LA STANZA  di ANTONIO STEFANILE 
  

Antonio Stefanile 
   

 

HAMMANGI

Il cimitero cristiano alla periferia di Tripoli

Cara famiglia di profughi tripolini, eccomi a voi con l'ennesima lettera voluta dalla mia coscienza, la quale  ha spesso, se non sempre,  il sopravvento su di me e non riesco assolutamente in determinati momenti di ispirazione a non scrivere. 

Qualche volta, pensando di avere lo stato d'animo giusto, ho iniziate a scrivere queste mie lettere per una decina di volte, ma dopo un po' smettevo, non riuscivo ad andare avanti. Credetemi riesco solo a scrivere solo se in quei momenti sembra ci sia qualcuno che mi detti. 
Dopo aver finito di scrivere la lettera, nel rileggerla, a me pare che io l'abbia scritta sotto dettatura,  e che io abbia solo il compito di leggerela. Mi sembra quasi strano che l'abbia scritto proprio io. 

Scusate questa curiosa e strana prefazione e veniamo a noi, avrete notato il titolo, che dire, strana la vita; ieri pomeriggio 1° novembre 2015 andavo a far visita alle tombe dei miei genitori, nella nostra cappellina di famiglia, dedicando loro per un po' di tempo, le preghiere dell'eterno riposo e della luce perpetua.  

Rientrando a casa, sul notiziario del TG4, apprendevo la drammatica notizia che il nostro cimitero di Hammangi, era stato  nuovamente e vigliaccamente profanato. Già nel gennaio del 2014 veniva attaccato da nostalgici di Muammar Gheddafi, che distrussero l'ingresso, uccisero la guardia e devastarono decine di tombe. 

Il cimitero cristiano di Hammangi era, ma purtroppo da tanto tempo non lo è più, un posto solenne, armonioso, invaso da un'atmosfera di pace, silenzio, riflessioni,  preghiera e  ricordi, di coloro che non ci sono più. Avrebbe dovuto esserlo all'infinito, per quelle 7800 salme di nostri concittadini tripolini, che lì riposano ancora. 

Penso sia infinita, la mortificazione nell'animo di noi tripolini a questa notizia, specialmente per coloro che là, hanno sepolto ancora i loro cari, impossibilitati da 45 anni a portare loro un fiore, sulle loro tombe. Cosa resta da dire: Dio onnipotente perdona loro che non sanno quello che fanno. 

Noi grazie a Dio, nel giugno del 1970, due mesi giusti, prima di lasciare definitivamente la Libia, riuscimmo a riportare in Italia, nella cappellina di famiglia “Stefanile”, precisamente nel cimitero di Nola (Napoli), non ricordo se quattro o cinque salme, dei nostri cari defunti deceduti in Libia: forse mio bisnonno Saverio, sicuramente mio nonno Antonio, la moglie mia nonna Angela, mia zia Pasqualina, moglie di mio zio Saverio fratello di mio padre  e mio zio Carmine, marito di mia zia Elvira, sorella di mio padre.  

Io personalmente che non avevo ancora 17 anni, con due zii Michele ed Anna, rispettivamente fratello e sorella di mio padre, partimmo per l'Italia, per ricevere le salme. A Tripoli, burocraticamente parlando non fu facile, ma ripeto grazie a Dio, ci riuscimmo. 

Ricordo ancora il giorno dell'esumazione delle salme. Ci andò mio padre e non ricordo con quali altri familiari.So solo che era una giornata caldissima. Mio padre raccontò un particolare di quei momenti molto emotivi. Disse che il becchino fu veramente bravo, perchè tra i resti di mio nonno, stentava a trovarne il mento, ma infine ci riuscì, raccontandolo a casa, sconsolato, disse che se fosse tornato indietro, non l'avrebbe più riesumati, chissà cosa provò in quei momenti nel vedere i resti dei suoi genitori e che erano  i miei nonni. Quel  pomeriggio quando ritornò a casa, era fortemente prostrato, pensieroso, triste e depresso, passò qualche giorno prima che gli ritornasse il sorriso sulle labbra. 

Il cimitero cristiano di Hammangi distava pochi chilometri dalla città di Tripoli,  lo si raggiungeva percorrendo la strada che portava a Gargaresh, appena si arrivava, si parcheggiavano le auto in un grande spazio antistante, dove perennemente, per tutto l'anno, sostava un banco che vendeva  fiori a coloro ai quali,  servivano all'ultimo momento. All'ingresso sulla destra vi era la camera mortuaria e sulla sinistra se ricordo bene, la casa del custode, appena ci si incamminava all'interno, su quei viottoli larghi ricoperti di ghiaino,  le siepi ben curate,  delimitavano gli spazi, per le sepolture sotto terra. Dopo aver fatto alcuni metri dall'entrata, girando sulla sinistra,  continuando a camminare, a una certa distanza si trovavano i loculi in cemento, oltrepassati questi e salendo qualche gradino, si entrava nel cimitero dei soldati inglesi, morti durante il secondo conflitto mondiale, tutti sotto terra, le croci bianche a segnalare le tombe con i nominativi e un prato verde, curatissimo. 

