LA STANZA  di ANTONIO STEFANILE 
  

Antonio Stefanile 
   

 

In memoria di Nagib Bughdadi

Un mio compagno di scuola, un fratello della mia infanzia

 

Nagib Bughdadi

 

di Antonio Stefanile 

 

Dedicato a tutti i profughi della Libia e in modo speciale a coloro che frequentarono l’Istituto La Salle dei Fratelli S.C. a Tripoli.

  

 *****

Mi chiamo Antonio Stefanile e sono nato a Tripoli (Libia) il 13 ottobre 1953. Abbandonai la Libia con la mia famiglia il 29 agosto 1970, pochi mesi prima del mio 17° compleanno. 

Nei miei primi anni di vita, mio papà Raffaele gestiva un’azienda agricola con moltissime vacche da latte, a Porta Benito (Bab Ben Gashir). In seguito gestì altre aziende agricole, sempre a Collina Verde (Hedba El Khadra). 

Scopo primario di questa mia lettera è ricordare un mio amico e compagno di scuola arabo, scomparso in maniera tragica un po’ di anni fa: la meravigliosa figura di Nagib Bughdadi, un fratello per me oltre che compagno di scuola per tanti anni all’Istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane “La Salle”. 

Abitava con la sua famiglia in città, e precisamente in Sciara Mizran. Mi fu compagno di classe dalla prima elementare alla terza media, e poi dal I° al II° anno all’Istituto Tecnico per Geometri di Tripoli “Guglielmo Marconi”, sino alla nostra cacciata definitiva dalla Libia. 

Purtroppo non ho saputo immediatamente della tragica scomparsa di Nagib Bughdadi. Prima di venire a sapere della sua morte, avevo tentato in tutte le maniere, e con tutte le vie, di rintracciarlo e di rimettermi in contatto con lui. Tutti tentativi vani. Ho chiesto a decine di italiani che andavano a lavorare in Libia da immigrati, di recarsi in Sciara Mizran dove abitava, ma nessuno è riuscito a trovarlo, tanto meno a darmi qualche sua notizia. Quando chiedevo loro questa cortesia, tutti sembravano disposti ad aiutarmi; forse la disponibilità era solo verbale non conoscendo la sincerità d’animo, l’amicizia, l’unione che noi italiani di Tripoli ci portiamo nel cuore ancora adesso! Qualche anno fa avevo pure pensato di rivolgermi a una famosa trasmissione televisiva Carramba che sorpresa  di Raffaella Carrà, nella speranza che lei avesse avuto più possibilità, anche a livello politico, di esaudire questo mio desiderio. 

L’unica notizia di Nagib ancora in vita l’ebbi all’incirca una quindicina d’anni fa, ad una riunione di profughi tripolini. La riunione si svolse a Rimini o a Riccione nel mese di Giugno o Luglio, non ricordo. Se devo essere sincero, durante quella riunione riconobbi pochi ex tripolini, anche perché col passare degli anni la memoria  un po’svanisce. Nonostante fossero passati tanti anni, il viso di una persona a me molto cara lo riconobbi immediatamente, era la mia ex professoressa di italiano: la signorina Marulli. Fu la mia professoressa nei primi due anni all’Istituto Tecnico per Geometri “Guglielmo Marconi”, che continuava impertererrita ad arrotare  la sua “r” alla francese. Fisicamente non era cambiata tanto, era sempre robusta, gli occhi piccolissimi dietro due lenti da miope simili a fondi di bicchiere.  i capelli sempre corti e le lentiggini sul viso che le davano ancor di più l’aspetto da intellettuale. Emozionantissimo mi avvicinai e, alla mia richiesta di chi fossi, mi riconobbe subito. Queste furono le sue parole: “Chi potrebbe mai dimenticarsi di Stefanile Antonio, uno dei ragazzi più forti dell’Istituto!”. 

