La stanza di Giuseppe Segalla

Giuseppe Segalla

Rintocchi Pasquali

di   Giuseppe Segalla

 

         Per l’amico Roberto Longo (che ha presentato il Natale nell’ultimo numero dell’Oasi) il primo ricordo di quella solennità è legato a Nalùt. Con quel nome che sa di biblico e che bene si potrebbe accostare a Nazaret o alla Saba/Seba dei Magi, non poteva che essere un grande Natale, soprattutto perché coincideva con la fine della guerra e la conseguente riunificazione della famiglia.

         Anch’io credo di poter legare la prima Pasqua di cui ho memoria a un episodio particolare. Era la primavera del 1945 e avevo appena messo insieme i miei primi 4 anni. Ho il nitido ricordo di uno scampanio prolungato ed allegro che si spandeva per le colline del paese e andava ad incontrare gli altrettanto vivaci concerti di campane che provenivano dai paesi vicini. A volte mi prende il dubbio di aver confuso o fuso insieme la Pasqua con l’evento della Liberazione, il che può anche avere delle considerevoli relazioni simboliche.

         Di questa festa, più che una ricerca e una elaborazione sistematica vorrei offrirvi degli spunti, così come mi vengono e così, potrei aggiungere, come li ho raccolti nel tempo dai grandi maestri che condivido con molti di voi: i Fratelli.

         La Pasqua per i cristiani è data fondamentale. Quando all’inizio dell’anno liturgico (I° domenica di Avvento) il sacerdote proclama le festività mobili che verranno via via celebrate, il punto di riferimento per determinarne la cadenza è esattamente la Pasqua e la sua collocazione. Resta insomma un aggancio sicuro come la Stella Polare per i naviganti dei tempi andati.

         Se è fondamentale come data, lo è ancora di più nel suo aspetto sostanziale.

La Pasqua infatti dà senso e fondamento a tutta la religione cristiana nel modo più evidente: se Gesù non fosse risorto, tutto il castello della sua dottrina, a partire dall’annuncio da Lui fatto della sua Risurrezione, sarebbe risultato presunzione infondata, delirio profetico, operazione destinata al fallimento totale.

         La Pasqua cristiana ha poi, come sappiamo, evidenti parentele con quella degli Ebrei, a partire dalla coincidenza delle date: la nostra Pasqua, il “fatto” cioè della Risurrezione, è accaduto nei giorni in cui gli Ebrei festeggiavano la loro Pasqua, associandola alla lunazione del mese di Nisan.

         Il legame è ancora più profondo se andiamo a scavare nel significato dei due eventi. Come la Pasqua degli Ebrei celebra la salvezza del popolo attraverso la liberazione dalla schiavitù, così la nostra Pasqua significa e produce la liberazione dal peccato attraverso il sacrificio di Cristo. E qui, nel gioco dei simboli, diventa importante l’agnello della Pasqua ebraica da accostare a Cristo, l’agnello sacrificale dei cristiani.

         Nella complessità del discorso sulla Pasqua, e forse addirittura come premessa, entra di prepotenza il fatto e il concetto del peccato, realtà che in tempi di conclamato e reclamato relativismo morale si propone oggi, anche per molti cristiani, con contorni sempre più sbiaditi.

         Se Dio è Dio, gli dobbiamo riconoscere il pieno diritto di assegnare alle sue creature una condizione di subordine nei suoi confronti e perciò anche quello di dettare delle norme per il buon funzionamento delle sue creature, come del resto fa qualsiasi ingegnere che propone un suo prodotto. Chi rifiuta questa relazione  di naturale sudditanza, si pone automaticamente contro Dio ( e contro se stesso ), mettendosi nella condizione che noi definiamo di peccato.

La ribellione di Lucifero e quella di Adamo rientrano in questo ordine di idee, così come i tanti peccati di cui ricorrentemente si parla nella Bibbia.

