Un sogno italiano, la Libia 

Capitolo V°

Paolo Savasta

 

CAPITOLO QUINTO

 

                            

TUNISIA L’ULTIMA BATTAGLIA

(Storia e retroscena dell’invasione della Tunisia da parte degli alleati)

 

 

Il Primo ministro Churchill nei suoi frequenti viaggi in America durante la guerra, era riuscito a convincere il Presidente americano Roosevelt ad intervenire apertamente nel 1942 in Africa del Nord; in agosto venne inviato in Inghilterra il generale Dwight David Eisenhower, accompagnato dai generali Mark Clark e Bedell Smith per studiare, con i generali inglesi, un piano di attacco nel Nord Africa, piano che in codice segreto venne chiamato “TORCH” (torcia). In quegli incontri fu stabilito che Eisenhower doveva assumere il comando dell’Armata anglo-americana, mentre quale vice comandante il generale inglese Harold Alexander.

Segretamente, ma non tanto, furono inviate in Inghilterra truppe americane onde dare allo spionaggio tedesco, l’impressione che si preparava uno sbarco in Francia.

Ai primi di novembre, una imponente flotta di 650 navi da trasporto, in maggioranza inglesi, scortata da incrociatori, portaerei, cacciatorpediniere, salpò, parte dall’America (102 navi), il resto, la più numerosa dai porti inglesi: obiettivo le coste del Marocco e dell’Algeria.

Naturalmente esisteva il pericolo dei sommergibili tedeschi, specie per le navi che partivano dall’Inghilterra costrette ad attraversare il Golfo di Biscaglia, per i francesi prende il nome di Golfo di Guascogna, dove sulla costa francese esistevano basi tedesche di sottomarini; fu compito dell’aviazione inglese attaccare con massicci bombardamenti quelle basi, onde non permettere l’uscita degli “U Boote” tedeschi, infatti gli sbarchi si conclusero con la perdita, da parte alleata, di una sola nave, il cargo americano “Thomas Stone”.

Nella notte del 6 al 7 novembre le numerose navi che erano partite dall’Inghilterra entrarono nel Mediterraneo e si portarono al largo di Orano e Algeri, all’altezza delle 6 spiagge scelte per gli sbarchi, restando in attesa in quanto, emissari alleati stavano cercando di trattare la resa delle guarnigioni francesi fedeli al Governo di Vichy; quelle trattative furono necessarie onde evitare inutili scontri e morti. Purtroppo l’ammiraglio Darland comandante di tutte le forze francesi dell’Africa del Nord e il generale  Noguès che oltre ad essere Governatore Generale del Marocco era anche il comandante delle forze francesi di quella regione, non accettarono di assecondare l’invasione, anzi predisposero piani di difesa per impedire gli sbarchi, piani che vennero attivati con azioni di vera guerra ed anche eroica da parte francese. Gli alleati viste ormai fallite le trattative iniziarono gli sbarchi nelle zone prestabilite pur sotto il fuoco francese.

Sul versante atlantico del Marocco, nella nottata dell’8 novembre, un corpo d’Armata americano, proveniente direttamente dall’America, composto da 35.000 soldati al comando del generale George Patton, iniziava gli sbarchi a Casablanca, Rabat e Fedala, sbarchi che si dimostrarono alquanto difficili per il mare grosso che causò molte vittime, ma anche per la dura e non prevista reazione francese che riuscì ad affondare molte chiatte da sbarco, purtroppo anche i francesi subirono l’affondamento  di alcune loro navi ed ebbero un migliaio di morti.

Contemporaneamente alcune navi da guerra inglesi, tentarono di penetrare nei porti di Orano e Algeri, per sbarcare della truppa che avrebbe dovuto occupare le difese costiere francesi onde facilitare gli sbarchi di massa; l’impresa non riuscì, gli inglesi ebbero la peggio e furono respinti; di conseguenza venne ordinato il bombardamento navale a cui risposero le navi da guerra francesi allafonda in quei porti. Nonostante quella resistenza gli alleati iniziarono gli sbarchi nelle 6 spiagge scelte, quattro nella zona di Algeri: a Castiglione, Sidi Farruc,Capo Matifù e Surcuf, due nella zona di Orano a Mersa Bu Zedjar e Loumel. Qui gli sbarchi andarono meglio che a Casablanca, gli anglo-americani si assestarono a Orano con un Corpo d’armata, in maggioranza americano, con circa 39.000 uomini comandati dal generale Fredendall, mentre ad Algeri sbarcò un altro Corpo d’armata misto di 23.000 inglesi e 10.000 americani, comandati dal generale americano Ryder.

Dopo gli sbarchi la lotta continuò nell’interno di quei territori; il giorno 11 novembre altro sbarco nella cittadina di Bougie, compiuto dalla 36^ brigata inglese, il 12 lancio di paracadutisti inglesi sulla città di Bona e il 15 ancora lancio di paracadutisti americani a Tebessa in Algeria, con l’occupazione del suo aeroporto; da questo piccolo centro i paracadutisti penetrarono poi in Tunisia occupando la cittadella di Gafsa, tenuta da un forte contingente francese ma che oppose poca resistenza. Il giorno 16 paracadutisti inglesi presero possesso dell’aeroporto di Suk El Arba; il 18 soldati inglesi sbarcano a Tabarka in Tunisia  occupandola. Primo e importante obiettivo degli alleati fu quello di impadronirsi di tutti gli aeroporti francesi militarmente più attrezzati come quelli di Casablanca, di La Senia e Tafaraoui nei pressi di Orano, di Blida, di Maisom Blance e di Bistra in Algeria. ( MAPPA N°23 – MAPPA N°24 )

 

Alcuni alti nomi di responsabili nella gerarchia militare francese, dopo l’armistizio della Francia, agirono  nascostamente e opportunamente al servizio degli anglo-americani accettandone la strategia e i piani di occupazione del Nord Africa, tra questi il generale Henri Giroud che era evaso nell’aprile 1942 da un campo di concentramento tedesco in Germania e sotto false spoglie era riuscito a raggiungere la Francia libera di Vichy. Nonostante la clandestinità ebbe continui contatti  con emissari dello spionaggio americano, i quali, quando venne deciso lo sbarco in Marocco e Algeria, gli proposero di prendere il comando delle truppe francesi del Nord Africa, naturalmente quelle che sarebbero passate con gli alleati; il generale Giroud accettò e con un avventuroso viaggio raggiunse l’Algeria nello stesso tempo degli sbarchi alleati. Anche il generale  Alphonse Juin, che comandava il settore militare di Algeri e il generale Bèthouart, comandante militare a Casablanca, fecero causa comune con gli anglo-americani scegliendo la carta vincente.

Frattanto l’ammiraglio Darlan vista ormai inutile ogni difesa ordinò alle truppe francesi di cessare qualsiasi combattimento contro gli alleati, altrettanto ordine lo dette  anche il generale Noguès  alle sue truppe in Marocco. Pare che l’ordine di Darlan di cessare ogni resistenza, gli fu estorto con un inganno.

Era risaputo che Darlan fosse anti-inglese e anti-americano, alcuni storici sostengono che egli venne attirato nell’ufficio del generale Juin con il pretesto di un colloquio con il console americano Murphy, per chiarire alcune divergenze, ma appena giunto, il generale Juin lo fece arrestare; certamente  fu sottoposto a ricatto anche per il fatto che aveva ricoverato nell’ospedale di Algeri il figlio, afflitto da malattia infantile e quindi per la sua sicurezza  abbia firmato quell’ordine.

Di sicuro su quell’inganno non vi è alcuna traccia documentata, solo nelle sue memorie Churchill accenna che Darlan firmò l’ordine di cessata resistenza con un metodo non propriamente diplomatico. Sospesa ogni combattività da parte francese, sorsero però delle controversie tra il generale Giroud e il generale Eisenhower circa il comando delle operazioni; il generale francese pretendeva la priorità  del comando, in quanto le operazioni si svolgevano su  un territorio di pertinenza francese e dove pare ci fosse una forza di oltre 100.000 soldati francesi che avevano abbandonato il governo di Vichj e quindi ormai agli ordini di Giroud, però di contro vi erano 107.000 anglo-americani; comunque le divergenze vennero risolte anche per l’intervento di Darlan passato anima e corpo  con gli alleati. A conclusione di quelle controversie venne stabilito che il generale Giroud avrebbe avuto il comando delle truppe francesi, con una autonomia di comando limitato a carattere locale e la giurisdizione militare della Tunisia, ma fu ben chiaro che Eisenhower doveva essere per tutti il comandante supremo delle operazioni.

Una nota tragica: il giorno 24 dicembre 1942, l’ammiraglio Darlan mentre rientrava nella sua casa di Algeri, venne ucciso da un certo Bonuin De la Chapelle, un giovane di 22 anni membro di una organizzazione estremista: la S.O.L. ( Service d’Odre Legionaire ) che racchiudeva nelle su file ex combattenti di Vichj e anche “degollisti” dissidenti; i componenti di detta organizzazione avevano deciso di giustiziare l’ammiraglio, in quanto lo ritenevano un traditore per avere dato l’ordine di cessare ogni resistenza contro gli alleati. Due giorni dopo l’attentato il Bonuin, per ordine del generale Giraud venne fucilato senza un regolare processo.

Prima di esplicare il susseguirsi delle operazioni belliche svoltesi in  Tunisianell’arco di sette mesi, stimo interessante delineare il quadro della situazione delle contrapposte forze all’atto dello sbarco degli anglo-americani in Africa del Nord nel novembre 1942. ( consultare MAPPE N°23-N°24-N°25 )

 

 

DAL MARETH  ALLA  RESA

 

Il feldmaresciallo Kesserling, comandante delle forze aeree e terrestri tedesche dislocate nel Mediterraneo, senza attendere l’esito delle trattative in corso, tra Berlino e il maresciallo Petain, Capo del Governo francese di Vichy, volte ad ottenere l’uso pacifico delle basi militare francesi in Africa, trasferì  tempestivamente le forze italo-tedesche dislocate in Corsica e nell’Italia meridionale facendole a mezzo aerei trasportare, nei giorni 10 e 11 novembre, a

Tunisi.

Questo primo e modesto contingente, comprendente anche il 5° reggimento paracadutisti al comando del ten. colonnello Koch, prese posizione a Tunisi, città di 220 mila abitanti, che al momento era presidiata da una guarnigione di 12 mila soldati francesi agli ordini del generale Barre, comandante della piazzaforte, che non oppose alcuna resistenza.

