Cara famiglia di
tripolini, eccomi a voi per raccontarvi un’ulteriore
ricordo della mia adolescenza nelle campagne di Collina Verde. Come ben
sapete
sono nato in una famiglia di contadini che hanno sempre lavorato come
altri
italiani la terra di Libia, rendendola un paradiso di tutto.
Con mio padre
Stefanile Raffele, collaboravano diversi operai libici con le
rispettive
famiglie e figli con i quali sono cresciuto nel massimo affetto e
rispetto. Tra
gli operai alcuni erano “fezzanesi” provenivano dal Fezzan,
regione nel sud
della Libia. Di colore, non tanto alti, fisico muscoloso e di carattere
leale e
mite.
Crescendo,
trascorsi con tutti momenti felici, indimenticabili,
specialmente in occasione delle loro feste: matrimoni, circoncisioni,
la fine
del mese sacro del Ramadan, l’Asciura,
l’Aid el Milud (la nascita del
profeta Maometto). In occasione di
quest’ultima, quando abitavamo nella campagna di Campione, non tanto
lontano da
casa, forse duecento metri, sotto un gigantesco mandorlo organizzavano
la
tradizionale Hadra conosciutissima in nord Africa e di tradizione
berbera.
A sera inoltrata
e tutti
attorno al fuoco al ritmo dei tamburi: la darbuka
a forma di anfora senza manici, il bendir
conosciutissimo in tutto il mondo arabo, cambia solo il nome in qualche
paese,
il rip (tamburello
a percussione) che teneva il ritmo
della musica, provvisto sulla cornice circolare di tanti piattini di
metallo a
una certa distanza gli uni dagli altri.
Immancabile la
“magruna” flauto a due
canne (gusbe)
unite, a una estremità sui due fori venivano infilate due corna
di montone (kebsc) era chiamata
anche
“flauto del pastore”. La parola magruna
per la sua somiglianza, deriva dal termine arabo magrun
che significa fucile, doppietta.
Iniziavano a
danzare
intorno al fuoco, i tamburi erano rivestiti con pelle di capra, questa
spesso
veniva scaldata sul fuoco, si pensava che dopo picchiandoci sopra
avesse un
effetto più sonoro. Ho usato il termine “picchiandoci” perché nel mondo
arabo darbuka prende origine dalla
parola odrob, darb che vuol dire
bastonare,
picchiare.
Io restavo li affascinato, incantato, quasi posseduto dal ritmo dei
tamburi e dai danzatori che attorno al fuoco come i Dervisci, giravano
su se
stessi con una certa velocità, dondolando i corpi e ondeggiando le
teste.
La
parola Hadra (clicca sulla parola e guarda il video) significa trance, presenza. Consiste nell’intonare lodi
e
preghiere al fine di raggiungere un grado di estasi considerata frutto
di una
unione con la presenza divina. Lodi, invocazioni e preghiere non del
Corano,
perché nessun strumento può accompagnare la voce umana quando ne
salmeggia i
versi. Nel frattempo si
scaldava sul fuoco il mengel piccolo falcino per
tagliare l’erba, che diventava incandescente. Durante le danze qualcuno
arrivava allo stato di trascendenza, di trance, costituiva l’essenza
della Hadra gli tiravano fuori la lingua, posandoglielo sopra, senza che questi manifestasse
nessun segno di dolore. A malincuore dovevo tornare a casa, ma sarei
restato
fino alla fine che arrivava quasi all’alba, però dalla finestra
continuavo a
sentire il ritmo dei tamburi che trasmettevano energia, emozioni uniche
in
quelle serate calde, stellate e magiche della Libia. Chissà se dopo 46
anni il
buon Dio mi regala una viaggio di qualche giorno. Inshallah!!!
Antonio
Stefanile
Agosto
2016
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