La stanza di Giuseppe Segalla

Giuseppe Segalla

A scuola dai "Fratelli"

di   Giuseppe Segalla

         Credo di poter  dire in tutta serenità che la scuola dei “Fratelli” a Tripoli era una scuola di buona marca. Se poi cedo un po’ al trionfalismo e mi adeguo al linguaggio dei tempi moderni, potrei persino definirla una “scuola griffata”, nel senso che aveva un suo stile e delle caratteristiche bene individuabili e apprezzate. Proverò naturalmente a dimostrarlo.

         Intanto il sistema educativo dei Fratelli non si basava sul maggiore o minore talento di singoli insegnanti. Questo se mai costituiva un valore aggiunto. Era invece rappresentato da una preparazione “media” di notevole livello.

Per portare avanti il discorso in modo più comprensibile, farò riferimento alla situazione di Tripoli in quanto nota a tutti noi. I Fratelli che vi giungevano appartenevano alla “Provincia” di Torino (Il termine “Provincia” comprendeva le regioni dell’Italia Settentrionale). Prima di mettere piede in cattedra, i…Fratellini dovevano naturalmente aver compiuto gli studi che, agli occhi dello Stato, abilitavano ad insegnare. I Superiori si facevano scrupolo di scegliere per loro i migliori docenti al fine di garantire una preparazione adeguata. Questi “Fratelli maggiori” erano in gran parte usciti dall’Università di Torino che, nella prima metà del secolo scorso, era luogo di serio impegno e di prestigioso  livello culturale. Caratteristica che li accomunava era, oltre alla competenza, anche l’entusiasmo contagioso con cui presentavano la loro materia e, per come li ho conosciuti io, con visioni della vita e della società molto aperte. Nel progetto educativo/formativo trovavano il giusto spazio, e questo in anticipo sui tempi e sulle abitudini ecclesiastiche, anche le attività sportive ed artistiche.

Date queste premesse, succedeva che, quando i giovani “Fratelli” si presentavano come privatisti nelle scuole magistrali di Torino per l’Esame di Abilitazione, ottenessero risultati sempre molto positivi, quando non addirittura eccezionali. Ed erano i tempi in cui tutte le materie costituivano oggetto di esame e non si era per nulla propensi a largheggiare nei voti, soprattutto nei confronti dei privatisti.

         Ma questo, tutto sommato, poteva anche costituire il bagaglio culturale comune a tutti i maestri e le maestre che lo Stato abilitava all’insegnamento.

L’ordinamento dei Fratelli prevedeva però che al normale percorso formativo si accompagnassero studi di Filosofia (la Logica, in particolare), di Teologia, di Sacra Scrittura. E soprattutto di Didattica, la scienza che insegna… ad insegnare.

         Qui, ad evidenza, siamo giunti al nocciolo della questione. Non basta infatti sapere: bisogna saper trasmettere agli alunni quello che si sa, anzi quello che serve agli alunni in quella precisa età e nel rispetto delle loro possibilità mentali. Nel mondo della scuola ci si imbatte spesso in personaggi che sono pozzi di scienza, ma che non sanno insegnare. Che si abbandonano allo sfoggio del loro sapere, al travaso di prodotti mentali di alta qualità… dentro a bicchieri (le menti degli alunni) ancora troppo piccoli e del tutto inadatti a contenerli: va tutto disperso.

         Tre secoli fa, San Giovanni Battista De La Salle, con incredibile preveggenza, si è preoccupato di consegnare ai Fratelli delle Scuole Cristiane che aveva “inventato” un manuale di uso pratico per affrontare il lavoro scolastico. Si chiama “La conduite des écoles”, ossia “Il modo di gestire la scuola”. A questo per secoli hanno fatto riferimento i Fratelli; da questo hanno “copiato” in molti, a partire da San Giovanni Bosco che a Torino era anche confessore nelle scuole lasalliane. Il libro contiene capolavori di saggezza didattica che, con qualche opportuno adattamento, conservano tuttora molti caratteri di validità.

La scuola era dichiaratamente cattolica, ma, forse proprio per questo, era accogliente e rispettosa nei confronti di ogni altra fede. In tempi in cui, a volte pretestuosamente, le religioni vengono additate come la causa prima degli scontri tra civiltà e la miccia stessa degli attentati, è emozionante e significativo leggere, in proposito, interventi come quelli degli exlali Raffaello Fellah e Nanni Gritli (“l’oasi”, n°2, anno 2006, pag 27). Nella scuola dei Fratelli si stava uno accanto all’altro, sotto l’ala protettrice dell’Unico Grande Dio, ispirandosi a concetti e comportamenti di bontà e di amore verso tutti.

Le famose “buonenote”, così come le medaglie al merito scolastico e quelle per la religione, costituivano uno strumento efficace nelle mani dell’insegnante che le sapesse usare con la dovuta discrezione e leggerezza. Garantivano comportamenti e rese scolastiche con gradazione più alta del normale. (Qui devo ammettere che al tempo non esistevano “ammortizzatori” capaci di garantire un congruo incremento di “buonenote” a chi era costretto a disertare la scuola per malattia: il mio exalunno Nicola Vischi, consigliere dell’Associazione, non si dà ancora pace, dopo 40 e più anni, per aver perso un possibile primato a causa di una malaugurata influenza!!..).

Poi, in Occidente, sono arrivati certi venditori di chiacchiere e di fumo a declassare ogni forma di sana emulazione, “buonenote” comprese. In cambio hanno portato nella scuola appiattimento, qualunquismo e disimpegno.

