Un sogno italiano, la Libia 

Capitolo Iii°

Paolo Savasta

 

CAPITOLO TERZO

 

Prima d’iniziare l’esposizione degli avvenimenti bellici che riguardano questo  terzo capitolo, vorrei spiegare al lettore, che le descrizioni delle battaglie che si svolsero sul territorio libico, egiziano e tunisino dal 1940 al 1943, non saranno così particolareggiate, anche perché sia  in passato e ancora oggi, esse  sono state descritte da illustri generali ed esperti storici nei minimi particolari; a beneficio di quanti sono appassionati di Storia militare, citerò le battaglie più importanti, in effetti quelle che determinarono situazioni decisive da ambo i contendenti.

 

Nelle mie intenzioni di novello storico, ma soprattutto come appassionato cultore di storia militare, oltre a raccontare le vicende belliche di Libia, porterò anche a fare conoscere al lettore, in questo capitolo, alcuni dei tanti errori tattici e strategici, non solo nel nostro esercito ma anche in quello avversario; vedi mancati coordinamenti tra divisione e divisione, addirittura tra reparto e reparto, le inutili sostituzioni di comandanti, incompetenze negli alti comandi, deficienze nella organizzazione logistica, errate valutazioni di ordini, ma non intaccherò minimamente il valore dei nostri ufficiali e soldati.

Descriverò decorosamente le morti in combattimento di comandanti e dipendenti, meritevoli di menzione.

 

Molte delle pecche della nostra impreparazione e disorganizzazione militare soprattutto su cannoni, carri armati, aerei e quanto poteva servire in una guerra, le ho enunciate nel precedente capitolo.

 

La nostra organizzazione militare in Libia al 10 giugno 1940, consisteva in 2 Armate che comprendevano 5 Corpi d’armata; come aviazione avevamo la 5^ Squadra Aerea, la Marina (denominata Marilibia) era alquanto modesta come consistenza. 

 

Tutte le forze dell’esercito, dell’aeronautica e marina dipendevano direttamente dal Comando Superiore Forze Armate Africa Settentrionale (C.S.F.A.A.S.), il cui comandante, alla data del conflitto, era il maresciallo dell’Aria Italo Balbo, Governatore Generale della Libia, il quale pur dipendendo dallo Stamage, per la strategia generale alla quale dovevano uniformarsi tutte le FF.AA., aveva mano libera per quelle azioni tattiche che la guerra in Libia esigeva.

 

L’assetto strategico militare, come sopra detto, per tutto il territorio libico era affidato, alla data del 10 giugno 1940, alle due Armate, la 5^ e la 10^ per  complessive 14 divisioni di fanteria, di cui 2 divisioni di fanteria libica e tre divisioni di CC.NN. (Camicie Nere della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale); a questa forza militare bisogna aggiungere una forte aliquota di richiamati nazionali locali, di reparti del Regio Corpo Truppe Libiche (R.C.T.L.) composti da cavalleggeri (Spahis e Savari), meharisti, che erano truppe indigene a presidio dei nostri confini a Sud del deserto nel Sahara libico, in tal modo si arrivava alla cifra di 221.530 uomini. ( FOTO N° 1-2 )

Tale forza di soldati era così distribuita: sul fronte occidentale (Tripolitania) con la 5^ Armata: 127.871 uomini; sul fronte orientale (Cirenaica) con la 10^ Armata: 87.627 soldati; su tutto il territorio del Sahara libico era tenuto da 6.032 soldati in maggioranza libici. ( 1 )

Generalmente i richiamati erano cittadini italiani nati o residenti in Libia da molti anni, i quali avevano fatto il servizio di leva sul posto e quando iniziarono le ostilità, vennero richiamati e assegnati come guardie alla frontiera, nelle città costiere di Bengasi, Derna, Misurata, Tripoli, Zavia e Zuara o nelle basi di Tobruch, Bardia e Giarabub.

 

Per la verità storica, alla cifra di 221.530 militari dislocati su tutto il territorio della Libia, bisogna aggiungere tutte le altre forze di sostegno, come la Marina, l’Aeronautica, i Carabinieri Reali, la Polizia Africa Italiana, la Guardia di Finanza e la M.V.S.N. della Libia, composta in grande parte da anziani ex militari, arrivando così a un totale di 236.O13 uomini.                                                             

In Tripolitania a difesa del confine con la Tunisia era schierata la 5^Armata con 3 Corpi d’armata; essa era quella maggiormente organizzata, quasi completa negli organici e anche nell’armamento, questo perché lo Stamage prevedeva che in caso di conflitto con la Francia, da quel confine poteva venire il maggiore pericolo, in quanto la Francia nel Nord Africa disponeva di un esercito di oltre 400.000 uomini ben armati e con una aviazione che nel 1939 si presumeva fosse numerosa. Solo in Tunisia erano state individuate 8 divisioni di fanteria e una di cavalleria, più molti reparti leggeri e ancora piccole bande di irregolari indigeni. Inoltre bisognava tenere presente che oltre alle forze armate francesi dislocate in Algeria, Marocco, vi erano quelle di stanza in Africa occidentale ed equatoriale francese che in caso di necessità, potevano essere trasportate con facilità sul confine tunisino.

