Tripoli anni '50

LA MIA TERRAZZA

 

Sono nato a Tripoli nel 1948 al pian terreno di una palazzina, in Via Camperio n. 10, a 200 metri dal mare, nel quartiere del Lido Vecchio, la prima periferia del centro cittadino. La palazzina di due piani, tutta bianca, come la maggioranza delle abitazioni tripoline, era sormontata da una terrazza, un rettangolo di 10 metri per 25; in tutto vi erano quattro appartamenti, due al pian terreno e due al primo piano, di uguale superficie, in posizione speculare. Dall'androne d'ingresso una rampa di scale di marmo bianco con striature grigie saliva per due piani e raggiungeva la terrazza.. Sul penultimo gradino di queste scale, prima del piane- rottolo della terrazza, erano incisi a scalpello il nome del costruttore e la data di costruzione: Salemi 1935. Quel nome e quella data significavano che Corrado Salemi, noto costruttore tripolino, aveva edificato quella palazzina prima della guerra, nel 1935. Qualche anno dopo Salemi aveva costruito per suo figlio Michele una graziosa villetta, quasi di fronte a casa nostra (foto 01).

Foto 01 - Tripoli - La villetta dei Salemi in Via Camperio

Michele, si era sposato con Anna Cassarino (foto 02), ed avevano avuto due figli, Corrado e Mario (foto 03), anche loro sportivi ed assidui frequentatori del mitico cortile dei Fratelli Cristiani di Sciara Afgani.

Foto 02 - Michele ed Anna Salemi

Foto 03 - Corrado e Mario Salemi

Dall'ultimo pianerottolo due porte, una di fronte all'altra, immettevano alla terrazza: la parte di terrazza soprastante la nostra abitazione era utilizzata da noi Ernandes e dai Costa, Giovanni e Felicetta Costa, (foto 03) una coppia senza figli che abitava sopra di noi

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Foto 04 - Felicetta e Giovanni Costa

Giovanni era il gestore del conosciuto bar caffè Apollo, situato sotto i portici di Sciara El Rashid, la via dei Mercati Generali e del palazzo a forma ovale, conosciuto come il Colosseo (foto 05). Felicetta gestiva un piccolo negozio di generi alimentari, non lontano da casa, all'incrocio tra via Camperio e Sciara Omar el Muktar, eroe nazionale libico (foto 06).

 

Foto 05-Tripoli - Sciara El Rashid

Foto 06-Omar el Muktar

L'altra metà della terrazza apparteneva alla famiglie D'Amico e Nuzzo, che abitavano sull'altro lato dell'edificio. La famiglia D'amico era composta da Pippo, il capofamiglia, un simpatico ed aitante camionista, dalla moglie Mariuccia Guarrasi, sorella del bravo nuotatore e pescatore subacqueo tripolino Pino Guarrasi (foto 07), e dai loro figli Cettina, Roberto e Ninni, mio coetaneo e compagno di giochi (foto 08).

 Foto 07 - Con gli occhiali scuri Pino Guarrasi ed un suo compagno di pesca, dopo un'escursione subacquea vicino allo famoso scoglio. Foto 08 - La famiglia D'Amico.  Da sx Antonio (o Ninni), mamma Mariuccia, il fratellino Roberto, papà Pippo e la sorella Cettina. 

I Nuzzo abitavano nell'appartamento sopra i D'Amico e condividevano con loro l'altra metà della terrazza. Gli 'sposini', così erano chiamati Mario ed Enza Nuzzo, perchè si erano sposati da poco e non avevano ancora avuto figli. Giovani, sempre gentili e sorridenti ma sopratutto timidi e riservati, non rimasero per molto tempo in quell'appartamento; nel 1954 emigrarono in Australia. A loro subentrò la famiglia Ciciliano insieme ai quali avevamo l'abitudine, mia madre ed io, ogni giovedì sera, di guardare il programma televisivo di Mike Buongiorno "Lascia o raddoppia". Dopo i Ciciliano vennero ad abitarci i coniugi Sandra Turtulici e il medico Franco Marra. Sandra era la figlia del sarto Turtulici di Sciara Mizran, conosciuto a Tripoli come il sarto della famiglia reale. Sandra era inoltre nipote di Luigi Casella, anche lui famoso per aver fatto il pilota in gare automobilistiche e per essere stato proprietario delle famose Acque Minerali tripoline Ben Gascir.