 

Completata l’occupazione dei due aeroporti di Tunisi, incominciarono ad arrivare i famosi Junkers 52 da trasporto, che sbarcarono altre truppe e gli indispensabili rifornimenti; contemporaneamente giunsero aerei da caccia e bombardamento (i famosi Stukas, abbreviazione di “Sturzkampfflugzen” aerei da bombardamento in picchiata), il 155°Gruppo da caccia italiano con i suoi Macchi 202, che incominciarono già dal giorno 10 ad operare insieme ai bombardieri, attaccando il porto di Algeri e di Bougie, ove affondarono 3 navi da carico (Cathay, Awatea e Karania), fu danneggiata la nave da guerra americana “Tywald“ ed un pontone galleggiante adibito come artiglieria contraerei. Stabilita una testa di ponte attorno a Tunisi,i paracadutisti tedeschi occuparono Biserta, dove erano acquartierati ben 14.000 marinai francesi, sotto il comando dell’ammiraglio Derien il quale, come il generale Barré, non oppose resistenza (in seguito Barré si unì agli Alleati). Il giorno 18 novembre, paracadutisti tedeschi (due compagnie) occuparono, dopo una breve resistenza francese, l’aeroporto di Gabes e la città. A pochi giorni di distanza da quella occupazione, la città venne presidiata da due battaglioni della divisione Superga appena sbarcati al comando del generale Lorenzetti. Nello stesso tempo, altri reparti di  paracadutisti tedeschi presero possesso di tutti gli aeroporti ancora disponibili in Tunisia.

 

Nei giorni 18 e 19 novembre sbarcava nel porto di Biserta, un battaglione arditi paracadutisti dell’aviazione italiana, al comando del ten.colonnello Edvino Dalmas, seguito dal 10°reggimento bersaglieri, un battaglione della “Milmart”  (Milizia Artiglieria Marittima) e il reggimento S.Marco con i battaglioni : “Grado“-“Bafile“-“Caorle”. Questi tre battaglioni erano la cosiddetta fanteria di marina e provenivano: il “Grado” dalla Corsica, dove aveva assicurato, sino ad allora, una testa di ponte, mentre gli altri due battaglioni arrivavano dalla Sardegna e da Trapani. Altri reparti italiani erano frattanto giunti in Tunisia imbarcati su nostri cacciatorpediniere e comprendevano parte della divisione Superga, reparti minori e il XXX Corpo d’armata italiano affidato al comando del generale Sogno.

I battaglioni “Bafile“, “Caorle” e “Milmart”, presero posizione, nei giorni 28-29 novembre, nella zona di Metline e in seguito a Capo Bon come difesa costiera, mentre il “Grado“ venne dislocato nella zona di Uadi Mejerda, tra Biserta e Tunisi a protezione del tergo della 10^divisione corazzata tedesca, appena sbarcata al comando del generale Fisher, sostituito poi dal generale von Broick. A dicembre del 1942, il Grado fu posto a difesa di Kairouan, minacciata dalle truppe francesi.

 

Sempre in quei giorni, altri aerei italo-tedeschi partendo dagli aeroporti di Sidi Ahmed (Biserta) e di El Alouina (Tunisi) da poco occupati, effettuarono bombardamenti su Algeri, Bona e Bougie; ma già dal 12 novembre, 6 aerosiluranti italiani, alzatisi in volo dalla base aerea di Castelvetrano ( Sicilia ) avevano attaccato il porto di Bougie (Algeria), affondando diverse navi da carico e due cacciatorpediniere (era stato impegnato il 132°gruppo autonomo aerosiluranti, formato dalla 281^e 278^ squadriglia al comando del maggiore Buscaglia). In quella azione l’unico aereo abbattuto dagli Spitfire inglesi fu proprio quello del comandante Buscaglia.

Nel settimo capitolo di questo libro, ove ho tracciato, sia pur brevemente, la storia militare di reparti che si distinsero nella guerra in Africa Settentrionale, un posto d’onore è riservato alla specialità aerosiluranti.     

                         

Ritornando alle operazioni nel Nord Africa ( MAPPA N°26 ), seguiamo le vicende della 1^Armata inglese al comando del generale Kenneth Anderson, che nel novembre 1942 avanzò verso Biserta ma venne fermata dai paracadutisti tedeschi e italiani i quali a Tabarka inflissero gravi perdite a quella Grande Unità. Infatti in quei duri scontri, gli inglesi dovettero ripiegare sul confine algerino da dove erano partiti ed in quella battaglia venne ferito il comandante dei paracadutisti italiani Dalmas.

Il generale Anderson non desistette dalla pressione e riprese a fine novembre una nuova azione contro le postazioni tedesche, ma più a Sud nella zona di Mateur - Mediez el Bab (oggi Mejl el Bab ) e rincarò l’attacco con l’intenzione di aprirsi la strada verso Tunisi. Anche in tale operazione dovette affrontare l’accanita resistenza dei paracadutisti della Regia Aeronautica, dei marò del battaglione “Grado“ e del reggimento paracadutisti tedeschi di Kock.

A supporto del generale inglese, accorsero sul posto una brigata della Guardia britannica e la 1^divisione corazzata americana, al comando questa del generale Orlando Ward, le quali riuscirono ad aprire un varco nelle difese italo-tedesche, dando così la possibilità agli inglesi di riprendere l’avanzata in forze verso Tunisi. Il 2°battaglione corazzato della 1^divisione americana, occupò l’aeroporto di Gedeida. Con tale conquista la strada per Tunisi era praticamente libera: infatti le avanguardie americane giunsero sino alle porte della città e quando ormai si sentirono sicure di conquistarla, i famosi cannoni da 88 da poco montati sui carri armati “Tigre“, giunti in Tunisia da pochi giorni con la 10^divisione corazzata, entrarono in azione arrestando l’avanzata delle forze corazzate anglo-americane da indurle, dopo diversi giorni di combattimento, a ritirarsi abbandonando anche l’aeroporto di Gedeida. (1)      

 

Gli anglo-americani in quella battaglia non poterono beneficiare dell’apporto  della loro aviazione, in quanto bloccata negli aeroporti per le avverse condizione atmosferiche che in quei giorni imperversavano su tutta la Tunisia.

Quella fortunata battaglia, consentì al generale Walter Nehring, di rafforzare e ampliare la sua linea di fronte, che divise in due settori: a Nord i tedeschi da Dyebel Abiod sino a Enfidaville con il 5°reggimento paracadutisti e la 10^divisione corazzata; a Sud da Enfidaville sino a Gabes il settore italiano: con la divisione Superga ormai completa negli organici, il battaglione paracadutisti R.A.,il battaglione “Grado“ del S.Marco che con il 10°reggimento bersaglieri tenevano la posizione di Sousse ( Susa ). A seguito di una nuova impostazione difensiva, il generale Nehring intercalò tra i reparti italiani truppe tedesche. Si ripeteva in sostanza la stessa manovra che Rommel aveva adottato in Cirenaica e in Egitto.

 

Sempre nello stesso periodo di tempo, circa 500 soldati americani tentarono uno sbarco a Capo Serrat, con l’intenzione di portarsi nei pressi di Biserta, onde poter creare una testa di ponte in vista di un eventuale sbarco alleato in quel porto. Il generale Nehring, essendo venuto a conoscenza della modesta consistenza degli avversari, mandò loro contro un solo battaglione di paracadutisti tedeschi, che respinsero quel tentativo di sbarco catturando quasi tutti i suoi componenti.

Il 30 novembre, 150 paracadutisti americani, furono lanciati sull’aeroporto di Gedeida con l’intenzione di riconquistarlo. Anche questa impresa cadde nel vuoto, grazie al pronto intervento della 190°compagnia esplorante corazzata tedesca, di un reparto della divisione Superga e del 1° battaglione d’assalto della R.A.

Per non dar tregua agli anglo-americani, il generale Walter Nehring decise di attaccare il 1°dicembre le forze nemiche che si erano attestate nella zona di Tebourba, a poche decine di chilometri da Tunisi ( MAPPA N°27 ). Con le forze che in quel momento aveva a disposizione, oltre alla 10^panzedivision, ai paracadutisti di Koch, entrarono in azione, reparti della divisione italiana “Superga“, il battaglione “Grado”,il 7°reggimento corazzato, il 10°reggimento bersaglieri motociclisti,il 10° battaglione di fanteria della divisione Trieste, reparti della divisione Centauro e la 50^brigata speciale Imperiali, dal nome del suo comandante. Questa particolare grande unità comprendeva: il raggruppamento esplorante corazzato “Lodi“, il gruppo corazzato Squadroni “Aosta”, il V battaglione CC.NN.,il XV battaglione carri armati M.14, il XXXIII battaglione Guardia alla Frontiera e il LX battaglione mitraglieri. Il generale Nehring racimolò anche alcuni battaglioni di fanteria tedesca e tutta l’artiglieria disponibile in quel momento (erano solo 125 cannoni); prese pure di rinforzo la guarnigione che era di presidio a Tunisi, lasciando a difesa della città e del porto appena trenta uomini; con questa forza di poco superiore a 26.000 uomini e con 159 carri armati mosse all’attacco di Tebourba.

La battaglia durò 5 giorni e si concluse con la vittoria italo-tedesca. Vennero catturati 1.100 prigionieri, distrutti 134 carri nemici, 47 aerei furono abbattuti e la 1^divisione corazzata americana, che aveva attaccato Tebourba dal Sud, subì gravissime perdite.

 

La battaglia di Tebourba fu molto importante, poichè oltre che addurre al consolidamento della prima testa di ponte ed a un avanzamento della linea difensiva, costrinse gli alleati a ritornare sulle posizioni di partenza e ad abbandonare il piano di conquistare Tunisi.

Alla sconfitta alleata contribuirono,la potenza dei cannoni tedeschi da 88 che potevano sparare da distanze di sicurezza, il valore combattivo delle truppe italo-tedesche ed infine le difficoltà logistiche nemiche. Per gli americani era eccessiva la lontananza dai loro centri di smistamento, che si trovavano nella zona di Algeri a circa 600 Km. dal fronte; mentre gli inglesi non potevano disporre dei porti più vicini al fronte, quali quelli di Bougie e di Bona, in quanto erano quotidianamente sottoposti a massicci bombardamenti dell’aviazione tedesca e italiana. Risultò così che gli alleati si trovarono a corto di rifornimenti e dovettero desistere dai loro propositi offensivi.

 

Con gli sbarchi alleati in Marocco e Algeria, per le truppe dell’Asse veniva ad aprirsi un secondo fronte, ancora più pericoloso di quello dell’8^Armata che  avanzava ormai alla conquista di Tripoli e che presto sarebbe entrata in Tunisia dal Sud; fronte pericoloso per la sua vastità, che le truppe italo-tedesche dovevano reggere, per una ampiezza di 650 Km. che dalla costa di Dyebel Abiod  arrivava al Mareth.

 

Frattanto dal 12 al 18 gennaio 1943, il Presidente americano Roosevelt, il Primo Ministro inglese Churchill e i generali francesi Giraud e De Gaulle, s’incontrarono a Casablanca per stabilire il futuro delle loro operazioni di guerra. Tra queste ebbe priorità l’invasione dell’Italia, per cui fu stabilita la data e il luogo di sbarco alleato in Sicilia. Quella decisione fece nascere contrasti tra gli Stati Maggiori inglese, americano e francese. Gli americani sostenevano lo sbarco in Sicilia, gli inglesi, che in un loro precedente piano avevano stabilito uno sbarco sulle coste siciliane, ora erano più propensi ad effettuarlo in Sardegna. Prevalse la tesi americana, quindi sbarco in Sicilia.

