbandono della Libia, vorrei citare un fatto ancora sconosciuto dagli storici militari che hanno descritto le vicende belliche di quel periodo; io ne sono venuto a conoscenza attraverso la testimonianza di un mio concittadino che fu presente in una particolare circostanza, ove vennero prese le estreme decisioni circa l’abbandono della Libia e sono autorizzato a fare il suo nome, egli si chiama Pietro Napolitano, oggi novantenne, allora era sottufficiale in servizio presso il Comando Superiore Africa Settentrionale, descrivo l’episodio con le sue parole:........” eravamo ai primi giorni del mese di gennaio, ero stato distaccato al villaggio Bianchi (nota dell’autore: il villaggio agricolo Bianchi si trovava a 44 Km. da Tripoli) per predisporre e attrezzare un ampio locale per una importante riunione militare, io ero all’oscuro di cosa si trattasse. Dopo qualche giorno, avevo trovato la sistemazione adatta nel grande salone della Casa del Fascio locale, frattanto il villaggio Bianchi si andava riempiendo di molti ufficiali superiori di ogni Arma, seppi da uno di questi ufficiali che in giornata avrebbe avuto luogo al villaggio Bianchi un avvenimento storico: un Consiglio di guerra tra gli Stati Maggiori italiano e tedesco. Infatti alle ore 17,00 precise del giorno 18, arrivarono i marescialli Bastico e Cavallero, scortati da almeno 100 tra bersaglieri e carabinieri motociclisti; alle ore 17,10 atterrarono sul campo di foot-ball con aerei “Storch Fieseler”, i feldmarescialli Kesselring e Rommel, accolti dal numeroso stuolo di alti ufficiali italiani e tedeschi. Si riunirono nell’ampio salone della Casa del Fascio, attorno a un lungo tavolo ove erano disposte tante carte geografiche.

Ebbe così inizio l’incontro che io chiamerei di scontro; insieme ad un sottufficiale tedesco ero di servizio all’entrata del salone e quindi in grado di assistere a tutto l’incontro, così attraverso gli interpreti, sentii ogni parola e segui ogni mossa dei convenuti.

I nostri generali, prospettando i loro piani, avevano tentato e insistito, battendosi come leoni, affinché non si abbandonasse la Tripolitania; ma con la “volpe del deserto” non ci fu nulla da fare, Rommel alzatosi in piedi, prima calmo, dopo con voce alta, menando pugni all’aria e sul tavolo, infuocandosi sempre di più, restò irremovibile e il risultato fu “ripiegamento generale verso la Tunisia”.

I marescialli Cavallero e Kesselring si erano mantenuti più calmi, ma dopo tanto battere e ribattere, il risultato finale fu a nostro svantaggio: perdere la nostra cara Tripolitania.

I saluti furono freddi dopo tutti partirono, anzi sparirono. Nessuno del Comando superiore e di altri Comandi s’interessarono di me né dei miei sottoposti; dopo avere ricevuto l’ordine di ripiegamento, restammo soli e senza mezzi, solo per mia volontà riuscii ad effettuare quel ripiegamento sino in Tunisia con mezzi di fortuna”.

 

Certamente questa pagina di storia sconosciuta ai più, vuol dimostrare l’antagonismo che sussisteva tra le nostre alte gerarchie e Rommel, comunque anche accettando la proposta italiana di non abbandonare la Tripolitania e opporre resistenza attorno a Tripoli, non avrebbe risolto nulla, si sarebbe prolungata di qualche giorno la nostra presenza in Libia e con il risultato di

aumentare il numero di morti e prigionieri, ma soprattutto di morti civili,in quanto Tripoli era molto popolata sia da italiani, oltre 20.000, che da libici.

            

Veniamo ora a conoscere quale sorte toccò ad una delle più gloriose nostre divisioni nella battaglia di El Alamein: la divisione Folgore, vanto ancora oggi dell’esercito italiano.