         Continuando nell’analisi del peccato, mi torna utile un’osservazione che in gioventù mi è stata proposta da quella mente straordinaria che è stato Fratel Anselmo Balocco (insegnante anche di Fuad Kabasi?). Di fronte a lui ho avuto per la prima volta la sensazione di trovarmi davanti a un’intelligenza superiore, di quelle che ti sanno offrire concetti difficili con la naturalezza che si usa nel porgere una mela. Sosteneva, il buon Fratello, che la gravità dell’offesa (peccato) dipende dalla qualifica dell’offeso. E mi spiegava: “Se un tuo compagno di classe ti assesta uno sganassone, la cosa ha la sua gravità. Se lo stesso ceffone lo riserva al Direttore, la situazione si aggrava…”. E andava avanti, destinando sberle a personaggi via via più importanti e drammatizzando con grande senso della didattica, fino a quando il fatidico ceffone arrivava nientemeno che al Papa, con mobilitazione di guardie svizzere e inevitabili gravi conseguenze. Il classico “facciamo la pace” poteva facilmente risolvere la situazione col compagno, ma ben più impegnativo risultava riparare l’offesa recata al Papa, in quanto l’offesa era… salita di grado.

A questo punto il teorema si chiariva: l’offesa a Dio, fatta col peccato, acquista una gravità infinita come infinito è Dio e la riparazione che noi, creature finite, avremmo potuto offrirgli sarebbe stata comunque inadeguata.

In questo contesto entra in scena l’uomo-Dio Gesù Cristo che, come uomo, si assume a nome degli uomini il fardello dei peccati e, in quanto Dio, offre in espiazione a Dio stesso la sua vita, un sacrificio di valore incommensurabile, garantendoci per sempre la possibilità di salvarci.

         Oltre che di Salvezza, sentiamo spesso parlare di Redenzione. Il concetto è questo: Dio è talmente buono e talmente ben disposto nei confronti delle sue creature che, a prezzo della sua vita, ci “ricompra” (in latino “redime”) dal momento che ci eravamo venduti al diavolo.   

         Le osservazioni appena proposte hanno il loro valore su un piano che potremmo definire giuridico/teologico, ma ben diverso è l’approccio all’idea di peccato che il cristiano dovrebbe coltivare in sé. Il rapporto Dio-uomo si deve porre in termini di amore e, per leggerlo correttamente, non è fuori luogo pensare a quanto gravi vengano ritenuti anche i più semplici sgarbi tra innamorati, tra marito e moglie, tra genitori e figli, tra amici… E’ per questo che alle anime sensibili dei santi ogni venialità appariva come un’offesa smisurata nei confronti di Dio, al punto da essere indotti a pentimenti e penitenze senza limiti.

         Un altro suggestivo approccio alla Pasqua si apre  alla nostra attenzione quando ci viene proposta l’immagine di alcuni antichi battisteri. Consistevano in una specie di vasca a croce greca i cui bracci opposti digradavano verso il centro. Naturalmente era piena d’acqua e il catecumeno scendeva i gradini col suo carico di peccati verso una specie di morte simbolica e risaliva poi, rinato e purificato, dall’altra parte.

Simile a questa è l’idea dell’uomo vecchio, quello del peccato, che entra con Cristo nel sepolcro e risorge con Lui a nuova vita.

         Solo apparentemente fuori dal coro, risuonano tutte le suggestioni contestuali alla Pasqua legate alla primavera, al risveglio della natura, al miracolo dell’esplosione dei fiori.. E anche qui si presentano dei binomi dal simbolismo tanto semplice quanto profondo. C’è sempre un prima e un dopo, una morte e una resurrezione molto espressivi: alla pulizia dei prati con la bruciatura delle stoppie (peccato) segue il rinnovarsi della vegetazione (nuova vita); alla morte apparente di quanto ci sta intorno segue una vivace rinascita; al gelo che paralizza succede il risveglio delle linfe vitali; alla natura senza colori e senza suoni seguono fioriture straordinarie e il concerto degli uccellini…

         Un altro dei territori pasquali che meriterebbe di essere esplorato è quello dell’arte ispirata alla Resurrezione, in particolare nei campi della pittura e della musica. Gli artisti ne hanno ricavato motivi di creazione a piene mani, producendo una serie considerevole di capolavori.

         Che dire per concludere? Siamo tutti diversi, tutti prototipi della Creazione. Ognuno di noi viene attirato da aspetti dell’essere, del pensare e dell’agire diversi da quelli dei suoi simili.

Ebbene, ognuno, seguendo le proprie ispirazioni, catturi le suggestioni che meglio lo ispirano per vivere sempre la Pasqua come un allegro scampanio dell’anima.

 

                                               Giuseppe Segalla