LA STANZA  di ANTONIO STEFANILE
  

Antonio Stefanile 
   

 

RICORDI DI COLLINA VERDE:

storni, beccagelsi e rigogoli

E sì. Eccomi a voi, cara famiglia di profughi tripolini e spero che questa mia frase a mò di ritornello non vi stanchi, perchè io come ho sempre scritto nei miei articoli, tali vi considero: tutti. Stamattina, lavorando, precisamente guidando per i vari impegni, mi son trovato in una zona di Padova chiamata cavalcavia “Chiesanuova“. Ebbene su questo cavalcavia, sia dalla parte destra che sinistra ci sono delle piante molto alte, verdeggianti e in questo periodo di inizio autunno è affascinante in certi momenti della giornata l'osservare il volteggiare di migliaia di storni raccolti in nuvole, con movimenti ondulatori nel cielo.

Assomigliano alle tipiche ole da stadio o alle onde marine per praticare il surf, dove migliaia di storni in questa stagione volteggiando, creano una scenografia, coreografia di figure, di una testimonianza magnifica della natura. Se restano fermi a centinaia si posano sui fili dei tralicci dell'alta tensione, con il loro tipico cinguettio, per la verità molto chiassoso. E' una preparazione naturale all'emigrazione nei paesi temperati del nord Africa, compresa la Libia. Ebbene noi famiglie di contadini che lavoravamo quelle meravigliose aziende a Collina Verde, eravamo i primi testimoni di questa emigrazione, svernamento, nelle nostre aziende, di milioni di volatili: gli storni. E' un uccello della famiglia dei “passeriformi”, dal piumaggio scuro, con macchioline bianche alcune piccole altre un po' più grandi e le zampe di color rosso, grande come un merlo, nidifica nelle cavità degli alberi, delle rocce e anche su tetti, grondaie e cornicioni.

Lo storno è originario del nord Africa, vive nelle campagne ma anche nelle città, è un uccello che si riunisce in stormi di centinaia di individui. Trascorrono la giornata nei campi alla ricerca di cibo razzolando nel terreno, alla sera si dirigono su degli alberi molto folti e prima di trascorrere la notte chiassosamente, si contendono le posizioni migliori. Mi risulta che c'è stato un episodio e precisamente in un parco acquatico, dove uno  stormo di storni aggredì gli addetti che lì vi lavoravano. 

Sembra che in altri situazioni siano stati chiamati dei falconieri, per allontanarli con l'uso dei falchi, dei quali lo storno è molto pauroso.

Gli storni si nutrono di insetti, frutta, come nespole, fichi e olive, di quest'ultime erano proprio una calamità naturale, spogliavano piante intere. Oltre che per le olive in Libia, erano un disastro anche per l'erba medica fresca, appena cresceva  sul terreno. Vi racconterò un episodio per rendervi conto, quanto gli storni fossero numerosi e un grossissimo problema per le aziende agricole in Libia,  per l'agricoltura e le colture in generale.

Un pomeriggio stavo giocando con mio cugino Luciano nell'aia di casa dell'azienda Campione a Collina Verde, quando frettolosamente,  sopraggiunse a casa mio padre, il quale con un po' di tensione, andò a prendere il fucile, una doppietta FIAT, calibro 12, a cani esterni. Rivolgendosi  a me e  mio cugino, ci disse di seguirlo e in silenzio  a una certa distanza.

Ci avviammo su un punto dell'azienda, dove i confini erano segnati da piante di fichi d'india, gelsi e olivi. Ci avvicinammo cautamente, le piante e il terreno sottostante erano un mare di storni chiassosi con il loro tipico cinguettio, il papà con passi lenti, quasi da felino, si avvicinò il più possibile, imbracciò il fucile, prese la mira e in rapida successione, esplose due colpi.

Non avrei mai immaginato il numero degli storni che raccogliemmo morti e quelli che rincorremmo feriti sul terreno, alle fine se ne contarono  81, a casa aiutai mia madre a spennarli, la quale da buona veneta preparò una polenta e osei da masterchef.

Dagli storni ai “beccagelsi”. Quest'ultimi facevano parte della famiglia dei “beccafichi”, ma per noi erano i beccagelsi meno dannosi  per l'agricoltura, erano piccoli, dalla grandezza quasi come una capinera, dal colore grigio topo, nel periodo di maturazione dei gelsi ne arrivavano a migliaia. Li cacciavamo con i tradizionali flobert, carabine ad aria compressa cha sparavano pallini di piombo, caricandoli uno alla volta, la marca dei flobert più famosa in quegli anni là era il” DIANA” in base alla potenza vi erano i calibri 25  e il 35.

Ci riempivamo la bocca di pallini di piombo, anche perchè se ingoiati,  non creavano nessun problema, non avevamo il tempo di sparare che bisognava immediatamente ricaricare, riempivamo i tascapane e il portacaccia a più non posso, con centinaia di uccelli, Il tascapane lo tenevamo a tracolla, il porta-caccia alla cintola, quest'ultimo era fatto da cordicelle di cuoio, alle quali, con una piccola manovra  a strangolamento, appendevamo l'uccello per la testa.

Qualche volta, raramente però, sostituivamo il flobert con la fionda, in lingua araba la famosa “fleccia”  costruite da noi stessi, un legno con una buona impugnatura e sulla sommità altri due a forma di “V” prendeva la tipica forma della lettera “Y”.  I due legni superiori erano di una lunghezza da dieci a quindici cm, dove andavano fissate le strisce tagliate  della camera d'aria della bicicletta, di solito erano due, una per lato,  della lunghezza di mezzo metro, che quando le distendevamo per mollare il sasso, raggiungevano quasi il metro.
 
Talvolta qualcuno ne vincolava
due di strisce di camera d'aria, per dare più potenza al sasso, quando partiva dalla fionda. Passavamo ore intere a cacciare sotto le verdi e immense piante di gelsi, non disdegnando delle grosse abbuffate finchè cacciavamo, erano di una dolcezza unica, con l'unico problema che quando mangiavamo quelli neri, le dita restavano scure per giorni.

Spesso sulle stesse piante, anche loro golosi dei gelsi arrivavano i rigogoli, uccelli della grandezza tra il merlo e la ghiandaia, i colori però completamente diversi e molto più belli. Il rigogolo è molto appariscente, una delle specie più belle dell'avifauna italiana, nidifica nei boschi a primavera e anche lui fa parte della famiglia dei “beccafichi”.  Il maschio è inconfondibile, il corpo giallo oro con ali e coda di colore nero come l'ebano, la femmina invece con ali e coda scure, le parti inferiori sono di colore grigio chiaro. Sinceramente quelle poche volte che li uccidevamo e nonostante buoni da mangiare, un certo dispiacere lo provavamo sempre, erano troppo belli.

Non per giustificarmi ma era il nostro vivere a Collina Verde, fatto di un contatto generale, emotivo e di rispetto per quella natura bellissima e incontaminata. Chissà quanti abitavano a Collina Verde e leggendo questi ricordi rivivono, quei momenti bellissimi, semplici, sereni, che ci hanno accompagnato in quegli anni meravigliosi.

Ciao e un abbraccio a tutti.

Antonio Stefanile di Raffaele

23 Ottobre 2015 


      
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