Come sopra già accennato, la Folgore teneva un fronte di 15 Km.: da Deir Alinda a Deir Munassib e da Deir Munassib sino a Qaret el Himeimat, allo estremo limite delle depressioni di El Qattara. A Deir Alinda era schierato il 187°Reggimento sino a Deir Munassib, poi veniva l’8°battaglione guastatori e scendendo verso Sud il 186°reggimento, l’estrema punta di questo schieramento era tenuta dal 5°-6°e 7° Battaglione del 186°. Il 185° artiglieria paracadutista non presidiava alcun tratto di fronte in quanto i suoi gruppi di batterie erano state assegnati ai singoli battaglioni dei reggimenti 186°e 187°.( FOTO N°3 )

La Folgore sin dal mese di agosto e per tutto settembre era stata oggetto di continui assalti inglesi; in quei due mesi aveva avuto i suoi morti in eroiche azioni di attacchi e contrattacchi, mentre gli inglesi si erano logorati in quegli assalti tanto che agli inizi di ottobre avevano affidato la distruzione dei capisaldi “folgorini“ alle loro artiglierie e alla aviazione che purtroppo causarono molte vittime, una illustre fu quella di Guido Visconti di Modrone, decorato poi di M.A.V.M. ,comandante della 11acompagnia del 4° battaglione.

Il 18 ottobre, durante una ispezione notturna alle posizioni del 4° battaglione moriva il generale Orsi Ferrari, comandante il X° Corpo d’armata, Egli con il suo seguito andarono a finire su una sacca minata e saltarono in aria; in quel tragico incidente perirono il maggiore Patella, comandante del 4° battaglione e il maggiore Macchiato, mentre rimase ferito il paracadutista Polese, tutti    del 187°reggimento che era passato al comando del colonnello Bechi.

Alla morte del generale Orsi Ferrari, il comando del X° Corpo d’armata venne preso provvisoriamente dal generale Frattini, in seguito quel comando fu del generale Nebbia.

 

Quando il generale Montgomery sferrò nella sera del 23 ottobre il grande e risolutivo attacco allo schieramento italo-tedesco, concentrò, come già descritto, il massimo sforzo al settore tenuto dalla Folgore e affidò quel compito al XIII° Corpo d’armata che aveva ai suoi ordini: la 7^divisione corazzata ( veterana di guerra del deserto ), la 44^divisione e la 50^divisione inglese, una brigata greca e una brigata francese, alle quali si aggiunsero in seguito due brigate corazzate, la 10^ e la 23^, non meno di 50.000 uomini contrapposti ai circa 6.000 folgorini di cui 4.500 schierati in linea; il Montgomery sperava con quel poderoso esercito di frantumare le posizioni della Folgore, così da aprire un varco e dal Sud penetrare profondamente nelle retrovie per poi risalire al Nord e prendere alle spalle il resto dell’Armata di Rommel, ma nonostante che quel piano fosse stato messo in opera con il concorso dell’aviazione e con l’incessante martellamento dell’artiglieria sulle posizioni della Folgore e della Pavia, gli inglesi non riuscirono a passare.

Per la verità storica, il fronte tenuto dalla Pavia che era il lato sud delle depressioni e quindi l’estrema punto difensivo, non ebbe gravi perdite nella battaglia del 23 ottobre, in quanto poco impegnato, gli inglesi si accanirono contro le posizioni della Folgore alla quale era stato dato come rinforzo un solo battaglione del 28° reggimento della Pavia, battaglione che si sacrificò insieme ai “folgorini”.

 

Il 185°reggimento artiglieria, comandato dal colonnello Boffa che disponeva dei soliti cannoni da 47/32 che facevano appena il solletico ai possenti carri armati inglesi, compì sino dalla sua entrata in linea una valida opera di appoggio ai nostri fanti paracadutisti, schierando nei capisaldi avanzati i suoi modesti pezzi anticarro; solo quando ebbe in prestito dall’Ariete cannoni più potenti, dette migliori risultati. 

 

