04 marzo INIZIO 06 marzo

Domenica 5 Marzo 2006

Giovanna è ancora appisolata quando esco dal camper verso le 07:00 e porto con me la macchina fotografica digitale. Scatto alcune foto del porto, della Fortezza Santa Caterina, dello ex-stabilimento Florio, noto per la produzione del tonno . Quando mi avvicino all'elegante Palazzo Florio vedo fermarsi nei pressi un'ape rossa a tre ruote. L'ape, mezza vuota,  trasporta uova, ortaggi e frutta. Ne scende un uomo anziano, minuto, dal viso grinzoso e scurito dal sole. Gli faccio un cenno di saluto e lui mi risponde con un sorriso. Mi avvicino e mi presento.  Mi chiamo Domenico Ernandes, dico,  e sono figlio di Peppino Ernandes , sto cercando qualcuno che si ricordi di mio padre. Per un attimo mi scruta, poi con pacatezza mi risponde : mi chiamo Salvatore Arpaia e sono un cugino "stretto" di Peppino, tuo padre. Mio padre Giovanni e  la madre di tuo padre, Ciccina (Francesca)  Arpaia, che era tua nonna e mia zia, erano fratello e sorella. Sono nato nel 1914, ho 92 anni. Quando ero piccolo giocavo con tuo padre Peppino. Mi ricordo che io lo seguivo sempre, come un'ombra, perchè lui era più grande di me di qualche anno e con lui mi sentivo al sicuro. Volevo tanto bene a mia zia Ciccina (Francesca) , tua nonna, perchè mi sorrideva sempre.  Ora che ti vedo meglio, assomigli molto a Peppino, tuo padre. Dopo queste parole mi commuovo, lo abbraccio e mi escono alcune lacrime. In quel momento è come se avessi ritrovato mio padre, che ora non c'è più. Anche lui si commuove e mi da dei colpetti sulla spalla per conforto. Quando mi riprendo gli chiedo se possiamo andare a sederci da qualche parte per parlare con calma. Mi dice che al momento non può perchè deve consegnare la merce che ha nell'ape, ma che tra un'ora possiamo incontrarci davanti alla porta della Chiesa della piazza principale.  Alle 8:30, puntualissimo, parcheggia la sua ape rossa  davanti alla porta d'ingresso della Chiesa.  Lo invito a sedersi ad un tavolo esterno del Bar 81, antistante la piazza principale, per prendere un caffè e parlare. Salvatore Arpaia, malgrado l'età, è spigliato. Sollecitato, mi racconta che suo nonno paterno Nicola Arpaia, nato a Favignana,  era un gendarme che aveva sposato Orsola Venza. Il padre di Nicola, Salvatore Arpaia, napoletano, era un prigioniero politico. che era stato mandato al confino nell'isola di Favignana dalle autorità  borboniche, che consideravano Salvatore un rivoluzionario, mentre in realtà era solo un ribelle che mal sopportava le angherie dei potenti.  Il Salvatore Arpaia  che invece  sta seduto di fronte a me al tavolo del bar, rinsecchito dagli anni, all'apparenza sembra una persona mite ma con una forza d'animo  simile ad una quercia, forte e solida. Mi dice che abita in una casetta, con un fazzoletto di terra,  appena fuori del centro di Favignana, e che lui tuttora la lavora come un contadino. Dice che per fare il contadino ci vuole cervello, scarpe grosse ma cervello fino, mi dice strizzandomi l'occhio con sorriso d'intesa.  E' soddisfatto di sè perchè quando era ancora giovane era povero in canna  e che da niente (lui dice, zero assoluto) ora possiede una villino, un  po' di terreno, varie palme ed alberi da frutta.  Si sente fiero quando mi dice di aver conseguito l'anno scorso, all'età di 91 anni, la patente di guida per  l'ape. Un'ape, che lui chiama u sceccu,  diventato un  mezzo indispensabile  per lui e per trasportare le cose che coltiva e che poi vende casa per casa. Mi racconta  che possiede ancora una vanga che Vanni ferrarieddu ( Giovanni piccolo fabbro)  gli forgiò nel 1926 (ottanta anni fa)   e che gliela vendette  a rate per due lire. Mi ricordo che mio padre mi parlava spesso di U zu Vanni ferrarieddu, perchè aveva imparato da lui i primi rudimenti della sua professione. Ora però Salvatore Arpaia si alza e mi saluta perchè ha fretta di tornare a casa. Sua moglie è molto malata ed ha bisogno delle sue cure. Sorride quando mi dice: u sceccu m'aspetta (l'asino mi aspetta), poi  mette in moto l'ape e lentamente parte.