La nostra terrazza, circondata da un solido muro di cinta, alto un metro per circa venticinque centimetri di spessore, e divisa in due da un muretto, aveva un pavimento rivestito di piastrelle grigie quadrate. Nel mezzo c'era un'unica costruzione di cemento, divisa in quattro vani con porte, uno per ogni appartamento, alti due metri, di circa sei metri quadri cadauno, che fungevano da lavanderie. In ogni lavanderia, oltre al rubinetto dell'acqua, c'era un lavatoio grigio di granito, formato da un catino, collegato ad un piano inclinato ed ondulato, dove si strofinavano e si lavavano panni. All'interno della nostra lavanderia, fissati a due pareti, c'erano degli scaffali in ferro, costruiti da mio padre, nella sua officina di fabbro. All'esterno, ai quattro angoli della terrazza, mio padre aveva fissato al muro quattro robusti paletti di ferro, da cui partivano dei fili di acciaio inossidabile in tensione, necessari per stendere i panni appena lavati. Andare in terrazza con mia madre per me era un divertimento. Mentre lei era affaccendata a lavare e a stendere i nostri panni, io mi divertivo a prendere la rincorsa per far volare il mio aquilone di carta, fabbricato artigianalmente da mio padre o a giocare con spago e zarbuta (una piccola trottola di legno) o inventarmi fantomatiche gare ciclistiche con i tappi metallici di bottiglie di bibite locali (foto 09).

Ruotando la sguardo verso Ovest-Nord-Ovest si vedeva lo spazio occupato dal vecchio campo di calcio del Maccabi, e, a seguire, l'antica Fabbrica di olio di ricino, lo Stadio Municipale, che oltre al campo di calcio principale aveva uno splendido velodromo dove si svolgevano competizioni di ciclismo su pista, di livello internazionale (foto 10) e più in là il muro di cinta che delimitava l'area della Fiera Internazionale.

Foto 09 - Zarbuta e tappi di bibite locali

In quella zona non esistevano palazzine che superavano i due piani di altezza, pertanto dalla nostra terrazza si poteva godere una vista panoramica. Sotto di noi si snodavano varie strade, alcune ancora sterrate: a Ovest Via Camperio (foto 10) , a Nord Via Bianchi, ad Est Via Bottego e a Sud Via Fraccaroli, quest'ultima parallela a Sciara Omar El Muktar, ex Corso Sicilia, un'arteria principale. Ad Ovest si vedeva l'Officina dei Fratelli D'Alba, dove mio vi aveva lavorato per un certo periodo di tempo, divisa da un muro di recinzione dello stabilimento balneare del Lido Nuovo (foto 11);

Foto 10 -Un scorcio di Via Camperio

Foto 11-Officina dei Fratelli D'Alba e cabine del Lido Nuovo

a Nord-Ovest c'era la spiaggia del Lido Vecchio (detto anche Lido Municipale) e nel mare, a circa ottocento metri dalla riva, appariva una lunga striscia di roccia emersa, che chiamavamo lo scoglio (foto 12), ricco di pesci e di frutti di mare, meta abituale per subacquei e nuotatori.

Foto 12 -Mia madre, la terrazza e lo scoglio

Ruotando la sguardo verso Ovest-Nord-Ovest si vedeva lo spazio occupato dal vecchio campo di calcio del Maccabi, e, a seguire, l'antica Fabbrica di olio di ricino, lo Stadio Municipale, che oltre al campo di calcio principale aveva uno splendido velodromo dove si svolgevano competizioni di ciclismo su pista, di livello internazionale (foto 13) e più in là il muro di cinta che delimitava l'area della Fiera Internazionale. Sul versante Nord c'erano il Cimitero Israelitico, il Monumento dei Caduti (foto 14) e la zona del Porto. A Nord- Est oltre i binari della Ferrovia, ormai in disuso, c'era ancora l'ormai vetusto e logoro edificio della Stazione Ferroviaria (foto 15), adibito, negli anni '60, dalla Motorizzazione come sede di esami per il conseguimento della patente di guida. Verso Est, in lontananza, la Parrocchia e l'Oratorio di Sant'Antonio con attorno le Case Operaie. A Sud-Est si stagliava il Cimitero Cristiano di Hammangi (foto 16). Proseguendo verso Sud-Sud-Ovest c'era la lunghissima Sciara Omar el Muktar, che partiva da Piazza Italia, si snodava in linea retta per circa tre chilometri, intersecata da tante strade del centro cittadino, come Via Dante, Via Puccini, Via Giotto, Via Raffaello, Via Ippolito Nievo per citarne alcune, per giungere fino all'ingresso degli stabilimenti balneari del Lido Nuovo (foto 17) e dei Solfurei, dove sorgeva la scuola delle Suore Bianche, dalle quali ho frequentato le prime due classi elementari (foto 18). La stessa arteria proseguiva fino a Giorginpopoli, zona questa ricca di villini e villette (foto 19) e di uno stabilimento balneare (foto 20), che aveva preso il nome dai Giorgini, una delle prime famiglie italiane giunte a Tripoli.