Dal 23 al 31 ottobre altre morti gloriose si ebbero nella Folgore; cadde, combattendo alla testa dei suoi uomini, il capitano Costantino Ruspoli di Poggio Suasa, verrà decorato di Medaglia d’Oro al Valore Militare, due giorni dopo anche il fratello Marescotti Ruspoli che comandava il raggruppamento omonimo venne ucciso, altra M.O.V.M.; perdono la vita combattendo il maggiore Francesco Vagliasini di Randaccio, il tenente Gastone Simoni, il paracadutista Gerardo Lustrissimi, molti i caduti del IV° battaglione, quasi distrutto il V° e il VII°; vengono feriti il capitano Felice Valletti Borgnini, già in altre azioni ferito per ben tre volte, ma il 26 mentre era al comando del IV° battaglione fu colpito gravemente alla gola e alla spalla, lasciando il comando al tenente Antonino Gallo che lo stesso giorno di comando subisce la medesima sorte del capitano Valletti; restano ancora feriti altri ufficiali quali il tenente Lassalle Errani, il tenente Vittorio Bonetti, il maggiore Izzo comandante del V Battaglione, ancora il maggiore  Bergonzi del VII e tantissimi paracadutisti che se dovessi tutti nominarli non mi basterebbero 4 capitoli di questo libro; di 16 comandanti di battaglione della divisione che si erano succeduti nei vari comandi, 10 caddero combattendo e 5 vennero feriti più o meno gravemente, a dimostrazione di quanto elevate furono le perdite della Folgore.

 

Il giorno 3 novembre la Folgore ricevette l’ordine di abbandonare le posizioni ancora validamente tenute e ripiegare su Gebel Kalakh, a 20 Km. Sud-Ovest, ripiegamento che venne effettuato sotto l’incalzare di mezzi blindati inglesi appoggiati dalla onnipresente aviazione.

Duro fu quel ripiegamento, con altri morti e feriti, il giorno 6 novembre durante un contrattacco della retroguardia del 186°reggimento, venne colpito mortalmente il tenente Gaetano Lenci; a contrastare l’avanzata nemica si sacrificò anche il VII° e IX° battaglione del 187°, andando all’assalto con in testa i loro comandanti, in una di quella azioni caddero prigionieri il generale Frattini, il vice comandante della Folgore generale Bignami e il colonnello Boffa del 185°reggimento artiglieria.

 

La Folgore ormai isolata nel deserto, circondata dalle autoblindo e carri armati, ridotta ad appena 32 ufficiali e 272 paracadutisti dei 6.000 che erano giunti in Egitto, stremata, senza più munizioni ma soprattutto senza più viveri, acqua e medicinali, fu costretta a cedere le armi; erano le ore 17 del 6 novembre 1942, la Folgore chiudeva una pagina gloriosa della sua storia.

La resa della Folgore fu nobile come una Vittoria.

 

Comunque non tutta la Folgore fu eliminata, il capitano Carlo Lombardini , riuscì nel dicembre 1942 a costituire un battaglione con paracadutisti che al momento della dissoluzione della Folgore, si trovavano nelle retrovie o ricoverati negli ospedali, con essi dette vita al 285°battaglione Folgore che a  Zuara in Tripolitania e in Tunisia, nelle battaglie del Mareth, Uadi Akarit, Takruna e Enfidaville dimostrò al nemico, che la Folgore non era morta.

 

Ecco alcuni commenti della stampa inglese di allora sulla Folgore:

Radio Cairo del 8 novembre: ...“gli italiani si sono battuti molto bene, la divisione paracadutisti Folgore al di là di ogni possibile speranza, ha combattuto al disopra di ogni limite”...

 

Radio Cairo del 11 novembre 1942: ...“la resistenza offerta dalla divisione Folgore é invero ammirevole”...

 

La Reuter di Londra, nello stesso periodo: ...“i paracadutisti italiani della divisione Folgore  sono stati  ammirevoli”...

 

Comunicato della B.B.C. di Londra del 3 dicembre 1942: ...“gli ultimi superstiti della Folgore  sono stati raccolti esamini nel deserto. La Folgore é caduta con le armi in pugno”...

 

Dalla B.B.C. di Londra, dal discorso del Primo Ministro W. Churchill in occasione della vittoria a El Alamein: ...“dobbiamo davvero inchinarci  davanti ai resti di quelli che furono i leoni della Folgore”...

 

Questa é solo una parte dei commenti che il nemico e parte della stampa straniera di allora dedicarono alla nostra più gloriosa divisione in quella sfortunata guerra. L’Albo d’Oro della Folgore si fregia, per le battaglie combattute in A.S., di ben 22 M.O.V.M. di cui 5 a viventi, 175 le medaglie d’Argento, 61 di Bronzo, 73 Croci di guerra e numerose decorazioni tedesche assegnate ai folgorini.

 

I generali Frattini Enrico, Bignami Riccardo e il maggiore Verando Giovanni, furono insigniti dell’Ordine Militare d’Italia. I reggimenti paracadutisti: 185°-186°e 187° vennero decorati con la M.O.V.M.

