L'ANTISPOCCHIA
26 maggio 2015
Fulvio Scaparro “Come ho imparato
a difendermi dagli arroganti”
Ironia, umorismo e astuzia come
armi efficaci contro i prepotenti. Parola di psicologo e scrittore, che di
spocchiosi ne ha conosciuti parecchi, al punto di scriverci il suo ultimo libro
di LAURA SALONIA
C’è un libro che che esce in questi giorni e che
sembra scritto apposta per Roberto Formigoni dopo quel suo infelice “lei non sa
chi sono io” urlato all’aeroporto di Fiumicino: L’antispocchia. Come ho imparato a difendermi dagli arroganti,
dal 28 maggio in libreria. L’autore è Fulvio Scaparro, psicologo, fondatore
dell’Associazione GeA-Genitori Ancora, a sostegno dei figli e dei
genitori durante la separazione e docente di psicologia all’Università degli
Studi di Milano. Professore ironico e qualche volta spietato nel suo umorismo
anticonformista (“Non dite mai ‘attimino’ o vi boccio, come minimo” disse una
volta davanti a una platea di matricole terrorizzate), Scaparro ha fatto
dell’analisi dei difetti umani la sua materia di studio.
Ed è curioso che dell’ironia e dell’arroganza Scaparro abbia scritto così in
abbondanza.
Da L’attimino sfuggente. Obiezione
di coscienza contro il linguaggio in uniforme (1992),
a Pasaràn? Cronache di arroganza spicciola(1993) a La voglia di sorridere
contro la boria, la presunzione e altre fastidiose complicazioni della vita (2003). Fino a ques’ultimoL’antispocchia. Come ho imparato a difendermi dagli arroganti.
Lei ha scritto molto sulla
difficoltà di avere a che fare con le persone supponenti, boriose, presuntuose.
Ne ha incontrate molte finora?
Sì, ne ho incontrate e ne incontro tante. Io stesso ammetto nel libro di essere
caduto talvolta nella tentazione di gonfiarmi eccessivamente, ma credo di avere
smesso di farlo perché non si può vivere nel timore che qualcuno buchi il
pallone gonfiato e venga a vedere il bluff, scoprendo chi c’è davvero dietro lo
spocchioso.
“Lei non sa chi sono io”. Un
esempio di come la rabbia incontrollata spesso provochi inopportuni scivoloni
di stile. Che consiglio darebbe, ora, all’ex-presidente della regione
Lombardia?
Lui e le migliaia di arroganti come lui si sentono profondamente offesi per
essere trattati come comuni mortali. I loro non sono scivoloni ma reazioni che
considerano del tutto normali di fronte a quello che considerano un sopruso da
parte di malcapitati che “non sanno chi sono loro”. A forza di pregare gli è
venuta la vocazione, a forza di praticare il potere si sono staccati da terra e
tremano all’idea che qualcuno li riporti giù tra noi. Consiglierei loro di
leggere il mio libro ma temo che sarebbe tempo perso. Io non so chi sono io,
figuriamoci se posso preoccuparmi di chi dice “lei non sa chi sono io”
Che cos’è per lei la spocchia?
Intendo l’atteggiamento di superiorità sprezzante, tanto più insopportabile in
quanto implica appunto disprezzo e svalutazione dell’interlocutore. Lo
spocchioso è di solito convinto della sua superiorità e ha imparato che la
spocchia non lo rende amabile ma spesso tiene l’altro a bada, al posto suo, per
così dire. È un bluff, ovviamente, quasi un meccanismo di difesa per non
svelare all’altro le sue debolezze e la sostanziale somiglianza tra tutti gli
esseri umani, precari e fragili per definizione. Non che per certi aspetti una
persona non possa essere superiore all’altra, ma quello che contraddistingue la
spocchia è quel tocco di disprezzo del tutto immotivato.
Per definire questa
perniciosa inclinazione, oggi potrei pavoneggiarmi ricorrendo a termini grevi
come “inflazione psichica”, “ipertrofia dell’Io”, hybris e tanto altro bendidio
della mia professione
Chi sono i più spocchiosi secondo
lei?
Di solito chi ha raggiunto a prezzo di immani fatiche e compromessi una grande
o piccola posizione di potere, dall’uomo politico al guarda macchine, e teme di
perdere quel potere o poterucolo mostrandosi per quello che è.
Un supponente è
il nulla travestito da niente
Che differenza c’è tra
l’arroganza femminile e quella maschile? È vero che le donne sono più temibili?
