La stanza  di Carmelo R. Viola

Carmelo R. Viola

A mia moglie Razziedda

di Carmelo R. Viola

 

L’otto marzo ricorre la Festa della donna. Una festa molto contestata, e non a torto, dalle associazioni femministe che non intendono festeggiare l’aver ottenuto dopo anni di lotta quanto spettava invece a pieno diritto, e da sempre, alle donne. In effetti col passar degli anni l’iniziale significato della festa è andato scemando per diventare un giorno importante per rendere omaggio a quanto di più prezioso esista al mondo. Forse è un modo per chiedere scusa al gentil sesso dopo secoli di vessazioni, ineguaglianze, disparità giuridiche, sottomissioni. Oggi la donna in quasi tutto il mondo occupa il ruolo che le spetta di piena parità con l’uomo e l’unica cosa che desta meraviglia non è questo traguardo ma l’incredibile lungo tempo impiegato per raggiungerlo. A parole si diceva nel milleottocento che il completamento del progresso sociale si poteva raggiungere soltanto riconoscendo alla donna tutti i diritti. Già nel 1872 in Francia le donne lottarono per il diritto al divorzio per non citare Olympia de Gouges che con la sua dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina del 1792, fu ghigliottinata. Nella democratica Inghilterra il voto alle donne fu riconosciuto soltanto nel 1918 dopo il ricorso alle maniere forti (attacchi incendiari a negozi ed edifici pubblici) ma dopo arresti a catene di coloro che aderivano al movimento suffragista.

In Italia il movimento emancipazionista iniziò quando l’industria cominciò ad occupare anche le donne con i conseguenti problemi di poter dare alle donne il tempo per le occupazioni casalinghe e per la protezione della maternità. Anna Kuliscioff la compagna di Filippo Turati non finì sulla ghigliottina ma fu più volte imprigionata.

In passato invece, era giorno da ricordare perché inneggiante alle conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne. Veniva ed è celebrata in molti Paesi. Quindi non in tutti, purtroppo. L’usanza di regalare le mimose in questa data ha solo motivazioni consumistiche perché non ha alcuna relazione con l’origine della festa che pur se controversa e pur rasentando la leggenda è riferita a gravi episodi di repressione e di vessazione.

L’otto marzo del 1917 le operaie di San Pietroburgo scesero in piazza contro la guerra e la mancanza di cibo ma si preferì associare la ricorrenza ad un grave fatto accaduto a New York. Le operaie di una industria tessile la “Triangle Shirtwaist Company” erano in sciopero da diverso tempo. I proprietari allora, chiusero tutte le porte per impedir loro di uscire e per costringerle in un certo qual modo a lavorare. Scoppiò un incendio, che i giudici accertarono non essere di natura dolosa,  e tutte le 129 operaie, non trovando via d’uscita morirono atrocemente. Era l’otto marzo del 1908.

Ma pare che le vittime furono 140 e non tutte donne e che l’incendio avvenne, in realtà, nel 1911 e quindi successivamente alla proposta di dedicare l’otto marzo alla donna formulato da Rosa Luxemburg alla Conferenza dell’Internazionale socialista di Copenaghen nel 1910.

Fu l’Unione Donne Italiane a riprendere, dopo la seconda guerra mondiale, la data dell’otto marzo per dedicare un giorno alle conquiste delle donne associandosi alla maggioranza dei Paesi Occidentali.

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 La seconda domenica di maggio, (quest’anno cade il tredici), è dedicata sempre alla donna ma in quanto madre, mamma. Dicono che noi italiani  siamo “Mammoni” … e allora? Chi ha passato le notti su una sedia accanto al lettino quando eravamo malati? Chi ha sempre alleviato i nostri dispiaceri? Quale viso abbiamo visto aprendo gli occhi per la prima volta? Chi non ricorda le carezze, le attenzioni, le cure amorevoli? Chi oltre a darci la vita, ci ha dato tutto?

Ed allora ringraziamo quei commercianti che, anche se a scopo di lucro, hanno inventato questa festa: la festa della mamma. Chi ancora può, non aspetti la seconda domenica di maggio per cercare di restituire solo in parte l’affetto e l’amore ricevuto anche perché sarebbe impossibile. Presentiamoci con un dono nella mano sinistra usando la destra per accarezzare quei cari capelli bianchi.

(Prefazione di Roberto Longo)

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A mia moglie Razziedda


Bimba io ti conobbi
all’alba dei miei anni
e poi dei miei malanni
e della lontananza
fu un volgere di danza
di sogni e di dolor.
     Errai e inutilmente

cercai in altri lidi
l’amore che non vidi.
Poi ti ebbi sposa amata
e come una giornata
l’incanto si sfaldò.
     Errai e caddi ancora
ignaro del tuo bene
ignaro delle pene
che in te silenti avevi:
eppure non potevi
svelarmi il tuo dolor.

Or come in primavera

pur carichi di anni

di povertà e d’affanni

con mano ci teniamo

come non mai ci amiamo

con giovanil fervor.

Bimba tornata sei

fra le mie braccia antiche

stanche ma sempre amiche

mentre il tramonto incombe

in un fluir di tombe,

ti amo di un nuovo amor

Or che l’evento-vita

s’appressa al tempo-fine

ora sul tuo ben crine

cerco calor materno

con un amor bambino

con un tepor piccino,

con rinnovato ardor.

 

Acireale, 4 Gennaio 2007

Melo, alias  Carmelo R.Viola
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[1] Quando io e mia moglie ci conoscemmo, vivevamo la prima adolescenza. A dodici anni io raggiunsi la mia famiglia a Tripoli – mi affacciavo alla vita da un nuovo mondo – e lì sperimentai il trauma  della disintegrazione di questa, che
mi porto ancora dentro. A ventidue anni sposai la mia compagna e pochi anni dopo dei malintesi ruppero il dolce incanto. Seguiranno dolorose peregrinazioni interiori ed esistenziali fino alla ricostruzione di una sintonia di affetti e di idee, che ritengo un evento raro in un contesto di conflitti e di evanescenze. Dopo 56 anni di convivenza, siamo felici l’uno dell’altra, ed ambedue ci sosteniamo con un rapporto filiale e materno. Questi versi sono stati concepiti e improvvisati) e fissati sulla carta mentre, in auto, attendevo l’altra parte di me stesso, recatasi dal medico di famiglia per la consueta fornitura di ricette!

Carmelo R. Viola