 

Uno dei battaglioni più decorati della Folgore fu il VII° del 186° Reggimento, con 8 M.O.V.M. di cui 2 a viventi: serg. maggiore Pistillo e paracadutista Leandro Franchi, di quest’ultimo la drammatica storia ha quasi dell’inverosimile che porterò a conoscenza in questo capitolo; il VII° Battaglione ebbe ancora 15 M.B.V.M., 20 Croci di Guerra, più 7 Croci di ferro di 1aClasse e 15 di 2aClasse tedesche.

 

Il miracolo e l’eroismo della Folgore non si sarebbe mai potuto realizzare senza i suoi splendidi ufficiali, sottufficiali o semplici Paracadutisti.

 

Molto si é scritto da parte degli storici e della stampa, sulla epopea della divisione paracadutisti Folgore di El Alamein, ma non moltissimo sugli uomini che ne fecero parte, soprattutto dei comandanti di compagnia, di plotone o del singolo paracadutista.  

Una eccezione la troviamo nei due libri “FOLGORE e si moriva“ e “Uomini della  FOLGORE ad El Alamein“, scritti dal “folgorino‘ Raffaele Doronzo, che ci descrive il paracadutista non solo come soldato ma anche come uomo, con le sue preoccupazioni, le sue angosce, i suoi timori e anche le sue paure: l’uomo... soltanto l’uomo!

                                                                       

Leggendo i libri del Doronzo, in uno di essi “Uomini della FOLGORE ad El Alamein“ notai che l’autore, con ammirazione, traccia le vicissitudini di un comandante di compagnia; la sua figura di soldato mi colpì immediatamente, così da volerne conoscere più profondamente la vita militare.

Questo il suo nome: tenente Franco TALO’, classe 1914, promosso capitano sul campo di battaglia ad El Alamein.

 

Ecco l’iter militare del tenente Franco TALO’. Appena diplomato, entra nel 1934, con un concorso selettivo, nella  Accademia di Educazione Fisica della Farnesina in Roma; ma poi, attratto dalla vita militare, lascia l’Accademia di Roma per un altra Accademia, quella di Modena, allora denominata “Regia Accademia di Fanteria e Cavalleria”. Nominato sottotenente in S.P.E. nel 1938, viene assegnato, dopo la frequenza della Scuola di Applicazione di Parma, al III° battaglione del 33° Reggimento Fanteria “ LIVORNO “ di stanza a Cuneo.  (FOTO N°4 )

 

Nel giugno 1940, allo scoppio del secondo conflitto mondiale, é sul fronte francese, ove già dimostra particolari attitudini di comando. Sul finire del 1941, eccolo a Tarquinia, alla Scuola Paracadutisti, ove, nel giugno 1942, consegue il brevetto di paracadutista.

Assegnato al 187°reggimento, assume il comando della 29^ compagnia e partecipa dal 1° al 4 settembre alla “battaglia di Santa Rosa” a DEIR ALINDA, a difesa della famosa Quota 101. 

Nel corso delle mie ricerche, ho avuto anche la fortuna di conoscere il di lui fratello Luigi, oggi generale di C.A.(T.O) della Guardia di Finanza, che mi ha permesso di attingere tra i ricordi del fratello.

 

Una lettera di Franco TALO’ scritta al fratello Luigi dal fronte di El Alamein, mi ha profondamente colpito.

Trascrivo, qui di seguito, una parte di quella lettera:

   

...”Caro fratello, i giorni qui si fanno sempre più duri. Sono malato, ma ancora riesco a fare per intero il mio dovere. Non so cosa possa accadere in questo periodo. Ho fiducia. Ci rivedremo... ho anche io le mie grandi soddisfazioni, me le danno i miei soldati che sono veramente meravigliosi. Per ognuno di loro, una Medaglia d’Oro sarebbe poco...”

 

Questa lettera scritta a fine agosto, qualche giorno prima che la sua  29^ compagnia, nella battaglia a Deir Alinda, venisse ad essere completamente distrutta, già dava notizia che Egli soffriva di una dissenteria che andava sempre più aggravandosi, trasformandosi in una forte itterizia; il tenente TALO’, nonostante che il colonnello Camosso, suo comandante di reggimento, lo esortasse al ricovero in un ospedale da campo, rimase sempre in linea con i suoi paracadutisti.