 

Il 23 gennaio 1943 l’8^Armata aveva occupato Tripoli. Il generale Montgomery sostò in quella città con il grosso delle sue truppe, lasciando che le sue avanguardie inseguissero e tenessero impegnata l’Armata di Rommel in parte già entrata in Tunisia (15^e 21^panzerdivision). Il comandante dell’8^Armata in attesa che venisse ripristinato il porto, che genieri italiani e tedeschi prima di ritirarsi avevano reso inutilizzabile affondando  molte navi da carico alla stretta imboccatura, dette alle sue truppe la possibilità di un meritato riposo e anche di ricevere i sentiti elogi da parte del Primo Ministro Churchill che era giunto a Tripoli per conferire maggiore prestigio al risultato dell’operazione dell’8^Armata.

Montgomery, che conosceva l’importanza di avere alla proprie spalle un solido  sostegno logistico, ritenne opportuno non proseguire l’avanzata consapevole del fatto che il porto di Bengasi dal quale potevano essere sbarcati tutti i rifornimenti alle sue truppe, distava oltre 1.200 Km. da Tripoli. In attesa che venisse ripristinato il porto di Tripoli, decise quindi che soltanto poche forze tallonassero la retroguardia di Rommel, ingaggiando piccoli scontri a Zuara e Ben Gardane  o Ben Guerdane, scontri che si protrassero sul confine tunisino sino ai primi di febbraio. Quella sosta dette la possibilità all’Armata italo-tedesca di creare una linea di difesa nella zona del Mareth, anche se a Rommel quella linea difensiva appariva vulnerabile: egli infatti avrebbe preferito fortificarsi sull’Uadi Akarit.                    

La linea difensiva fortificata dell’Armata di Rommel al Mareth, era stata costruita dai francesi qualche anno prima dello scoppio delle ostilità. Ben fortificata e organizzata in tutta la sua lunghezza di oltre 30 chilometri, comprendeva una serie di fortini, intervallati da nidi di mitragliatrici con

ostacoli anticarro e reticolati ed era ancora efficiente anche se in parte le opere difensive erano state smantellate per ordine della nostra Commissione di armistizio.

All’estremità Nord di queste difese, verso il mare, vi era un’ampia distesa di paludi acquitrinose salate, difficilmente superabili anche da reparti appiedati; inoltre due Uadi, quello di El Zezzar e l’altro di Zigzaou, il più esteso e strategicamente importante per le sue sponde scoscese, costituivano  di per se un valido ostacolo anticarro. Alla estremità opposta, verso l’interno, vi erano i monti di Matmata. Secondo i francesi, quando costruirono quella linea difensiva, quei monti dovevano essere l’ostacolo naturale che non permetteva un aggiramento da parte nemica, aggiramento che invece gli inglesi effettuarono con un largo raggio quando sferrarono a marzo il loro attacco definitivo. Anche Rommel aveva previsto un possibile aggiramento degli inglesi in quel tratto di fronte, tanto che pose a difesa del passo di Tebaga, tra Gebel Tebaga e l’estrema punta Nord dei monti Matmata, all’altezza di El Hamma, il raggruppamento sahariano, parte della divisione Pistoia e la sua 164^divisione leggera, comandata dal generale Lungershausen.

 

Frattanto nei comandi italiani e tedeschi erano avvenuti nuovi cambiamenti: a Nord della Tunisia, a metà dicembre 1942, il generale Nehring, che aveva fermato l’avanzata inglese su Tunisi con il suo modesto 90°corpo d’armata, venne richiamato in Germania e sostituito con il generale Jurgen von Arnim (si parlò di un richiamo diplomatico, dovuto a contrasti con il generale Lorenzelli, comandante della divisione Superga e con lo stesso feldmaresciallo Albert Kesselring).

A Sud il 31 gennaio 1943, il maresciallo Bastico fu anch’esso richiamato in Patria per assumere altro importante incarico ed al suo posto, giunse in Tunisia il generale Giovanni Messe, il valoroso comandante del C.S.I.R. (Corpo di Spedizione Italiano in Russia)

 

Agli inizi del mese di febbraio, venne formata la 1^Armata italiana al comando del generale Messe, che aveva alle proprie dipendenze il XX e XXI Corpo d’armata e parte del DAK. La 1^Armata veniva ad affiancarsi alla 5^Armata tedesca, già costituita e formata da truppe tedesche, nella quale era stato incorporato il XXX Corpo d’armata italiano del generale Sogno. La 5^Armata era stata posta,  agli ordini del generale Jurgen von Arnim, che per assumere quel comando aveva ceduto quello del 39°Corpo d’armata dislocato in Russia; vice comandante il generale Ziegler.

 

Tale G.U. era stata costituita a fine dicembre  con nuovi rinforzi  e assorbendo il 90°Corpo d’armata di Nehring con la 21^ panzerdivision del DAK in quel momento comandata dal colonnello Hidelbrandt che aveva sostituito il generale  von Randow, caduto in combattimento durante la battaglia di El Alamein.

Le due Armate così costituite vennero a formare il gruppo Armate “Africa” e poste sotto il comando di Rommel.

Agli inizi dello operazioni in Tunisia così erano  schierate le seguenti forze contrapposte:

ASSE – 100 battaglioni di fanteria         ALLEATI – 107 battaglioni  fanteria

       564 cannoni campali                          1000 cannoni campali

       804 cannoni controcarro                       910 cannoni controcarro

       330 carri armati                              950 carri armati

        93 autoblindo                                25  autoblindo

       284 cannoni contraerei                        230 cannoni contraere

      1100 aerei                                    2400 aerei  

Il 3 gennaio 1943, von  Arnim  al fine di rinforzare la testa di ponte già consolidata da Nehring, sferrò il suo primo attacco contro i francesi che tenevano le posizioni collinose di Fonduk, riuscendo a conquistarle. La 1^divisione americana del II°C.A., che era corsa in aiuto dei francesi fu respinta con gravi perdite. Con altre sorprendenti azioni su passo El Fejlj (Faid), von Arnim riuscì a consolidare la sua linea difensiva che partiva da

Dyebel Abiod, sulla costa e arrivava a Sud  oltre Gabes.

 

Fra dicembre e febbraio, la 5^Armata tedesca ebbe nuovi rinforzi: giunsero in Tunisia, la divisione “Hermann Goering“ al comando del generale Schmid, un raggruppamento di artiglieria pesante, l’86°reggimento corazzato granatieri, il 754°reggimento di fanteria, la 334^divisione di fanteria tedesca, la 990^divisione di fanteria. Pare che quest’ultima divisione fosse composta da elementi prelevati nelle prigioni militari tedesche; essa si coprì di gloria nelle varie battaglie in Tunisia. Da parte italiana, alla 1^Armata vennero aggregati il XXX Corpo d’armata i resti della divisione “Superga“, ora comandata dal generale Gelich, il 29° raggruppamento Artiglieria di C.A.,il 3°reggimento Artiglieria contraerei, alcuni battaglioni di CC.NN ( Camicie Nere ).

 

A febbraio la 5^Armata di von Arnim comprendeva 3 divisioni corazzate: la 10^,la 21^e la “Hermann Goering“, più 3 divisioni di fanteria: la 990^,la 334^ e a metà febbraio, la divisione “von Manteuffel“, alla quale poi furono aggregate: il 10°reggimento bersaglieri, il reggimento “Volontari tunisini“, il 5°reggimento paracadutisti tedeschi e il 20°gruppo di artiglieria. Alla 5^Armata fu aggiunto anche il gruppo “Weber“, dal nome del suo comandante, che comprendeva il 47°reggimento di fanteria corazzata e il 501°gruppo carri armati “Tigre “. Il gruppo Weber venne poi aggregato alla 334°divisione.

A marzo giunse in Tunisia anche la 19^divisione Flak.                     

Merita ora conoscere meglio il reggimento “Volontari tunisini”.

Come ho già annunciato nel 3°capitolo di questo libro, il reggimento era composto da giovani ancora di nazionalità italiana, ma anche da alcuni che avevano chiesto la cittadinanza francese per esigenze di lavoro quando la Tunisia era ancora protettorato francese. Questi ostilità, riuscirono a

lasciare la Tunisia piuttosto avventurosamente per arruolarsi volontari nell’esercito italiano; altri lo fecero dopo l’armistizio della Francia. Quasi tutti erano nati in Tunisia.

 

Quando nel novembre del 1942, la guerra coinvolse il territorio tunisino, quei giovani chiesero di andare a combattere, con le forze italo-tedesche, nella terra natale. Tra costoro vi era anche il numeroso gruppo che aveva frequentato il corso da paracadutisti per essere impiegato, in un eventuale lancio in Tunisia dietro le linee nemiche, al fine di raccogliere preziose informazioni militari. Costoro infatti avevano una profonda conoscenza del territorio e delle lingue e dialetti, nonché degli usi e costumi della popolazione locale. Lo Stato Maggiore dell’esercito tenne conto di questo loro ardente desiderio di servire la Patria e costituì un reggimento, che prese la denominazione di “Volontari tunisini“ e a fine gennaio del 1943 fu inviato in Tunisia; a quel reggimento si aggiunsero altri giovani italiani tunisini rimasti, nonostante la guerra, in Tunisia e che erano stati internati.

 

Il reggimento venne prima aggregato alla 5^Armata, distinguendosi tanto da meritare molte decorazioni tedesche; infine passò al XXX C.A. italiano sino alla resa. Ho inteso citare questo reggimento, per lo più ignorato dalla storiografia militare riguardante le operazioni di Tunisia, in quanto due miei primi cugini, i Santino, ne fecero parte subendo dopo la resa anche la prigionia in America. Nell’estate del 1943, in una località vicino Roma venne costituito un reparto d’assalto con altri volontari tunisini.

 

Tra febbraio-marzo, le forze italo-tedesche dislocate in Tunisia comprendevano circa 225.000 uomini, di questi 49.000 italiani e 28.000 tedeschi erano agli ordini di Rommel nel Sud della Tunisia, mentre le rimanenti forze restavano incorporate nella 5^armata. In quel periodo i tedeschi erano riusciti a trasportare in Tunisia per via aerea altri 40.000 uomini e 14.000 tonnellate di rifornimenti,il che costò all’aviazione tedesca la perdita di molti aerei.

 

La linea del Mareth ( MAPPA N°28 )a metà febbraio era tenuta dal DAK e da 5 divisioni italiane del XX e XXI Corpo d’armata, così disposte: dalla costa verso l’interno la 136^divisione Giovani Fascisti, comandata in quel momento dal generale Nino Sozzani, alla quale si era aggiunto quanto restava del 12°reggimento bersaglieri della disciolta divisione Littorio; seguivano il 9°battaglione della Guardia alla frontiera, un reggimento di artiglieria, la divisione Trieste con altri superstiti dell’Ariete e il 285°battaglione Folgore, che era stato aggregato alla Trieste; in posizione più centrale erano schierati: la 90^divisione leggera tedesca, agli ordini del generale von Sponeck, con ai suoi lati la I brigata Luftwaffe, il reggimento “Cacciatori d’Africa” e la divisione La Spezia; lungo il versante dei Monti Matmata (pomposamente descritti come monti ma in realtà non erano altro che  alture di modesta altitudine, dai 400 ai 600 metri), vennero attestate da Sud al Nord, come sopra già descritto: il raggruppamento Sahariano di circa 6.000 uomini, composto dai superstiti delle divisioni libiche e dei reparti sahariani, dal VI battaglione CC.NN.,da un reparto della divisione Savona con il CCCXLIX gruppo di artiglieria pesante e da 7 autoblindo della P.A.I. Il tutto al comando del generale Mannerini, la divisione Pistoia e come supporto la 164^divisione leggera tedesca.

