Introduzione
Trascorsi
un intero pomeriggio con John
Bowlby, nel suo ufficio sobriamente
arredato presso il Dipartimento della Famiglia e del Bambino
del Centro
Tavistock di Londra, in una giornata umida e fredda, poco
prima della sua
morte nel 1990. Il luogo aveva una vecchia scrivania in legno,
due sedie,
molti libri e una finestra che dava su un cortile.
L’intervista
si concluse verso sera nel
momento in cui la luce rossa intensa del sole al tramonto
riempiva la
stanza. Al ritorno pensai che alcuni grandi uomini mostrano
un certo grado
di modestia sentendosi sicuri di sé. Credo che questa sia l’ultima
intervista concessa dal Dott. Bowlby. In essa, oltre al ruolo
fondamentale
della separazione precoce e della perdita nello sviluppo della
personalità
futura, egli sottolinea: l’importanza della ricerca come base
per
l’avanzamento della conoscenza e il
valore dell’informazione prospettica piuttosto che
retrospettiva per
tutti gli approcci psicologici in Psichiatria infantile.
Inoltre, Bowlby raccomanda l’estrema utilità di valutare il
comportamento passato e presente, le somiglianze (importanza
dello
sviluppo psicologico) e le differenze (osservazione piuttosto
che
speculazione filosofica) tra la sua teoria
dell’attaccamento,
la psicoanalisi e
la terapia
cognitiva,
e il suo “condividere la critica” dei
vecchi colleghi psicoanalitici. Infine, fornisce indicazioni
essenziali
circa lo sviluppo dei bambini disadattati,
la loro diagnosi, la
valutazione clinica e il trattamento, la loro gestione
in ospedale e come
aiutarli ad affrontare la separazione dai loro genitori.
Dell’intera
intervista, le due
affermazioni da me preferite sono quelle riferite al
paragone dello
psicoterapeuta come un compagno che può aiutare il paziente a scendere
in
un passaggio buio a prendere una palla, e quella che i
terapeuti cognitivi
dovrebbero imparare l’importanza delle emozioni, mentre gli
psicoanalisti
quella dei pensieri, oltre che degli eventi di vita.
Londra,
11 Gennaio, 1990
Leonardo
Tondo: Posso chiederle quando e
come ha iniziato a occuparsi di attaccamento e perdita?
John
Bowlby: Tutto è iniziato negli anni
‘30, tra il 1936 e il 1940. Lavoravo come
psichiatra dell’infanzia a
Londra mentre completavo il mio training in psicanalisi. Uno dei
concetti a cui mi interessai molto presto fu l’importanza
delle prime
relazioni genitore-figlio e la misura in cui esperienze
avverse,
all’interno della famiglia, avrebbero potuto avere un effetto
negativo
sulla salute fisica e mentale del bambino.
A quel tempo molti
colleghi psicoanalisti erano poco inclini a dare importanza
agli eventi di
vita avversi come fattore importante per lo sviluppo del
bambino. Freud
nei suoi primi lavori, intorno al 1895, attribuì i problemi di
isteria all’abuso
sessuale nell’infanzia e solo più tardi stabilì che questi
eventi non
erano accaduti realmente ma invece erano immaginari. Egli credeva
che la
paziente stesse descrivendo eventi immaginari dell’infanzia. Quello fu
il
periodo in cui la parola fantasia iniziò ad essere usata in
psicoanalisi.
E negli anni ‘30, a Londra, c’era un forte atteggiamento per
cui non si
sarebbe dovuto mai credere alle storie dei pazienti inerenti
abuso
sessuale o ogni altra esperienza avversa causata dai genitori,
e che non bisognava fidarsi della
validità del resoconto del paziente. Invece, io pensavo che
gli eventi
avversi fossero di grande importanza e, da giovane psicoanalista e
giovane psichiatra dell’infanzia, tentai di dimostrare che gli
eventi di
vita reale della prima infanzia giocavano un ruolo preminente
nel
determinare la salute mentale. Ed è così che cominciò lo
studio al quale
fin da allora mi sono poi dedicato. A quel tempo sarebbe
stato molto
difficile fare qualsiasi ricerca sistematica sul maltrattamento dei
bambini da
parte dei loro genitori. Innanzitutto l’opinione diffusa era
molto
contraria a questa ipotesi e, in secondo luogo, senza
registrazioni o
videoregistrazioni non avevamo nessun mezzo per registrare in
modo valido
atteggiamenti, dichiarazioni o comportamenti avversi da
parte dei genitori
verso i figli; cosicché l’idea era irrealizzabile. Questa circostanza
mi portò
a concentrarmi sulla separazione e perdita, perché le
separazioni e le
perdite potevano essere registrate con validità – che si siano
manifestate
oppure no. Il motivo, quindi, perché io mi focalizzai su
separazione e
perdita fu, in parte, perché essa poteva essere oggetto di
ricerca.
Inoltre avevo osservato, alla Child Guidance Clinic, un numero di
casi dove la personalità del bambino, diventato poi
delinquente e
ingestibile, mi sembrava essere stata precocemente preceduta
da relazioni
molto distruttive tra il bambino e la madre. Una volta
considerati degli
eventi antecedenti precoci si sarebbe potuta dimostrare una
loro presenza
in modo statisticamente significativo per studiare se fosse
probabile una
connessione importante. Esistevano molte evidenze cliniche interne che
suggerivano che le prime esperienze avverse avevano portato a
risultati
che comprendevano bambini con scarse relazioni emotive o con
un
disinteresse per esse, che non sembravano essere influenzati
dalla lode o
dalla punizione, o che andavano per la propria strada.
Essi marinavano la
scuola, scappavano via, facevano piccoli furti e così via. Sebbene
essi sembrassero abbastanza sereni, erano bloccati
emozionalmente. Tutto è
iniziato così; non mi stavo occupando di depressione,
ma stavo partendo da una condizione che
io credo rappresenti, in realtà, le fasi precoci di una
personalità
psicopatica.
Leonardo
Tondo: Il passaggio della sua
ricerca dalla psicoanalisi alla teoria dell’attaccamento
ha cambiato il
suo atteggiamento nei confronti della psicoanalisi?
John
Bowlby: Non proprio. Ci sono due ragioni perché io penso che la
psicanalisi sia stata un importante passo avanti. La prima è
questa: che
non c’è nessun altro gruppo professionale che nel passato, e
certamente
non dagli anni ‘30 ai ‘50, abbia posto attenzione
alle relazioni intime
personali ed emozionali familiari: gelosia, rabbia, colpa,
vergogna, amore, dolore e così via. La psicoanalisi vedeva
tali relazioni
emozionali precoci come un problema da studiare a pieno titolo
e nessun
altro gruppo lo faceva. Gli psichiatri e gli psicologi non lo
facevano
come, d’altronde, nessun altro. L’unico gruppo
professionale che si può
dire si interessava di quest’area erano, naturalmente, i professionisti
della religione. Preti e pastori della religione da sempre si
occupano di
questi problemi, benché non scientificamente. Freud e i primi
psicoanalisti fecero un tentativo di studiare questi problemi.
Un altro
aspetto che mi ha interessato era che la teoria riguardava una forma
di sviluppo mentale di psichiatria e psicologia che vedeva i
problemi
attuali di una persona nei termini della sua storia, a
differenza della
maggiore enfasi posta sulla fantasia dalla maggior parte degli
altri
analisti, in contrasto con i pochi che pensavano che gli eventi
di vita
reale fossero di grande importanza. Diverse persone davano agli eventi
di vita
gradi diversi di importanza. Io ho dato loro un peso notevole.
Non avrei
potuto trovare nessun altro gruppo che avesse tanto in comune con me,
quanto
con la società psicoanalitica in quel tempo, infatti rimasi
membro attivo
della società e divenni segretario del training e vice
presidente. Ho
avuto un ruolo importante nella società psicoanalitica britannica tra
il 1944 e il 1962.
Leonardo
Tondo:Ha avuto occasione di
incontrare Freud?