Foto 13- Stadio Municipale con pista ciclstica Foto 14-Ex Monumento dei Caduti
Foto 15-La vecchia Stazione Ferroviaria Foto 16-L'ingresso del Cimitero Cristiano
Foto 17-Ingresso del Lido Nuovo Foto 18-Una classe della scuola elementare dei Solfurei
Foto 19 -Una strada di Giorginpopoli anni '60 Foto 20 - Uno scorcio della spiaggia di Giorginpopoli

Varie volte, durante le serate estive, utilizzavamo la nostra terrazza come salotto all'aperto, specialmente dopo cena, quando venivano a farci visita parenti o amici. In quelle occasioni cercavamo in tutti i modi di renderla più confortevole. Io davo una mano a mia madre a raccogliere i panni ancora stesi ad asciugare o ad aprire alcune sedie sdraio in legno, con tela blu, ma la cosa che mi piaceva di più era giocare con l'acqua, con la scusa di usare la pistola per rinfrescare il pavimento della terrazza. Agli ospiti veniva offerto un rinfrescante, aromatico tè alla menta, con ghiaccio tritato, in enormi caraffe di vetro. Nelle terse notti di metà agosto, anziché usare le sedie sdraio, trovavamo più comodo coricarci col naso all'insù, su coperte di lana stese sul pavimento, per osservare meglio le stelle cadenti. Facevamo un gioco: chiunque avesse visto una stella cadente doveva pensare ad un desiderio, senza dirlo agli altri. Personalmente non trovavo facile vedere una stella cadente. Mio padre, assiduo lettore, che si intendeva anche un po' di astronomia, mi aveva insegnato che la Stella Polare è un punto di riferimento importante, specialmente per chi cerca di orientarsi quando è notte, perché indica il Nord. È facile riconoscerla, è la più luminosa della costellazione del Piccolo Carro ed ha la particolarità di sembrare fìssa mentre le altre stelle le ruotano attorno. Per vedere dove si trova la Stella Polare occorre individuare prima la costellazione del Grande Carro, andare sull'allineamento delle sue ultime due stelle, contare cinque volte la loro distanza sino a trovare la Stella Polare (foto 21). Per vedere le stelle cadenti ci consigliava di guardare il cielo tra nord e nord-est, dove c'è la costellazione di Cassiopea, a forma di W, e quella di Perseo, non lontane dalla Stella Polare.

21-La Stella Polare e la costellazione di Cassiopea, a forma di W

 

La nostra terrazza era comoda ed utile per ogni evenienza: vi si cardava e si metteva al sole la lana dei nostri materassi per togliere l'umidità ed ogni impurità; in un pentolone, nella giusta stagione, si bollivano i pomodori per preparare la conserva di pommarola da usare poi per tutto l'anno; si festeggiava nelle occasioni speciali per Compleanno, Battesimo, Cresima di amici o di vicini di casa. La signora Casadio, della palazzina accanto, vedova, quasi centenaria, utilizzava la sua terrazza per allevare i piccioni che poi vendeva.

Nel marzo del 1953, mentre con mia madre ero nella lavanderia sulla terrazza, Tripoli e dintorni furono colpiti da una violentissima grandinata. Il cielo, nuvoloso e scuro, minacciava pioggia e noi eravamo saliti per raccogliere i panni stesi ed ormai asciutti. Tutto era cominciato con un rumore flebile ma strano sul tetto della lavanderia, poi il rumore era aumentato di intensità sino a diventare simile al crepitio di una mitraglia. Guardando fuori ci accorgemmo che il pavimento si stava ricoprendo sempre più di grossi chicchi bianchi. Non avendo mai visto e conosciuto prima di allora nessun tipo di grandine pensai che fossero chicchi di naftalina. Mia madre invece, con voce alterata, diceva: grandine, è grandine": un evento anche per lei fuori dall'ordinario. In poco tempo la terrazza si era riempita di chicchi di grandine, un evento naturale eccezionale, anomalo. Per tanti anni si continuò parlarne. Secondo la testimonianza di alcuni vecchi tripolini, quei chicchi avevano la grandezza di un mandarino (foto 22).  