                                                                                Il rincalzo mobile di questo schieramento venne costituito dalla 15^panzerdivision e da una parte della divisione Centauro, ancora non completamente riorganizzata, mentre la 21^panzerdivision era salita al Nord del paese passando alle dipendenze della 5^Armata di von Arnim.

 

Un emozionante episodio merita di essere ricordato. Durante la ritirata sul confine tunisino, il maresciallo d’Italia Bastico, radunò i soldati libici, incorporati nel nostro esercito e dopo un commosso commiato li sciolse dal giuramento all’Italia e li congedò; molti non accettarono il congedo e continuarono a combattere in Tunisia sotto la bandiera italiana, fornendo un contributo di vite e di sangue ed i superstiti affrontarono la prigionia; all’atto del rimpatrio, gran parte di essi chiese di rimanere in Italia ove si stabilirono definitivamente. Come italiano di Libia ed ex combattente partecipo sovente ai Raduni delle nostre Associazioni ed ho avuto occasione di avvicinare molti di questi valorosi soldati che si sono sempre sentiti italiani e che ai figli hanno insegnato l’amore per l’Italia.

Quando nel 1947 rientrai definitivamente in Libia, dopo la mia espulsione del 1946, voluta dalla Amministrazione militare inglese per avere organizzato una cerimonia al cimitero di Hammangi in onore dei Caduti italiani del 2° Conflitto e ivi sepolti, venni avvicinato da diversi ex paracadutisti libici, i quali sapendo che anch’io ero un ex paracadutista, orgogliosi mi mostravano le loro decorazioni al valore Militare, che si erano guadagnate nel corso della guerra in Libia e ricordavano con stima e simpatia i nomi dei loro ufficiali .

 

Nella prima decade di febbraio Rommel attuò, con il DAK, la 1^e la 5^Armata, un piano di un audacia straordinaria che poteva scaturire solo dalla mente di questo eccezionale comandante. Egli aveva calcolato che Montgomery, prima di marzo non era nelle condizioni di riprendere l’offensiva nel Mareth. Onde evitare di essere aggredito alle spalle dagli americani, che già si trovavano in territorio tunisino nella zona di Gafsa e certamente avrebbero puntato su Gabes per dividere in due tronconi lo schieramento italo-tedesco, tagliando i collegamenti con la 5^Armata di von Arnim, Rommel presi accordi con von Arnim e con il generale Messe, decise di sferrare un attacco da due direzioni: a Sud, partendo dalla zona di El Guettar, con il DAK, la 15^panzerdivision, la divisione Centauro, la divisione Pistoia e alcuni raggruppamenti italo-tedeschi con obiettivo prima Gafsa poi Kasserine; mentre a Nord la 5^Armata, doveva iniziare l’offensiva da passo El Fejij (Faid), con la 21^e 10^panzerdivision, puntare su Sbeitla conquistandola per poi avanzare sino a Kasserine e così congiungersi con il DAK.; da quella posizione le due Armate, con le loro forze riunite,avrebbero dovuto occupare Tebessa, sul confine algerino e oltrepassarlo. Successivamente le due forze si sarebbero dovute dividere: Rommel marciando direttamente su Constantine, mentre l’obiettivo di von Arnim sarebbe stato quello di puntare su Bona. La data d’inizio dell’offensiva fu stabilita nel giorno del 14 febbraio. (la MAPPA N°29 descrive chiaramente la battaglia di Kasserine)

 

Il piano era ben congegnato ma subito dopo sorsero contrasti tra i due generali  tedeschi, contrasti che portarono al fallimento dell’azione. Il 14 febbraio, alle ore 4 del mattino, la 5^Armata iniziò l’offensiva su El Fejij  contro la 1^divisione di fanteria americana e le truppe francesi le quali presidiavano quella zona. Le forze alleate attaccate di sorpresa furono costrette a ritirarsi subendo gravi perdite: la divisione americana ebbe 150 carri armati distrutti, oltre 100 morti e 1.600 prigionieri.

Ma il generale Ziegler, vice di von Arnim, che in quel momento comandava le operazioni, invece d’inseguire il nemico e non dargli tregua, adottò misure di cautela, rallentando la sua avanzata nonostante che Rommel lo avesse sollecitato a procedere senza indugi. Infatti quel rallentamento dette la possibilità al generale Fredendall, comandante il 2°C.A. americano, di concentrare le sue forze a Sbeitla, che era il secondo obiettivo di conquista da parte della 5^Armata. Il generale Ziegler occupata Sidi Bouzid nella serata del 14, aveva ora come altro obiettivo Sbeitla, che distava da Sidi Bouzid appena 40 Km. Impiegò ben due giorni a percorrere quei pochi chilometri, mentre quella distanza poteva essere colmata in poche ore in quanto da Sidi Bouzid a Sbeitla non esistevano più ostacoli. Gli americani e i francesi in quei due giorni di tregua erano riusciti a concentrare a Sbeitla quasi tutte le loro forze. La battaglia per la presa di  quella città fu molto aspra, tanto che la 21^panzerdivision di Ziegler  subì  molte perdite e solamente nella serata del 17-18 riuscì a conquistare la città.  Nella battaglia di Sbeitla, l’unica grande unità tedesca che riuscì a contenere le perdite, fu la 10^ panzerdivision in quanto poco impegnata, avendo avuto funzioni di copertura.

 

Ferme furono le rimostranze di Rommel poichè se Ziegler avesse progredito tallonando senza sosta il nemico, le forze degli alleati non avrebbero avuto  tempo e possibilità  di attestarsi a Sbeitla e la città così indifesa sarebbe caduta senza spargimento di sangue tedesco. Ma ormai, a causa di quello inadempimento operativo, il piano di Rommel era fallito.

 

Al Sud, il DAK di Rommel con la 15^panzerdivision, la divisione Centauro e alcuni reparti italiani della 1^Armata, iniziavano il 15 febbraio l’offensiva dal settore di El Guettar; il 16 conquistavano senza alcuna perdita la città di Gafsa, in quanto gli americani avevano deciso di evacuarla ritirandosi su Feriana, località questa che dovettero abbandonare dopo uno scontro con il DAK.

Mentre Rommel puntava su Kasserine che occupò il 18, poco più a Nord la 5^Armata di von Arnim, dopo la conquista di Sbeitla, aveva preso altra direzione: la 21^panzerdivision occupò la città di Sbiba, mentre la 10^, a causa di quel disastroso ritardo, solo il giorno 20 febbraio raggiunse la zona di Kasserine,  riuscendo così a congiungersi con il DAK., ma fu solo la 10^panzerdivision  a raggiungere Kasserine, mentre invece secondo la panificazione operativa di Rommel anche la 21^ vi doveva giungere contemporaneamente alla 10^.

Nell’attesa dell’incontro con la 5^Armata, Rommel al fine di saggiare le posizioni americane sul confine algerino, mandò un raggruppamento esplorante e parte della Centauro, agli ordini del generale Buelowis, in ricognizione verso Bou Chebka e Tebessa, ma queste formazioni dovettero ritirarsi in quanto attaccate improvvisamente da consistenti forze dalla 1^divisione corazzata americana. Rommel, il cui obiettivo era la conquista di Tebessa, situata ad Ovest del confine algerino, che aveva acquisito importanza strategica, come base aerea americana, per il rifornimento alle truppe anglo-americane, rifornimenti che affluivano da Algeri, chiese al generale von Arnim di concentrare a Kasserine anche la 21^panzerdivision ferma a Sbiba, così con l’apporto di quella G.U. corazzata e con la 10^, gli alleati non avrebbero potuto contrastare l’avanzata dell’Asse, Tebessa sarebbe stata occupata e il piano di Rommel di conquistare Bona e Constantine avrebbe avuto pieno successo. Sorsero tuttavia altri contrasti: von Arnim non volle cedere a Rommel le sue divisioni, al punto che tolse da Kasserine la 10^ panzerdivision, riportandola a Sbiba, mentre dirottò la 21^su Thala.

 

Sorprende non poco l’eccessiva libertà d’azione di von Arnim nei confronti di Rommel, considerando oggettivamente che il feldmaresciallo era pur sempre il comandante in capo del fronte tunisino e poteva imporsi autorevolmente sui suoi dipendenti.

  

In tal modo Rommel si trovò isolato. Tentò un attacco su Tebessa, ma venne respinto dalle soverchianti forze americane: disponeva soltanto di 26 carri armati Mk.IV e 23 M.14 della divisione Centauro, contro le centinaia di carri Sherman. Anche in quella battaglia la Centauro e la Pistoia dettero un grosso contributo di sangue. A Nord di Kasserine, la 5^Armata subì duri attacchi, la 21^panzerdivision che si trovava a Thala venne attaccata dalla XXVI brigata corazzata inglese, mentre la 10^ a Sbiba dovette affrontare gli attacchi della  I brigata corazzata anch’essa inglese. Questa la dimostrazione di quanto quel frazionamento di forze fu esiziale.

 

Il 27 febbraio la vittoriosa avanzata di Rommel su Kasserine era finita, le armate italo-tedesche erano state costrette a ripiegare sulle loro posizioni di partenza. Il grande sogno di Rommel svanì per la incapacità difensiva di von Arnim, per la confusa tattica del generale Ziegler, ma anche per l’inspiegabile atteggiamento del Comando supremo tedesco del Mediterraneo, il quale non volle assecondare Rommel nel suo progetto che, se attuato, avrebbe certamente messo in serie difficoltà tutte le posizioni tenute dagli alleati in Tunisia. Forse non si sarebbero risolte le sorti della guerra in Africa con una vittoria degli italo-tedeschi, ma Rommel avrebbe almeno riscattato l’amara sconfitta subita dai tedeschi a Stalingrado ed avrebbe aumentato il suo prestigio. Una cosa fu certa: nel Quartiere generale di Eisenhower e presso i comandi del 2°C.A. americano e in quello inglese, si venne a creare, durante le avanzate tedesche, molta apprensione quasi a sfiorare il panico tra la truppa, specie in quella americana che era alle prime armi e in Tunisia ebbe il battesimo del fuoco

Gli insuccessi iniziali degli alleati nella battaglia di Kasserine furono dovuti, oltre al fatto che i tedeschi misero in linea una nuova efficace arma appena giunta dalla Germania: si trattava di un lanciarazzi a 6 bocche che lanciava missili a frammentazione, creando grande panico tra le truppe alleate, meglio conosciuto come “Nebelwerfer“ ed era simile alla Katiuscia sovietica; inoltre altri inconvenienti degli alleati, furono dovuti al fatto che le loro truppe erano frammiste ed avevano comandanti i quali agivano senza preventivo coordinamento. Un esempio eclatante: il generale Koeltz che comandava il XIX C.A. francese, pur avendo le sue truppe nei settori inglese e americano, non accettava ordini né da Anderson comandante la 1^Armata inglese, né da Fredendall comandante il 2°C.A. americano, ubbidiva esclusivamente agli ordini del generale francese Juin.