 

Per 4 giorni, la 29^compagnia tenne saldamente quella Quota, pur sotto il martellamento incessante della artiglieria nemica e i continui assalti di due scelti reggimenti inglesi, quali il West Kent e il London Regiment, i paracadutisti del tenente Franco TALO’ non mollarono il terreno di un centimetro, benché provati per le gravi perdite.

 

Purtroppo a fine battaglia, della 29^compagnia rimasero poche decine di soldati.

Ecco cosa scrisse nel suo rapporto, al comando della divisione “FOLGORE“, il  colonnello Luigi Camosso, comandate del 187°reggimento, sulla battaglia sostenuta dalla 29^ compagnia e sul suo comandante: ”...in quei quattro giorni di combattimento a quota 101, il tenente Franco Talò guidò personalmente nei contrattacchi la sua compagnia, fu calmo, deciso, sprezzante del pericolo; questo ottimo ufficiale che vedeva nello eroismo dei suoi uomini il frutto di mesi e mesi di intelligente, faticosa e tenace preparazione militare e spirituale, diresse personalmente il combattimento e, paracadutista tra i suoi paracadutisti, con il suo coraggio personale contribuì alla rotta dell’avversario...”

 

Dai fatti su esposti emerge la figura di questo ottimo ufficiale subalterno, che sul campo di battaglia, nella cruenta lotta in posizioni particolarmente difficili, si distinse in modo particolare.

 

Il colonnello Camosso, così chiudeva il suo rapporto: ...”ritengo che la promozione al grado di CAPITANO per MERITO di GUERRA sia da concedere con la seguente motivazione:

UFFICIALE COMANDANTE DI COMPAGNIA, DI ELETTE VIRTU’, GIA’ DISTINTOSI IN PRECEDENTI COMBATTIMENTI, ATTACCATO NEL SUO CAPOSALDO DA FORZE NEMICHE PREPONDERANTI, INFONDEVA NEI SUOI PARACADUTISTI, PUR DURAMENTE PROVATI  DA UNA LOTTA INEGUALE, IL SUO STESSO SPIRITO COMBATTIVO E LA SUA TENACIA, TANTO  DA SGOMINARE L’AVVERSARIO, INFLIGGENDOGLI DURE PERDITE E CATTURANDO UNA SESSANTINA DI PRIGIONIERI, RICACCIANDOLO SULLE POSIZIONI DI PARTENZA, DOPO UN LUNGO E ALTERNO COMBATTIMENTO DURATO PARECCHI GIORNI, DURANTE IL QUALE CONFERMAVA BRILLANTEMENTE LE SUE  PROVATE CAPACITA’ DI COMANDO E LE SUE MAGNIFICHE DOTI DI COMBATTENTE E TRASCINATORE”...

 

Deir Alinda ( Africa Settentrionale ) 30 agosto - 4 settembre 1942

 

                                        Il Comandante del 187°reggimento

                                         ( colonnello Luigi Camosso )

 

Il 30 ottobre 1942, con Bollettino Ufficiale, registrato alla Corte dei Conti, al N°112, il tenente Francesco TALO’, Distretto di Palermo, venne promosso capitano.

 

Il capitano TALO’, nonostante le sue precarie condizioni di salute e sempre rifiutando l’urgente ricovero, continuò a combattere; pur di non abbandonare i suoi soldati che lo seguivano con ammirazione assoluta. Anche se li comandava con la mano di ferro, stravedeva per essi anche se non lo dava a vedere.                        

 

Il 6 novembre, nel deserto egiziano, si chiudeva la pagina eroica della divisione Folgore.                                                                                                

Il giorno 7 Novembre 1942, un piccolo gruppo di indomiti paracadutisti che non vollero arrendersi,combattevano ancora. Erano comandati da un giovane ufficiale, il capitano Franco TALO’

’.                        .                                                                                               Combatterono sino allo esaurimento delle munizioni; in ultimo usarono i pugnali, ma poi vennero sopraffatti e catturati. Il nemico non perdonò mai al capitano Franco TALO’ quella resistenza ad oltranza e nei quasi tre anni di prigionia non gli risparmiò sofferenze e umiliazioni di ogni genere.