     FAVIGNANA - da sinistra : Salvatore Arpaia -  con me al Bar 81 - con la sua ape rossa - la Chiesa principale

Con il camper ci spostiamo verso Punta Cavallo e  lo parcheggiamo vicino ad un deposito di mattonelle. Faccio un pezzo a piedi con Joanne per arrivare all'ingresso del Cimitero. Lungo il sentiero che va al cimitero noto che sotto il livello stradale ci sono dei bellissimi giardini, molto ben curati. Sono proprio quei giardini ipogei, ricavati nelle cave di tufo,  di cui ci aveva parlato con ammirazione Angela Costanzo a Palermo. Sono bellissimi. Visti dall'alto  potrebbero sembrare delle pietre preziose colorate incastonate nella superficie dell'isola.  Ci sono case sotterranee,  alberi di agrumi, palme, banani, carciofi, ortaggi, fichi d'india, fiori selvatici  di vari colori  e tanto verde. La vegetazione cresce bella e abbondante, perchè  in buca raccoglie tutta l'acqua piovana ed è meglio protetta dalle intemperie. Il Cimitero di Favignana è a ridosso del mare. Sulle tombe scorgo cognomi a me noti, oltre ad Ernandes,  leggo Guarrasi, Grammatico, Barbagrigia, Giangrasso, Manuguerra, Azzaro, Arpaia, Li Volsi, Venga, Venza, Azzaro, Poma, Ferrante, Macchi, Bannino, Sparta, Ponzio, Giacalone, Sammartano, Sardina, Ingrassia, Torrente, Bevilacqua, Rinaudo etc. Purtroppo non riesco a trovare la tomba di mio nonno Domenico Lorenzo Ernandes, morto a Favignana l'11 Novembre 1916.

FAVIGNANA - da sinistra : mappa di Favignana - sentiero che va al cimitero - giardino ipogeo - casa sotterranea - il mare visto dal cimitero - una tomba

Il simpatico e sorridente custode del Cimitero, Matteo Manuguerra, detto Colapesce, cerca anche lui inutilmente di aiutarci. Mi dice che forse la tomba di mio nonno potrebbe trovarsi nel Cimitero di Marettimo.  Con Matteo diventiamo subito amici, perchè scopriamo che è un caro amico dei miei cugini Emanuele e Domenico Sardina. Anche lui, come loro,  è originario dell'isola di Marettimo. Sono curioso e gli chiedo perchè ha il soprannome (ingiuria in siciliano)  di  Colapesce. Matteo mi dice che Colapesce è un personaggio mitologico del romanzo popolare siciliano, che lui ama tanto. Lo chiamano Colapesce, poichè avendo avuto una fidanzata che recitava con una compagnia teatrale locale, ogni sera andava a vederla a teatro. Così aveva imparato tutto di Colapesce  e ne parlava spesso con i suoi amici, tanto che finirono per chiamarlo Colapesce. Ecco in sintesi la sua storia. Cola o Nicola è di Messina ed è figlio di un pescatore di Punta Faro. Cola ha la grande passione per il mare. Amante anche dei pesci, ributta in mare tutti quelli che il padre pesca in modo da permettere loro di vivere. Maledetto dalla madre esasperata dal suo comportamento, Cola si trasforma in pesce. Il ragazzo, che cambia il suo nome in Colapesce, vive sempre di più in mare e le rare volte che ritorna in terra racconta le meraviglie che vede. Diventa un bravo informatore per i marinai che gli chiedono notizie per evitare le burrasche ed anche un buon corriere visto che riesce a nuotare molto bene. Fu nominato palombaro dal capitano di Messina. La sua fama aumenta di giorno in giorno ed anche il Re di Sicilia Federico II lo vuole conoscere e sperimentarne le capacità. Al loro incontro, il Re getta una coppa d’oro in mare e chiede al ragazzo di riportargliela. Al ritorno Colapesce gli racconta il paesaggio marino che ha visto ed il Re gli regala la coppa. Il Re decide di buttare in mare la sua corona ed il ragazzo impiega due giorni e due notti per trovarla. Al suo ritorno egli racconta al Re d’aver visto che la Sicilia poggia su tre colonne, una solidissima, la seconda danneggiata e la terza scricchiolante a causa di un fuoco magico che non si spegneva. La curiosità del Re aumenta ancora e decide di buttare in acqua un anello per poi chiedere al ragazzo di riportarglielo. Colapesce è titubante, ma decide ugualmente di buttarsi in acqua, dicendo alle persone che se avessero visto risalire a galla delle lenticchie e l’anello, lui non sarebbe più risalito. Dopo diversi giorni le lenticchie e l’anello, che bruciava,  risalirono a galla ma non il ragazzo. Il Re capì  allora che il fuoco magico esisteva davvero e che Colapesce era rimasto in fondo al mare per sostenere la colonna corrosa.       

FAVIGNANA : Matteo Manuguerra detto "Colapesce".

Ringraziamo Matteo per la storia e ritorniamo al camper. Percorriamo la parte meridionale dell'isola e poi decidiamo di passare la notte  a Punta Sottile, vicino ad un grande faro bianco, a ridosso di una zona recintata della Marina Militare. Nella notte le condizioni meteorologiche peggiorano e veniamo sballottati nel camper  dalla pioggia e dal vento.

04 marzo TORNA SU 06 marzo