 

Quando a fine febbraio il generale Alexander prese il comando di tutte le operazioni militari sul territorio tunisino, si creò finalmente un certo ordine nei comandi; tutti i vari comandanti di Armata e di Corpo d’armata alleati, dovevano attenersi rigorosamente al suo comando. Vi furono anche delle sostituzioni: il generale Fredendall dovette cedere il comando al generale Patton.

 

Mentre era in corso la ritirata delle truppe dell’Asse da Kasserine, il generale von Arnim nel tentativo di dimostrare la sua capacità professionale e la sua fantasia operativa, volle tentare autonomamente un’offensiva con la sua 5^Armata, ma in un settore più a Nord. Il 26 febbraio con parte della sua armata che non aveva impegnato nella battaglia di Kasserine e precisamente la divisione “Hermann Goering “, la 990^divisione di fanteria, l’86°reggimento granatieri corazzato, i paracadutisti del ten.colonnello Koch, reparti italiani del XXX C.A.,i paracadutisti dell’aviazione italiana e alcuni reparti della divisione Superga, sferrò un attacco su un fronte che partiva dalla costa di Dyebel Abiod - Beja - Mateur  sino a Mediez el Bab.

Dal 26 febbraio al 4 marzo gli scontri che si svolsero in quel settore non apportarono al consolidamento di posizioni da parte dei contendenti; fu un continuo avanzare e ritirarsi in  condizioni meteorologiche pessime che resero inutilizzabile l’apporto dei carri armati, in quanto nel terreno pantanoso i mezzi corazzati restavano immobilizzati.

 

Il generale von Arnim nello sferrare l’attacco in quel settore, pensò di bloccare ogni iniziativa della 1^Armata inglese di avanzare verso Biserta e Tunisi (già nel novembre-dicembre del 1942, il generale Anderson, aveva tentato inutilmente la conquista di Tunisi).

E’ doveroso riconoscere nella battaglia di Kasserine, l’eroico comportamento delle truppe del DAK, i famosi veterani d’Africa che per anni avevano combattuto nel deserto, mentre in Tunisia si trovarono ad affrontare un terreno quasi montagnoso e pur adattandosi con difficoltà combatterono con risolutezza.

Non bisogna dimenticare peraltro il valore del soldato italiano in quella battaglia. La divisione Centauro si distinse in particolare e specialmente il 7°reggimento bersaglieri comandato dal colonnello Bonfatti che cadde eroicamente

a Kasserine; il battaglione “Grado“ non fu da meno, aveva avuto un compito estremamente difficile, doveva espugnare e quindi sbloccare il munitissimo “valico” di Tefifila, che  truppe americane e francesi tentavano di difendere ad ogni costo; la conquista di quel valico, apriva infatti la strada per l’Algeria.  Era un varco obbligato, tra Jebel Alfa e Jebel Bou Dabbous.

 

Dopo strenua lotta, che costò perdite al “Grado“, che peraltro catturò due interi reparti algerini, quel valico o “Passo” con abile azione notturna fu espugnato, dando così alla 10^divisione corazzata tedesca la possibilità di avanzare. E’ doveroso citare l’eroico comportamento del tenente Rodolfo Pampalone Morisani, che era ufficiale di collegamento del battaglione e proveniva dai Granatieri di Sardegna. Di concerto con il comandante del battaglione “Grado”, tenente di Vascello Ernesto De Brazzi, il tenente  Morisani organizzò e condusse l’attacco notturno che sorprese i difensori nemici del settore ovest del Passo di Tefifila, costituito, come sopra detto, dai due aspri rilievi di Gebel Alfa e Bou Dabouss da settimane invano attaccati dalla Divisione Superga, da bersaglieri e da un reparto di volontari tunisini. Si trattava infatti di posizioni bene fortificate, che si elevavano a oltre 800 metri di altitudine dominando la estesa pianura di Kairouan ove sorgevano basse dune che davano solo un modestissimo riparo ed erano l’unica base di partenza per gli attaccanti. La conquista di quel Passo, sbloccò quella situazione di stasi.   

 

Dopo i fatti di Kasserine, il comando supremo tedesco del Mediterraneo, comandato dal feldmaresciallo Kesselring, onde evitare contrasti di comando come quelli che si erano verificati tra Rommel e von Arnim, decise la costituzione del Gruppo armate “Tunisia“ che incorporava la 5^Armata, il DAK e la 1^Armata italiana. Questo Gruppo di Armate, come sopra detto, venne posto ufficialmente sotto l’unico comando di Rommel che assumendo quella prestigiosa posizione aumentava di prestigio. Rommel a quanto risulta accettò con poco entusiasmo quel comando per due ragioni: sia perchè sin da febbraio sapeva di dovere rientrare in Germania e quindi avrebbe avuto un comando temporaneo, sia ancora per il timore che un insuccesso e la perdita della Tunisia, potessero essere considerati come elementi a suo discredito facendo di lui il capro espiatorio di quella perdita. Già dopo i fatti di Kasserine, Rommel si era reso conto che la resistenza in Tunisia era comunque destinata ad esaurirsi.             

Nonostante questo convincimento e mettendo in ballo la sua reputazione di comandante volle attaccare l’8^Armata al Mareth; ma quella fu l’ultima sua offensiva e anche l’ultimo ruggito di un leone ormai stanco e malandato.

Il generale Montgomery convinto che Rommel dopo Kasserine avrebbe rivolto la sua armata contro le posizioni inglesi di Medenine, rinforzò saggiamente quel settore. Oltre la 7^divisione corazzata  e la 50^divisione scozzese che già a metà febbraio erano sul posto, Montgomery fece arrivare dalla Cirenaica, ove si trovavano a riposo, la 2^divisione neozelandese del generale Freyberg, la 51^divisione di fanteria Highland, la 4^divisione indiana, la 1^divisione corazzata, la CCI brigata Guardie e l’VIII brigata corazzata. A queste forze si aggiunse la colonna francese del generale Leclerc, composta da oltre 2.500 uomini. Il generale Leclerc con i suoi soldati di “Francia libera“ proveniva dall’Africa Equatoriale francese (Ciad) e aveva, sin dal 1941, operato contro i nostri presidi di Cufra, Gialo, Murzuch, Hon, Gat e Gadames. Agli inizi del gennaio 1943 aveva oltrepassato dal Fezzan, il confine algerino e attraverso quel deserto era entrato a febbraio in Tunisia, passando agli ordini della 8°Armata.Il generale Leclerc nel dopoguerra fu mandato, quale capo dell’esercito francese in Indocina per domare, senza riuscirvi, la ribellione di quel popolo. Divenne tuttavia maresciallo di Francia.

Dal 6 marzo, Rommel, che disponeva delle divisioni corazzate 21^-15^ e le divisioni di fanteria italo-tedesche, sferrò ben quattro attacchi su Medenine. Furono due giorni di aspre battaglie. I tedeschi perdettero in quei due giorni 52 carri armati. Il giorno 8 Rommel sospese l’attacco e si ritirò sulle posizioni di partenza. Certamente quello fu il più duro colpo subito da Rommel in tutta la sua campagna africana: infatti il giorno dopo rientrò in Germania, cedendo il comando del Gruppo Armate “Tunisia”. La partenza di Rommel cambiò la struttura negli alti comandi dell’Asse: il DAK veniva posto agli ordini del generale von Arnim, mentre la 5^Armata passava sotto il comando del generale Hans von Vaerst e la 1^Armata italiana aveva finalmente come comando effettivo il generale Messe, anche se con tre settimane di ritardo. La denominazione di Gruppo Armate “Africa” che operò in Libia e Egitto, in  Tunisia venne sostituita con Gruppo Armate “Tunisia”.

Rommel si congedava dal fronte africano dopo due anni di battaglie con esiti alterni. Aveva tuttavia dimostrato grande fantasia operativa nel deserto, insegnando a tutti nuove geniali metodi operativi.

 

Essendo subentrata una nuova situazione, dopo il fallito attacco di Rommel a Medenine, il generale Messe che ormai aveva il comando assoluto di quel settore e sicuramente sentiva imminente un’offensiva definitiva di Montgomery, rinforzò lo schieramento già predisposto da Rommel e avvalendosi delle tre divisioni corazzate tedesche le posizionò come segue: la 21^ al tergo delle truppe di fanteria della 90^divisione tedesca e delle divisioni “GG.FF“. e “Trieste“, mentre tenne come riserva nella zona di Gabes la 15^. La 10^ richiamata dalle posizioni al Nord, fu dislocata di fronte a Gafsa per fronteggiare un eventuale attacco del 2°C.A. americano verso Gabes.

 

Il 17 marzo il generale Montgomery ( MAPPA N°30 )iniziò a muovere le sue truppe con attacchi improvvisi nel settore della “Trieste” e della “Giovani Fascisti“. La 50^divisione scozzese riuscì a sfondare le difese della divisione GG.FF. sulla quale gli inglesi rovesciarono un uragano di fuoco di artiglieria, costringendo i “ragazzi“ di Bir el Gobi, di Buerath e del Mareth a restare inchiodati nei loro appostamenti. Protetta da quegli incessanti bombardamenti,la fanteria inglese avanzò e si aprì un varco di qualche chilometro sull’Uadi El Zigzaou, ma un contrattacco della 21^panzerdivision, della Trieste e del 285°battaglione paracadutisti Folgore (comandante il maggiore Carlo Lombardini), ripresero le posizioni, costringendo gli inglesi a ritornare alle loro basi di partenza.

 

Montgomery volle sfruttare la possibilità di un aggiramento dei monti Matmata e nella notte del 17-18, la 2^divisione neozelandese seguita dall’VIII brigata corazzata della 7^divisione, forzava il Passo di Foum Tutahonine (gli inglesi indicavano quel Passo nelle loro carte come Passo Wider) e attraverso piste desertiche del Dahar, che definivano il versante Sud dei Monti Matmata, giunse nella notte del 19 a Ksar Ghilane occupandola. Il giorno 20 fu la volta di Bir Soltane e in quella zona i neozelandesi si congiunsero con la colonna Leclerc.(2) Frattanto anche la 1^divisione corazzata inglese attraversò il Passo Wider e raggiunse nella notte sul 20 la 2^divisione neozelandese del generale Freyberg avanzando insieme verso El Hamma.

