LA STANZA   di   Aurora Mammone
  


Aurora Mammone

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Aurora Mammone è nata a Tripoli (Libia) nel 1948. Ha frequentato il Liceo Scientifico, Dante Alighieri. Come tutti noi anche lei ha dovuto lasciare la Libia dopo il colpo di stato di Gheddafi nel 1969. Attualmente vive ad Ardea e come hobby si occupa di pittura e di ceramica.
Aurora Mammone ha anche partecipato varie mostre di pittura e di ceramiche raccogliendo vari encomi. Ha conservato nel cassetto vari scritti (poesie e racconti) di suo padre Antonio che pubblicherò via via che mi arriveranno. Grazie Aurora!

GIULIA

di Antonio Mammone



Antonio Mammone



Tripoli di Libia, l’antica Oea, la Tarabulus al Gharb, la bella Tripoli all’inizio del 1941, ad oltre un semestre dall’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale.

Tony abitava vicino all’albergo “La Perugina”.

Tony

Chi non lo ricorda quel modesto albergo quasi al termine della via che da Piazza Italia conduceva al Porto

Piazza Italia

, proprio ai piedi del Monumento ai Caduti ,

Monumento ai Caduti

a non più di cinquanta metri dall’Arco Romano di Marco Aurelio, l’imperatore filosofo.

L'Arco Romano di Marco Aurelio

Aveva preso in affitto una stanza ammobiliata al terzo ed ultimo piano di un vetusto palazzo con ripide scale di legno in Zenghet Madrasaat, nella Città vecchia, il quartiere a ridosso del Porto che la sera diventava deserto. Infatti la paura dei bombardamenti notturni che la R.A.F. proveniente da Malta effettuava regolarmente su Tripoli aveva spinto gli abitanti ad abbandonare le loro case e a rifugiarsi nelle sicure grotte di Gargaresh a circa venti chilometri dalla città.

Egli non poteva che restare nella sua camera, solo come un cane: anche la padrona di casa, una vecchia maltese, era andata a stabilirsi lontano, a Zuara, quasi al confine con la Tunisia e tornava una volta al mese per pulire e per riscuotere l’affitto.

Invidiava quella gente fortunata che aveva la possibilità di mettersi al sicuro; avrebbe voluto anche lui andarsene, la sera, da quel lugubre quartiere ma ritornare il mattino seguente in orario per assumere servizio si era rivelata impresa difficile.

In quel tempo Tony era dipendente dei Magazzini Generali del Porto per annotare le merci in partenza e in arrivo. Alle sette dalla banchina centrale partivano i rimorchiatori con le bettoline e con il personale addetto verso le navi in rada e se si perdeva la …corsa si perdeva anche la giornata e forse anche il posto di lavoro: perciò, per non correre il rischio del licenziamento, come tanti altri, era costretto a restare là, a qualche centinaio di metri dal Porto, obiettivo preferito dai bombardieri inglesi , ad aspettare ansioso e impotente l’ora delle incursioni e correre al rifugio con le ali ai piedi e poi spesso trascorrere buona parte della notte rintanato in un cantuccio sotto le robuste volte del Castello Turco fra la gente avvilita come lui.


Il Castello di Tripoli

Possedeva una vecchia bicicletta che gli consentiva di recuperare un po’ del sonno perduto al rifugio durante la notte e di raggiungere in orario il posto di lavoro; al ritorno , invece, serviva per trasportare qualcosa che riusciva a comprare dai marinai delle navi che facevano una specie di piccolo “mercato nero”: pacchi di pasta , carne congelata, barattoli di marmellata o scatole di conserva di pomodoro che ormai al mercato libero , senza la tessera annonaria, erano introvabili. La Guardia di Finanza all’ingresso fingeva di non vedere ed egli utilizzava quel ben di Dio per rinsaldare amicizie e simpatie e quando il “bottino” era abbondante , cederlo al padrone del ristorante dove era abbonato a cenare e ad ascoltare la radio.

A differenza di Lombardo, un collega genovese, non approfittava della sua posizione di lavoratore sulle navi provenienti dall’Italia per lucrare nel piccolo commercio; cedeva quella merce per lo stesso prezzo da lui pagato e qualche volta anche rimettendoci .

Così il suo tempo, in quel tragico primo semestre del 1941, si svolgeva saltando di giorno in giorno da una nave all’altra, di sera in trattoria ad ascoltare la radio e di notte correndo da casa al rifugio e viceversa e tentando di dormire il più possibile fra un bombardamento e l’altro. Eppure, nonostante i disagi e le paure, si sentiva tranquillo.

Le corse al rifugio, il fragore delle bombe e quell’apparato di mitragliere e soldati appostati tutt’intorno al Porto e lungo il bellissimo lungomare, all’inizio davano l’impressione di stare ad una sagra…e, al ristorante, ascoltava le notizie del “bollettino di guerra” esprimendo, a volte, meraviglia per l’interesse che suscitavano su alcuni avventori i quali interrompevano la cena per stare più vicini alla radio e non perdere una parola del “comunicato”.

