La stanza  di Carmelo R. Viola

Carmelo R. Viola

25 Aprile: una festa da abolire!

Carmelo R. Viola                       

         Sono un antifascista da sempre e, come tale, da qualche anno mi sento onorato come ospite di questo quotidiano. Questa precisazione è indispensabile come preventiva autodifesa da parte di sedicenti compagni, anche anarchici, che piuttosto che cercare di comprendere le ragioni della mia “apertura”, si abbandonano al fanatismo. Ho avuto anche occasione di spiegare, in varie occasioni, come, secondo il mio particolare punto di vista, sia onesto e doveroso dare a ciascuno il suo anche in fatto di fascismo e comunque di rispettare il percorso esperienziale di chiunque come patrimonio insindacabile. Per fare un esempio ad hoc: se il mio compagno di lotta contro il capitalismo e contro l’imperialismo Usa si rifà a Mussolini o a Mao anziché a Marx, questo è un fatto suo. Del resto, nemmeno io sono un marxista militante. Questo si chiama anche metodo o principio della convergenza, secondo cui, in fatto di convinzioni, vale il punto di arrivo.

         In ogni caso, il discorso sul fascismo è del tutto particolare: so di sconcertare tanto i fascisti quanto gli antifascisti ma, come mi pare dicesse Aristotile: “Amicus Plato sed magis amica veritas”, il che significa che la verità vale più dell’amicizia. Questo coincide, con mio compiacimento, con il mio anarchismo “etico” istintivo, che non mi induce non a fare il bastian contrario – cioè dello sterile ribellismo – ma anzitutto ad essere ciò che risulto dalla mia personale convinzione. Lo scrittore Vincendo Di Maria, recensendo un mio saggio, mi definì (e di ciò gliene sono grato) “anarchico fra gli anarchici”, il che equivale ad eretico anche per loro. Il che è vero.

         Si sono versati fiumi d’inchiostro attorno al fenomeno fascismo impelagandosi in analisi così lunghe e complesse da perdere il filo. Molto più semplice è partire dalla “via biologica” (suggerita dalla biologia sociale, mia creatura), che fa risalire il comportamento di ciascuno alle pulsioni viscerali costanti, smorzate o “accese” dall’ambiente (dall’educazione della prima età evolutiva alle vicende vissute), che il soggetto o adegua a ciò che è giusto – e in  questo caso si parla di crescita normale – o le esalta fino al patologico e vi costruisce sopra delle giustificazioni e perfino delle ideologie – e qui si sconfina nella psichiatria. I più, mediocri nel bene e nel male, passano inosservati come massa: i casi emergenti fanno perfino la storia. Salvatore Giuliano era un ragazzo “buono” come tanti altri: lo so anche da chi lo conobbe di persona quando trasportava sacchi di grano per campare. Sorpreso e braccato come “contrabbandiere” divenne il re di Montelepre e si montò la testa a tal punto da consumare la strage di Portella della Ginestra, sognando di diventare chissà che con la complicità dei grossi latifondisti e della stessa America: un caso di “cratopatia acuta a decorso paranoico”.

         Forse il novantapercento della storia è fatta da soggetti in “istato di cratopatia psichiatrica” quando la pulsione più forte è quella dell’autorassicuranza, ovvero del potere, che riporta l’uomo al predazionismo delle origini e che al livello antropo-civile può realizzare quasi sempre solo in via surrettizia (dall’autocrazia alla guerra : in Italia si sta manifestando un caso della fattispecie).

         Vado al dunque. Considero il fascismo l’incidente personale di un socialista colto e intelligente, in cui la pulsione al potere (cratomania), per via di certe stimolazioni biografiche (che non è facile misurare) ha raggiunto la dimensione psichiatrica. Napoleone costruì l’idea della sua “rivoluzione” sulla propria paranoia megalomaniaca. Sappiamo che la quantità, ad un certo punto, si fa qualità. Rispondendo al proprio impulso egocentrico-egolatrico, come materiale piretico esploso a contatto dell’ossigeno, Mussolini tradì la propria identità cominciando con l’aggredire i simboli del socialismo (sedi, giornali et similia) per finire invasore dell’Unione Sovietica. E il lato più travolgente di manifestazioni psicopatologiche del genere è quando il soggetto convince sé stesso contro sé stesso: quando, per dirla in parole semplici, finisce per credere alle proprie menzogne. Quando il duce fece scrivere di avere sempre ragione, è possibile che credesse in sé come in una specie di semidio infallibile!