Per l’amor di Dio, che fossi un ragazzo fisicamente prestante  era un po’ risaputo., anche per la vita selvaggia che conducevo nelle campagne di Collina Verde, temprato com'ero dalla terra e dal clima libico e  oltre ad essere figlio di contadini.  La prestanza fisica si era sviluppata con la crescita a contatto della natura, in quella meravigliosa e indimenticabile zona di Tripoli che era Collina Verde. La caccia agli uccelli con le trappole, e i vermi, le mitiche “torbeghe”; la ricerca dei nidi sulle cime più alte degli alberi; la caccia di giorno e nelle serate di pioggia con i famosi flobert “Diana” ... E che dire delle nuotate a qualsiasi ora del giorno e talvolta anche di sera nell’immensa vasca d’acqua dell’azienda. Le competizioni tra noi ragazzi italiani e arabi a chi restava più tempo sott’acqua, chi esibiva il più pericoloso tuffo facendo la capriola prima di immergersi in acqua, o prendendo la rincorsa e saltando il muro perimetrale della vasca dall’esterno, entrando in acqua come un siluro. Le cavalcate senza sella sul cavallo, a dorso nudo e tenendolo solo per la criniera. Le nostre merende pomeridiane a base di tonno e “harissa”, le tipiche insalate tripoline “sciaramule” oppure l’impasto di orzo con olio che era la famosa “zummit”, le mangiate mattutine di fichi d’india, ma senza esagerazione, e voi tripolini ne conoscete il motivo (effetto: grave stitichezza) e infine spesso, anche qualche cavalletta abbrustolita (grad). 

Perdonate questa mia parentesi di amarcord tripolino, e torno col cuore al ricordo di Nagib Bughdadi. La professoressa Marulli, forse esagerò con la battuta sulla mia prestanza e forza fisica, ma le sue parole mi colpirono in maniera molto emotiva ed affettuosa. Quando le chiesi di Nagib Bughdadi lei mi rispose di aver saputo, non so da chi, che lavorava alla “Sahara Bank” di Tripoli in Sciara 24 Dicembre, altro non sapeva.

Come riuscii a sapere di Nagib ancora vivo, durante una riunione di profughi, così dopo diversi anni, in un’altra riunione di ex tripolini seppi della sua tragica morte, poi si dice “il destino”. 

Ho saputo della sua morte nel settembre del 2001 e, come dicevo prima, in una delle tante riunioni di profughi tripolini a Paderno del Grappa, presso Bassano, all’Istituto Filippin, gestito dai Fratelli delle Scuole Cristiane de La Salle. 

Ero andato lì con mia moglie Marina e i miei tre figli: Raffaele, Laura e Davide. Era una bellissima giornata di sole e, dopo i vari saluti, le sbirciatine alle vecchie foto di Tripoli e le solite foto di gruppo, ci accingevamo tutti ad andare nell’immenso salone per il pranzo. Prima però mi recai al bagno per lavarmi le mani e fu lì che trovai Marcello Trovato, un grande amico mio di Tripoli; in Italia eravamo anche legati dalla passione per il calcio. Lui giocava in II categoria con la Saonarese, mentre io, a pochissimi chilometri, giocavo in III categoria con il Vigonovo. Parlo degli anni appena rientrati dalla Libia, dal 1971 in poi. 

Istintivamente, non so neanch’io per quale sesto senso, chiesi anche a Marcello se aveva notizie di Bughdadi. Con sua grande meraviglia e con uno sguardo che non presagiva niente di buono mi disse: “Ma tu allora non sai niente?” - “Niente”, risposi io, preparandomi al peggio.

Iniziò a raccontarmi della tragica morte di Nagib. Restai pietrificato, la mente offuscata dal dispiacere e con il cuore a pezzi. Non mi veniva a mancare solo un amico, bensì un fratello quasi, un ex compagno di classe libico, in quella terra di Libia che ancora adesso dopo 42 anni mi porto dentro l’anima. Marcello mi raccontò un po’ la dinamica dell’incidente stradale in cui morì Nagib. Accadde al rientro, in macchina, dall’isola di Djerba in Tunisia; Nagib viaggiava con la moglie e con i suoi due figli. Si recava lì saltuariamente a visitare uno dei suoi fratelli,  fuggito in Tunisia dopo la rivoluzione del 1969.

Trovato mi disse che nell’incidente erano deceduti anche tutti e due i figlioletti; sembra che l’incidente sia stato causato da un colpo di sonno. Di certo esisteva la morte sicura di Nagib. Mi promise che mi avrebbe spedito il notiziario l’oasi dove c’era un articolo che parlava della disgrazia. Così fu, e dopo un paio di settimane mi arrivò l’oasi dove lessi l’articolo con gran dispiacere. 