Ma di che si preoccupa ‘sta gente !” –pensava- “Tanto vinciamo noi!..” E rideva e correggeva l’italiano di Aquino, un anziano portalettere che cenava al suo stesso tavolo e che mormorava “Popolo ‘gnoranto, popolo ‘gnoranto!” quando la radio trasmetteva i battimani e le acclamazioni che si interponevano ai discorsi del Gerarca di turno nelle piazze italiane.

La propaganda di guerra gli aveva fatto il lavaggio del cervello; e non solo a lui ovviamente. Le notizie cattive venivano date col…contagocce. Il disastro dell’Armata del Generale Rodolfo Graziani nel deserto della Marmarica

Il Generale Rodolfo Graziani

per esempio, era stata ridotta a “ritirata strategica” e il successivo abbandono di Bengasi e dell’intera Cirenaica a “prudente trasferimento dei coloni italiani in luoghi meno esposti”.

Purtroppo, presto, molto presto, avrebbe dovuto cambiare opinione in merito alle nostre possibilità di vittoria anche se, con l’arrivo ai primi di febbraio dell’Afrika Korps del Generale Rommel , quella stessa propaganda sarebbe diventata più intensa e martellante.

Il Generale Erwin Johannes Rommel

Ritornando a casa tutte le sere, dopo oltre dieci ore di lavoro sulle navi, esattamente alle sei e mezzo, notava fra i vari mendicanti che chiedevano l’elemosina all’entrata del Porto, un po’ distaccata dagli altri accattoni, una ragazza cenciosa, quasi una bambina, appoggiata alla rugginosa balaustra che impediva il passaggio degli autoveicoli; con il viso sempre volto verso il mare, tendeva timidamente la mano e aspettava che i lavoratori e i marinai in libera uscita le regalassero qualcosa. Un paio di volte anche Tony le diede dieci o più lire e qualche tavoletta di cioccolata e la guardava desiderando che si voltasse verso di lui per meglio salutarla; ma ella sembrava non vedere che il mare.

La trovava sempre lì quando dopo aver fatto la doccia usciva di nuovo da casa per recarsi in trattoria; al ritorno però non c’era più; evidentemente col calar della notte rientrava a casa.

Una sera, invece, la ritrovò al solito posto. Si fermò e le disse “Ciao!” e la osservò meglio. Dimostrava non più di quattordici-quindici anni, magra, un vestitino a tunica sdrucito , un paio di sandali non meno malconci ai piedi nudi e sudici e un visetto triste sotto un gomitolo sporco e arruffato di capelli biondicci; era proprio insignificante e faceva pena.

Ciao!” le disse ancora “Scusa, ormai ci conosciamo , anche se solo di vista…ma son curioso di sapere che fai qui tutta sola, aspetti qualcuno? E’ quasi buio…

Aspettaghe mia amica; poi andaghe a fifahouse” (rifugio) rispose e dal suo accento Tony capì che era ebrea, non maltese come aveva in un primo momento creduto.

La comunità ebraica in Tripolitania era in quel tempo divisa in tre categorie: ebrei quali i Nunes-Vais, gli Hannuna, i Barda, gli Habib ecc.., di nazionalità italiana, ricchi e istruiti; ebrei straccivendoli, lustrascarpe o fabbri-calderai della Città vecchia, apolidi e poveracci, ed ebrei indigeni quasi tutti contadini, abitanti sull’Altopiano del Gebel Nefusah, nelle grotte troglodite di Garian e di Tigrinna , discendenti, sembra da quegli ebrei che fuggiti dall’Egitto non se la sentirono di seguire Mosè attraverso il Mar Rosso e preferirono dirigersi ad Ovest affrontando le insidie del deserto anziché le onde del mare.

Questa piccola mendicante apparteneva evidentemente alla seconda categoria , quella dei poveracci i quali, anche se ancora le leggi razziali (di cui peraltro la gente poco sapeva) non venivano applicate o, se in qualche caso si applicavano, si riducevano ad inutili cartelli sulle porte dei negozi degli ebrei ricchi per invitare la gente “ariana ” cioè noi e i tedeschi, a non comprare dai “semiti”.

A quanto pare stasera la tua amica è in ritardo!” osservò Tony.

Sì, fave ritardo”…ammise la piccola ebrea; e soggiunse: “ ma ancova pevsto…inglesi non venive pvima di ove dieci”. Poi a sua volta domandò:

Pevchè te non andave a dormive a fifahouse di Gargaresh? Quello sicughro!

No, io non vado a nessun rifugio , non ho paura, io! Fra un pò salirò nel mio appartamento ammobiliato e dormirò fino a domattina infischiandomi degli inglesi e delle loro bombe!” si vantò Tony; aveva ventitre anni e pur non interessandogli minimamente l’opinione di quella stracciona, chissà perché, desiderava che ella lo considerasse un…duro! Ebbe l’impressione di aver fatto centro e che ella restasse a bocca aperta , affascinata dal suo coraggio e attese.