John
Bowlby: No, venne nel nostro paese nel 1938. Era molto vecchio e stava
poco bene e vide solo pochi vecchi amici. Io ero uno
psicanalista molto
giovane a quel tempo.
Leonardo
Tondo:Il suo primo studio sulla
separazione e perdita ha avuto ulteriori sviluppi a partire
dallo stadio
iniziale?
John
Bowlby: Il primo passo fu mettere insieme un gruppo di casi in cui
pensavo che questo tipo di problema fosse presente. Quindi ciò
che feci
alla London Child Guidance Clinic di Londra dove lavoravo, fu
confrontare
due gruppi di pazienti: 44 bambini che erano stati indirizzati
alla
clinica per furto e 44 che erano stati indirizzati per ragioni diverse
dal furto. Quelli che erano stati indirizzati per furto
mostrarono
un’incidenza statisticamente più significativa di relazioni
precoci
interrotte rispetto agli altri partecipanti. Questo studio fu
pubblicato
nel 1944 (Bowlby, 1944). Si trattava di studio retrospettivo, e
cominciai la
fase successiva dopo la guerra, quando prestai servizio come
psichiatra dell’esercito
dal 1940 al 1945. (nota al testo: Freud, Sigmund (1856-1939) e la sua
famiglia
fuggirono dalla persecuzione nazista il 4 giugno 1938 e si
trasferirono da
Vienna a Londra dove vissero al Gardens Marensfield 20 (ora museo).
Fumatore cronico di
sigaro egli soffrì di cancro alla bocca dal 1923 e morì di overdose di
morfina
da assistenza medica il 23 settembre 1939.).
Leonardo
Tondo:Qui in Inghilterra?
John
Bowlby: Ero in Inghilterra sì, e sono stato in un gruppo di ricerca
molto tempo. Ci interessavamo di selezionare persone adatte,
secondo la
commissione, a diventare ufficiali. Io fui assegnato a questo
lavoro dal
1942 in poi dopo aver ottenuto un training di ricerca sotto le
armi che fu
molto utile. Questa fu un’esperienza per me molto importante
perché
lavoravo con due o tre psicologi clinici. Quando ripresi la
psichiatria infantile, dopo la guerra, all’inizio del 1946, mi
fu offerto
un posto alla Tavistock Clinic come responsabile di un
dipartimento per
bambini e genitori. E così il mio primo compito, naturalmente,
fu di
riorganizzare i servizi clinici, poi il training e poi iniziare
il progetto di ricerca. Il mio piano, dall’inizio, fu
riavviare la ricerca
nella direzione degli effetti avversi delle rotture precoci
nelle
relazioni familiari.
Leonardo
Tondo:Che tipo di prove di
relazioni precoci distruttive rilevava?
John
Bowlby: Un bambino poteva rimanere in un ospedale per un lungo periodo
– 12 mesi o 2 anni. A quel tempo mi interessavo di rotture che
duravano
non meno di sei mesi, verificatesi prima del quinto compleanno
e la
rottura poteva essere dovuta al ricovero in un ospedale o
l’essere in un
istituto. In alternativa poteva essere dovuta a una madre che affidava
un bambino a un’altra donna con un ritorno, in seguito, alla
madre
naturale; oppure poteva essere un figlio illegittimo che prima
era qui,
poi lì e poi altrove. C’erano molte condizioni sociali che
portavano a
queste rotture, ma le rotture erano il reale criterio per
il mio studio.
Leonardo
Tondo:Lo sviluppo della sua
teoria è stato considerato in qualche modo legato
alla psicoanalisi?
John
Bowlby: Questa è una storia importante. La psicoanalisi è uno sviluppo
della psichiatria, quindi modelli di sviluppo relativi alla
prima infanzia
sono rilevanti per la psicoanalisi. Cosi, studiavo gli ‘atomi’
di sviluppo
nei primi anni. Certo Freud non l’ha mai fatto. La sua teoria
dello
sviluppo era concepita interamente in maniera retrospettiva. In
Inghilterra ci fu sempre interesse per l’analisi infantile,
che era più
vicina al problema dello sviluppo. Voglio dire, durante gli
anni 30,
questo interesse era rappresentato da Melanie Klein, che
esercitò
un’influenza sostanziale a Londra. Poi, Anna Freud arrivò nel
1938 con suo padre ed ebbe un’altra influenza, di genere
piuttosto
diverso. Un’altra persona che divenne influente e
ragionevolmente famoso
fu Donald Winnicott, un pediatra che aveva punti di vista non
differenti
dai miei. Egli attribuì importanza agli eventi di vita reali.
Quindi io
ero uno di quegli analisti focalizzati sugli sviluppi primari e sugli
effetti degli eventi di vita, ma ero il solo a fare una
ricerca
sistematica. Gli altri si occupavano di lavoro clinico e di
fare
osservazioni naturali, non programmate e incidentali. Io tentavo
di porre
il lavoro su basi più scientifiche. (note al testo: Klein,
Melanie
(1882-1960). Psicologa dell’infanzia, nata in Austria si trasferì a
Londra nel
1926, dove morì
nel 1960 – Freud, Anna (1895-1982). Psicoanalista
dell’infanzia,
nata in Austria, figlia di Sigmund, si trasferì con il padre e
il resto
della sua famiglia a Londra nel 1938 – Winnicott, Donald
(1896-1971).
Pediatra inglese apportò importanti contributi alle
teorie psicoanalitiche, specialmente alla teoria delle
relazioni
oggettuali focalizzata sulla relazione col
genitore influente).
Leonardo
Tondo:Quanto era differente la
sua ricerca da quella di Piaget?
John
Bowlby: Beh, veda Jean Piaget era completamente interessato allo
sviluppo della cognizione ed era disinteressato agli aspetti
emotivi.
D’altro canto, quella era la sua prospettiva ma non la mia.
Ciò
nonostante, in effetti, eravamo entrambi degli psicologi dello sviluppo.
Leonardo
Tondo:Lei e Piaget avete avuto
occasione di condividere i vostri risultati dal momento che
entrambi
stavate lavorando allo sviluppo infantile?
John
Bowlby: Ci siamo incontrati un numero di volte tra il 1953 e il 1956.
Per quattro anni questi incontri sono avvenuti con un gruppo,
riunito a
Ginevra dalla Organizzazione Mondiale della Salute, per
discutere degli
sviluppi psicobiologici dell’infanzia.
Leonardo
Tondo:Chi erano i partecipanti?
John
Bowlby: Includevano l’etologo Kornad Lorenz, l’antropologa Margaret
Mead e Jean Piaget. Complessivamente eravamo circa
una ventina. Altri
di cui probabilmente conosce i nomi, erano Eric Erickson, che
venne una
volta o due, e Ludwig von Bertalanffy, l’importante teorico
della teoria
dei sistemi. Queste erano tutte persone di primaria importanza
nei loro
campi. Io ero un gradino sotto queste luminari. C’era un impegno
a trovare
principi comuni in questi approcci diversi. Ovviamente non ci siamo
riusciti,
ma le discussioni sono state molto proficue. Sono state anche
pubblicate e
hanno avuto abbastanza influenza (note al
testo: Piaget, Jean
(1896-1980). Psicologo svizzero dello sviluppo. Lavorò sullo sviluppo
cognitivo
del bambino – Lorenz, Kornad (1903-1989). Zoologo
australiano e psicologo
animalista, fondatore dell’etologia moderna. Studiò i processi
di
apprendimento associati all’imprinting – Mead, Margaret
(1901-1978).
Antropologa culturale statunitense che confrontò il
passaggio dall’adolescenza all’età adulta tra società semplici
e complesse
– Erikson, Eric (1902-1994). Psicologo e psicoanalista tedesco
che studiò
lo sviluppo sociale e coniò l’espressione crisi di identità e
descrisse
gli otto stadi dello sviluppo psicologico – von Bertalanffy,
Ludwing
(1901-1972). Biologo austriaco che si occupò della teoria dei
sistemi
e propose un modello matematico di crescita dell’individuo.).