Tornai nel salone per il pranzo, dove mi attendevano sia mia moglie che i miei figli. Stavo malissimo, mi era andato via l’appetito, ero stravolto, e, alla richiesta di mia moglie se stavo bene, iniziai a singhiozzare, raccontandole tutto ciò che avevo saputo di Nagib Bughdadi un attimo prima da Marcello. Piansi parecchio quel giorno a tavola, fu una giornata che nonostante il meraviglioso sole per me fu tristissima e finché si pranzava ricordavo le infinità di sensazioni e cose che avevo vissuto con Nagib in Libia. In un attimo, si erano spente le mie speranze di riabbracciare il mio compagno di scuola arabo. 

La mia fraterna amicizia con Nagib nacque già dalla prima elementare all’Istituto “La Salle” di Tripoli. Nagib era un bambino molto magro, di carnagione scura e con un faccione rotondo, dove ai lati erano attaccate due orecchie che sembravano due parabole. 

...La mia fraterna amicizia con Nagib nacque già dalla prima elementare all’Istituto “La Salle” di Tripoli. Nagib era un bambino molto magro, di carnagione scura e con un faccione rotondo, dove ai lati erano attaccate due orecchie che sembravano due parabole...

Delle elementari non ricordo che poche cose, le occasioni delle foto di classe, le bellissime feste delle premiazioni per il profitto scolastico, dove anche Nagib fu premiato con delle medaglie, e in quelle occasioni era vestito benissimo e in maniera molto elegante. In classe nostra era l’unico alunno arabo tra noi italiani ed ebrei. 

Invece, dei tre anni trascorsi alle medie ho ricordi meravigliosi. Al termine dell’orario scolastico pranzavamo nel refettorio dell’Istituto; prima di rientrare in aula per i compiti pomeridiani, avevamo quasi due ore di intervallo. Spesso quest’intervallo veniva impiegato per grandissime partite di calcio. Io calciavo di sinistro, quindi giocavo sulla fascia sinistra, Nagib, al contrario, essendo destro, giocava ala destra. Era magrissimo, longilineo, due gambe secche come un trampoliere, quando correva sembrava si stessero per spezzare da un momento all’altro, ma aveva una falcata e una progressione in corsa impressionante. Era velocissimo, sembrava nato per quel ruolo, assomigliava nel gioco a Jair, famosa ala destra dell’Inter di quegli anni. 

... Nagib, al contrario, essendo destro, giocava ala destra. Era magrissimo, longilineo, due gambe secche come un trampoliere...

L’Istituto de La Salle era di forma quadrata, da un lato vi era l’edificio scolastico, con gli uffici delle segreterie, le aule, la chiesa, il bellissimo refettorio (ricordo di abbondanti pasti), l’immensa cucina, lo stupendo salone che serviva da teatro per le premiazioni per il profitto scolastico di fine anno. La  sala teatro serviva anche per gli esami di terza media, oppure la domenica per le meravigliose e divertentissime giocate al bingo. Dalla parte opposta vi era il campo sportivo, testimone di tantissime nostre partite. Era asfaltato, quindi quasi sempre avevamo le ginocchia sbucciate, per non parlare poi delle suole delle scarpe perennemente bucate. Indimenticabili, le partite di campionato, alla domenica mattina, delle varie associazioni calcistiche, tra cui l’Olimpia, che era la Cattedrale, l’Antoniana, San Francesco, San Camillo e la Salle. Famoso l’inno dei tifosi lasalliani: “Olio, petrolio, benzina minerale, per battere la Salle ci vuole la nazionale!”

Dal campo sportivo si poteva entrare nel salone del teatro, superando tre o quattro gradini. Su quei gradini, quando non avevamo voglia di giocare a calcio, passavamo ore intere a giocare a “soffietto”, decine e decine di figurine della cioccolata “Ferrero”, sulle quali erano stampate le facce dei giocatori di calcio di serie “A” degli anni ’70 (Omar Sivori, Luisito Suarez, Mario Corso, Sandro Mazzola, Gianni Rivera, etc.). Sul campo sportivo si affacciava un piccolo e grazioso bar, che fungeva da ristoro, e al pomeriggio, finito il rientro scolastico, andavamo a prenderci un panino. Dietro una porta di calcio dove si passava per andare al refettorio, vi erano i gabinetti esterni con accanto gli spogliatoi per le partite e dove ci cambiavamo per le ore di educazione fisica. Dalla parte opposta del piccolo spaccio-bar, vi erano due meravigliosi campi da gioco di bocce. Anziani e non, ex lasalliani, passavano intere ore la domenica e al tramonto di quasi ogni giorno a giocare a bocce. Spesso ci mandavano a “quel paese” perché, nonostante la recinzione, il pallone spesso finiva nei campi di bocce.