Fovtunato te che aveve appavtamento!”commentò lei …Volse lo sguardo verso il mare e cominciò a lamentarsi : “Inglesi bombavdato mia casa, io non c’è più casa! Mio papa e mia mamma andati a Gavian, io qui sola per fave sevva.” Poi, guardandolo fisso con un accento speranzoso chiese:

Te voleve me pev pulizia tuo appavtamento? Io conosce signova maltesa tua padvona di casa e lei fovse conosce me e lei contenta se io venive fave pulizia a tuo appavtamento …” Aveva gli occhi celesti ed era la prima volta che Tony vedeva una ebrea con gli occhi così chiari.

Tu fare pulizia? Non mi dire! A parte il fatto che alla pulizia dell’appartamento deve provvedere la “maltesa”, non credi che prima dovresti pulire te stessa?” osservò Tony; e crudele e provocante, con una ancor più crudele risata della quale in seguito si sarebbe vergognato, aggiunse:

Scommetto che sei ancora piena di pidocchi!

Si pidocchi c’è ma solo in testa e capelli; in vestito non c’è! Vuoi vedeve?” ammise candidamente.

No , non voglio vedere” le disse, già pentito del suo atteggiamento poco comprensivo nei confronti di quella poveretta che si trovava in evidente difficoltà. E, siccome lei aveva ricominciato a piagnucolare, finse di arrabbiarsi:

Porca miseria piantala ! La gente che passa e ti sente piangere potrebbe pensare chissà che cosa…che ti abbia offesa o qualcos’altro…vuoi mettermi nei pasticci?

Ma non sapeva decidere se era più saggio andare a prepararsi per l’imminente incursione aerea o restare a far compagnia a quella stracciona.

Cercò di tranquillizzarla esprimendo il parere che la sua amica sarebbe potuta arrivare da un momento all’altro e restò con lei, appoggiato alla rugginosa balaustra.

Quando però l’attesa si fece troppo lunga ed era da escludere che la fantomatica amica potesse arrivare, non avendo cuore di lasciarla lì sola nel buio le propose di salire nel suo…appartamento. Posto ce n’era e poi…se la padrona di casa, che come già detto, si era trasferita a Zuara la conosceva non avrebbe fatto storie qualora fosse venuta in seguito a sapere che aveva ospitato la piccola mendicante. Si trattava in fondo di una sola notte, che diamine! Poi il giorno dopo …sarebbe stato sempre un altro giorno , avrebbe trovato il modo di liberarsene, senza sentirsi in colpa.

Senti, come ti chiami? Come? Giulia? Bene, senti Giulia:

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Giulia

l’appartamento dove io abito è molto grande e la padrona di casa, come tu hai detto di sapere, non c’è. Se vuoi puoi venire su a trascorrere la notte in una della stanze libere”.

Te cvedeve io essere gahabusha (=puttana)? Io non gahabusha, io figlia famiglia. Te voleghre me pev fave amove una notte come shavmutha (=prostituta) e poi buttave fuori, io no stupida. Vai via, yallah!” (=forza, dai). Urlò e si appoggiò piangendo sulla balaustra con la testa fra le braccia.

No! “ protestò Tony “. “Non ci penso neppure a fare l’amore con te…sozza come sei, non ti toccherei neppure con le pinze, te lo giuro. Tu puoi chiudere la porta della camera con la chiave e nessuno ti disturberà.” (Ma perché cavolo mi sto impicciando di questa stracciona ! pensava Tony. Fosse una di quelle ragazze ebree prosperose e culone che si incontrano per la città vecchia e che se invitate non si tirano indietro, passi, ma questa è proprio un …niente e per di più fa la difficoltosa. Quasi quasi la mollo qui al freddo della notte invernale …e me ne vado a dormire…). Ma la sua educazione romantica, maturata e assorbita leggendo i classici in edizione ridotta del suo maestro della quinta elementare (sic!) non glielo consentì.

Credi che se pensassi che sei una “shavmutha(=prostituta) perderei tanto tempo a parlare? Ti offrirei dieci lire e…prendere o lasciare!”. “Comunque “- concluse - se non sei d’accordo, io posso aspettare ancora qualche minuto , poi me ne vado. Scegli tu.”

Non rispose e restarono ancora un pò, lei sempre sospirando e lui sinceramente speranzoso che l’amica arrivasse. Ma non venne ed erano quasi le nove ormai, l’ora vicina all’abituale primo bombardamento aereo della notte.

Doveva decidere anche perché si poteva correre il rischio che qualche poliziotto zelante li vedesse lì vicino al porto a quell’ora tarda e volesse fare…il salvatore della Patria.

Impaziente, la sollecitò.

Su, cosa vuoi fare? Sali con me o me ne vado?

Te taliano buono? “ chiese “Te giuvave non toccave me quando in tua cameva?

Ma chi ti credi di essere? Greta Garbo? Sì. Io giurare” rispose Tony ridendo e aggiunse: “Tu non starai nella mia camera, ma in quella della padrona di casa, va bene?”