Leonardo
Tondo:Qual era lo scopo del
workshop?
John
Bowlby: Lo scopo era di cercare di integrare il modo di guardare ai
problemi dello sviluppo infantile, per trovare cosa ognuna
delle
differenti discipline avesse da offrire che avrebbe potuto
portare a una
scienza unificata. Questo era lo scopo.
Leonardo
Tondo: Tornando alla sua
ricerca, c’è stata qualche differenza tra l’inizio del suo
lavoro e 10 o
20 anni più tardi?
John
Bowlby: Non proprio, voglio dire, il mio interesse è stato porre la
psicoanalisi su apposite basi scientifiche. Che è sempre stata
la mia
aspirazione. Io sentivo che essa studiava i giusti problemi ma
era
diventata molto poco scientifica nella sua metodologia. Il mio credo
era che la psicoanalisi potesse fare progressi solo mediante
lo sviluppo
di una base scientifica migliore.
Leonardo
Tondo: Molti psicoanalisti
possono contestare sulla necessità della psicoanalisi di
essere scientifica,
perché essi trattano gli individui con risultati che non possono
essere riproducibili.
John
Bowlby: Non condivido questa parere, perché l’approccio scientifico va
tenuto in considerazione. La scienza biologica certamente si
occupa delle questioni
generali che colpiscono una popolazione. Voglio dire, la
fisiologia umana
non si è interessata della fisiologia di una persona in
particolare, si
interessa del funzionamento di corpi umani, e, allo scopo di
ottenere
risultati validi, ha bisogno di una popolazione, di un campione,
di una
misura del battito cardiaco e così via, e per questo si usano strumenti
statistici. La scienza non si occupa dei casi individuali ma
delle
generalità. La medicina è una scienza applicata. Certo, in una
scienza
applicata, noi ci occupiamo di operazioni particolari
di processi
fisiologici e patologici in un individuo, e questa è l’applicazione
della
scienza. Bene, la psicoanalisi è la stessa cosa. Quando si
tratta un
paziente non ci si comporta da scienziato, uno sfrutta il più
possibile la
conoscenza per il beneficio del paziente e sebbene, come con
qualsiasi
altra condizione, puoi trovare indizi molto utili per
quello che ti serve,
non si può arrivare ad una conclusione generale valida, a meno che non
si confronti
mediante altri metodi. Pertanto, non ho mai accettato la regola che la
psicanalisi fosse differente da qualsiasi altra branca della
medicina per
quanto riguarda la sua rapporto con la scienza. La pratica
clinica, l’arte
della medicina, è un’abilità applicata. Essa richiede la presa
in esame di
tutte le circostanze di un paziente particolare, delle
sue particolari
condizioni, mentre la scienza si occupa di generalità, ritenute valide
in
maniera indiscriminata. In quanto ricercatori ci si occupa di
un campione di
pazienti che soffrono situazioni avverse e gli effetti di
queste
situazioni sui bambini. Nel lavoro clinico si è interessati a
un approccio
individuale, variabile e sintetico.
Leonardo
Tondo: Le stesse persone che
sostengono la teoria non scientifica della
psicoanalisi, dicono che il
cervello, che tratta le emozioni e lo sviluppo cognitivo, è molto
diverso da altri organi del corpo.
John
Bowlby: È una questione d’opinione, non penso di essere d’accordo.
Leonardo
Tondo: Come si è trasferito il
suo metodo dalla ricerca al trattamento?
John
Bowlby: Penso che si è
sostanzialmente d’accordo sul fatto che queste rotture nelle
relazioni nei
primi anni possono avere effetti molto nocivi; perciò devono essere
evitate.
Se possono essere evitate, dovrebbero esserlo a tutti i costi
e molti
passi pratici sono stati fatti in quella direzione. In secondo
luogo se,
per qualsiasi ragione, le prime rotture non sono impedite, noi
possiamo
capire le conseguenze su un bambino molto meglio e possiamo
procedere in
un ruolo terapeutico per aiutarlo e, forse, aiutare i genitori
ad affrontare i problemi che sono sorti dalle separazioni nei
primi anni
di vita. Nel caso di un genitore che abbandona un figlio o
muore, proviamo
ad aiutare quelli che ora stanno accudendo il bambino nei suoi
sforzi
nell’affrontare il trauma della
separazione
o della morte.
Queste sono pratiche di solito accettate
in Gran Bretagna o in America e vengono generalmente
utilizzate nel campo
della psichiatria infantile.
Leonardo
Tondo:Quindi c’è un primo passo
che è la prevenzione. Se il trauma può essere
evitato, dovrebbe essere
evitato, ma se un trauma psicologico non è evitabile come la
morte di uno
o entrambi i genitori, consiglierebbe sempre un
trattamento psicoterapeutico?
John
Bowlby: Non necessariamente. Prendiamo un caso alquanto semplice, di
un bambino che ha una malattia sufficientemente grave e deve
rimanere in
ospedale per due o tre settimane. Ciò di cui sto parlando vale
particolarmente per i bambini più piccoli, ma anche per
quelli più grandi.
Per prima cosa, il bambino deve stare in ospedale, non si può evitare
questo, ma
sua madre può stare con lui in ospedale? Se fosse possibile allora
molti
problemi possono essere evitati e questo è il primo passo per
evitare una
separazione. Comunque, supponiamo, per esempio, che avendo
altri figli non
può stare in ospedale con questo bambino. Noi possiamo aiutare
la madre in
diversi modi. Parliamo, ad esempio, di un bambino di tre anni
che ha avuto
la febbre. Prima di tutto possiamo avvertirla che, quando va a
prendere il
suo bambino per portarlo a casa, il bambino può essere in
una condizione
di distacco emotivo in cui non riesce a riconoscerla o è oltremodo
distaccato. Questo stato d’animo è molto stressante per una
madre. Noi
possiamo avvertirla che questa è il genere di reazioni che
potrebbe
accadere, così che lei non si sorprenda. Poi il bambino può
cambiare e
diventare intensamente attaccato a lei e molto apprensivo,
per paura di
soffrire un’altra separazione. Questa modalità di “attaccamento” è un
fatto normale. La cosa da fare è rispondere ad esso in maniera
affettuosa
e rassicurante e non ignorarlo o scoraggiarlo. Se nel tempo la
madre lo
tratta in modo più tollerante egli gradualmente smetterà di
farlo. Questo
è molto importante perché, se la madre diviene severa e
punisce il bambino
quando si comporta in questo modo, allora il
problema peggiorerà. Si
tratta di una misura preventiva, se preferisce, una misura immediata
che può aiutare in modo significativo. Io sono principalmente
interessato
a ciò che accade a un bambino quando egli è fuori dalla sua
casa e senza i
genitori. Ciò può essere molto più traumatico di quando le
stesse cose
accadono con i genitori presenti. Per cui la presenza dei
genitori è la
variabile importante. Soltanto quando la situazione degenera,
la psicoterapia è richiesta, sebbene sia un intervento poco
comune e
difficile da fornire in questi casi.
Leonardo
Tondo:Lei vuol dire che non può
facilmente essere somministrata a tutti?
John
Bowlby: Esattamente. Per cui deve essere dosata molto rigorosamente.
Se, per esempio, un bambino ha avuto una serie di separazioni
ed è
diventato emozionalmente molto distante e distaccato, allora
la
psicoterapia è certamente auspicabile per aiutarlo ad aver di
nuovo fiducia nelle persone.
Leonardo
Tondo:In un paziente che ha avuto
una relazione interrotta ed è ora un adolescente, che tipo di
psicoterapia
lei consiglierebbe? Un trattamento psicoanalitico o il suo tipo
di psicoterapia?
John
Bowlby: Ritengo che la terapia
rivolta alla famiglia dovrebbe essere la prima scelta
quando possibile.
Posso dire che ho sviluppato la terapia familiare negli anni ‘70, e
sono
sempre stato molto favorevole a essa per molte ragioni.
