LA STANZA  di ANTONIO STEFANILE 
  

Antonio Stefanile
   

 Il profugo 

Cari amici tripolini, come qualcuno avrà notato, spesso nei miei brevi commenti su Facebook, concludo sempre così: tripolino e sempre profugo. Qualcuno mi chiedeva chattando, se usavo questa frase come se avesse un non so che di status symbol. Il termine profugo per me ha qualcosa di unico, viscerale, un legame astratto che ti accompagna per tutta la vita, nel tuo mondo emotivo. Intendo come legame, più che fisicamente, ciò che ti unisce emotivamente per sempre, al luogo dove nasci.
L'amico Guido Di Gloria, mi raccontò che un profugo tripolino, Aldo Maria Calandra, scrisse un bellissimo articolo  sul sito http://www.exlalialcollelasalle.it/ sulla nostra vita a Tripoli, dove riportava una frase, che aveva ed ha un significato unico, infinito, che spiega tutto: IL LUOGO DOVE SI NASCE E SACRO  (clicca e leggi l'articolo) ed io sono pienamente d'accordo con lui.

Una madre ti gestisce per nove mesi nel suo ventre, ti partorisce, ti nutre, cerca di farti crescere nel migliore dei modi. Dopo intervengono una serie di balie astratte, che collaborano a questa crescita fisica, emotiva, non sono solo persone fisiche, interviene un mondo emotivo di esperienze e situazioni, che ha un ruolo importantissimo.

Il clima innanzi tutto dove si cresce, i primi anni di vita, la scuola, gli affetti, l'adolescenza, le amicizie, i primi amori, gli sport, per giungere alla vita adulta.

 

Dicembre 1961, Scuole Fratelli Cristiani: gli anni della scuola e le mie premiazioni Circolo Italia di Tripoli: io, a sinistra, con i miei amici Franco Catallo e Carmine Romeo
...Il clima innanzi tutto dove si cresce, i primi anni di vita, la scuola, gli affetti, l'adolescenza, le amicizie, i primi amori, gli sport, per giungere alla vita adulta.....

In questo luogo di nascita e crescita, si genera una radice da cui cresce una pianta di edera, che si attacca emotivamente e materialmente, a tutto ciò che ti circonda e che fa parte di tutta la tua vita. Vivendo felicemente in questi luoghi per diversi anni, si incidono nell'anima, nella memoria, ricordi incancellabili e indimenticabili. Poi improvvisamente, o per cause naturali tipo le calamità, o di natura umana in senso negativo, questa pianta di edera, forte, unica, viene strappata da quei luoghi meravigliosi, a cui si era attaccata per anni e viene spedita via, cacciata, con tutta la cattiveria di cui è capace l'uomo. Arriverà nei luoghi a lei completamente sconosciuti, dove cercherà ancora di attaccarsi a diversi ambienti, situazioni circostanze, mentalità, emozioni, ma non sarà mai più la stessa edera, diventerà e sarà sempre la vita del profugo. Non sarai più la stessa persona, conoscerai altre persone, ma ti accompagnerà sempre un senso di smarrimento, malinconia, estraneità, a tutto ciò che per quanto bello ti circonda. Ti pervade una grandissima nostalgia del luogo dove sei nato, i luoghi e i giorni meravigliosi che hai vissuto, frequentato. Avrai sempre davanti agli occhi quel mare azzurro, con le sue albe e tramonti, che hai conosciuto e ti bagnava, il deserto con il suo fascino mistico, spirituale, divino.

 
   
...Avrai sempre davanti agli occhi quel mare azzurro.... ... il deserto con il suo fascino mistico, spirituale, divino..

Gli odori di quella natura incontaminata, le passeggiate al lungomare e al corso, di tutte le cose piccole e grandi con cui riempivamo la nostra vita in Libia. Il profugo resta sempre su un bilico, tra una vita passata, e un'altra nuova ma del tutto sconosciuta. Sebbene riuscirà a realizzarsi nel nuovo paese, ha la percezione di non sentirsi mai tale, sembra che l'obiettivo unico sia la realizzazione materiale, economica, l'apparire, in parole semplici: l'arrivato. Perdonatemi ma io mi accontento di contemplare una luna piena che mi ricordi il cielo stellato di Tripoli, piuttosto che l'affanno giornaliero, lo sbuffare continuamente, le continue tensioni, sguardi tristi, freddi, privi di sorriso, senza mai riuscire a colmare quel vuoto interiore, nonostante si abbia tutto o quasi.