Greta Garbo

Sì. Io venive”. disse e lo seguì per le fatiscenti scale.

Su entra “- la incoraggiò Tony. “La Maltesa non tornerà prima della fine del mese.” E dopo averle mostrato la stanza con un gran letto antico nella quale avrebbe potuto trascorrere la notte, Tony si ritirò nella sua camera a leggere “Via col vento”. Non c’era allora la televisione a tener compagnia e a far sciupare il tempo! Dopo un’ora circa la sentì bussare alla porta e chiamare:

Ahavfy taliano. Signov‘taliano!”

Che c’è? Vieni avanti!”

Giulia si affacciò sull’uscio ed espresse il parere che ormai per quella notte gli inglesi non sarebbero venuti a bombardare; poi gli chiese se poteva lavarsi per bene precisando che si sentiva veramente sporca: “ Io voleve fave doccia come fatto te pvima di andare a tvattovia ma acqua tvoppo fvedda. Te scaldata acqua pev fave doccia?

Come sapeva che Tony era andato al ristorante e che aveva fatto la doccia non lo spiegò.

Ho capito, sei molto furba, aspetta! Ti accendo lo scaldabagno” rispose Tony.

Andò nel bagno e accese, non senza fatica il prezioso Junker a legna. Mostrò a Giulia come doveva dosare l’acqua calda-fredda e come alimentare il fornello e la lasciò.

Gvazie ‘taliano buono!” disse e si chiuse nel bagno.

Tony sentì l’acqua scorrere i poi i gridolini della ragazza forse di soddisfazione o perché l’acqua era troppo fredda o troppo calda…

Tutto bene Giulia?

Sì, bene, gvazie ‘taliano buono!”rispose.

Tony riprese la lettura del suo libro e per circa mezz’ora si dimenticò di lei per considerare i problemi di Rossella; poi, attraverso la porta della stanza rimasta aperta, la vide venire a piedi nudi nel breve corridoio:




Adesso te contento? Io no più spovca e così poteve fave pulizia tua cameva!” urlò.

Non era più lei. Non era più la mendicante di poco prima. La doccia aveva operato un miracolo: la piccola stracciona insignificante aveva subito una radicale trasformazione. Ora Tony aveva davanti una ragazza “vera” e il vestitino liso aderente al corpo ancora bagnato dopo la doccia evidenziava una silhouette delicata.

Si sentì in soggezione e per dissimulare lo stupore si informò se lo scaldabagno aveva funzionato a dovere; poi le chiese se aveva cenato quella sera e quando ella rispose che no, non aveva mangiato niente sin dalla mattina, si precipitò a tirar fuori dal piccolo armadio-credenza marmellata e biscotti.

Mangia un po’ di biscotti, non ho altro stasera, io intanto preparo il thè” le disse e andò in cucina ad accendere la spiritiera.

Quando tornò con una bella tazza di thè fumante e la poggiò sul tavolinetto falso stile rococò, lei aveva già fatto fuori un barattolo di marmellata e un bel po’ di biscotti.

Poi improvvisamente la luce si spense e mentre l’urlo agghiacciante delle sirene d’allarme interrompeva il silenzio:

Andave vifugio, fisa fisa! (=presto, presto) Io pauva! B’l mahavhuf (=per favore) andave, fifahouse stave vicino,Yallah" (=forza, fai), urlava.

Tony tentò di calmarla. Andare al rifugio “fisa fisa” (=presto, presto) era impossibile: lui in pigiama perché, come lei, pensava che la RAF per quella notte ormai non sarebbe venuta a bombardare, e lei con quel misero vestitino bagnato addosso avrebbe rischiato una polmonite se fosse uscita per raggiungere il più vicino rifugio del Castello Turco, a circa due-trecento metri di distanza; era proprio come una bambina terrorizzata e non voleva sentire ragione; le sue braccia non lo lasciavano, si stringeva sempre di più a lui mentre le esplosioni delle prime bombe nel Porto si sovrapponevano in un crescendo tremendo alla reazione delle batterie contraeree; e la sua tunica bagnata non era affatto profumata. Infastidito gliela strappò di dosso .

Meglio nuda che con questa tunica sporca e bagnata; sentirai meno freddo!” disse e, al riverbero intermittente delle esplosioni dei cannoni della difesa antiaerea appostati sul lungomare, la prese in braccio e la portò sul proprio lettino; era scossa da brividi di freddo e di paura ed egli la depose sotto le coperte e si stese accanto a lei per riscaldarla sussurrandole all’orecchio parole di conforto.

L’accarezzò delicatamente e quando le sue mani si fermarono sull’erto e gelido seno adolescenziale ella si quietò mormorando:

Taliano buono. Io paughra, io no ghabusha (=puttana), ti giuvo!

Lo so , lo so cara, non temere…!” la rassicurò Tony e lei si rannicchiò ancor di più fra le sue braccia e il suo alito era profumato e la sua bocca sapeva di thè e di biscotti al cioccolato.

Quando, dopo almeno due ore, le campane della Cattedrale suonarono il cessato allarme e la luce si riaccese, Giulia scivolò dal letto e andò nel bagno.

