RICORDI DI COLLINA VERDE: storni,
beccagelsi e rigogoli
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E sì. Eccomi a voi, cara famiglia di
profughi tripolini e spero che questa mia frase a mò di ritornello non vi
stanchi, perchè io come ho sempre scritto nei miei articoli, tali vi considero:
tutti. Stamattina, lavorando, precisamente guidando per i vari impegni, mi son
trovato in una zona di Padova chiamata cavalcavia “Chiesanuova“. Ebbene su
questo cavalcavia, sia dalla parte destra che sinistra ci sono delle piante
molto alte, verdeggianti e in questo periodo di inizio autunno è affascinante
in certi momenti della giornata l'osservare il volteggiare di migliaia di
storni raccolti in nuvole, con movimenti ondulatori nel cielo. Assomigliano alle tipiche ole da stadio o alle onde marine per
praticare il surf, dove migliaia di storni in questa stagione volteggiando,
creano una scenografia, coreografia di figure, di una testimonianza magnifica
della natura. Se restano fermi a centinaia si posano sui fili dei tralicci
dell'alta tensione, con il loro tipico cinguettio, per la verità molto
chiassoso. E' una preparazione naturale all'emigrazione nei paesi temperati del
nord Africa, compresa la Libia. Ebbene noi famiglie di contadini che lavoravamo
quelle meravigliose aziende a Collina Verde, eravamo i primi testimoni di
questa emigrazione, svernamento, nelle nostre aziende, di milioni di volatili:
gli storni. E' un uccello della famiglia dei “passeriformi”, dal piumaggio
scuro, con macchioline bianche alcune piccole altre un po' più grandi e le
zampe di color rosso, grande come un merlo, nidifica nelle cavità degli alberi,
delle rocce e anche su tetti, grondaie e cornicioni. Lo storno è originario del nord Africa,
vive nelle campagne ma anche nelle città, è un uccello che si riunisce in stormi
di centinaia di individui. Trascorrono la giornata nei campi alla ricerca di
cibo razzolando nel terreno, alla sera si dirigono su degli alberi molto folti
e prima di trascorrere la notte chiassosamente, si contendono le posizioni
migliori. Mi risulta che c'è stato un episodio e precisamente in un parco
acquatico, dove uno stormo di storni
aggredì gli addetti che lì vi lavoravano.
Sembra che in altri situazioni siano
stati chiamati dei falconieri, per allontanarli con l'uso dei falchi, dei quali
lo storno è molto pauroso. Gli storni si nutrono di insetti,
frutta, come nespole, fichi e olive, di quest'ultime erano proprio una calamità
naturale, spogliavano piante intere. Oltre che per le olive in Libia, erano un
disastro anche per l'erba medica fresca, appena cresceva sul terreno. Vi racconterò un episodio per
rendervi conto, quanto gli storni fossero
numerosi e un grossissimo problema per le aziende agricole in Libia, per l'agricoltura e le colture in generale. Un pomeriggio stavo giocando con mio
cugino Luciano nell'aia di casa dell'azienda Campione a Collina Verde, quando
frettolosamente, sopraggiunse a casa mio
padre, il quale con un po' di tensione, andò a prendere il fucile, una
doppietta FIAT, calibro 12, a cani esterni. Rivolgendosi a me e
mio cugino, ci disse di seguirlo e in silenzio a una certa distanza. Ci avviammo su un punto
dell'azienda, dove i confini erano segnati da piante di fichi d'india, gelsi e
olivi. Ci avvicinammo cautamente, le piante e il terreno sottostante erano un
mare di storni chiassosi con il loro tipico cinguettio, il papà con passi
lenti, quasi da felino, si avvicinò il più possibile, imbracciò il fucile,
prese la mira e in rapida successione, esplose due colpi. Non avrei mai immaginato il numero
degli storni che raccogliemmo morti e quelli che rincorremmo feriti sul
terreno, alle fine se ne contarono 81, a
casa aiutai mia madre a spennarli, la quale da buona veneta preparò una polenta e osei da masterchef. Dagli storni ai “beccagelsi”.
Quest'ultimi facevano parte della famiglia dei “beccafichi”, ma per noi erano i
beccagelsi meno dannosi per
l'agricoltura, erano piccoli, dalla grandezza quasi come una capinera, dal
colore grigio topo, nel periodo di maturazione dei gelsi ne arrivavano a
migliaia. Li cacciavamo con i tradizionali flobert,
carabine ad aria compressa cha sparavano pallini di piombo, caricandoli uno
alla volta, la marca dei flobert più famosa in quegli anni là era il” DIANA” in
base alla potenza vi erano i calibri 25
e il 35. Ci riempivamo la bocca di pallini di piombo, anche perchè se ingoiati, non creavano nessun problema, non avevamo il
tempo di sparare che bisognava immediatamente ricaricare, riempivamo i
tascapane e il portacaccia a più non posso, con centinaia di uccelli, Il tascapane
lo tenevamo a tracolla, il porta-caccia alla cintola, quest'ultimo era fatto da
cordicelle di cuoio, alle quali, con una piccola manovra a strangolamento, appendevamo l'uccello per
la testa.
Qualche volta, raramente però, sostituivamo il flobert con la fionda, in lingua araba la famosa “fleccia” costruite da noi stessi, un legno con una
buona impugnatura e sulla sommità altri due a forma di “V” prendeva la tipica
forma della lettera “Y”. I due legni
superiori erano di una lunghezza da dieci a quindici cm, dove andavano fissate
le strisce tagliate della camera d'aria
della bicicletta, di solito erano due, una per lato, della lunghezza di mezzo metro, che quando le
distendevamo per mollare il sasso, raggiungevano quasi il metro. Talvolta
qualcuno ne vincolava due di strisce di camera d'aria, per
dare più potenza al sasso, quando partiva dalla fionda. Passavamo ore intere a
cacciare sotto le verdi e immense piante di gelsi, non disdegnando delle grosse
abbuffate finchè cacciavamo, erano di una dolcezza unica, con l'unico problema
che quando mangiavamo quelli neri, le dita restavano scure per giorni.
Spesso
sulle stesse piante, anche loro golosi dei gelsi arrivavano i rigogoli, uccelli
della grandezza tra il merlo e la ghiandaia, i colori però completamente
diversi e molto più belli. Il rigogolo è molto appariscente, una delle specie
più belle dell'avifauna italiana, nidifica nei boschi a primavera e anche lui
fa parte della famiglia dei “beccafichi”.
Il maschio è inconfondibile, il corpo giallo oro con ali e coda di colore
nero come l'ebano, la femmina invece con ali e coda scure, le parti inferiori
sono di colore grigio chiaro. Sinceramente quelle poche volte che li uccidevamo
e nonostante buoni da mangiare, un certo dispiacere lo provavamo sempre, erano
troppo belli.
Non per giustificarmi ma era il nostro vivere a Collina Verde,
fatto di un contatto generale, emotivo e di rispetto per quella natura
bellissima e incontaminata. Chissà quanti abitavano a Collina Verde e leggendo
questi ricordi rivivono, quei momenti bellissimi, semplici, sereni, che ci
hanno accompagnato in quegli anni meravigliosi.
Ciao e un abbraccio a tutti.
Antonio
Stefanile di Raffaele 23 Ottobre 2015
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