L’unica cosa che stonava sul campo sportivo era un filare di piante alte da ombra, che erano state piantate sul terreno di gioco a una decina di metri dalla fascia laterale e, giocando, spesso qualcuno andava a sbatterci contro.

Terminavamo l’impegno scolastico nel pomeriggio alle 16:00 e qualche volta, se mio padre non veniva a prendermi, tornavo a casa in autobus. Qualche volta restavo in Istituto sino alle 17:30 perché seguivo un corso di lingua inglese con il professore Antonica. 

Attendendo alla fermata, Nagib immancabilmente mi teneva compagnia, sino all’arrivo dell’autobus, il numero 2, quello che dalla città di Tripoli attraversava Collina Verde, arrivava sino alla chiesa cristiana di S. Antonio e poi si voltava per ritornare in città. Nell’attesa ci divertivamo tantissimo, ogni persona che passava sul marciapiede, era oggetto di nostre battute e commenti simpatici, talvolta anche in lingua araba; specialmente poi se erano rivolte a qualche bella ragazza. 

Terminammo le scuole medie dai Fratelli Cristiani e, come ogni amicizia che si rispetti, ci iscrivemmo assieme all’Istituto Tecnico per Geometri “Guglielmo Marconi”. Furono altri due anni meravigliosi, di allegria e di spensieratezza, nonostante l’impegno scolastico. Ricordo ancora quando al suono della campanella di inizio ricreazione, Nagib schizzava come una lepre per andarmi a prendere la pizzetta, perché chi ritardava aspettava un’eternità, e qualche volta inutilmente, perché andavano finite in fretta. 

Terminammo assieme la seconda geometri (fine maggio 1970) a quasi un anno dal colpo di stato. Dopo, come tutti ben sappiamo, per la nostra fretta e l’impegno nel preparare i documenti per il rimpatrio, non lo rividi né sentii più.

Tra me e il caro Nagib Bughdadi le strade si separarono; io e la mia famiglia fummo imbarcati definitivamente per l’Italia il 29 Agosto 1970. La nave si staccò dalla banchina alle 22:35 e l’ultima cosa che si vide fu il campanile della Cattedrale. 

Se prima il desiderio di tornare in Libia era grande, adesso è infinito, anche perché vorrei recarmi a far visita al luogo dove è stato sepolto Nagib. Iddio dovrebbe farmi il regalo di tornare in Libia: per prima cosa andrei al cimitero a posare un fiore sulla sua tomba, e a piangere l’amico inseparabile, compagno di scuola e di squadra, che era Nagib Bughdadi. 

Dio faccia in maniera che ciò si avveri: INSH’ALLAH.

 

 

Istituto La Salle - 1966-67 - Classe 3a Media - a sinistra: Fr. Francesco (Alfonso) Fumero - Prof. Giovanni Vischi a destra: Fr. Edoardo Boido  (2a fila dal basso) Antonio Stefanile è il 3° (da sinistra); Nagib Bughdadi il 5°

 

Istituto La Salle - 1959-1960 - Classe 1a Elementare sez. B - Maestro E. Fintschi  - Antonio Stefanile è  il 6° da sinistra nella fila centrale - Nagib Bughdadi  è il 4° da sinistra nella fila in alto

 

Festa della Premiazione Scolastica, 22 Dicembre 1960 - Antonio Stefanile, è seduto in prima fila (il 2° da sinistra)

 

 

 

Le Medaglie d'Argento e d’Oro  meritate da Antonio Stefanile tuttora brillano di piena lucentezza. La scritta dice: NONSCHOLAESEDVITAEDISCIMUS “Non impariamo per la scuola ma per la vita”

 

 

Antonio Stefanile

Nato a Tripoli il 13/10/1953 

e residente a Saonara (PD) in Via 28 Aprile, n. 9

Cell. 3393671980



      
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