Nel libro gli arroganti sono quasi tutti maschi. Non che la donna non sia
capace di arroganza, gli esempi li conosciamo, ma una lunga storia di
sottomissione al potere maschile le ha insegnato non a subire ma a scegliere,
quando le è stato possibile, altri terreni per sopravvivere alla prepotenza del
maschio. Quando, in un futuro che non vedrò, maschi e femmine vivranno insieme
su un piano di assoluta parità di diritti e di doveri, l’arroganza non sarà di
certo sparita ma sarà equamente distribuita tra i sessi. Oggi la donna
arrogante è temuta dai maschi che infatti reagiscono di solito aggressivamente
per le manifestazioni di lesa maestà delle donne e ricorrono ai peggiori
stereotipi offensivi nei loro riguardi.
E come difendersi in modo
efficace?
Leggendo il mio libro qualche donna, spero, alzerà la testa e deciderà se
conviene continuare a dare tanta immeritata importanza a chi ritiene che avere
un pene sia un segno di superiorità e non un necessario strumento, almeno
finora, per la sopravvivenza della specie. La donna vuole accanto un compagno
che la ami e sia degno di essere amato, non uno “tutto chiacchiere e distntivo”
(cit. film Gli intoccabili).
Lei scrive che l’ironia è la
prima arma contro l’arroganza: come si usa senza farsi male?
L’ironia, l’ho imparato a mie spese, è un’arma a doppio taglio, così come
l’umorismo. Non va usata a sproposito e con persone che non sono in grado di
coglierla perché non sono stati educate a servirsene fin dall’infanzia.
Accettano al massimo una barzelletta preconfezionata che non è esattamente ciò
che intendo per ironia e umorismo.
Con il passare degli
anni ho rivalutato gli insegnamenti di mio padre che, quando mi vedeva infelice
per l’atmosfera pesante che si respirava in casa, mi indicava non una via di
fuga dal mondo ma un modo per affrontarlo con più leggerezza
Autoironia, humor e senso delle
proporzioni sono gli antidoti contro quelli che suo padre chiamava i dolori del
terzo tipo. È questa la traccia del suo nuovo libro?
Se avessi scritto questo libro quando ero in Università, lo avrei fatto
pensando ai concorsi e alla carriera. Avrei scritto un libro da professore, ben
documentato, appoggiato su ricerche (meglio se americane, perché fa sempre un
bell’effetto), con ricca bibliografia e pieno di riferimenti ai sacri testi
della mia professione. Oggi mi posso permettere di scrivere un libro di storie
di vita vissuta più o meno arricchite dalla mia fantasia. Con tutto il dovuto
rispetto per gli studiosi più seri di me e ai quali sono sinceramente grato per
avermi permesso di scrivere questo libro apparentemente più leggero, oggi sono
contento della mia evoluzione. O involuzione, fate voi.
Quella miriade di
piccole prepotenze e abusi, furbizie, dispetti, rivendicazioni, invidie,
cafonerie, manie di grandezza e ruffianerie che avvelenano la nostra esistenza
e, accumulandosi nel tempo, ci distolgono da quel poco che davvero conta nella
vita, insidiano la nostra salute e finiscono col trasformarsi in vera e propria
infelicità
A proposito di cliché, quando quella volta a lezione ci mise in guardia
sull’uso di ‘un attimino’, a me venne da ridere, ma molti compagni di corso
erano terrorizzati dalla sua verve ironica. Ora leggo che di questa parola ne
ha fatto il titolo del secondo capitolo
Appunto, gli studenti prendevano, a torto, per buono quello che dicevo e come
lo dicevo. Poi, conoscendomi meglio si abituavano a distinguere il serio dal
faceto, l’ironico dal serioso, e questi cambiamenti di registro li rendevano
più vigili e meno propensi all’addormentamento.
Era solo l’inizio, perché ognuna delle sue lezioni fu un passo verso
l’autonomia di pensiero, l’anticonvenzionale,
l’uso della propria personalissima intelligenza, qualsiasi forma avesse. Ma
molti balbettavano di fronte alle sue battute ironiche. E chi si sentiva offeso
o intimidito si ritirava. Gli altri, hanno imparato la lezione. E ora sanno
come trattare gli arroganti. Così come chi leggerà questo libro, che oltre a
fornire le armi giuste per sfruttare al meglio la propria arguzia contro gli
arroganti, fa soprattutto divertire: perché nella prefazione, Scaparro scrive
che suo padre, per rimetterlo di buonumore gli mise a disposizione un’intera
biblioteca di classici dell’umorismo. Tra cui I pensieri oziosi di un ozioso di
Jerome K. Jerome, in cui ha trovato “le parole giuste per motivare il lettore
ad acquistare il mio libro: “Ciò che oggi i lettori chiedono
a un libro è che li migliori, che li istruisca, li elevi. Questo libro non
eleverebbe una mucca. Non riesco in coscienza a raccomandarlo per alcuno scopo
utile“.
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