 

Tutto questo per avere Franco TALO’; “l’ultimo di El Alamein”, gridato sempre ad alta voce il suo altissimo attaccamento alla Patria italiana.

 

Nel 1945, in conseguenza delle Sue precarie condizioni fisiche, il capitano Franco TALO’ venne rimpatriato e rientrò in Italia.

 

Dopo un breve periodo di convalescenza, essendo ufficiale in servizio permanente effettivo, riprese servizio, raggiungendo il grado di tenente colonnello.                                         

Purtroppo a seguito delle gravi malattie sofferte in guerra ed anche a causa delle cattive cure ricevute in prigionia, si spense a Milano il 2 Giugno 1965, a solo 5O anni di età.

 

Ed ora un nuovo accenno alla vita guerriera di un altro eroe: il paracadutista Franchi Leandro decorato di M.O.V.M. per una azione, che come sopra ho accennato ha dell’incredibile.

Nella notte del 23-24 ottobre, quando ebbe inizio il terribile bombardamento sulle posizioni della Folgore, Leandro Franchi si trovava al riparo in una buca, in compagnia del paracadutista Marco Bartalotto, quando una granata quasi centrò la buca, Bartalotto morì sul colpo, una scheggia gli aveva portato via parte della testa, mentre Franchi venne ferito al braccio e alla gamba sinistra, forte della sua fibra, si medicò da solo e si trascinò presso la buca del suo Comandante; benché ferito si offrì volontario per riattivare delle linee telefoniche interrotte dai proiettili; ferito nuovamente, questa volta al braccio destro, riuscì a rientrare nella postazione tenuta dalla sua Compagnia. Vi era però un altro compito, quello di minare un tratto di terreno dinnanzi alla postazione, anche questa volta fu volontario, nonostante che il suo comandante gli avesse ordinato di recarsi presso l’ospedale da campo per le necessarie cure; Leandro Franchi rifiutò e si avventurò, nella nottata, in quel rischioso lavoro che completò sotto il continuo bombardamento,sia dall’aviazione che dall’artiglieria nemica, rientrò esausto che era quasi l’alba.

Il giorno 25 mentre ancora spossato si trovava in buca, venne assalito da alcuni neozelandesi, benché indebolito per le ferite, ingaggiò un furioso “ match “ con gli assalitori, ricordo che il Franchi da civile era stato un promettente pugile dei pesi medi, purtroppo causa le ferite fu sopraffatto e catturato; portato nello accampamento neozelandese, si prodigò per curare un ufficiale paracadutista gravemente ferito, riuscendo a medicarlo alla meglio e a salvarlo da una emorragia.

Nella notte, strisciando lentamente assalì alle spalle eliminandole, ben cinque sentinelle, liberando altri prigionieri, poi caricandosi sulle spalle un capitano ferito e trascinando anche un altro ufficiale quasi cieco, si addentrò nel deserto dirigendosi verso le nostre linee. Dopo tre lunghissimi chilometri riuscì a raggiungere un nostro avamposto; rifiutava ancora di farsi ricoverare e riprese il suo posto di combattente.

Nel pomeriggio del 27 la sua posizione venne ancora attaccata dai neozelandesi, Franchi era in una buca, debolissimo per la perdita di sangue, nonostante ciò ingaggiò una lotta, ma questa volta un neozelandese lo assalì a colpi di pugnale, tre ne ricevette sulla faccia e sul collo in ultimo l’assalitore gli conficcò il pugnale nel cranio e credendolo morto lo lasciò in buca; dopo poco tempo il nostro Eroe si riprese e con l’unico occhio ancora sano si accorse che presso la sua buca vi erano due nemici, afferrata la pistola, fece fuoco uccidendone uno, l’altro gli si avventò contro, cercando di colpirlo con la baionetta, ma il Franchi con la forza della disperazione riuscì ad abbatterlo.