Ho ripreso da qualche anno, a frequentare i nostri raduni di Paderno, credetemi, ogni stretta di mano, una pacca sulla spalla, l'abbraccio a un altro tripolino, è qualcosa di straordinario, di empatia, sentimenti sinceri spontanei, di pura amicizia.

 

 E' una situazione emotiva che si percepisce a pelle tra noi profughi, ricreiamo quel clima tripolino a noi familiare, sincero, simpatico di ricordi, tra persone che sono state strappate in maniera drammatica dalla loro vita. Hanno abbandonato tutto, affetti amici, il lavoro le case, i loro defunti, la loro vita e sbattuti in un altro paese, che nonostante patria, ancora adesso non la sentiamo tale. Questo è il profugo, perchè nonostante arrivato nella sua vera patria, non sono mancate le umiliazioni, i campi profughi, le lacrime e sofferenze, tutti con la tremenda sensazione di smarrimento quando si scendeva dalle navi al porto di Napoli.

 

Hanno abbandonato tutto, affetti amici, il lavoro le case, i loro defunti, la loro vita e sbattuti in un altro paese...
(clicca col mouse sulla foto e guarda il filmato)

La parola profugo ti porta alla mente la Libia e tutto il tuo vissuto, una bellissima e onorata etnia di lavoratori. Spesso mi trovo in qualche festa di paese, dove non manca mai lo stand gastronomico, mi accomodo con degli amici, attorno ho decine di persone, che aspettano per mangiare. Chi ride chi urla chiamando un amico, chi chiama il resto di compagnia al tavolo, credetemi emotivamente è come se fossi solo in tutti i sensi, mi mancano i miei tripolini, il raduno di Paderno. Il profugo tripolino che a Paderno fa parte di tutta una famiglia, anche se con qualcuno non ci si conosce o non ci si ricorda, ma è come se ci conoscessimo tutti, per un motivo o per altro.

Paderno del Grappa, sett. 2011: Io a sinistra evidenziato dalla freccia, con la mia numerosa famiglia di profughi Tripolini
...mi mancano i miei tripolini, il raduno di Paderno. Il profugo tripolino che a Paderno fa parte di tutta una famiglia,..

C'è quel non so che di calore fraterno, le esperienze della cacciata dalla Libia che ci legano gli animi, una semplicità unica, come il sabato sera a Villa Fietta, dove grazie alla tromba dell'insuperabile Sergio Disco  e alla pianola di Franco Martellozzo,

 

 
Sergio Disco Franco Martellozzo  

riviviamo brevi e meravigliosi momenti delle nostre feste al Circolo Italia di Tripoli, o quando organizzavamo presso le nostre abitazioni, le famose feste private. Resteremo sempre i profughi della Libia, un qualcosa che solo tra noi si sente emotivamente, nel profondo del cuore e la speranza che resti la memoria, o di riuscire a trasmetterla ai figli o alla società per quanto indifferente alla nostra esperienza di Libia. Certamente qualcuno in Italia ha rimosso i ricordi della Libia, spero siano mosche bianche, succede, ma penso sia solo qualche foglia, che si è staccata dall'edera, di cui scrivevo all'inizio dell'articolo. Talvolta per motivi burocratici, quando mi serve un documento, qualche impiegato tenderebbe a non aggiungere la parola Libia accanto a quella di Tripoli, io cortesemente lo chiedo e allora mi domandano: per caso è uno dei profughi cacciati da Gheddafi e rientrati dalla Libia nel 1970? Con dignità e per tutti gli italiani di Tripoli rispondo: si' sono uno di quelli, sono un profugo.

Antonio Stefanile

cell 339-3671980



      
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