Pur avendo marciato sempre di notte, onde sfuggire alla ricognizione aerea nemica, gli inglesi vennero ugualmente individuati permettendo così al generale Messe di avviare rinforzi a Passo Tegaba. Nonostante quel rafforzamento, il giorno 23, i neozelandesi attaccarono, con l’aiuto della aviazione, le posizioni del raggruppamento Sahariano che difendeva il Passo. Il raggruppamento sottoposto a violenti bombardamenti aerei e terrestri, venne quasi completamente distrutto e, poiché era pressoché privo di automezzi non ebbe la possibilità di arretrare in tempo. Il generale Mannerini decise allora di sacrificarsi sul posto. I superstiti di questo valoroso raggruppamento li troveremo ancora in linea nella battaglia di Uadi Akarit. Nei 3 giorni di furiosi combattimenti, ai quali parteciparono la 164^divisione tedesca, la divisione Pistoia e una aliquota della 15^panzerdivision, che erano state inviate a rinforzare il raggruppamento sahariano, le nostre forze non riuscirono ad arginare l’avanzata nemica, che con il sempre presente aiuto della loro aviazione, la Royal Desert Air Force, riuscirono ad aprirsi un varco dove la 1^divisione corazzata inglese penetrò profondamente verso la piana di El Hamma. Contemporaneamente il generale Patton con il suo 2°C.A. incominciò a premere sulla 10^panzerdivision che combatté disperatamente per impedire che gli americani e gli inglesi, tagliassero alle truppe italo-tedesche la strada della ormai inevitabile ritirata verso il Nord del paese. Secondo fonti inglesi l’esito di quella battaglia portò alla cattura di ben 7.000 prigionieri, tuttavia  riconobbero che i difensori di Passo Tegaba combatterono strenuamente prodigandosi oltre ogni possibilità.

 

Il generale Messe visto che sulla linea del Mareth la pressione di Montgomery  si faceva sempre più pesante e avvertendo che lo schieramento a tergo veniva ad essere minacciato, decise il giorno 27 marzo, pur malvolentieri, di ripiegare su Uadi Akarit ( MAPPA N°31 ).

Per la verità, gli inglesi mai riuscirono a sfondare la linea del Mareth; l’abbandono delle posizioni tenute dalla truppe italo-tedesche fu dovuto al pericolo incombente di essere presi alle spalle e solo tale minaccia, costrinse il generale Messe al ripiegamento.

 

Iniziarono la ritirata, per prime, le divisioni italiane che more solito erano appiedate, mentre la 90^divisione con il 285°battaglione Folgore contrastarono, come retroguardia, l’avanzata dell’8^Armata. Sul fronte di El Hamma, la 15^panzerdivision conteneva a stento l’avanzata della 2^divisione neozelandese e della 1^divisione corazzata  che insieme puntavano su Gabes., mentre nella zona da Gafsa a El Guettar la 10^panzerdivision venne a trovarsi in serie difficoltà contro il 2°C.A. americano di Patton e pur combattendo con coraggio e abilità, non riuscì a proteggere le ali dell’Armata dell’Asse che ormai ripiegava.

 

Tra i giorni 29-30, il generale Messe aveva attestato a difesa su Uadi Akarit, le sue truppe ormai ridotte nel personale e nei mezzi; la 164^ era ridotta sensibilmente come uomini e rimasta con pochi mezzi, la 15^ aveva perduto quasi la totalità dei suoi carri armati; le truppe italiane dopo la ritirata a piedi e sempre sotto la pressione inglese, erano esauste. Soltanto la 90^divisione tedesca era ancora efficiente anche perché al Mareth era stata poco impegnata e nella ritirata ebbe funzioni di retroguardia. Comunque con tale scarsità di forze il generale Messe, si apprestò a difendere il settore fortificato di Akarit.

La linea difensiva stabilita a Uadi Akarit, partiva dalla costa e arrivava sino alle paludi di El Fedjal, per una estensione di circa 30 Km.; il terreno dalla costa sino a 4 Km. nell’interno era relativamente pianeggiante, indi iniziavano le zone collinose formate dai numerosi Jebel, dai nomi di Roumana, El Hachama, El Meida, Fatnassa, attraversabili solo da valichi obbligati che i genieri italiani e tedeschi riuscirono a minare in alcuni punti. Data la modesta disponibilità di mine, a Uadi Akarit i nostri guastatori ne posero solo 8.000. Tutta la scorta era esaurita, una deficienza questa che ci costò molte perdite umane.

La linea difensiva italo-tedesca a Uadi Akarit con i suoi Jebel che la dominavano a Nord del fiume, costituiva una posizione abbastanza difendibile, anche perché dopo Chott El Fedjai e  sino a Chott El Jerid, la distanza fra i due Chott era coperta per moltissimi chilometri da zone paludose inaccessibili per l’8^Armata. L’unico serio pericolo era il 2°C.A.americano che poteva attaccare da tergo l’Armata italiana dalla zona di Gafsa, evento che non tardò a verificarsi. 

Lo schieramento italo-tedesco venne così disposto: la zona piana era tenuta dai Giovani Fascisti che avevano come difesa naturale le ripe scoscese dell’uadi, abbastanza larghe e profonde e costituivano quindi un fossato anticarro naturale. Sul fianco destro dei GG.FF. si schierarono: il 285°battaglione Folgore e la 90^divisione leggera, la divisione Trieste, con avamposti sul Jebel Romana e la divisione La Spezia, sul Jebel Hachama e più a Sud, sul Jebel el Meida- Fatnassa, la divisione Pistoia. Alla estremità di quel sistema difensivo  i superstiti del raggruppamento sahariano e i resti della 164^divisione tedesca. Il generale Messe stabilì, come riserva mobile, le mal ridotte 15^e 21^panzerdivisionen e quanto rimaneva della divisione italiana “Centauro “, comandata ancora dal generale Conte Calvi di Bergolo che, aveva assorbito il 31°battaglione d’assalto, formato dai superstiti carristi della divisione Ariete ormai appiedati. 

Data l’urgenza pochi furono gli apprestamenti delle opere difensive. Dal 30 marzo al 5 aprile, su quel fronte si svolsero brevi combattimenti con esiti alterni: postazioni difensive occupate e riconquistate con attacchi e contrattacchi. In quelle azioni si distinsero per valore tutti i contendenti, una particolare menzione va oltre alla divisione Trieste e alla 136^divisione Giovani Fascisti, anche al 285°battaglione Folgore.

All’alba del 6 aprile, il generale Montgomery sferrò l’attacco decisivo mettendo in campo tutte le sue forze sia terrestri che aeree e impiegando la massa dell’artiglieria di cui disponeva in abbondanza ( oltre 450 cannoni, compreso il famoso cannone pesante campale da 140 mm. che certamente era uno dei migliori pezzi di cui disponeva l’artiglieria inglese, la sua gittata superava i 16 Km. e

impiegava una granata ad alto esplosivo di 37 Kg.; questo cannone devastò le nostre postazioni, lo scoppio della granata, aveva un effetto distruttivo in un raggio di 100 metri. L’offensiva inglese impegnò, contro la zona tenuta dai GG.FF. e dal 285°battaglione “Folgore“, la 51^divisione e la CCI brigata Guardie; venne investita anche una parte della 90^divisione. Al centro la 50^divisione scozzese cozzò contro le difese delle divisioni La Spezia e Trieste, che resistettero per tutta la giornata. In quella battaglia cadde combattendo il generale Pizzolati, nuovo comandante della divisione La Spezia. A Sud del sistema difensivo dell’Asse, la 4^divisione indiana prese d’assalto le posizioni della divisione Pistoia, del raggruppamento sahariano e della 154^ divisione tedesca che rimasero completamente isolati e prive di munizioni e dopo una giornata di aspri combattimenti dovettero cedere. Gruppi isolati del raggruppamento Sahariano continuarono a combattere anche dopo che le truppe italo-tedesche erano in ripiegamento verso Enfidaville.

Il generale Messe per arginare la penetrazione nemica, mise in linea la sua riserva mobile, ma nonostante il sacrificio di quelle unità, non si riuscì ad arrestare l’avanzata degli alleati. La divisione Centauro, pur con i pochi mezzi a disposizione combatté eroicamente e venne in gran parte distrutta. Pochi infatti furono coloro che si salvarono dall’annientamento.

La vera battaglia di Akarit, durò solo due giorni, dal 6 al 8 aprile: furono due giorni di sanguinosi combattimenti. In quella battaglia il raggruppamento sahariano venne quasi del tutto distrutto. Nella serata dell’8 e precisamente alle ore 23, il generale Messe, in pieno accordo con il generale von Arnim, diede l’ordine di ripiegare su Enfidaville. Il ripiegamento notturno non fu facile, causa i pochi automezzi (sempre il solito problema dell’esercito italiano) e per gli scarsi collegamenti tra il comando d’Armata e i vari reparti. La fortuna volle che il generale Montgomery e il generale Patton, comandante del 2°C.A. americano, non insistettero molto nel proposito di contrastare la ritirata della 1^Armata italiana. Frattanto la 4^divisione indiana, la 6^divisione corazzata inglese, la XXVI brigata corazzata e la CXXXVIII brigata di fanteria, nei giorni 7-8 e 9 aprile si erano portati nella zona di Fonduk, con l’intenzione di prendere alle spalle la 1^Armata di Messe,ma trovarono una tenace resistenza da quelle forze italo-tedesche che presidiavano Fonduk, comprendenti il 961°reggimento di fanteria, il 190°battaglione da ricognizione e il 27°battaglione tedeschi ed inoltre due battaglioni italiani: uno del “Grado“ del S.Marco, l’altro della divisione Superga, tutti sotto il comando del colonnello tedesco Fullriede. Quella resistenza costrinse gli anglo-americani a perdere il loro slancio iniziale che li bloccò per un giorno, quanto bastò alla 1^Armata per ripiegare lungo l’unica via costiera rimasta per la direzione Sfax-Sousse (Susa).

 

Il giorno 10 gli alleati ripresero l’offensiva conquistando Passo Fondouk e la cittadina di Kairouan; il giorno 11 cadde Sfax e il 12 Sousse, ma ormai il generale Messe aveva già iniziato ad attestarsi a Enfidaville, riunendosi nella zona di Sebchet el Kourzia con la 5^Armata di von Arnim., formando così una unica linea di difesa che partiva da Enfidaville e, salendo verso Nord arrivava a Capo Serrat sulla costa.

 

Le difese nella zona di Enfidaville, che erano poste molto avanti dalla città, erano attestate su un terreno alquanto montuoso del Jebel Zaghouan con una altitudine sui 1.300 metri; verso l’interno, il terreno pur assumendo una conformazione montagnosa, presentava delle alture con asperità naturali che permettevano una solida difesa per la fanteria. La linea difensiva venne in un secondo tempo prolungata sino Sebchet el Kourzia.

Al centro di questo schieramento si ergeva un bastione naturale con caratteristiche tronco coniche,   roccioso e impervio, sulla cui sommità vi era un piccolo villaggio arabo. Quel bastione aveva il nome di Takrouna. Era un centro importate di osservazione in quanto dominava una pianura con passaggi obbligati sia da Nord che da Sud dello schieramento, per le forze italo-tedesche rappresentava un’ottima posizione difensiva. A Takrouna per il possesso di quella posizione strategica si svolsero due epiche battaglie.