Sfortunatamente,
non è sempre possibile; alcuni genitori possono essere morti o
la famiglia
può essere divisa. Ci sono molte ragioni del perché la terapia
rivolta
alla famiglia non
può essere
praticabile. Così se essa non è praticabile ci si deve
proporre qualcosa
di diverso. In questo caso io credo che la psicoterapia
individuale che
usa l’insight analitico sia l’alternativa. Quello che
cercherei di fare
con tali pazienti è aiutarli a esplorare le loro esperienze attuali.
Esplorare, considerare, soffermarsi e riflettere sulle
esperienze in corso
e considerare come potrebbero essere legate a quelle del
passato. A volte
il paziente riesce a ricordare queste esperienze, altre volte
no. Se
riesce a ricordare, allora ci si deve preoccupare di aiutarlo
a studiarle,
prendere in considerazione tutti i dettagli e come si sentiva nel
momento in
cui si sono verificate così da capire il motivo per cui ora ha
tanta paura
di camici bianchi; perché quando era in ospedale, anni fa, i
medici
avevano camici bianchi e lui era terrorizzato di quello che
stavano per
fare. Così la sua fobia dei camici bianchi è naturalmente
comprensibile.
Non è stupida, irrilevante, o illogica, ma invece è
collegata con una
propria esperienza reale. Il bambino è allora in grado di considerare
che forse
la sua paura della gente in camice bianco potrebbe essere
stata ragionevole
una volta, ma forse ora comprende la situazione un po’ meglio
e può non
aver bisogno di sentire che i camici bianchi sono così
minacciosi. In
altre parole, usa un processo cognitivo per riflettere su
questa
associazione tra camici bianchi e il passato e tra camici bianchi e
il presente e si rende conto che lui non è in trappola e non è
un
prigioniero. In poche parole, questo è quello che cerco di
fare. Cerco di
aiutare il paziente a scoprire perché il suo passato è così
importante e,
per quanto può, a liberarsene e guardare le cose in un
modo nuovo. Certo,
è un processo lento. Se non riesce a ricordare e si ha una sorta di
amnesia, allora il compito è quello di aiutarlo a recuperare
ciò che è
passato. Aiutandolo a recuperare il passato, egli può fidarsi
del terapeuta
e diventare più coraggioso. Se una palla è caduta giù in un
passaggio
oscuro, un bambino forse ha paura di andare lì e prendere la
palla, ma se
io dico: “Guarda, verrò con te”, può essere contento.
In psicoterapia, ci
comportiamo come un amico verso un paziente che ha troppa paura
di affrontare quello che gli è accaduto in passato. Così, noi
lo
accompagniamo nell’esplorazione per quanto possiamo e può
essere utile in
termini di psicoanalisi dire:
“Sai
che potrebbe essere questo o forse
quest’altro ciò che è successo”,
cioè,
si possono dare i suggerimenti che possono o non possono
innescare una sorta di memoria. Naturalmente, in termini di
ricerca o di
scienza questo sarebbe del tutto inammissibile, ma non stiamo
facendo gli
scienziati, stiamo cercando di aiutare qualcuno (note al
testo: John
Bowlby si riferisce probabilmente all’introduzione ufficiale della
terapia
familiare in Inghilterra. In verità la terapia familiare era
iniziato
20-30 anni prima dal lavoro combinato di diversi terapeuti
in Europa e Stati
Uniti.
Leonardo
Tondo:I bambini adottati sono
spesso affetti da disturbi del comportamento?
John
Bowlby: Dipende a quale età sono stati adottati. Per quanto ne
sappiamo, il bambino non costruisce una relazione di
attaccamento fino al
sesto mese di vita. L’attaccamento è a un livello molto
prototipico in
precedenza, e tutta l’evidenza dice che se un bambino passa da
una figura
materna all’altra prima dei sei mesi di età non mostra una
reazione rilevante. Solo tra i 6 e i 12 mesi mostra una
maggiore reazione;
da 12 mesi in poi, la reazione è molto più intensa. Anche in
questo caso,
ovviamente, siamo in grado di aiutare la madre adottiva nel
gestire il
disagio avvertendola di ciò che potrebbe accadere
e consigliandole il modo
migliore per gestirlo. Così, in molti casi, il passaggio è
abbastanza semplice e di discreto successo. Tuttavia, più
grande è il
bambino al momento dell’adozione, tanto più è difficoltosa la
sua
reazione, soprattutto se ha avuto alcune esperienze di vita
disturbanti
prima dell’adozione. Quindi tutto dipende da quando, dove
e come.
Leonardo
Tondo: C’è qualche sindrome particolare in soggetti che sono stati
adottati dopo il primo anno di vita? Una sindrome che può
apparire durante
l’adolescenza?
John
Bowlby: Penso che sia una questione di fiducia. Prendiamo l’esempio di
un adolescente che è stato adottato all’età di cinque anni,
dopo aver
avuto diverse relazioni insoddisfacenti prima dell’adozione.
Se ha avuto
rapporti in cui le cose sono andate male ed è stato respinto,
egli si aspetta
unicamente che i suoi nuovi genitori lo rifiutino. La
madre adottiva deve
passare attraverso un periodo in cui lui non si fida di lei, ma col
passare
del tempo lui confiderà in lei sempre più. Molto dipende da
quanto è
perspicace la madre adottiva e anche il padre, naturalmente.
Entrambi
dovrebbero essere consapevoli che un bambino che è stato
adottato non avrà
fiducia in loro così come avrebbe fatto un loro figlio
naturale. Il
bambino potrebbe interpretare la loro partenza per tre settimane
come un
rifiuto. Questo è qualcosa di cui essi dovrebbero essere consapevoli.
Alcuni
genitori adottivi sono straordinariamente comprensivi e
percettivi, e si
rendono conto di tutto ciò. Altri, naturalmente, possono
essere aiutati a
capire che queste cose possono accadere. Alcuni non possono
essere aiutati
semplicemente perché non lo vogliono. Così, la forza del
legame, il grado
di fiducia nel legame tra genitori e figli è sempre più
fragile in questi
casi. Di conseguenza, un bambino può temere di essere respinto o
abbandonato quando,
in realtà, non è quello che sta succedendo. Naturalmente, il problema è
che
la mancanza di fiducia genera ulteriore mancanza di fiducia
che può
portare a uno scivolamento verso delinquenza o assunzione di
droga. Questo
è vero per ogni bambino non solo per i bambini adottati.
Leonardo
Tondo:Problemi comportamentali
dopo un’interruzione di una relazione genitoriale durante
l’infanzia
possono durare fino all’età adulta?
John
Bowlby: Oh, sì.
Leonardo
Tondo:Oltre al comportamento psicopatico,
quali altri disturbi potrebbero apparire
in età adulta, a seguito di precoci relazioni disturbate in
famiglia?
John
Bowlby: Il comportamento psicopatico
è il più comune e può condurre all’uso di droga e furto.
Un’altra possibilità
sono i legami interrotti con il sesso opposto.
Leonardo
Tondo: I problemi
comportamentali, mostrati dagli adolescenti al giorno
d’oggi, possano
derivare dai loro primi rapporti con i genitori, non essendo stati così
intimi come quando la famiglia era un’unità più importante?
John
Bowlby: Credo di sì, ma prima dobbiamo dimostrare che esiste una
maggiore incidenza di tali associazioni, anche se non mi
occupo
dell’ambito epidemiologico. Penso che possiamo essere
abbastanza
fiduciosi, in ogni singolo caso o in un gruppo di casi, che i problemi
di consumo di droga, o di comportamento psicopatico e
disturbato, sono un
effetto di malfunzionamento della famiglia che, di solito,
inizia presto e
continua. Una famiglia, che è abbastanza stabile e fornisce
una buona
potestà genitoriale nei primi anni, tende comunemente a
continuare, anche
se non sempre è così. Molti pericoli si possono verificare e
può essere
che un genitore muoia o abbandoni la famiglia. Voglio dire,
ci sono prove
abbondanti che questi pericoli, in forma di relazioni disturbate sono
la
causa di qualche tipo di problema. Credo che, statisticamente,
questa
conclusione sia abbastanza evidente.