La Cattedrale di Tripoli

Tony sentì l’acqua diguazzare a lungo nella vasca e…si addormentò.

Al secondo allarme di quella notte si svegliò ma non la sentì vicino; si alzò, accese la torcia elettrica e la cercò: era sdraiata con una coperta addosso sul divano, nella stanza della padrona di casa.

Giulia” la chiamò “non hai più freddo?”

No, no fveddo adesso. Te fatto passave fveddo! Io ova pauva te buttave fuovi !” rispose.

Ma che dici…io non ti lascerò più andar via da qui!”. La prese in braccio e la riportò sul lettino e non sentirono il successivo urlo delle sirene per la seconda incursione di quella notte.


***********

All’importuno trillo della sveglia, alle sei, Tony saltò giù dal letto. Si rase rapidamente, si vestì e preparò il caffè; ne portò una tazza a Giulia ancora semi-addormentata e le sussurrò:

Giulia, devo andare. Tu puoi restare finché vuoi, nessuno ti disturberà e in cucina troverai qualcosa da mangiare; poi stasera, se mi vorrai aspettare, faremo un esame della situazione.”

Gli gettò le braccia al collo mormorando: “Taliano buono, taliano buono…non mi lasciare mai mai!”egli la baciò dolcemente e ancora una volta accarezzò le sue delicate nudità…poi corse via per non cadere di nuovo in tentazione e per non far tardi per l’orario di lavoro.

Arrivò appena in tempo e si precipitò a salire sul vecchio rimorchiatore che portava gli scaricatori sulle navi in rada, sotto lo sguardo perplesso del collega Bucchieri meravigliato per quell’insolito ritardo.

Nei giorni che seguirono il tempo di Tony si svolse con il solito tran-tran: pranzava col Commissario di Bordo, racimolava qualche pacchetto di sigarette, della cioccolata…ma non vedeva l’ora di tornare a casa, da Giulia, che ormai era entrata nella sua vita e lo aspettava appoggiata alla rugginosa ringhiera. Quando scoccavano le sei, adempiuti gli obblighi da rispettare, senza neppure salutare i colleghi con i quali di solito si soffermava a commentare gli avvenimenti della giornata, si precipitava a prendere la bicicletta lasciata sulla banchina.

Un giorno non trovò la bicicletta al posto dove l’aveva lasciata, forse qualcuno l’aveva spostata, non rubata, perché lì nessuno rubava niente e dovette tornare a casa a piedi perché temeva che arrivando in ritardo Giulia non fosse lì, al solito posto.

Erano trascorse solo due settimane da quando quella figurina gli era piombata addosso all’improvviso e temeva di perderla. Invece lei era là, un po’ oltre la vecchia balaustra e quando lo scorse si mosse e svoltò in Zenghet Madrasaat. Tony affrettò il passo e nel portone essa gli andò incontro. La evitò:

Non mi toccare” le disse “sono sudato e sporco.” E mentre lei, fingendosi offesa, si defilava nel portone, raggiunse rapidamente il terzo piano. Entrò nel bagno, accese il prezioso Junker, si spogliò e si abbandonò alle carezze della bell’acqua calda della doccia perché il mese di gennaio è veramente freddo a Tripoli e lui in quel tempo non usava cappotti o maglie, neppure la canottiera; portava semplicemente la camiciola a maniche corte.

Ma Giulia l’aveva seguito e, la furbona, quando lo sentì sotto la doccia, spinse la porticina del bagno e gli fu addosso, con tutto il vestito, non la sudicia tunica della prima sera ma un altro vestitino, che frettolosamente Tony aveva comprato da un rigattiere di Suk el Turk. Tony glielo tolse e restarono così sotto la doccia fino a quando la legna nello scaldabagno non si consumò.

Seguirono giorni e giorni di felicità piena. Tony non andava più la sera a trascorrere qualche ora con gli amici in trattoria. Oltre al suo lavoro non pensava che a Giulia e, alla fine della giornata, ansioso e felice quando la scorgeva in attesa nel portone, soddisfatto e spiritoso, godeva a farsi inseguire su per le scale ripide fino all’amica stanza da bagno.

Giulia stava diventando una droga e Tony viveva la notte in un’estasi senza fine.

Le sirene d’allarme non gli attanagliavano più lo stomaco come qualche mese prima: tutte le sue paure si dissolvevano quando ella si stringeva a lui mormorando : “Taliano buono, taliano buono!”

Comprò una nuova bicicletta per guadagnare tempo la mattina nell’uscire e la sera per ritornare; poteva così restare mezz’ora in più con Giulia che lasciava a letto quando si recava ad assumere servizio.

Dove ella andasse durante il giorno non lo scoprì mai. Tanti aspetti della sua giovane esistenza gli sembravano oscuri ma non se ne curava. Voleva credere a tutto ciò che lei diceva: per lui era importante soltanto che la sera ella fosse lì ad aspettarlo ansiosa e attenta ai suoi progetti…campati in aria.