         E’ ovvio che all’interno dell’avventura mussoliniana ci siano tracce, anche notevoli, del suo meglio, condivisibili: non sto ad elencarle (dalla difesa della lingua, alla mutualità sanitaria e previdenziale, al prosciugamento dell’Agro Pontino, alla ginnastica come mezzo educativo e così via). Com’è altrettanto ovvio che il fenomeno fascismo, nel suo insieme, rimanga l’errore fatale di una persona affetta da contraddizioni totali e insanabili come quello, analogo, di un Napoleone per cui l’esilio, come impossibilità di debellare un nemico e di festeggiare la vittoria come “predazione compiuta”, sarà il peggiore degli ergastoli. E’ altrettanto naturale che alcuni – o molti – abbiano creduto in Mussolini se si tiene conto del bisogno del “potere passivo”, come l’altra faccia della “cratopatia”, bisogno che oggi vede “folle oceaniche” (ricordare quelle di Piazza Venezia), che vanno in delirio per un cantante, che gesticola e rumoreggia cosiddette canzoni rock, o fanno di peggio in uno stadio per ragazzi che prendono a calci un pallone. E perfino si scontrano come in un campo di battaglia! E’ altrettanto impensabile di riproporre  l’esperienza del fascismo come, del resto, quella bolscevica. Dirsi fascista è ancora più anacronistico del dirsi bolscevico!

         Andiamo alla festa del 25 Aprile, occasione di retorica patria e “costituzionale” del tutto fuori luogo. E’ una festa da abolire perché due volte sbagliata e nei riguardi del fascismo e nei riguardi di una pretesa liberazione. Anzitutto, equivale ad un’offensiva partigiana contro coloro che ancora, pur con definizioni diverse e tuttavia sempre in buona fede, si dicono fascisti, come “soggetti recessivi” che hanno esercitato il proprio bisogno di credere in “soggetti dominanti”: siamo all’eterna storia del “dominio e soggezione”. La Repubblica di Salò dimostra un tardivo ritorno del protagonista all’ideale di partenza, che sarebbe dovuto concretarsi in una pacificazione con i partigiani: festeggiare il 25 Aprile come festa antifascista significa rafforzare quest’errore e perpetuare gli odi fratricidi, che non hanno più ragione di esistere. In un secondo luogo, gli americani non sono venuti da noi per liberarci da chicchessia ma solo per difendere l’alleato britannico, il che era anche legittimo. Il loro vero nemico non era il fascismo ma il potere sovietico con cui erano alleati solo per necessità contingente. Le truppe di colore americane, e non solo queste, non sono state da meno di orde barbariche in fatto di disturbi alle donne e di stupri con manifestazioni di inciviltà, guadagnandosi, nel palermitano, perfino qualche impiccagione. Certo, non si tratta di fatti “comandati” ma di fatti comunque. Ad onore del vero, devo dire che i tedeschi, nazismo o no, stazionavano da noi come alleati ma era evidente l‘intenzione di Hitler di restarci come padrone se è vero, tra l’altro, che le nostre scolaresche (fatto vissuto personalmente) cantavano in primis il loro inno “Deutschland uber alles”. Sempre per rispetto alla verità, devo aggiungere che il loro comportamento era improntato a rapporti di rispetto civile.

         Sarebbe giusto commemorare tutte le vittime di un conflitto ideologico – e psichiatrico – che non si è fermato nemmeno davanti al terrorismo, al genocidio e al fratricidio. E’ difficile dire che cosa sarebbe stato meglio fare sessant’anni fa in circostanze da follia collettiva. Conservo delle cartoline su ciascuna delle quali c’è l’immagine di un ragazzo con la descrizione del suo sacrificio in onore del duce. E’ la passione della soggezione volontaria! Ma quei ragazzi mi fanno una grande tenerezza e mi commuove il pensiero che soggetti così giovani si siano immolati inutilmente per una causa totalmente sbagliata. Ma l’errore non toglie nulla alla generosità di chi ha dato il meglio di quanto possedeva: la propria vita. Bisognerebbe ricorda anche questi in una manifestazione di dialogo, di ripensamento e di riconciliazione, dimostrando con i fatti come le pulsioni del potere dominante, che hanno fatto il peggio della storia, possano essere sottomesse alla ragione morale.

         Mi dispiace che degli amici di Rinascita mostrino ancora per i comunisti lo stesso disprezzo che caratterizzò l’ideologia “empirica” di un uomo altrimenti socialista. Trovo assurdo che un Fabrizio Di Ernesto (per citarne uno) parli ironicamente del “compagno Giorgio Napolitano” (v. pag. 16 del n.ro 77) se è vero che del socialista non può avere assolutamente nulla, chi si è messo al servizio dell’imperialismo yankee calpestando ogni giorno la Costituzione, esaltata il 25 Aprile,  ed oggi si siede accanto al papa! Mi dispiace che socialisti sinceri di questo quotidiano esprimano ancora una valutazione preconcetta del sovietismo non distinguendo tra princìpi e fatti: non diciamo certo ad un evangelista che non può essere cristiano perché a nome di  Cristo sono stati commessi dei crimini. E’ invece possibile dimostrare a chi ancora sostiene il capitalismo che questo è un crimine per sé stesso.

                                                                    Carmelo R. Viola

25 Aprile 1945

(25 Aprile, una festa da abolire – 2 maggio 2009 – 2539)