Cari lettori, come avrete
notato dal titolo, racconterò come e in che serenità vivevamo le rispettive
religioni, quella musulmana, la cristiana e l'ebraica, negli anni trascorsi in
Libia durante la monarchia del Re Idris al-Mahdi al-Senussi. Dimenticavo: sono
uno dei ventimila profughi italiani cacciati dalla Libia da Gheddafi nel luglio
del 1970, togliendoci tutto, incominciando dalla dignità.
Allora avevo 17 anni, ricordo
tutto, come poter dimenticare! Scusate ma sinceramente io non so più in che
strana società sto vivendo, specialmente riguardo le religioni e le loro
tradizioni. Ascolto dai TG
nazionali, leggo gli articoli di varie
testate giornalistiche inerente al problema, se così si può dire del “ presepe
sì, presepe no”, compreso l'argomento
crocifisso, iniziato già da tempo! Ma scherziamo!
Il presepe è una tradizione e
festa cristiana e come tale va fatta e rispettata. Se nelle scuole o in altri
luoghi c'è la presenza di alunni o studenti o persone di altre religioni, non è
assolutamente un problema, possono restare indifferenti, nessuno li obbliga a
essere partecipi. Il presepe va fatto, festeggiato, il crocifisso resta in
qualsiasi posto sia stato messo, vale lo
stesso discorso del presepe, nessuno obbliga
persone di altre religioni a venerarlo; rispettarlo sì, come anche il
presepe.
Il crocifisso è un simbolo, il
presepe, una tradizione della nostra religione: quella cristiana.
E' la nostra identità, e anche noi
giustamente, dobbiamo rispettare le altrui religioni, con le loro tradizioni e
feste, incominciando dalla musulmana, con il mese sacro del digiuno: il
Ramadan, è una questione di rispetto gli uni verso gli altri e viceversa.
Dopo questa premessa,
schiaccio un pulsante e avvolgo
all'indietro il nastro della bobina con
i ricordi degli anni trascorsi in Libia. Rivedo la nostra vita con i libici e
non solo, gli ebrei, i greco-ortodossi, i maltesi, greci, armeni,
quest'ultime etnie erano le meno
numerose, molti di loro avuti anche come compagni di scuola.
Vedo la città di Tripoli, nei
giorni di festa della nostra Santa Pasqua con la processione pomeridiana e
toccante del Venerdì Santo, con il
Santissimo. Si usciva dalla cattedrale con il baldacchino, sostenuto ai quattro angoli,
sotto il quale il vescovo di Tripoli sorreggeva il crocifisso del
Santissimo. Si girava intorno alla
rotonda della piazza, di fronte la
cattedrale, si proseguiva sulla sinistra di quest'ultima e dopo quasi un
chilometro si tornava dalla parte opposta.
Suggestiva, emotiva,
religiosa, coinvolgente la processione, i libici mantenevano il massimo
rispetto finchè si camminava, le famiglie italiane lungo il percorso esponevano
i drappi e i tappeti sui balconi delle case,
lanciando sulla processione un'infinità di petali di rosa ed altri
fiori. La polizia libica collaborava all'evento, fermando le macchine al nostro
passaggio. Vorrei aggiungere un episodio
importantissimo, a testimonianza del clima sereno e di massimo rispetto, tra le
religioni in Libia e ne fu esempio il grande e saggio monarca libico Re Idris.
Come ogni anno la domenica di Pasqua le campane suonavano a
festa, un po' più del solito forse, il
palazzo reale non distava tanto lontano dalla cattedrale e la servitù del re,
pensò forse che le campane lo
disturbassero, gli chiesero se
desiderava che le facessero smettere.
Con la saggezza, la dignità, l'onore e la fede degli uomini del deserto,
ricordiamoci che il Re Idris discendeva dalla più potente tribù del deserto libico: la Senussia,
rispose loro così: sia consentito a chiunque,
di qualsiasi religione e in
qualunque modo : festeggiare, glorificare, santificare, l'onnipresenza e onnipotenza
dell'unico Dio, misericordioso e compassionevole.
Che risposta! Grande, carismatico,
umano Re Idris, che esempio di tolleranza e convivenza religiosa Io personalmente ne traggo spunto per
proseguire la mia lettera e domandarmi il perchè, per cosa e per quali motivi
a distanza di quasi mezzo secolo, le
cose siano cambiate in maniera così drammatica, specialmente sotto l'aspetto
religioso e purtroppo ed è molto grave,
non solo in Libia, ma in tutto l'Oriente.