Leonardo
Tondo: Un’altra questione è se
una coppia con figli decide di separarsi o stare insieme. Qual
è la cosa
migliore per i bambini: litigi continui o rimanere insieme
per i bambini?
John
Bowlby: Penso che sia molto difficile generalizzare. Si potrebbe dire
che la mia deformazione sarebbe sempre quella di aiutare i
genitori a
cercare di continuare a vivere insieme. Se non possono o non
vogliono,
certamente io lo favorirei in ogni caso sulla base del
fatto che la loro,
forse, è una difficoltà temporanea che può essere superata. Dopo
tutto, quando un matrimonio fallisce, la coppia potrebbe non
funzionare
bene in altri matrimoni. Se il matrimonio si scioglie, ci sarà
molta
sofferenza. Il coniuge che non vuole dividersi soffrirà così
come i
bambini. Se si vuole diminuirla si fa il possibile
per scoraggiare la
rottura e aiutare la coppia ad affrontare il problema. Questo è il
ruolo dell’aiuto coniugale.
Leonardo
Tondo:E per i bambini, pensa sia
peggio vivere con genitori che non vanno d’accordo, ma
rimangono ancora
insieme?
John
Bowlby: È quasi una domanda impossibile. Fino a che punto sono in
disaccordo? È il genere di cosa su cui non si può
generalizzare. Si deve
semplicemente studiare il singolo caso e cercare di aiutare i
genitori a
trovare la soluzione migliore.
Leonardo
Tondo:Durante l’infanzia, quale
dovrebbe essere il ruolo del padre e della madre? È d’accordo
con la
visione piuttosto semplicistica che la madre può essere
più importante del
padre?
John
Bowlby: Tale opinione, credo, sia ben dimostrata dalle informazioni
che abbiamo. Perché dopo tutto, in ogni società, e non solo in
quelle
occidentali, studiate dagli antropologi, un bambino entra
molto di più in
contatto con la madre che con il padre, specialmente nei primi
anni. Qualunque
bambino vede più di tutti la madre nei primi cinque anni, ha
molta più
interazione sociale con lei che con il padre. Anche il tempo è un
aspetto
importante. Infatti, anche nel secondo quinquennio, la maggior
parte dei
bambini è ancora in contatto di più con la madre che con il
padre in tutte
le società. Non è così all’avvicinamento della pubertà, dove
c’è una
tendenza per i ragazzi ad essere più orientati verso il padre, in
una sorta di apprendistato, si potrebbe dire, di una società
maschile, e
per le ragazze diventare sempre più orientate verso la madre,
apprendiste
di una società femminile. Questo è il modo in cui tutte le
società
operano. La mia preoccupazione è sempre per il rispetto
della natura umana
piuttosto che limitarmi alla cultura occidentale. Quando insegno ai
miei studenti, dico:
“Guardate,
la prima cosa da ricordare è
che la società occidentale non è una regola umana”.
Ci
comportiamo in un modo in cui le società umane non si sono
mai comportate in passato. Se le si considerano negli ultimi
centomila
anni per quanto ne sappiamo e in tutto il mondo, quelle
occidentali sono
del tutto particolari. Le nostre attività forse vanno bene,
forse no, ma
non si pensi che siano normali. Esse non sono il modo normale
in cui gli
esseri umani dovrebbero comportarsi.
Leonardo
Tondo: A che cosa si riferisce?
John
Bowlby: Per fare un esempio molto semplice, mi riferisco al mettere i
bambini nelle carrozzine o culle; bambini che dormono in
stanza diversa da
quella dei genitori è totalmente atipico per gli esseri umani.
Voglio
dire, se si parla con qualcuno che cresce in Asia, essi
considerano l’idea
che il bambino debba essere in una culla in un’altra
stanza, come folle,
assolutamente folle; non si sognerebbero mai di farlo. Ed è solo
un esempio. Voglio dire, i figli lasciati fuori da casa per un
paio d’ore
in una carrozzina? Impensabile. Diamo per buone cose che non
sono mai
state tali.
Leonardo
Tondo: Prima si è riferito
all’idea di bambini che dormono nella stessa camera con
i genitori. Freud si
preoccupava che loro fossero
esposti alla vita sessuale dei loro genitori.
John
Bowlby: Penso sia una totale assurdità. In tutta l’Asia e in Africa,
queste cose accadono, così come accadono nella nostra cultura.
Leonardo
Tondo: È facile essere d’accordo
con lei, ma la nostra società si basa su molti tabù che sono
probabilmente
del tutto ignorati nelle altre.
John
Bowlby: Direi di no. Per esempio, se un genitore dice: “Mio figlio di
15 mesi viene costantemente nel mio letto di notte e questa è
una
brutta cosa”, io dico: “Sciocchezze! La cosa più
semplice è quella
di portarlo nella vostra camera da letto durante la notte in
modo che
tutti possiate avere una notte tranquilla”. I genitori
possono accettare
questo consiglio.
Leonardo
Tondo: Questo appare sicuramente
più naturale.
John
Bowlby: E più semplice, suppongo. O si segue la natura umana o la si
combatte. Se la si combatte si hanno problemi. Se non la si
combatte la
vita è molto più confortevole.
Leonardo
Tondo: La sua opinione che i
bambini possano dormire con i genitori è
generalmente accettata? Per
esempio in questo paese?
John
Bowlby: Ci sono così tante convenzioni in un paese, così come tante
culture. Sono sicuro che ci sono alcune culture in questo
paese dove ci si
aspetta che i bambini rimangano nella stanza con i genitori
durante la
notte, e, naturalmente, per molte persone con una piccola casa
non c’è
nessuna scelta. Tante di queste idee di bambini risalgono al secolo
scorso, ma non
vanno molto indietro nel tempo. C’era un famoso pediatra tedesco, di
cui mi
sfugge il nome, che era completamente pazzo e che, tra il 1850
e il 1880,
aveva stabilito alcune regole rigide su come i bambini
dovessero essere
trattati, con la motivazione che queste si basavano su
conoscenze mediche
dei bambini. Naturalmente, non vi era alcuna base per tali
regole molto
severe che includevano il dar da mangiare ai bambini alle sette di
sera, la convinzione che la masturbazione fosse dannosa e
molte altre cose.
Queste idee erano molto diffuse a cavallo del secolo ma
fortunatamente non
influenzeranno più del trenta percento dell’opinione pubblica.
Leonardo
Tondo: La sua ricerca può portare
a una migliore comprensione della depressione
negli adolescenti?
John
Bowlby: La cosa migliore è far riferimento al lavoro di George Brown,
un sociologo ed epidemiologo, e Tirril Harris che hanno
lavorato sulle
origini sociali della depressione. Hanno scritto un libro
intitolato “Le
origini sociali della depressione” (Brown e Harris, 1978) che
ora è uno
studio standard. Loro lavorano agli stessi problemi, come me,
da 20 anni.
Ho sempre assistito a esperienze traumatiche durante l’infanzia
e come
esse influenzino lo sviluppo. Non ho mai fatto studi longitudinali,
perché
sono molto costosi e hanno bisogno di grandi équipe, quindi
non so come i
bambini che ho studiato io o quelli studiati dai miei colleghi
sono
diventati nel corso degli anni. Brown e Harris hanno guardato
le persone
adulte, cadute o meno in depressione, e hanno cercato una
certa misura di
eventi antecedenti. Tra gli altri risultati, hanno dimostrato che
i bambini che hanno perso la madre durante l’infanzia sono due
o tre volte
più inclini alla depressione rispetto ai bambini che non
l’hanno subita. È
qui che entra in gioco il mio interesse. Hanno studiato tutte
le donne tra
i 18 e i 65 anni in uno dei quartieri di Londra, prendendo un
campione
completo di popolazione di 450 persone o giù di lì. In
primo luogo hanno
studiato le donne in termini del loro stato attuale. Hanno
trovato un’incidenza spaventosa di depressione, la maggior
parte della
quale non si era manifestata all’attenzione psichiatrica,
perché ciò che
entra in un reparto di psichiatria è la piccola punta di un
iceberg.