Nel frattempo a Enfidaville, il generale Messe aveva così predisposto il suo schieramento: nella zona costiera la 136^divisione GG.FF.o meglio i superstiti,  la 90^divisione leggera, la Trieste e il 285°battaglione “Folgore”; a difesa di Takrouna il 1°battaglione del 66°reggimento della Trieste,comandato dal capitano

Mario Leonida Politi di Sulmona, che già si era distinto nella battaglia di Uadi Akarit; a questo battaglione furono dati in rinforzo un plotone tedesco, un reparto di granatieri di Sardegna, un plotone mortai da 81 e i resti di due batterie cannoni da 88 e da 65/17, in tutto solo 4 pezzi. Con questi rinforzi il battaglione di Politi venne ad avere una consistenza di 560 uomini. Dopo Takrouna salendo verso Nord, seguiva il XXI C.A del generale Berardi, con le divisioni Pistoia, La Spezia e la ormai ridottissima 164^tedesca. La riserva era costituita da quanto rimaneva della 15^panzerdivision con appena 15 carri armati, compresi i superstiti carri della divisione Centauro.

 

Di contro gli alleati disponevano su tutto il fronte, che andava da Capo Serrat  sino a Enfidaville, di ben 19 divisioni a organici completi, di cui 5 corazzate, con 1.200 carri armati, 1.500 cannoni, oltre 3.000 aerei che ormai dominavano,   incontrastati, i cieli della Tunisia.

Il generale Messe e il generale von Arnim, potevano invece contare su appena 13 divisioni, di cui solo 3 corazzate, ma tutte a organici ridottissimi con appena 130 carri armati e non più di 500 cannoni appoggiati da una forza aerea che non superava i 500 aerei, dei quali gran parte erano da trasporto (circa 300 fra Ju.52, Me.323 e SM.82). Con queste forze e con la speranza di ricevere rifornimenti dall’Italia con convogli aerei ormai sempre più rari, la 1^Armata con la 5^e DAK si apprestarono a difendere l’ultimo lembo di terra africana. 

 

Il primo attacco venne sferrato dall’8^Armata che cercò, come primo obiettivo, di eliminare la posizione di Takrouna; dal 16 al 18 aprile gli inglesi martellarono con l’artiglieria le posizioni tenute dal 1°battaglione del capitano Politi. Terribili furono anche i bombardamenti aerei. Il 19 i neozelandesi della IX brigata della 2^divisione (formata in prevalenza da truppa  indigena maori) mossero all’attacco e il giorno 20 avevano conquistato, dopo cruenti corpo a corpo con i difensori, la cima di Takrouna. Molti furono gli episodi di valore di quei 560 soldati italiani ed a fine battaglia ne erano rimasti solo la metà: tanti furono i morti, pochi i prigionieri. Merita segnalare l’epico gesto del sergente maggiore Bressanini, della 4^compagnia del battaglione di Politi: colpito a morte da una raffica di Thompson, mentre era a terra con il Cappellano militare che gli impartiva i conforti religiosi, sentendo ormai prossima la sua fine, chiese un pezzo di carta e una penna o matita, forse per dare un estremo saluto alla sua famiglia; purtroppo in quel momento né il Cappellano né i commilitoni presenti ne disponevano, allora il Bressanini, vergò con il proprio sangue su un pezzo di carta, queste parole......” Viva l’Italia.....Viva il Re “  e spirava.

 

Il giorno 21 il generale La Ferla, audace e coraggioso comandante della  “Trieste“, decise la riconquista di Takrouna e affidò questo compito al 285°battaglione paracadutisti Folgore che era stato aggregato alla sua divisione; il comandante di tale reparto Maggiore Lombardini (era stato promosso a quel grado dopo la battaglia del Mareth), disponeva di due sole compagnie. Dei 500 paracadutisti iniziali che a Breviglieri in Tripolitania nel dicembre del 1942, formarono il battaglione, dopo le perdite subite nelle operazioni del Mareth, di Kasserine e  Uadi Akarit ne erano rimasti appena 150, tanto da formare solo due compagnie comandate dai tenenti Orciuolo e Rolando Giampaolo.

Le due compagnie mossero decisamente all’attacco con slancio, secondo lo stile del paracadutista, snidando il nemico dapprima dalle posizioni alla base del roccione, poi progredendo verso l’alto all’occupazione della cima, dalla quale i cecchini maori reagivano inesorabilmente e con precisione di tiro riuscendo a creare dei notevoli vuoti tra gli attaccanti.

Il sergente maggiore Sanità ( che nella guerra di Liberazione del 1943-1945, verrà decorato di M.O.V.M.), riunì una decina di paracadutisti, per compiere un audace colpo di mano, erano tutti componenti della compagnia Orciuolo e conoscitori della montagna.

Il piano del sottufficiale era quello di affrontare il ciglione di Takrouna dal lato Sud, dove per le sue pareti ripide e con pochi appigli, i neozelandesi (maori) si sentivano sicuri. Il Sanità con la sua pattuglia scalò quelle pareti e di sorpresa colse il nemico; breve fu la lotta: infatti a seguito di quella sorpresa i maori furono facile preda dei nostri paracadutisti, i pochi superstiti si arresero e sulla cima venne issato il Tricolore.

Il giorno seguente gli inglesi con nuove truppe di rinforzo e con una grande concentrazione di tiri d’artiglieria riconquistarono Takrouna, nonostante che paracadutisti, con i superstiti fanti del 1°battaglione di Politi, unitamente a un reparto di granatieri, che avevano dato una mano come copertura durante l’assalto di Orciuolo e Giampaolo, si batterono con ardore e decisione. Un alto contributo di sangue, tanto da stupire lo stesso nemico. In quello scontro durissimo caddero il s.tenente Righetti, i sergenti Cubelli e Grezzi, il cap.magg. Scaramuccia e altri paracadutisti. Molte le gesta eroiche, compiute dal tenente Cesare Andreolli, dal s.tenente Delle Piane, nonché dai due comandanti delle compagnie. Due giorni durò quella battaglia ed all’esaurimento delle munizioni, i combattimenti continuarono all’arma bianca, ma le forze nemiche erano soverchianti ed ebbero il sopravvento. Pochi furono i superstiti tra i difensori. La battaglia o il massacro di “ The strom of Takrouna” (così la definirono gli inglesi) si era conclusa. Da un comunicato del comando della divisione Trieste, nelle due battaglie di Takrouna, risultarono tra morti, feriti e dispersi ben 621 uomini. Anche il reparto tedesco che aveva partecipato, con il capitano Politi, alla prima difesa di Takrouna, subì una perdita di 73 soldati. ( FOTO N°1-2 )

Ad onore della verità storica, un valido aiuto nella battaglia di Takrouna fu dato dal 21° reggimento artiglieria della Trieste e per esso dalla compagnia comandata dal tenente Bruno Marin.

Giova notare che il 20 aprile 1943, quando i resti dell’esercito italo tedesco  in Tunisia erano ormai prossimi al crollo finale, il generale Messe, con un suo “Ordine del Giorno” ordinò lo scioglimento di quello che era stato il raggruppamento sahariano, ormai ridotto ad un solo ufficiale superiore, il ten.colonnello De Valle e pochi altri ufficiali: tra questi il capitano  Aurelio Manzoni dal quale ho attinto particolari degli episodi sopra descritti. Tra i superstiti vi era anche uno sparuto gruppo di soldati libici con una sola camionetta A.S.43.

I resti del raggruppamento vennero completamente distrutti nella battaglia di Sebket el Nual (Tunisia) nella giornata del 7 aprile 1943.

L’Ordine del Giorno del generale Messe così recitava:

 

COMANDO 1^ ARMATA

“Il raggruppamento sahariano che tanta parte ha avuto nelle vicende belliche di questi ultimi mesi, si scioglie. Sopravvivono soltanto esigue rappresentanze di quelle audaci e ardimentose compagnie sahariane che, nelle sterminate distese del Sud e dell’Ovest, hanno sempre validamente tenuto testa al baldanzoso avversario. Il peso delle battaglie del Mareth e dell’Akarit ha gravato molto sul raggruppamento sahariano che le ha sostenute con fermezza, con valore e tenacia fino ai limiti dell’esaurimento di quelle battaglie.

A tutti i prodi che hanno dovuto soccombere nell’adempimento del più sacro e sublime dei doveri, si rivolge il pensiero commosso, devoto ed ammirato dei componenti la 1^ Armata.

 

                                       Il generale comandante d’Armata

                                          (f.to Giovanni Messe)

 

Frattanto sul fronte degli alleati erano avvenuti cambiamenti: il 2°C.A. americano, ora al comando del generale Bradley, passò dal settore meridionale a quello del Nord che era stato tenuto dalla 1^Armata inglese,  spostata nel settore centrale affiancata al 9°Corpo d’Armata che era appena giunta dalla Libia; l’estremo settore meridionale fu tenuto dal 19°C.A. francese.

Il generale Alexander, visto che a Enfidaville la 1^Armata del generale Messe si era consolidata a difesa, per accelerare i tempi di conquista della Tunisia dette disposizioni affinché la 1^Armata inglese attaccasse nel settore di Mediez el Bab (Mejl el Bab), con obiettivo Tunisi. Data dell’attacco il 22 aprile. Al Nord il 2°C.A. americano doveva occupare Biserta e l’attacco era stato fissato al 23 aprile; l’8^Armata e il 19°C.A. francese avevano il compito di fronteggiare la 1^armata italiana, in modo che non potesse fornire alcun apporto alla 5^Armata e al DAK schierate lungo un fronte di quasi 160 Km ( consultare MAPPA N°32 ).

 

Nelle date stabilite gli attacchi iniziarono con una forte preparazione di artiglieria. Gli americani puntarono con la 9^divisione subito su Biserta, seguendo la via della costa, però trovarono un’accanita resistenza da parte dei paracadutisti tedeschi della divisione Manteuffel, unitamente agli arditi paracadutisti dell’aviazione italiana, dal 10° e 5°reggimento bersaglieri, dal grupo Weber e dai battaglioni “Caorle“ e “Bafile” del S.Marco. Anche la 34^divisione americana e la 1^divisione corazzata, che avevano come obiettivo Mateur per poi avanzare verso Biserta, vennero fermate dalle divisioni di fanteria tedesche e dal raggruppamento semoventi del maggiore Piscicelli che faceva parte del XXX C.A. italiano. La resistenza, sia contro la 9^divisione che contro la 34^ e 1^divisione, costrinsero l’avanzata nemica ad un imprevisto arresto, bloccando sia pure momentaneamente la spinta aggressiva degli americani.

 

Il fronte tenuto dalla 1^Armata inglese, era quello ove gli inglesi avevano concentrato la grande massa delle proprie forze, cioè i Corpi d’armata 5° e 9°, ma era anche il settore più delicato in quanto le loro truppe dovevano agire su di un terreno collinoso, senza l’apporto dei mezzi corazzati inadatti ad agire su un terreno tanto accidentato. I loro pesanti attacchi non sortirono grandi progressi. I contrattacchi della divisione Hermann Goering imposero in quel settore un deciso rallentamento dell’offensiva. Con quei contrattacchi, si concludeva la prima battaglia di Enfidaville.