Noi vivevamo come fratelli con
i libici, ho usato il termine fratelli anche se non consanguinei, ma fratelli
uniti da una grandissima parola: “Rispetto”, specialmente religioso. Però a
distanza di tanti anni, con ciò che
quotidianamente osservo nei TG nazionali inerenti alla mia, alla nostra Libia,
stento a credere che i libici conosciuti negli anni di permanenza in Libia, con
cui abbiamo condiviso tempi meravigliosi, abbiano potuto subire un cambiamento
sociale e religioso così radicale,
trasformandosi e trasmettere alle
generazioni future, così tanta malvagità.
Noi che abitavamo e lavoravamo
nelle aziende agricole , dove i libici lavoravano a fianco a fianco con mio
padre, solo con la forza delle braccia e una grande volontà, spesso con
temperature che superavano i 40° gradi di caldo all'ombra, non credo ripeto,
abbiano potuto cambiare i loro caratteri sociali, religiosi, ospitali e
amichevoli di allora!
Non escludo neanche
l'influenza di elementi e molti,
arrivati da paesi esterni in
Libia e per cosa? Senza escludere il coinvolgimento di qualche paese europeo,
sempre e con l'unico scopo, di mettere le mani sulla grande ricchezza della
Libia: il petrolio.
Ripeto, i libici che
lavoravano la terra nella zona meravigliosa di Collina Verde (Hedba el Khadra) con mio padre
erano, rispettati come uomini prima, poi
come operai, di una fedeltà e lealtà unica, dimostrata in tantissime occasioni,
talvolta anche in difesa di mio padre, nonostante cristiano; con giuramenti da
loro ritenuti sacri nel nome di Dio,
giuravano ed esaltavano la verità, un detto arabo dice che la verità è
di Dio.
Uomini credenti in un unico
Dio, che pregavano cinque volte al giorno, inginocchiandosi per terra,
rivolgendosi alla Mecca e osservando il mese sacro del Ramadan, digiunavano un
mese l'anno, a prescindere dalle condizioni climatiche e da qualsiasi altra
cosa. Sentendo la situazione attuale della Libia mi domando chi ha contaminato
le menti e il cuore di quel popolo fraterno della nostra Libia, dove vivemmo
per anni?
Chi ha inquinato loro l'anima,
specialmente di coloro che avrebbero dovuto essere le future generazioni! Chi sono questi individui e tanti, giunti in
Libia da altri paesi, che invocando Dio, usano un fanatismo religioso,
uccidono, torturano, usano violenza anche verso gli stessi cittadini libici!
Questi non sono esseri
religiosi.
No e poi no, questo non è
l'Islam che io per 17 anni in Libia, ho avuto la fortuna e il piacere di
conoscere e esserne testimone, ancora
adesso in diverse discussioni e confronti, racconto e spiego la convivenza religiosa,
pacifica e tollerante in Libia, nel
periodo della monarchia, tra le religioni musulmana, cristiana, ebraica e
greco-ortodossa, condividendo e convivendo con il carattere religioso, sociale ed ospitale del popolo
libico, con cui sono cresciuto.
Ricordo ancora con emozione, i
brividi a fior di pelle, quando il muezzin
dal minareto della moschea, chiamava i fedeli alla preghiera di un unico Dio.
Che stati d'animo! Un grande coinvolgimento emotivo anche per noi cristiani,
un'atmosfera unica, spirituale,
religiosa, il muezzin con le
sue parole cantilenanti annunciava l'onnipotenza e onnipresenza di Dio: Allah ua Akbar (Dio è grande) e
glorificava l'unico Dio: che è anche il nostro, dei cristiani e anche degli
ebrei!
Il vero Islam non è fatto di
violenze, distruzioni, è per la pace, la tolleranza, il sapere, il confrontarsi
con culture diverse, Dio stesso ci ha
fatti diversi perchè ci conoscessimo!
Da credente spero e prego Dio,
che in un prossimo e non tanto lontano futuro, la Libia con il suo popolo
giovane e fiero ritorni a gestire totalmente il proprio paese, estirpando e
pulendolo da quel tumore di ignoranza e fanatismo religioso arrivato
dall'esterno.
Quel paese, dove siamo nati,
cresciuti, educati, con una mentalità rispettosa, sana, pulita, amichevole,
solidale e sincera, anche con gli stessi libici e come ho ripetuto tantissime
altre volte, era un pezzo di Paradiso restato sulla terra. Inshallah (se Dio vuole).