Nello spazio del nostro cimitero, tra le tombe di quelli sepolti sottoterra, ricordo vi erano anche gli ossari e quando andavo al cimitero con mia madre, prima mi recavo alla fontana per  prenderle  l'acqua   per i fiori, dopo avergliela portata, raggiungevo gli ossari, mi affacciavo ai tombini aperti e guardavo sul fondo, quel mucchio di ossa e teschi. Invece, sempre dall'ingresso principale, se si proseguiva dritto, si raggiungeva l'imponente e maestoso monumento con  rispettivo ossario, dei nostri soldati  morti nel deserto, durante la seconda guerra mondiale, con al centro la bellissima chiesa e lo spaziosissimo piazzale. 

Riprendendo il discorso inerente alla grave offesa al nostro cimitero di Hammangi, credo che ogni cimitero e in qualsiasi paese esso si trovi, debba essere un luogo sacro, a prescindere da sepolture diverse tra  musulmani, cristiani o ebrei, quest'ultime due a Tripoli erano le comunità più presenti, con una minoranza greca ortodossa. 

Non esiste un Dio per il cimitero cristiano, un altro per il cimitero musulmano e un altro per quello ebraico. Esiste un unico Dio onnipresente ed onnipotente per tutti i cimiteri, oltretutto musulmani, cristiani ed ebrei, finchè erano in vita pregavano un unico Dio, quindi perchè un luogo di pace e di riposo eterno deve essere profanato, offeso e violentato? 

I cimiteri  rappresentano anche la sinagoga, la moschea o la chiesa, questi ultimi sono luoghi di culto di diverse religioni, il cimitero poi diventa il definitivo luogo, di pace e riposo eterno, per qualsiasi persona che in maniera e in età diversa abbandona questa vita terrena. Un detto arabo dice che: la tomba, è il recipiente di tutte le azioni, compiute  durante la vita. Ripeto cimiteri e luoghi di culto, dovrebbero essere  intoccabili, rispettati,  tutelati e neutrali, da ogni tipo di vandalismo, violenza e da qualsiasi  problema di ordine religioso, politico,  sociale ed economico.
Gli indiani d'America si facevano uccidere dai coloni bianchi, per difendere i luoghi dove loro credevano e dicevano, riposassero gli spiriti dei loro antenati. 

Sinceramente se mi venisse chiesto per qualsiasi motivo, se alla mia morte vorrei o dovessi essere sepolto in un cimitero musulmano o ebraico, anche con le rispettive  tradizioni, non avrei nessun problema ad accettare, perchè ripeto per l'ennesima volta, è un luogo di pace per il riposo eterno, a prescindere dalla religione. 

Vorrei raccontare un episodio, accaduto quando eravamo ancora in Libia e penso  fossero gli anni 1964-65, per dare l'idea un po' del nostro vivere in gran sintonia e rispetto con i libici, specialmente dal punto di vista del rispetto religioso. Una domenica pomeriggio, prima del tramonto, mio papà con uno dei tanti suoi  nipoti, figlio di un suo fratello e altri tre amici, tornavano da una battuta di caccia, che avevano fatto mi pare, nella zona di Nalut. Guidava lui l'auto  e quest'ultima, in una curva, con tutti e cinque dentro, si rovesciò, strisciando con la cappotta per una ventina di metri sull'asfalto, andandosi a fermare sul ciglio di un dirupo. Uscirono indenni dall'auto, sani e salvi e guardandosi intorno si accorsero, che ad un centinaio di metri, su una collina vi era un “Marabutto

Istintivamente pensarono subito alla sua protezione per non essersi fatti neanche un graffio,  con l'aiuto dei libici del posto, trainarono e lasciarono l'auto al posto di polizia di Nalut e dopo una quindicina di giorni andarono a riprenderla, io compreso,  avrò avuto 11-12 anni. Portarono con loro, anche un furgoncino carico di alimentari ed un agnello vivo, donando tutto al marabutto in segno di ringraziamento, secondo mio padre e gli altri, per la grazia ricevuta. A sua volta il “Marabutto” avrebbe  macellato l'agnello e dividendo quest'ultimo e gli alimentari,  avrebbe donato tutto ai poveri e bisognosi. Sinceramente se al posto del “Marabutto” ci fosse stata una chiesetta cristiana, sarebbe stata fatta la stessa cosa per i poveri e bisognosi di quel villaggio. Questo era il nostro vivere con i fratelli libici, ho usato il termine fratelli anche se non consanguinei, ma fratelli, uniti da una grandissima parola: “Rispetto”, specialmente religioso.