22-Un grosso chicco di grandine

Quella grandinata oltre a danneggiare le coltivazioni locali e a ferire alcune persone, lasciò, a memoria indelebile, grossi buchi sui muri della nostra terrazza e sulle pareti esterne delle abitazioni vicine, come se si fosse veramente subito un bombardamento.

L'anno dopo accadde un altro evento anomalo e straordinario. Nell'estate 1954 ci fu l'invasione delle cavallette. Mio padre era al lavoro, mia madre ed io eravamo in casa ed avevamo sentito qualcuno dei nostri vicini urlare con eccitazione. Ci affacciammo alla finestra sulla parte davanti della casa da dove venivano altre voci per vedere che cosa stava realmente succedendo. La prima cosa che notai era una massa scura di puntini in movimento che sistagliavano nel cielo. Ci rendemmo subito conto che il cielo era coperto da milioni di cavallette, così fitte da oscurare quasi il sole (foto 23).

 

23- Un invasione di cavallette

Dopo un po' salii con mia madre in terrazza e, spinti dalla curiosità, aprimmo la porta, ma restammo inorriditi vedendo migliaia e migliaia di cavallette giacere sul pavimento o rotearci attorno. Anche perché, spinti da una sensazione di disgusto, preferimmo tornarcene al riparo in casa. Dalla finestra vedevamo alcune persone arabe che raccoglievano cavallette per metterle dentro sacchi di iuta. Qualcuno asserisce che molte di quelle cavallette furono cucinate e grigliate in rudimentali barbecue all'aperto. In quell'occasione le cavallette, antico flagello, arrecarono ingenti danni, distruggendo coltivazioni di erba medica, vite e piante da frutto delle aziende agricole italiane sparse nella zona.

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Nel 1970 quando, insieme a tanti altri miei connazionali, ho lasciato Tripoli, avevo 22 anni. Dopo circa quarant'anni di divieto, il Governo libico ha da poco concesso a noi, Italiani ex tripolini, il permesso di poter ritornare a visitare la Libia. Io ancora non l'ho fatto.

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Amici e conoscenti, che ultimamente ci sono stati, mi hanno riferito che la zona del Lido Vecchio, dove io sono nato e dove ho abitato per più di vent'anni è totalmente cambiata. La mia palazzina bianca in via Camperio, come tante altre case di quella zona, non c'è più. Ora ci sono nuove costruzioni, sempre a terrazza, ma nettamente più alte delle precedenti, adibite per lo più a residenze alberghiere (foto24), forse perché favorite dalla vicinanza al mare, come il Mediterranean Hotel (foto 25). Le spiagge, sempre spaziose, hanno incoraggiato la costruzione di nuovi è più moderni stabilimenti balneari (foto 26).

  Foto scaricate da Google Earth

24 -Altri hotels della zona

25 - Mediterranean Hotel

26 - La spiaggia Municipale

Navigando in rete, su Google Earth (vedi foto 27 e 28), ho riscontrato che sulle attuali carte stradali non c'è più Via Camperio, mentre incredibilmente esiste ancora la vecchia Via Fraccaroli.

27-Via Camperio e Via Fraccaroli ieri

28 -Da Google Earth, via satellite,  Via Fraccaroli oggi

 Il viale Sciara Omar El Muktar, che partiva da Piazza Italia, è stato ancora allargato (vedi foto 29 e 30). Molti altri nuovi viali sono stati costruiti, tra questi ce n'è uno, il viale Al Kurnish Road, che parte dalla zona del Porto e costeggia il mare per poi congiungersi con Sciara Omar El Muktar nella zona dove prima c'erano i Solfurei.

  Foto scaricate da Google Earth

29 - Una zona nuova  di Sciara Omar El Muktar 30 - Un'altra zona di Sciara Omar El Muktar oggi

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In questi ultimi tempi sono tormentato da un conflitto emozionale, quasi un dubbio amletico. Che fare? Tornare a visitare quei posti dove sono nato ed ho vissuto buona parte della mia esistenza (22 anni) oppure starmene tranquillo, tenendo cari nella mia mente i ricordi della mia infanzia e della mia gioventù? La parte razionale mi suggerisce di andarci, quella emotiva mi frena. Tuttavia non ho fretta, il tempo sarà mio alleato. Il mio buon senso o forse qualche evento occasionale mi spingeranno a tornarci.

Punta Ala, Novembre 2010