Quelle che erano depresse erano paragonabili a pazienti che si
sarebbero
potuti trovare in un reparto psichiatrico. Dopodiché hanno fatto
uno studio molto accurato delle singole situazioni di vita
attuale e di
eventuali eventi di vita gravi nei 12 mesi precedenti. Hanno
anche
ottenuto alcune informazioni elementari sulle perdite
d’infanzia,
includendo morti di padri o madri e a quale età. Le partecipanti
con infanzia generalmente insoddisfacente che, in particolare,
comportavano la perdita della madre prima dell’età di 11 anni,
avevano una
maggiore probabilità di sviluppare una depressione,
soprattutto dopo un
evento tanto grave da sconvolgere chiunque, come un’altra
perdita. Così il
quadro generale era che alcuni eventi avversi durante
l’infanzia creano
vulnerabilità a successivi disagi. Questo modello di depressione basato
su
eventi dell’infanzia che creano vulnerabilità e su successivi
eventi
maggiormente avversi che innescano una depressione, è un
modello che, io
credo, sia molto ben fondato. Brown e Harris hanno lavorato
molto su
questo modello e allora si può vedere dove i miei
interessi coincidono con
i loro.
Leonardo
Tondo: Sono stati ispirati dalla
sua ricerca?
John
Bowlby: Penso che la perdita di una madre o un padre durante
l’infanzia come variabile sia stata per la prima volta
avanzata in questo
paese e, per quanto ne so in nessun’altra parte, da uno
psichiatra
infantile chiamato Felix Brown, non parente di George Brown.
Nel 1960
pubblicò alcuni risultati epidemiologici piuttosto sorprendenti in cui
gli
adulti che erano depressi mostravano una maggiore incidenza di
perdita
durante l’infanzia (Brown, 1966). Tale constatazione portò a
un lungo
periodo di polemica, riguardante la dimostrabilità statistica.
Quando
Felix Brown iniziò quel lavoro, lo conoscevo abbastanza bene e
fui d’accordo
con le sue opinioni. Malgrado la prolungata controversia sul
provare la
teoria per un periodo piuttosto lungo, il lavoro di George Brown e il
suo
gruppo effettivamente ha dimostrato che è vero, che non c’è
più alcun
dubbio che la perdita è un antecedente, ma solo quando è
accoppiata con un
grave evento di vita attuale.
Leonardo
Tondo: Il modello di separazione
della depressione è stato osservato anche nelle scimmie. Cosa
ne pensa di
questi studi?
John
Bowlby: Lavoro sulla separazione e sulla perdita da prima della
seconda guerra mondiale. Un altro psicoanalista, Rene
Spitz che
lavorò in America dalla metà degli anni ‘30 entrò in questo
campo in tempo
di guerra e attirò l’attenzione sulla condizione dei bambini
negli istituti. Il suo lavoro stimolò alcune attività di
ricerca negli
Stati Uniti. Uno psicologo che iniziò il lavoro sulle scimmie
è stato
Harry Harlow alla fine degli anni ‘50 nel Wisconsin
che venne
influenzato dal lavoro di Spitz e dal mio. Quando Harlow e io
ci incontrammo
nel 1958 ci rendemmo conto che entrambi stavamo studiando
fenomeni comparabili. Robert Hinde è stato un altro psicologo
che ha
lavorato sulle scimmie in Gran Bretagna, in gran parte
stimolato dal mio
lavoro. L’aspetto principale del lavoro sulle scimmie è stato
che, con disegni
e metodi sperimentali rigorosi, si sono dimostrati gli effetti
nocivi
della separazione e le sue ovvie conseguenze (Hinde 1966). Si tratta
di un
grande patrimonio letterario con cui avevo abbastanza familiarità negli
anni
‘60 perché era molto drammatico, ma non l’ho seguito perché
non si può
essere al passo con tutto. Comunque ho familiarità con il
genere di cose
che sono in corso, o che a mio avviso sono molto importanti
(note al
testo: Spitz, René Arpàd (1887-1974). Psicanalista ungherese
studiò la
relazione madre-figlio e sviluppò alcune teorie
sull’ospedalizzazione.
Dimostrò nel 1945 che i bambini lasciati in ospedale non
toccati presentavano problemi di sviluppo – Harrolw,
Harry
(1905-1981). Psicologo americano. Studiò gli effetti dell’isolamento
sociale
nelle scimmie. Nel 1959 trovò che i cuccioli di scimmie rhesus
spesso
preferivano abbracciare una “mamma” di stoffa confortevole che
bere una
bottiglia da una mamma di filo di metallo. Nello stesso anno
Bowlby pubblicò Cura del bambino e crescita dell’amore
materno,
dimostrando che quando bambini piccoli sono separati dalle
loro madri per
un lungo periodo di tempo, provano dolore e depressione.).
Leonardo
Tondo:Se, sia la depressione e i
comportamenti psicopatici sono associati con la separazione
precoce e la
perdita, non pensa che queste due sindromi possano avere molto
in comune?
John
Bowlby: Non vi è alcun dubbio. Individui psicopatici sono cronicamente
infelici e, naturalmente, tendono a suicidarsi. Vi è un’alta
incidenza di
suicidio tra di loro.
Leonardo
Tondo:Questo è vero anche per i
tossicodipendenti che il più delle volte iniziano
il comportamento di
abuso di sostanze a seguito di qualche tipo di depressione.
John
Bowlby: Quindi è una sorta di depressione cronica, una depressione
sub-acuta che cova.
Leonardo
Tondo:Per cui forse potremmo dire
che il suo contributo allo studio della depressione sia emerso
dallo
studio del comportamento psicopatico.
John
Bowlby: Penso di sì, eccetto che George Brown ha usato gli stessi
concetti nel suo lavoro con i pazienti che sono depressi nel
senso
ordinario del termine.
Leonardo
Tondo:Che tipo di rapporto c’è
tra i suoi studi e la terapia cognitiva?
John
Bowlby: I terapeuti cognitivi, a
partire da Aaron
Beck,
si sono interessati alle percezioni
di una persona adulta su se stessa, la propria vita e il mondo
in cui
vive. Questa preoccupazione, naturalmente, può rendere
depressa una
persona per un giudizio negativo su di sé, sul proprio futuro
e sul mondo
in generale. Qualcosa del genere è il modo caratteristico di
pensare di
una persona depressa. Aaron Beck non si è interessato
allo sviluppo di
queste preoccupazioni, su come e perché queste idee si sviluppano. Egli
le considera inadeguate e cerca di correggere il modo di
pensare del
paziente. Un approccio alternativo allo stesso problema è
quello di
chiedere come e da dove il paziente ha ricavato queste idee,
come egli le
ha sviluppate. Ora, una volta che fai questa domanda stai
esaminando lo
sviluppo e l’infanzia. I genitori possono parlare e intervenire con i
figli in diversi modi. Alcuni genitori lodano un bambino, lo
incoraggiano,
sono sempre dalla sua parte. Altri sono costantemente alla
ricerca di
colpa, dicendo: “Non sei nulla di buono, nessuno ti amerà mai,
non farai
mai strada nella vita”. Alcuni genitori fanno molto per un
figlio, lo
aiutano e lo incoraggiano ad andare avanti, altri non si
interessano a lui
o dicono: “Non essere di fastidio; non sopporto di essere disturbato da
te”.
Penso che tutti questi comportamenti non gratificanti possano
avere un
effetto molto negativo sul bambino e dargli l’impressione che:
“Io non
sono bravo, non farò mai niente nella vita, nessuno avrà mai
affetto per
me, non c’è nulla nella vita per cui vale la pena di vivere”.