E allora, tornando al problema vergognoso di Hammangi, chi ha osato un gesto così irrispettoso, antireligioso, di una cattiveria e vigliaccheria unica? 
Cara famiglia di tripolini durante il periodo gheddafiano chi è arrivato in Libia da altri paesi? 
E dopo, durante la rivoluzione anti-Gheddafi, sono stati solo i libici a combattere o vi era la presenza di tantissime altre persone arrivate da fuori della Libia, senza escludere la collaborazione occulta di qualche paese europeo e non solo, prima dell'attacco francese e tutti, ripeto tutti, per mettere le mani, su quell'immensa ricchezza, che era il petrolio libico?  
Spiego mie personali opinioni, impressioni: non credo che i libici conosciuti negli anni di permanenza in Libia, con cui abbiamo condiviso tempi meravigliosi, abbiano potuto trasmettere alle loro generazioni future, così tanta malvagità e crudeltà.  Noi delle aziende agricole, dove i libici lavoravano a fianco a fianco di mio padre, solo con la forza delle braccia e una grande volontà, spesso con temperature che superavano i 40° gradi di caldo all'ombra, non credo abbiano potuto cambiare i loro caratteri ospitali e amichevoli di allora, sotto l'influenza di chissà quali elementi esterni alla Libia  e per cosa? 

I libici che lavoravano la terra di Collina Verde  con mio padre erano rispettati come uomini prima,  poi come operai, di una fedeltà e lealtà unica, dimostrata in tantissime occasioni, talvolta andando contro i libici stessi, con giuramenti sacri per certe dispute, talvolta anche in difesa di mio padre. Uomini credenti in un unico Dio, che pregavano inginocchiandosi per terra cinque volte al giorno, rivolgendosi verso la Mecca  e osservando il mese sacro del  Ramadan, digiunavano un mese all'anno, a prescindere dalle condizioni climatiche e da qualsiasi altra cosa. 

Ci sentivamo fratelli con i libici per il rispetto che ci univa, coloro con i quali io giocavo con i loro figli, andavo a caccia con loro, con le torbeghe  (trappole), mangiavamo il cuscus assieme, nello stesso piatto, seduti per terra,  bevevamo lo shehi (thè) dallo stesso bicchierino! 
I miei amici libici, con cui nelle aziende agricole condividevo le feste di circoncisione, partecipavo ai loro meravigliosi matrimoni, che duravano una settimana e purtroppo qualche volta anche i loro funerali.  


Chi ha contaminato le menti e il cuore di quel popolo fraterno, della  nostra Libia? 
Chi  ha inquinato loro l'anima , specialmente di  quelli che avrebbero  dovuto essere le future generazioni? 
Chi sono questi individui e tanti, giunti in Libia da paesi esterni, che invocando Dio, usano un fanatismo religioso, uccidono, torturano, usano violenza e crudeltà anche verso i cittadini libici? 

Queste non sono persone religiose, usano la religione per scopi personali ed oltretutto violenti e crudeli.  No e poi no, questo non è l'Islam che io ho avuto la fortuna e il piacere di conoscere per 17 anni in Libia e ripeto, tantomeno il popolo libico con cui ho vissuto. 

Ricordo ancora con emozione,  i brividi a fior di pelle, quando il muezzin dal minareto della moschea, chiamava i fedeli alla preghiera di un unico Dio. Che stati d'animo, un grande coinvolgimento emotivo, anche per noi cristiani, un' atmosfera unica, spirituale, religiosa, il “muezzin” con le sue parole cantilenanti, le prime erano un inno di lode, di onnipotenza e onnipresenza: Allah ua Ackbar (Dio è grande) glorificavano  l'unico Dio, che è anche il nostro, dei cristiani e anche degli ebrei! Il vero Islam non è fatto di violenze, distruzioni; è per la pace, la tolleranza, il sapere, il confrontarsi con culture diverse, Dio stesso ci ha fatto diversi perchè ci conoscessimo. 


...Ricordo ancora con emozione,  i brividi a fior di pelle, quando il muezzin dal minareto della moschea, chiamava i fedeli alla preghiera di un unico Dio...

Spero e prego Dio, che in un prossimo e non tanto lontano futuro, la Libia con il suo popolo giovane e fiero ritorni a gestire totalmente il proprio  paese, estirpando e pulendolo da quel tumore di ignoranza e fanatismo religioso arrivato dall'esterno. Quel paese,  dove siamo nati, cresciuti, educati, con una mentalità rispettosa, sana, pulita, amichevole, solidale e sincera, anche con gli stessi libici e come ho ripetuto tante altre volte, era un pezzo di paradiso restato in terra. Inshallah (Se Dio vuole)                                                 

Antonio Stefanile di Raffaele

2  Novembre 2015

 


      
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