Non gli interessava sapere a chi dava la pasta, la conserva di pomodoro, il riso, la marmellata o il caffè che le portava; così come non andò a fondo sulla storia del padre il quale, diceva, morta la moglie, cioè sua madre, l’aveva abbandonata per andare a vivere con un’altra donna a Garian, lontano dai bombardamenti, correggendo quanto aveva detto prima e cioè che padre e madre erano andati insieme a Garian.


***********

La notte del 21 aprile stavano sul terrazzo ad aspettare la solita incursione della R.A.F. quando, prima ancora che le sirene d’allarme cominciassero a urlare, il cielo sul Porto fu illuminato da decine di razzi “bengala con paracadute e contemporaneamente l’orizzonte sul mare fu rischiarato da lampi diffusi come per un incipiente temporale, seguiti dopo un minuto, un minuto e mezzo, da un rumore rotolante come di treno in arrivo che copriva ogni altro rumore.

Non faticarono molto a capire che si trattava di un’incursione aereo-navale e restarono per quasi un’ora addossati l’uno all’altra, consapevoli che solo la fortuna poteva salvarli; nessun rifugio del tempo poteva dare sicurezza in caso di bombardamenti navali. Infatti (lo seppero il giorno dopo) persino il rifugio costruito nel giardino della Banca d’Italia per i V.I.P. era stato distrutto da un proiettile da 305 millimetri di una nave di Sua Maestà Britannica.

I danni alle cose e anche alle persone, se si escludono i morti nel rifugio della Banca d’Italia, quella notte non furono gravi, perché la maggior parte dei proiettili dei cannoni navali non scoppiarono o scoppiarono lontano, oltre la periferia della città, mentre gli spezzoni incendiari al fosforo lanciati dagli aerei si conficcarono nell’asfalto o nella sabbia senza causare alcun incendio grave. Fu colpita e sventrata da un proiettile, che però non esplose, anche la bella Chiesa di Corso Sicilia, quella delle “Suore Bianche” che da quel giorno si chiamò “Chiesa della Madonna della Guardia”.


La Chiesa della Madonna della Guardia in Corso Sicilia

Quando il silenzio abituale della notte si ricompose, Giulia e Tony restarono a chiacchierare perché il primo ghibli della stagione aveva alzato di colpo la temperatura e si stava bene all’aperto a respirare la brezza marina e a fare progetti per il futuro.

Tony, quando finive guevva te voleve ancova tua Giulia?” ora lo chiamava Tony, non più “taliano buono !

Cevto che voleve mia Giulia”, (imitava il suo accento per prenderla in giro) “Io voleve sposave Giulia, capito?”

No” disse seria “Sposave no! Io yudia (=ebrea) e Vabbino dive peccato sposave cvistiano!”

Ma chi se ne frega del Rabbino…Tony vuole Giulia, Giulia vuole Tony…dunque? Il Rabbino puo’ andare a farsi fottere; comunque, non pensare ora; quando la guerra sarà finita ne parleremo. Intanto domani, se la nave che dico io non sarà stata nel frattempo affondata, ti comprerò un pò di biancheria intima e qualche vestito e anche un paio di scarpette nuove. Io voglio la mia Giulia sempre vestita bene, anche se mi piace di più senza alcun vestito…nuda! Intanto, per non sbagliare misura, fammi vedere ancora una volta il tuo piedino e il giro vita e nel caso trovassi anche un reggiseno, fammi sentire…Oh…ma lo sai che non me ne ero accorto? Non hai bisogno di reggiseno!” e ridevano come due bambini e si amarono a lungo, sotto il cielo pulito di primavera, testimoni le stelle.

Dieci giorni dopo il bombardamento aereo-navale, come tutte le mattine i colleghi Bucchieri e Lombardo aspettavano Tony sulla banchina. Ammirarono ancora una volta la bicicletta nuova e Lombardo da buon genovese volle sapere tutti i particolari dell’acquisto: quanto era costata, se contanti o a rate, da chi l’aveva comprata…Lombardo aveva il senso degli affari e del baratto: sigari contro sigarette, pennine usate contro matite e persino lamette da barba, cinque usate per una nuova marca “Signorina”.

Bucchieri invece gli chiese se era disposto ad andare in rada in sua vece: l’anziano collega odiava il servizio sulle navi ancorate in rada: “Non per paura , ché io sono un o di quelli del Grappa!” – diceva (si voleva riferire agli Alpini sul Monte Grappa) e non aveva torto perché con il grappa o anche con la buhka andava veramente d’accordo tanto da meritare il soprannome di “Nuvoletta”.

Tony si dichiarò disposto a sostituirlo qualora fosse stato possibile ed egli lo abbracciò contento e lo chiamò, come al solito, figlio suo.

In attesa del rimorchiatore chiacchierarono un po' del più e del meno, commentando le scarse notizie della guerra in Cirenaica con l’esercito italo-tedesco impegnato nella prima controffensiva e del traffico navale che intasava il Porto…

Vedi la Birmania?” disse Bucchieri “Quella motonave è carica di fusti di benzina e di bombe a grappolo tedesche sensibilissime, l'ho saputo da un capitano amico mio!