Dopo tutto,
un bambino rischia di vivere con un genitore giorno dopo
giorno, anno dopo
anno dopo anno, ascoltando lo stesso messaggio. Non c’è da
meravigliarsi
che cresca credendo di non essere bravo. E l’evidenza è che,
quando ognuno
di noi ha sviluppato un’idea, tendiamo a conservarla
stabilmente nella
nostra mente. Sappiamo che la Terra è piatta o la Terra è
rotonda. E non
importa come sia in realtà. Una volta che l’idea è ben incisa
non cambia.
Va bene, si è sempre saputo che la Terra è rotonda, ma
se alcune prove
speciali si fanno avanti per dire che è piatta, in un primo momento
si contesta: “Non può essere vero, sono sicuro che non è
vero”. Poi, se si
accetta con riluttanza che è possibile che la terra è piatta,
è sempre una
convinzione più fragile di quello che si è sempre detto e
saputo. Quindi
le persone che hanno avuto un’infanzia difficile e molto
denigrata possono
lavorare molto duramente e possono anche avere un grande
successo. Essi
cercano sempre di dimostrare che il loro genitore si sbagliava e
per lungo
tempo. Possono avere successo per diversi anni, vincere premi e
continuare
molto bene nella loro carriera, ma rimangono sempre
vulnerabili a un
fallimento. Proprio quando pensavano che stavano per ottenere
un lavoro
importante, diventano terribilmente delusi e tornano
all’inizio, cioè:
“Non valgo niente!”. Questo è un quadro comune, per cui questo
è il modo
in cui io lo vedrei. Articoli di Giovanni Liotti rivelano che
egli pensa evolutivamente ed è interessato all’origine di tali
idee
esattamente come lo sono stato io. Lo conobbi a Roma nel 1982
circa. Era
molto preso dalle prospettive di sviluppo che avevo presentato
e lui le
adottò. Per cui egli è uno dei pochi terapeuti cognitivi
che prende in
considerazione lo sviluppo. Ma una volta che un terapeuta cognitivo
pensa evolutivamente e in termini di processi inconsci e
coscienti, egli è
in sintonia con uno psicoanalista come me. Lui ed io abbiamo
molto in
comune e lo trovo molto incoraggiante (note al
testo: Beck, Aaron
(nato nel 1921). Psichiatra e psicologo americano che ha ideato la
Terapia
Cognitiva, un tipo di psicoterapia che inizialmente è stata
studiata e
praticata per trattare la depressione – Liotti, Giovanni (nato
nel 1946).
Psichiatra e psicoterapeuta italiano che ha studiato i
sistemi motivazionali nell’attaccamento come altri
comportamenti umani
(accudimento, competizione, cooperazione, sessualità)).
Leonardo
Tondo:È possibile affermare che
la terapia cognitiva può essere vista come la parte operativa
delle teorie
dello sviluppo?
John
Bowlby: Credo che queste etichette diventino piuttosto fuorvianti
perché la terapia cognitiva che rappresenta Liotti e la
terapia
psicoanalitica che rappresento io convergono. Come chiamarla,
non so.
Dobbiamo sempre tenere a mente che, mentre i pensieri
sono importanti, lo
è anche l’emozione e che i due processi sono paralleli. Credo, infatti,
che questo sia il modo corretto di guardare all’emozione.
L’emozione è
comunicativa, anche se questo punto spesso viene trascurato.
Se si è
arrabbiati, ci si comporta in modi che sia chiaro ad altre
persone che si
è arrabbiati. L’emozione è una comunicazione non verbale di
base, un
atteggiamento mentale e un’azione potenziale molto forte, e quindi
bisogna considerare sia la comunicazione verbale che non
verbale. I
terapeuti cognitivi probabilmente sono stati troppo
interessati alla
comunicazione verbale, mentre gli psicoanalisti probabilmente
non lo sono
stati abbastanza. I terapeuti cognitivi devono imparare che
l’emozione è
comunicativa e gli psicoanalisti devono imparare che i
pensieri sono
importanti.
Leonardo
Tondo:È interessante che, dopo
tutto, la terapia cognitiva discenda dalla psicanalisi.
John
Bowlby: È vero.
Leonardo
Tondo:Posso chiederle come ha
avuto inizio il suo interesse per la psichiatria?
John
Bowlby: È iniziato a Cambridge, dove sono stato uno studente del
triennio in medicina dal 1925 al 1928. Ho studiato le scienze
mediche di
base: zoologia, fisiologia, anatomia comparata, e così via,
come mie
discipline mediche precliniche. Mi sono interessato a quello
che oggi si
chiamerebbe psichiatria dello sviluppo, come alcune persone
si sviluppano
in un modo o nell’altro. Dopo aver lasciato Cambridge nel 1928, invece
di completare gli studi per diventare medico ho trascorso un
anno nelle
scuole per i bambini disturbati. In una di queste, ho
conosciuto quello
che si potrebbe chiamare un punto di vista psicoanalitico
dello sviluppo
per quanto riguarda i bambini con problemi. Mi è stato poi
consigliato di completare
la mia formazione medica e diventare uno psichiatra infantile
e iniziare
una formazione come psicoanalista, che ho fatto negli anni ‘30.
Ecco come
è iniziato tutto.
Leonardo
Tondo: Si ricorda qualche
episodio particolare che è stato importante nella sua scelta?
John
Bowlby: È difficile da dire, ma racconterò di un’importante esperienza
che ho avuto in queste scuole per bambini disturbati. Era un
posto molto
piccolo con bambini di ogni età e diversi gradi di disturbo.
Un bambino di
otto anni mi seguiva tutto il giorno tutti i giorni, cosicché
gli sono
diventato familiare e si è sviluppato un attaccamento con lui.
Un’esperienza opposta che si è verificata riguardava un ragazzo di 15 o
16 anni
che era stato espulso da una nota scuola. Era molto chiuso sul
piano emozionale
anche se era molto socievole e non antisociale, ma era
emotivamente
introverso e aveva avuto una prima infanzia molto disturbata;
era
illegittimo e il parere della gente che gestiva la scuola era
che
un’esperienza nella sua prima infanzia aveva causato la sua
condizione attuale. Questa è stata l’origine di ciò che seguo
da allora.
Leonardo
Tondo:Ha ricevuto delle critiche
nei primi anni del suo lavoro da altri colleghi?
John
Bowlby: I miei rapporti con il gruppo psicoanalitico di Londra sono
stati sempre in termini personali molto buoni, ma essi
consideravano
errate le mie idee. Non sto dicendo su tutto, e le cose sono
cambiate nel
corso degli anni, ma ho ricevuto moltissime critiche quando ho
iniziato a
porre l’attenzione sull’importanza di eventi di vita reale e delle
esperienze negative. La prima volta presentai un articolo su
questo
argomento prima della guerra nel 1939, continuai a presentare
queste idee
negli anni ‘40 e ‘50 e sviluppai una teoria dell’attaccamento
alla fine degli
anni ‘50. Questa fu duramente criticata quando la presentai
alle società
psicoanalitiche in America e altrove. Ci fu una strana tendenza
a pensare
che queste idee potessero essere importanti ma non avevano nulla a che
fare
con la psicoanalisi – un parere che io considero assurdo.
Comunque ho
ricevuto una buona quantità di critica.
Leonardo
Tondo: Quando le sue idee sono
state inizialmente accettate?
John
Bowlby: Dipende dal gruppo. Assistenti sociali che si occupano di
problemi di affidamento e sanno tutto di bambini senza
genitori
soddisfacenti, sono sempre stati entusiasti del mio lavoro.
Psicologi
moderni negli anni ‘50, che erano interessati alle
teorie dell’apprendimento, odiavano le mie idee, e le
consideravano
sciocchezze. Gli operatori della psichiatria infantile, nel
complesso,
conoscevano i problemi e pensavano che avessi fatto la cosa
giusta. Gli
operatori del campo della psichiatria dell’adulto erano
o totalmente
disinteressati o consideravano il tutto come di nessuna importanza. È
stata semplicemente una questione relativa a diverse
discipline. Ogni
volta che mi recavo da operatori sociali sapevo che sarebbero
stati dei
miei sostenitori, un gruppo di psicologi sarebbe stato critico
o un gruppo
di psichiatri avrebbe ignorato totalmente l’argomento e così
via.