Rimasto isolato, poichè il suo plotone, nel frattempo, aveva dovuto ripiegare di qualche chilometro su nuove posizioni, benché avesse sempre quel pugnale conficcato in testa, raggiunse una postazione della Folgore; soccorso fu portato allo ospedale di Marsa Matruch ove riuscirono a togliere il pugnale, però le sue condizioni erano talmente gravi, che venne con urgenza, a mezzo aereo, trasportato in Italia. Nello ospedale del Celio di Roma, i medici non si fecero tante illusioni, gli venne anche data l’estrema Unzione; ma il forte paracadutista sopravvisse. Dal 1942 al 1954 subì ben cinque operazioni, applicandogli anche una calotta d’argento al cranio, non recuperò più l’uso dell’occhio ferito. Nel 1954 gli fu concessa la M.O.V.M.  ( FOTO N°5 )

 

Dal novembre a dicembre del 1942, in Africa Settentrionale due grandi avvenimenti dettero origine ad un nuovo corso della guerra in quel territorio: lo sbarco anglo-americano in Marocco e Algeria e una ordinanza del maresciallo Bastico, intesa a ristrutturare ciò che era rimasto dello esercito italiano dopo El Alamein; il nuovo esercito operò in Tunisia con il XX e XXI corpo d’armata che poi formarono la 1aArmata italiana.

 

E’ doveroso da parte mia dare al lettore una conoscenza anche se breve, del  Sacrario di El Alamein, ove riposano per l’eternità soldati italiani e libici e poco lontano, i “memorials” dei caduti tedeschi e inglesi.

 

Il Sacrario italiano si trova a breve distanza da El Alamein, nella zona della famosa Quota 33 ove si svolsero le grandi battaglie, il terreno é stato ceduto gratuitamente all’Italia dal Governo egiziano.

Questa opera muraria, progettata e voluta dal ten.colonnello Paolo Caccia Dominioni, che combatté ad El Alamein a fianco della divisione Folgore al comando del XXXI battaglione Guastatori d’Africa, é formata da tre imponenti edifici: il Sacrario propriamente detto, un complesso di costruzioni e la “Base italiana“ detta di Quota 33, questi due ultimi si trovano sulla strada litoranea che da Marsa Matruch arriva ad Alessandria.

Il Sacrario, che si distingue per la sua torre ottagonale, ha alla sua base un ampio padiglione che contiene in loculi le spoglie, o meglio i resti, dei Caduti, che sono 4.800 di cui 768 “ignoti “, tra questi Caduti vi sono i resti di 21 M.O.V.M., mancano i corpi di altre 14 M.O.V.M. che non  sono mai stati ritrovati assieme a migliaia di altri Caduti scomparsi per sempre.    

Nell’interno del Sacrario vi é una galleria semicircolare con ampi finestroni che oltre a dare illuminazione consentono una suggestiva vista del mare, al centro di questa galleria l’Altare sormontato da una grande croce.

Le strutture murarie che si trovano lungo la strada, comprendono il cimitero dei soldati libici Caduti, che sono 228, con la Moschea e un porticato d’ingresso, sito espositivo quale corte d’onore; segue il Museo con cimeli bellici e ancora un’altro contenente ricordi trovati tra i resti dei Caduti e anche ricordi di ex combattenti. 

La “Base italiana“ dista circa 500 metri dal Sacrario, essa nel periodo delle ricerche di Paolo Caccia Dominioni e del suo assistente, l’ex guastatore milanese Renato Chiodini del XXXI°, fu sede delle operazioni di recupero salme, oggi é adibita come abitazione del custode italiano.

Tra i cimeli si trovano anche 4 cannoni da 47 mm. recuperati dalle torrette di carri armati della “Trieste” abbandonati o distrutti durante la battaglia, questi cannoni sono così posti: due alla entrata del Sacrario e altri due  dinanzi al porticato d’onore.

E’anche vero che gli inglesi dal 1943 al 1945, provvidero, con la collaborazione di prigionieri italiani e tedeschi, alla raccolta delle salme di Caduti inglesi, italiani e tedeschi, costruendo a Quota 33 un cimitero italiano e uno tedesco, non trascurando le cure di manutenzione; purtroppo non essendoci custodi in quei cimiteri, gli arabi del deserto ne toglievano le croci di legno per alimentare i loro fuochi, necessari per farsi il the; naturalmente gli inglesi rimettevano in sostituzione altre croci, senza curasi di collocarle sul tumulo giusto.

 

Un particolare interessante: nel 1960, adiacente al porticato d’onore del Sacrario é stato consacrato un sacello che contiene le spoglie di operai italiani morti in Egitto, durante i lavoro delle dighe di Assuan, Esna ed Edfina.