E vedi quell’altra, la “Città di Bari”? Sono così affiancate al molo principale mica per caso…Il carico della “Birmania” dev’essere trasbordato sulla “Città di Bari” che lo porterà a Bengasi

La Città di Bari

E allora? Che importanza ha questa notizia?” chiese Tony.

L’importanza consiste che il lavoro su quelle due navi è a rischio…” spiegò Lombardo.

E se ti chiamano per quel servizio , cerca di squagliarti con ogni mezzo!” concluse Bucchieri.

La sera Tony raccontò tutto a Giulia per dimostrarle quanto era “fifona” certa gente e come, invece, era…coraggioso lui!

No tesoghro mio!” esclamò Giulia .” Tuoi amici fifoni aveghre ghragione, te invece essere molto scemo. Peghr Dio Santo, non voleghre più bene a tua Giulia? Se voleghre ancoghra poco bene te malato fino a quando navi con bombe non andaghre via, capito?”

Non posso, cara. Non posso fingere di essere malato…e poi non ti ricordi che devo comprare vestitini per te?

Non voleghre vestiti! Cosa faghre io con vestito senza Tony? E non detto che te piaci Giulia pughre senza vestito? Io sbagliato dighre te “taliano buono”…te “taliano mahabul(=matto) protestò piangendo.

***********

La “Birmania” e la “Città di Bari” erano quasi affiancate, a destra e a sinistra del molo principale. Al lavoro di scarico e carico da una nave all’altra erano addette due squadre che si alternavano ogni tre ore; a controllare i facchini e ad annotare i colli erano stati chiamati, senza nessun preavviso, Tony e Lombardo; Bucchieri invece andò malgrado i suoi tentativi di restare nei magazzini, a terra. E si salvò il caro Nuvoletta.

Le squadre dei facchini lavoravano attentamente ed ogni tanto si udiva l’avvertimento del Capo:” Rud balek, bi -sciuhia, bi-sciuhia” (=attenzione, piano,piano), mentre i fusti di benzina e bombe volavano imbracate sui verricelli da una nave all’altra.

Lombardo, seduto su un rotolo di gomena sulla “Città di Bari”, richiamava l’attenzione del collega mostrando il suo orologio, un cipollone che teneva legato ai pantaloni con un pezzo di spago, per informarlo del tempo che mancava al sospirato riposo di mezzogiorno.

Tony, a dir la verità, non era eccessivamente preoccupato. Era allora, come anche adesso, del resto, piuttosto…incosciente in certe situazioni ma si chiedeva: “Perché cavolo non hanno fatto proseguire direttamente la “Birmania” per Bengasi anziché perdere tempo e fatica a scaricare e a caricare?”

Egli, ovviamente, non sapeva nulla di navi, di tattiche e di strategie di guerra; non poteva certo entrare nelle considerazioni dei grandi cervelli che dirigevano tutto…ma restava lo stesso piuttosto perplesso.

“Tony!” qualcuno dal molo chiamava. Tony si affacciò alla murata della nave: il Capitan Bobani gli fece cenno di scendere e lo incaricò di andare a cercare Corrado, un giovane commesso siculo-tunisino che, secondo le sue informazioni, si sarebbe dovuto trovare a bordo di una di quelle navi attraccate alla banchina centrale.

“Sono un po’ stanco oggi” spiegò “tu sei giovane e certo non ti pesa salire e scendere dalle navi. Qui sulla Birmania starò io finché tu non torni con Corrado.”

Povero Capitano Bobani, genovese puro sangue, sulla cinquantina, energico e cortese e competente. Era praticamente il responsabile della Capitaneria di Porto, di quel Porto che improvvisamente era divenuto prima linea. Ma a che cosa è valso il suo sacrificio? Chi lo ricorda più? Chi ricorda le centinaia di vittime di quel terribile giorno? Solo poche righe, a guerra finita, su qualche pubblicazione specializzata: “…e Rommel restò senza benzina perché la nave che doveva portarla in Cirenaica era stata sabotata nel porto di Tripoli.

A vent’anni Tony non difettava come ora di elasticità di gambe. Salì rapidamente su una prima nave attraccata alla banchina e seppe che Corrado era andato sulla motonave “Vulcania” ancorata in rada. Là si recò approfittando di un rimorchiatore che faceva la spola trainando le bettoline dalle navi alle banchine e viceversa, si arrampicò sulla scala di corda e andò direttamente alla cambusa; conosceva le abitudini di Corrado ; diciamo che conosceva…i suoi polli.

Infatti Corrado era lì a far colazione con un amico marinaio e a cercare qualcosa da portare a casa, ché la “Vulcania” era fornita di ogni ben di Dio.

Approfittarono del motoscafo della stessa nave e ritornarono rapidamente a terra. Erano circa le undici; un aeroplano della nostra ricognizione volteggiava nel cielo limpido …tutto era tranquillo.