Sono gli stessi che predicavano la supremazia del metodo sui contenuti, della capacità di saper trovare notizie e informazioni piuttosto che saperle. Come se le due posizioni fossero opposte e incompatibili. Come se, nelle situazioni ordinarie del vivere, uno si dovesse impegnare, lì per strada magari, nella ricerca di informazioni in qualche dizionario, in un’enciclopedia, in un atlante piuttosto che chiederle alla propria mente dove ce ne stanno tante, ma tante: basta collocarvele in ordine, soprattutto nella felice età della memoria… Era per questo che nella scuola dei Fratelli si imparavano anche tante “nozioni”, di storia e di geografia in particolare, ricorrendo a ripassi frequenti e a trucchi mnemonici.  Molti Exlali si portano appresso questo bagaglio prezioso, stupiti a volte di impattare nell’ignoranza pesante in materia che si riscontra oggi anche a livello di diplomati e laureati.

         Altro aspetto caratteristico della didattica lasalliana era quello di creare un approccio attraente alla lezione: un aneddoto, uno schema, un disegno significativo dovevano da subito ipnotizzare l’attenzione e, fin che questa era viva, bisognava porgere in modo chiaro le nozioni programmate. Si sa, o si dovrebbe sapere, che l’attenzione dei ragazzi ha dei limiti ben precisi, oltrepassati i quali diventa praticamente impermeabile e quindi puro perditempo il continuare a farle piovere addosso il sapere.

         Indirettamente ho accennato a un altro impegno che ogni “Fratello” riteneva ineludibile: la preparazione immediata alla lezione e cioè l’adattamento degli argomenti da affrontare al livello mentale degli alunni e la scelta delle strategie per essere efficaci nel comunicare. L’improvvisazione a volte è colpo di genio, più spesso perdita di tempo.

         Tutto doveva muoversi in un ambiente adatto: sereno ma serio, attento ad alternare momenti di intelligente rilassamento ad altri di impegno totale. E per l’impegno totale bisognava creare la magia del silenzio. Come? Col silenzio prima di tutto. Con lo sguardo, stupito e dispiaciuto insieme, rivolto ai pochi che ancora non prestavano attenzione. Con quel piccolo arnese di legno (lo “vedo” in mano a Fratel Amedeo) che produceva un rumore secco e definitivo! Questi i “trucchi” della saggezza scolastica lasalliana, applicati in classi che raggiungevano spesso le quaranta unità! Altri tempi? No, funzionano ancora. Chi pensa che il silenzio si ottenga gridando, non fa altro che innescare una involontaria concorrenza con gli alunni a livello di volumi sonori nella quale risulterà perdente…

Un sicuro vantaggio, rispetto alla scuola attuale, era costituito dall’insegnante unico che “sentiva il polso” della classe e poteva di conseguenza alternare momenti di lavoro più intensi o più leggeri. Oggi invece ogni insegnante che entra in classe è preoccupato di realizzare il suo programma e, spesso involontariamente, si butta  sui poveri alunni già spremuti da chi lo aveva preceduto senza  poter più ricavare una sola goccia di succo. I ragazzi ti danno l’illusione di essere attenti, in realtà “sono via”, esauriti.

         Altro momento significativo della giornata scolastica era costituito dalla “riflessione”. Pur essendo prevista per l’inizio della giornata, spesso i Fratelli la proponevano in qualche spazio strategico dell’orario scolastico per non darne un’idea di monotonia e pesantezza. Doveva essere breve, precisa, tesa a sottolineare o a illuminare qualche aspetto educativo e morale capace di guidare i comportamenti. Aveva anche il pregio di abituare i ragazzi alla “riflessione”, appunto, su quanto accadeva intorno. Consiglio didattico fondamentale era quello di muovere da spunti e situazioni reali e di procedere ad approfondimenti per domande e risposte, al modo di Socrate (metodo consigliato anche per le altre materie in quanto permetteva sia di tenere agganciata l’attenzione che di verificare le conoscenze già in possesso degli alunni).

         Ottima l’intenzione di creare buone abitudini e comportamenti corretti, ma la carne – si sa – è debole e per le teste dei ragazzi a volte corre la sventatezza, soprattutto nei momenti di maggior libertà, per esempio in cortile (il magico cortile dei Fratelli!). Qui la carta vincente si chiamava prevenzione. L’occhio del Fratello doveva tenere sotto controllo la situazione della classe (e Fratel Amedeo, vicino alla campanella, controllava anche i controllori!), per bloccare giochi pericolosi, devitalizzare gli screzi, anticipare le risse…

         Tanti i compiti in classe, come necessario allenamento per farsi dei buoni muscoli. Compiti corretti con meticolosità per cogliere errori o incertezze ricorrenti e porvi rimedio. Ma anche per giungere a valutazioni equilibrate. Come si fa – e succede spesso nelle scuole superiori – ad esprimere un’equa valutazione quadrimestrale facendo riferimento a due soli compiti in quattro mesi?!

         Dovrei ancora scrivere delle gite, delle rappresentazioni teatrali e musicali, delle cerimonie per la consegna delle medaglie, di tutto quel mondo che nel pomeriggio gravitava – esso stesso “scuola” – nel cortile dei Fratelli e nelle sedi dell’ Associazione “La Salle” e degli Exalunni: qualcosa di vivo e di bene organizzato: semplicemente indimenticabile! 

         Sento doveroso accomunare nel serio progetto scolastico che ha caratterizzato la scuola dei Fratelli a Tripoli anche gli insegnanti che non erano “Fratelli”. La loro cultura e sensibilità li trasportava naturalmente dentro al circolo virtuoso in cui prendeva forma e vita una forte tensione educativa, ricca di cultura e di umanità: quella di cui gli Exlali continuano a rendere ogni giorno testimonianza.