Il generale Alexander, che secondo quanto era stato stabilito nella conferenza alleata di Casablanca circa lo sbarco in Sicilia, operazione che avrebbe dovuto  aver luogo entro giugno-luglio impiegando le truppe impegnate in quel momento in Tunisia, decise di concludere, entro il mese di maggio, la lotta su quel territorio, ovviamente dopo l’annientamento delle truppe dell’Asse. Per rispettare l’impegno e le scadenze concordate a Casablanca, dette quindi ferree disposizioni di sferrare un nuovo e ultimo decisivo attacco il 6 maggio. Per rinforzare la 1^Armata, attinse dall’8^Armata, le sue tre migliori divisioni: la 7^corazzata, la 4^indiana che passarono alle dipendenze del 5°C.A, mentre la 1^divisione corazzata venne inserita nel 9°C.A. che comprendeva già la 6^divisione corazzata.

Per compensare la privazione delle tre migliori divisioni dell’8^Armata, fu assegnata a Montgomery la 56^divisione di fanteria, giunta anch’essa da poco dalla Libia. Questa divisione che entrava in linea per la prima volta, fu un disastro per l‘8^Armata, in quanto al primo contatto con le forze italo-tedesche subì una severa sconfitta.

 

Il 6 maggio alle ore 3,30, ebbe inizio la fase finale e conclusiva battaglia di Enfidaville, che si dimostrò altra cruenta battaglia svoltasi sul territorio tunisino. Le artiglierie alleate causarono scompiglio nelle difese italo-tedesche, l’aviazione non fu da meno, bombardando senza interruzione ogni piccola postazione, ogni sia pur modesto movimento di reparto. Anche dal mare la marina inglese dette il suo contributo alla fase finale della lotta. Le divisioni alleate avanzarono come rulli compressori e il 7 maggio la 9^divisione americana occupava Biserta, nonostante la strenua difesa dei sopraccitati reparti italo-tedeschi, che già stremati dagli scontri di aprile, combatterono sino all’ultima cartuccia. Il giorno 10 ci fu l’inevitabile resa, ma alcuni reparti continuarono a combattere sin al giorno 13.

Un poco più a Sud, le due divisioni americane la 34^ e la 1^, dopo avere occupato Mateur raggiunsero, combattendo con aspri e memorabili sacrifici, la cittadina di Ferryville, posta sul mare interno di Biserta. Da quella località le due unità, disponendosi a ventaglio, chiusero in un cerchio le rimanenti truppe dell’Asse che ritirandosi cercavano di raggiungere Tunisi, anche questi ultimi superstiti, ormai circondati, dovettero cessare i combattimenti.

 

Le divisioni della 1^Armata inglese avanzarono sfondando le difese della 5^Armata tedesca, nonostante che von Arnim avesse concentrato in quella zona le ormai ridotte unità corazzate 15^-21^e la 10^panzerdivision, che combattendo e ritirandosi sotto intenso tiro di artiglieria nemica e  massicci bombardamenti aerei, alla fine cedettero dopo aver esaurito le munizioni. La strada per Tunisi era ormai libera e la 7^divisione corazzata con in testa il famoso 11°Ussari entrò, il giorno 7, trionfalmente a Tunisi. La 1^Divisione corazzata e la 4^indiana il giorno 8-9 occuparono Hammamet, impedendo al resto alla 5^Armata di raggrupparsi nella penisola di Capo Bon e di resistere ad oltranza o cercando di imbarcarsi per raggiungere la Sicilia. E’accertato che un imbarco, tipo Dunkerque, era stato previsto; infatti in alcune insenature della costa erano stati ammassati dei piccoli natanti, ma solo pochi soldati italiani e tedeschi riuscirono a usufruirne, sfuggendo alla stretta sorveglianza navale attuata dell’ammiraglio Cunningham che aveva intuito un tale proposito. Non avendo ormai più alcuna possibilità di lotta, il giorno 12, i resti della 5^Armata tedesca si arresero alla 4^divisione indiana e con essi si consegnò anche il generale von Arnim e tutto il suo Stato Maggiore. Ad onore del vero, nella serata del giorno 12, alcuni superstiti dei battaglioni “Grado“ del S.Marco e della Superga, ancora combattevano e cessarono di battersi solo quando esaurirono le munizioni.

 

Nella zona di Enfidaville, la 1^Armata italiana del generale Messe, ormai quasi circondata avendo alle spalle la 6^divisione corazzata, sul lato destro i furiosi attacchi del XIX C.A. francese e di fronte l’8^Armata, continuava a combattere; solo il giorno 13 il generale Messe ricevette da Roma l’ordine di cessare ogni resistenza e con quell’ordine gli arrivò anche la promozione a maresciallo d’Italia. Messe inviò il generale Mancinelli quale parlamentare al quartiere generale inglese per stabilire le modalità di resa, chiedendo l’onore delle armi; purtroppo gli inglesi, nonostante che i soldati della 1^Armata italiana avessero combattuto con onore, non concessero quel riconoscimento, per loro la resa era senza condizioni. Il maresciallo d’Italia Messe per salvare il salvabile dovette cedere. Anche in questo settore gli ultimi a deporre le armi furono i Giovani Fascisti ridotti ormai a un centinaio, i sopravvissuti “folgorini” e la 90^divisione leggera tedesca, questa gloriosa G.U. fu sempre impiegata da Rommel quale ariete d’attacco e nelle ritirate adibita, quale protezione in funzione di retroguardia. Il generale Sponeck che allora comandava la 90^divisione, chiese l’onore di arrendersi solo alla 2^divisione neozelandese che nel corso della guerra in Africa fu la sua tradizionale avversaria, il generale Freyberg, comandante della divisione neozelandese, concesse quell’onore e volle congratularsi personalmente con il generale Sponeck, invitandolo nella sua tenda.

La 90^ verrà ricostituita in Italia a giugno 1943 come “Panzer Gren Division” e  inviata quale presidio in Sardegna.

Dalla lettura di testi di qualificati storici che hanno commentato le battaglie che si svolsero in Tunisia, soprattutto dell’ultima grande battaglia di Enfidaville, sono venuto a conoscenza del comportamento poco militare, tenuto da alcuni generali tedeschi nel corso dell’ultima resistenza che le truppe italo- tedesche opposero agli anglo-americani in Tunisia. Mentre nulla si ha da dire sui nostri generali che combatterono con onore e taluni sino all’estremo sacrificio come il generale Pizzolati; si ebbero invece seri dubbi sul comportamento di alcuni generali tedeschi, che nella imminenza della sconfitta pensarono egoisticamente di mettersi in salvo. Pare che il generale Gause, capo di Stato Maggiore prima con Rommel poi con von Armin, pochi giorni prima della battaglia di Enfidaville, si era recato in Italia e precisamente a Frascati ove era il quartiere generale di Kesselring per conferire con il feldmaresciallo, circa la  critica situazione in Tunisia, cercò di prendere tempo e in tal subdolo modo non rientrò al suo comando in Tunisia. Il generale Bayerlein, nella imminenza dell’ultima battaglia, accusando presunte complicazioni reumatiche rientrò in Germania. Anche il generale Scherrenberg, comandante la piazza di Tunisi, nel momento critico dell’estrema difesa di settore, si allontanò da Tunisi e non vi fece più ritorno. Certamente questi generali non erano all’altezza del coraggio e prestigio di Rommel, anche se un più sereno e obiettivo esame del suo comportamento a fine conflitto, mise inaspettatamente in evidenza carenze personali e mancanza di lealtà verso il suo Fuhrer che lo aveva sempre difeso e premiato.

 

La guerra in Africa si chiuse con una grande vittoria degli alleati e con una onorevole sconfitta dell’Asse. Soldati italiani e tedeschi combatterono sino allo estremo delle forze e tutti fecero il loro dovere con eroico coraggio.

Le perdite italiane nei tre anni di lotta in terra africana, furono notevoli:  13.748 morti, migliaia di feriti e 8.821 dispersi, dei quali non si é mai potuto stabilire la loro scomparsa, ma sicuramente morti; i loro nomi infatti non risultarono tra quelli dei 250.000 prigionieri. Probabilmente come per gran parte dei dispersi, i loro corpi giacciono sul fondo del mare e nelle sabbie del deserto quindi non rintracciabili: nel corso della guerra delle molte navi che trasportavano soldati in Libia e Tunisia, 137 vennero affondate dal nemico e con esse il loro carico umano. Buona parte di questi dispersi é certamente ancora sepolta nel deserto e malgrado l’opera costantemente puntigliosa di recupero svolta da Caccia Dominioni, di loro non fu possibile reperire tracce, anche perché il forte vento del deserto ne cancellò ogni vestigia, come anche il vandalismo degli arabi che ne asportarono le croci dai tumuli, per accendere i loro fuochi.

Le perdite umane negli altri eserciti nelle battaglie che si svolsero su tutti i fronti del Nord Africa, secondo i dati forniti dagli Stati Maggiori di allora  furono: per i tedeschi di 18.594 caduti e 3.400 dispersi; gli inglesi dichiararono 35.476 morti, mentre gli americani ne danno 16.500, non si hanno precise cifre di feriti e prigionieri sia inglesi che americani.

 

La prigionia fu terribile e indimenticabile per coloro che ebbero la sfortuna di essersi arresi ai francesi; furono spogliati dai soldati “gollisti” di ogni loro piccolo avere, derubati di orologi, collanine, portafogli, foto e lettere di familiari e vennero ancora umiliati, derisi, ridotti alla fame, scherniti dalla popolazione francese di Tunisia e Algeria e purtroppo anche da quegli italo-francesi che certamente non nutrivano più sentimenti di italianità. Meno pesante fu la prigionia inglese;. Ma certamente più fortunati furono i prigionieri catturati dagli americani, che portati in America ebbero la possibilità di lavorare al di fuori dei campi di concentramento e addirittura molti dopo la guerra ritornarono in America e si stabilirono nei luoghi della loro prigionia. 

 

Prima di concludere questo capitolo, ritengo doveroso rendere onore agli arditi paracadutisti azzurri dell’ADRA, al X reggimento arditi paracadutisti dell’esercito, agli incursori della X Flottiglia MAS, che dallo inizio del conflitto nel 1940 e sino a tutto il giugno del 1943 e anche oltre, operarono con azioni di sabotaggio su tutti i territori di guerra dell’Africa Settentrionale: Egitto, Libia, Marocco, Algeria e Tunisia.

Con un capitolo a parte descriverò le leggendarie imprese compiute da questi valorosi Soldati, citerò i nomi, i luoghi e le date delle ardite imprese che essi compirono e purtroppo anche con drammatici epiloghi. Ma di tre di queste azioni darò una più ampia descrizione.

 

NOTE DEL 5° CAPITOLO

 

N. 1 - Il cannone Krupp mod. 39/AI da 88, oltre che contraereo agiva efficacemente come artiglieria controcarro; aveva una gittata largamente superiore a quella di tutti i cannoni alleati che si trovavano in quel momento in Africa, inoltre montato sul carro armato Tigre, aveva installato un sistema di puntamento ottico molto preciso che difficilmente mancava il bersaglio.

 

N. 2 -  Ancora oggi in Tunisia, nella zona di Bir Soltane, punto d’incontro tra la colonna francese del generale Leclerc con le truppe inglesi. esiste un monumento dedicato ai caduti francesi nella battaglia per la conquista di Passo Tebaga.

 

Ancora o

N°1 -lN.

 

 
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