Sulla banchina venne loro incontro un altro collega, Bernardo, e chiese se avevano comprato le sigarette per lui, le Philips Morris di cui la “Vulcania”che fino a qualche mese prima faceva servizio di linea per gli Stati Uniti d’America non ancora entrati in guerra, era provvista.

Chiacchierarono per quei cinque-dieci minuti che bastarono a salvarli. Tony scorse Capitan Bobani apprestarsi a scendere ed era forse a dieci-venti metri da lui quando dalla “Birmania” vide levarsi il sole! Lo vide levarsi e poi scoppiare e un’immensa sfera di fuoco e un infinito rombo esplosivo gli colpirono simultaneamente occhi e orecchie mentre un’enorme colonna d’acqua salata lo travolgeva scaraventandolo contro la parete di una rimessa. Sanguinante da varie escoriazioni al viso e con una larga ferita al polpaccio della gamba destra, inzuppato,terrorizzato si trascinò sotto un grosso autocarro per ripararsi dalle innumerevoli schegge e lamiere infuocate pioventi dall’alto e attese di capire cosa stava succedendo: scorgeva esplosioni e fuoco là dove prima c’erano la “Birmania” e la “Città di Bari ”e poi un automezzo dei pompieri che si posizionava sulla banchina e lanciava ridicoli schizzi d’acqua e veniva sepolto dall’intera prua della “Birmania” volata in aria come un fuscello.

Contemporaneamente si erano scatenati i cannoni della difesa antiaerea e non capiva a chi sparavano…perché nel cielo limpido c’era soltanto l’idrovolante di prima…

Tripoli bombardata dal mare

Raggiunse carponi un rifugio oltre i capannoni e fu aiutato a tamponare la ferita che sanguinava ancora ma che si rivelò, fortunatamente, meno grave di quanto la paura gli aveva fatto credere. E poi attese con gli altri rifugiati da sapere chi aveva potuto provocare quel caos. Tanti feriti, anche gravi, furono portati in quel rifugio di fortuna e fra questi anche Lombardo che, come disse poi, era stato lanciato in mare e si era salvato, anche se con un femore fratturato, grazie alla sua abilità di nuotatore.

Del Capitano Bobani, invece, non si seppe più nulla. Di lui come di altre, si disse, centinaia di lavoratori arabi e italiani, si trovarono nei giorni seguenti solo resti irriconoscibili sparsi nelle acque del Porto.

Quando le esplosioni diminuirono d’intensità e anche le cacciatorpediniere che erano in Porto cessarono di sparare sulle due navi esplose per provocarne l’affondamento e limitare il danno alle infrastrutture sulle banchine, Tony andò a cercare la bicicletta ma non trovò né bicicletta né capannone: c’erano solo rovine fumanti.

Si avviò allora zoppicante e inzuppato di acqua sporca verso casa nella speranza che Giulia fosse là ad attenderlo al solito posto.
Ma Giulia non c’era.

La rugginosa ringhiera fra l’ingresso del Porto e l’albergo Perugina era contorta e i dintorni cosparsi di schegge metalliche e di frammenti di lamiere, fra pozze di sangue e detriti d’ogni genere.

Salì in camera ma di Giulia neppure l’ombra. Scese nel portone e seduto sugli gli scalini l’aspettò invano tutta la sera e tutta la notte.

Giulia non venne e non venne neppure l’indomani.

Tony vagò per giorni e giorni, disperato, nei vicoli della Città Vecchia, fra Suk el Turk

Suk el Turk

e Suk el Muscir, chiedendo ad ebrei, arabi, maltesi se conoscevano un’ebrea giovane, biondina che qualche volta andava al Porto a chiedere l’elemosina …Lo guardavano curiosi e ascoltavano increduli e attenti le sue descrizioni; qualcuno suggerì di cercare fra le mendicanti superstiti che si trovavano all’ingresso del porto e che erano state investite dalla pioggia di fuoco in seguito all’esplosione delle navi ma lui non volle prendere in considerazione l’atroce possibilità che Giulia fosse fra le vittime innocenti di quel disastro.

Continuò la ricerca interessando anche alcuni amici agenti della P.A.I. (Polizia Africa Italiana) e, infine, per non lasciar nulla di intentato si rivolse persino al Rabbino della Sinagoga nella Città Vecchia. Fu tutto inutile e col trascorrere delle settimane, esaurita la speranza di ritrovarla, si costrinse a concludere che Giulia non era mai esistita e che l’amore che per quasi cinque mesi li aveva avvinti, trasgredendone le regole imposte dalla razza, dalla religione, dalle condizioni sociali era stato soltanto il frutto virtuale di un sogno cancellato di colpo dalla realtà in un tragico mattino assolato



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Ma ancora adesso, dopo oltre mezzo secolo, Giulia è viva nella mente di Tony e il suo cuore si commuove quando nel sogno la rivede appoggiata alla rugginosa balaustra quasi all’imbocco di Zanghet Madrasaat e la sente sussurrare: “Taliano buono, taliano buono!”



Ciao Giulia


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