 

Già dal 1946-47, il ten.colonnello Caccia Dominioni, che aveva ripreso al Cairo il suo studio di architetto, abbandonato allo scoppio della guerra, si era interessato al problema recupero salme dei Caduti nel deserto egiziano, iniziando con delle ricognizioni nella zona di El Alamein, a lui abbastanza  nota in quanto aveva preso parte a quelle battaglie nel 1942 ; avendo notato che ancora vi erano salme di Caduti da recuperare, in quanto gli inglesi nel 1943 avevano raccolto solo quelle trovate sulla costa, decise d’intraprendere l’ardua impresa della ricerca e recupero dei resti di quelli che erano stati frettolosamente seppelliti in diversi punti del deserto e lungo piste nell’interno egiziano.

Caccia Dominioni parlò di questo suo progetto con il Console Generale italiano del Cairo, il Dr.Alfredo Nuccio, ex bersagliere e combattente ad El Alamein dove fu ferito, quest’ultimo entusiasmato da quel progetto, sollecitò l’intervento delle autorità di Roma, le quali approvarono il piano dell’ex comandante del XXXI battaglione Guastatori e gli affidarono il compito di attuare i lavori di recupero.

L’architetto Dominioni, lasciò allora il suo studio del Cairo e con la collaborazione di un suo ex guastatore, il maresciallo Chiodini già menzionato, si mise con impegno al faticoso e pericoloso lavoro, che ebbe inizio nel 1947 e si concluse nel 1962. Furono oltre 15 anni di duri sacrifici, svolti in maggiore parte su terreni minati, infatti in quella impresa perirono ben 7 operai indigeni, lo stesso comandante e il Chiodini saltarono in aria su una mina, la fortuna fu dalla loro parte, rimasero illesi, ma il Chiodini l’anno prima aveva avuto analogo incidente rimanendo seriamente ferito.

 

Nel cimitero italiano a Quota 33, venne posta nel 1960, una lapide con la seguente epigrafe, dettata, nel 1942 ad El Alamein, dal ten. colonnello Alberto Bechi Luserna, già comandate del IV° battaglione Folgore e M.O.V.M alla memoria, della guerra di Liberazione 1943-45, così é scritto su quella lapide:

 Tra le sabbie non più deserte, sono qui di presidio per l’eternità i ragazzi della “FOLGORE”: fior fiore di un popolo e di un esercito in armi.

Caduti per una idea, senza rimpianti, onorati dal ricordo dello stesso nemico, essi additano agli italiani, nella buona e nella avversa fortuna, il cammino dell’onore e della gloria.

“Viandante”, arrestati e riverisci: Dio degli eserciti, accogli gli spiriti di questi “ragazzi” in quell’angolo di cielo che riserbi ai Martiri e agli Eroi.”

( Nelle FOTO N°6-7-8-9 sono raffigurati, Lapide Caduti soldati Libici, Sacrario e Moschea, Lapidi commemorative )

 

Nota storica: a fine dicembre 1942, il maresciallo d’Italia Ettore Bastico, che nel mese di agosto del 1942 aveva assunto il comando di tutte le Forze italo-tedesche operanti in Libia, ordinò lo scioglimento formale per dissoluzione organica delle divisioni: Bologna, Trento\, Pavia, Brescia, Ariete, Littorio e Folgore, in quanto erano andate completamente distrutte nella battaglia di El Alamein; i superstiti delle Unità disciolte vennero incorporati nel ricostituito XX° corpo d’armata del generale Enea Navarrini, poi passato al comando del generale Barbieri, formato dalle divisioni: Centauro, al comando del generale Conte Calvi di Bergolo (che aveva assorbito i resti dell’Ariete e Littorio) e dalla 136^ divisione GG.FF. e Trieste, mentre nel XXI° C.A. erano passate le divisioni: La Spezia, Pistoia ultime arrivate dall’Italia e una aliquota dei reparti sahariani.

Queste gloriose divisioni che si sacrificarono in battaglie impossibili, resteranno per sempre, come esempio di onore, sacrificio e obbedienza, nella nostra Storia militare a testimonianza del valore del soldato italiano.

 

NOTE DEL 4° CAPITOLO

 

 N°1 – Michael Carter – La battaglia di El Alamein – Ed.Baldini-Castoldi

 

 N°2 - Paul Carel – Le volpi del deserto – Editori Baldini-Castoldi-1963

 

 

 

 

 

 

 
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