Leonardo
Tondo: Possiamo dire che la sua
teoria ha un aspetto anche ecologico?
John
Bowlby: La storia è abbastanza semplice. Prima della guerra, avevo
fatto uno studio retrospettivo pubblicato nel 1944 sui ladri
minorenni.
Dopo la guerra, decisi che quello che dovevamo studiare le
conseguenze di
un bambino che perde la sua figura genitoriale: le sue
risposte
nell’essere in un posto sconosciuto con gente sconosciuta, una
situazione che un bambino piccolo trova estremamente
spaventosa. Fu allora
che i miei colleghi e io facemmo queste osservazioni, che il
lavoro sulle
scimmie confermò. La domanda successiva fu: se la rottura di
un legame
aveva effetti emotivi così potenti, qual è la natura del
legame che viene
interrotto? Tale questione fu in cima ai miei pensieri nel 1951 e
in quel
tempo, un conoscente psicologo diresse la mia attenzione al lavoro di
Lorenz sull’imprinting. Egli disse: “Conosci il lavoro di
Konrad Lorenz
sull’imprinting? Credo che potrebbe interessarti”. Fu
un’osservazione casuale
che fece al termine di una riunione del comitato. Trovai una
traduzione in
inglese di alcuni lavori di Lorenz e li considerai molto
emozionanti. Li
trovai molto interessanti perché mi ero sempre interessato
di scienza
naturale. Poi ebbi l’opportunità di parlare con Julian
Huxley che era
stato uno dei primi ecologisti e un biologo noto in Gran
Bretagna. Disse
che era tutto molto interessante e importante dal punto di
vista medico.
Mi mise sulla strada giusta per i libri di Lorenz, nonché per
lo studio
dell’istinto di Nikolaas (“Niko”) Tinbergen. Passai
tutto l’inverno
del 1952-1953 a studiare etologia ed è così che è iniziato tutto.
Quanto più
la studiavo, tanto più ero impressionato dall’elevata qualità
scientifica
del loro lavoro e dalla misura in cui essi studiavano in altre
specie
problemi simili ai nostri in campo clinico. Così diventai un
grande
appassionato dell’approccio etologico, che portò alla
mia teoria
dell’attaccamento che riguarda un solo aspetto delle relazioni
bambino-genitore
e cioè che un bambino conserva i legami con un genitore se
questo lo
rassicura. Nei soggetti più grandi, le domande possono essere:
“Perché si
diventa esigenti? Perché si diventa dipendenti?” e così via.
Fu
interessante osservare che un comportamento molto simile si
verifica in un
gran numero di specie diverse. In secondo luogo, ci si può porre le
domande:
“Perché si manifesta? Qual è la sua funzione? Perché dovrebbe
esistere?”.
In passato questo ciclo di dipendenza era considerato solo
come un
fastidio, è semplicemente un qualcosa che accade, dovuto al
fatto che una
madre nutre il bambino che così si abitua. Il cibo è la cosa
più
importante e crea dipendenza. Non è una buona cosa e prima si
diventa
indipendenti, meglio è. Ora, io vedevo il tutto in
modo completamente
diverso. Non ho mai pensato che il cibo fosse così importante e nel
1958 dimostrai che non lo era. Poi, secondariamente, il punto
che ho
sempre sostenuto sull’attaccamento è che è una buona polizza
assicurativa.
Promuove la sicurezza, è emotivamente protettivo e ha una
funzione
importante nella natura umana. È da studiare come parte della
natura umana
e nel suo sviluppo maturo, e io attribuisco grande importanza
a esso.
Invece di considerarlo come un aspetto sconveniente di
cui sbarazzarsi,
qualcosa da evitare, esso è una semplice parte della natura umana e
qualcosa da studiare (note al testo: Huxley, Julian
Sorrel ,
Sir (1887-1972). Biologo evolutivo inglese. Studiò come i
tratti
culturali possono rimanere in una società e persistere
attraverso le generazioni
– Timbergen, Nikolaas (1907-1988). Etologo e biologo olandese
che vinse il
Premio Nobel in Fisiologia (con Konrad Lorenz e Karl von
Frisch) nel 1973
per i suoi studi sui modelli sociali di comportamento.).
Leonardo
Tondo: Nella sua tecnica
psicoterapeutica c’è qualcosa di speciale quando ha a che
fare con un
bambino o con un adolescente?
John
Bowlby: Non penso che ci sia nulla di speciale. Penso di aver sempre
preso sul serio i bambini, perché considero gli adulti
semplicemente come
bambini cresciuti e i bambini mi hanno sempre interessato.
Credo che sia
necessario trattarli il più possibile come dei pari e prestare
attenzione
a ciò che sentono, a quello che dicono, e prenderli sul
serio, questo è
tutto. Io non mi considero un terapeuta geniale. Faccio terapia, ma non
è
mai stata la maggiore delle mie specialità. Ho imparato molto
praticandola
e ho trattato persone di ogni età, compresi i bambini,
adolescenti e
adulti.
Leonardo
Tondo: Tende verso l’approccio
psicoanalitico, essendo non direttivo, o nella sua terapia lei
è più
supportivo e direttivo?
John
Bowlby: Sono piuttosto non direttivo, anche se probabilmente sono
diventato un po’ più direttivo col passare del tempo. Una
questione
importante nel mio lavoro terapeutico è che io sono un
compagno di un
paziente indifeso e ho intenzione di restare con lui
per quanto posso e
risolvere il suo problema.
Leonardo
Tondo: Questo comporterebbe un
profondo rapporto emotivo tra lei e il paziente?
John
Bowlby: Sì, se arrivano a fidarsi di me. In realtà, ciò che succede è
questo:
un paziente per definizione, ai miei occhi, è qualcuno che ha
avuto una
relazione di attaccamento infelice e difficile durante
l’infanzia e ha
disabilità nelle sue relazioni di attaccamento nella
vita adulta. Così,
quando viene a trovarmi, io lo vedo come qualcuno che ha una
difficoltà nello stabilire legami di attaccamenti di fiducia.
Ora, se le
cose vanno bene, egli crea un legame di attaccamento con me.
La parola
transfert è talvolta usata in questo contesto. Egli crea una
relazione di
attaccamento con me e io divento importante per lui ed egli
sente che ho
un certo valore nella sua vita. I disturbi nello schema di
attaccamento che ha sviluppato da bambino inizieranno a
manifestarsi anche
nel suo attaccamento verso di me, perché quel modello è stata
la sua
difficoltà tutta la vita. Ciò sembra molto comune, tranne per la
terminologia
che uso. Quindi, se un paziente diventa molto arrabbiato con
me se mi
assento, considero ciò abbastanza naturale, qualcosa che
le persone
sentono. Se pensa che io abbia intenzione di abbandonarlo ed egli ha
un’idea sbagliata di ciò, allora mi chiedo: “Bene, da dove ha
ricavato
quell’idea o come ha fatto a sviluppare il sospetto che io ho
intenzione
di abbandonarlo?” Così, ad ogni modo, io uso molti concetti
psicoanalitici,
ma a modo mio.
Leonardo
Tondo: I normali strumenti
psicoanalitici come libere associazioni?
John
Bowlby: Sì, ma la libera associazione è un’arma a doppio taglio. Un
paziente può usare la libera associazione perdendo tempo a
parlare di
tutto ciò che non ha importanza, e poi si deve intervenire e
dire:
”Guarda, stai sprecando tempo”, e parlare di qualcosa
che conta. Ci sono
occasioni in cui io sono deciso e direttivo, ma sono momenti rari. La
mia preoccupazione principale è di aiutare il paziente a
rivedere la
propria vita, a guardare i suoi problemi a modo suo, ed
esaminare come le
sue esperienze, nell’arco dei primi anni della sua vita, hanno
creato i
problemi che sta affrontando ora.
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