 

Da non sottovalutare anche la poderosa flotta navale francese, parte dislocata nelle basi in Oceano Atlantico, a Dakar e a Libreville e il resto nel Mediterraneo, a Orano, Algeri e  Biserta. Solo agli inizi del 1940 venne messa in dubbio, come pericolosità per il nostro schieramento sul confine tunisino, la forza aerea francese con basi in tutta l’Africa del Nord, infatti le informazioni del S.I.M. (Servizi Informazioni Militari), davano per certo la presenza di appena un centinaio di apparecchi, pochi da bombardamento, una quarantina da caccia e alcune squadriglie da ricognizione, poiché allo scoppio delle ostilità con la Germania, si seppe dopo che molte squadriglie di base in Nord Africa, erano state inviate di rinforzo a quelle impegnate in patria. A proposito della aviazione francese, ricordo il pomeriggio del 10 giugno del 1940, quando tutta la cittadinanza di Tripoli, sia italiana che libica, si era raccolta in Piazza Castello per ascoltare il discorso del Duce, che avrebbe annunciato l’entrata in guerra dell’Italia a fianco della Germania; durante quella attesa Tripoli venne sorvolata da due aerei, noi tutti guardavamo le loro evoluzioni e nel frattempo avevano iniziato a lanciare manifestini, raccolti ci accorgemmo, da quanto scritto in essi, che non erano aerei italiani, ci fu un momento di tensione ma che subito scomparve in quanto gli aerei francesi si erano allontanati; non ci fu nessuna reazione da parte della nostra caccia, anche perché l’apparizione degli aerei fu così improvvisa, veloce e inaspettata e i nostri aerei non ebbero il tempo necessario per alzarsi in volo. E’ bene conoscere che quel sorvolo sulla città di Tripoli, fu provocatorio anche se non paragonabile ad una vera azione bellica, in quanto la dichiarazione di guerra alla Francia era stata già consegnata allo ambasciatore francese a Roma nella mattinata del 10 giugno 1940 e solo nel pomeriggio Mussolini lo comunicò al popolo italiano. Il giorno 15, tre aerei da bombardamento francesi sorvolarono nuovamente Tripoli, ma questa volta il nostro avvistamento aereo, la caccia e l’antiaerea intervennero con prontezza, gli aerei nemici sganciarono poche bombe che non colpirono alcun bersaglio militare ma provocarono alcune vittime tra i civili (due ebrei e un arabo che abitavano nella zona del porto). Comunque quei due episodi francesi dopo qualche giorno, erano già stati dimenticati dalla stragrande maggioranza della popolazione di Tripoli; purtroppo non lo furono i bombardamenti che seguirono dopo, ad opera dell’aviazione inglese che incominciò a seminare morte tra i civili e a colpire obiettivi militari soprattutto nella zona portuale.

 

In Tunisia  i francesi sin dal 1935, avevano approntato delle grandi opere di difesa nella zona confinaria del Mareth, dalla costa sino ai monti Matmata nell’interno, altra linea difensiva era a Uadi Akarit e una terza, per prevenire sbarchi dal mare, iniziava da Sousse(Susa)-Sfax e arrivava sino a  Gabes, zona che per la sua conformazione costiera facilitava eventuali sbarchi.

 

Certamente i francesi avevano previsto una guerra contro gli italiani e di conseguenza si erano preoccupati di fortificare il confine tunisino, non risulta che avessero fatto delle fortificazioni in Algeria o Marocco, in quanto per loro non era immaginabile che l’esercito italiano avrebbe tentato un attacco, ovviamente con relativo sbarco, sulle coste algerine o marocchine così lontane dalla Libia, il ché avrebbe aperto due fronti in Africa Settentrionale certamente non sopportabili dal nostro esercito.

Ironia del caso, quelle opere difensive vennero poi usate gli inizi del 1943 dalle truppe italo-tedesche per contrastare l’avanzata degli inglesi in Tunisia, quando fummo costretti ad abbandonare la Libia.

Il maresciallo dell’Aria Italo Balbo essendo venuto a conoscenza delle ingenti forze francesi che avrebbe avuto contro, rinforzò il settore tunisino assegnato alla 5^Armata con 3 Corpi d’armata, a discapito della 10^Armata che ne aveva solo 2. Onde ingannare la ricognizione aerea nemica furono usati degli stratagemmi; essendo l’artiglieria una delle nostre tante deficienze, si pensò di guarnire il nostro confine anche con falsi cannoni, costruiti in legno, quasi tutti vennero sistemati nelle postazioni della zona di Nalut. E’ da sapere che non furono solo gli italiani ad usare certi inganni, lo fecero anche gli inglesi a Tobruch durante il nostro assedio, guarnendo le loro postazioni anche con cannoni di legno; lo stesso generale Rommel usò carri armati in legno montati su autovetture che trascinavano anche degli arbusti ramificati per sollevare nuvole di sabbia ingannando così gli inglesi, facendo loro credere di avere di fronte numerosi e potenti carri armati.

Circa la costruzione di cannoni e carri armati in legno, posso confermare la veridicità di tali mascheramenti, in quanto il laboratorio di mio padre a Tripoli, che costruiva carrozze e carri agricoli, essendo stato allo inizio della guerra militarizzato, ebbe dalla Intendenza militare italiana con la quale, prima della guerra, aveva avuto  rapporti di lavoro, una commessa per la costruzione di cannoni in legno e anche di carri armati.

 

La disposizione difensiva sul fronte tunisino della 5^, comandata dal generale Italo Gariboldi, comprendeva:

il X Corpo d’armata, comandato inizialmente dal generale Alberto Barbieri, poi passato agli ordini del generale Ettore Baldassarre, in seguito ne prese il comando ad El Alamein il generale Orsi Ferrari. Facevano parte del X C.A.,la divisione Bologna, al comando del generale Roberto Lerici, sostituito dal generale Alessandro Gloria, a sua volta sostituito dal generale Mario Marghinotti, veniva poi la divisione Sabratha con il generale Guido Della Bona e infine la divisione Savona, comandata dal generale Pietro Baggiani, sostituito dal generale De Giorgis;

il XX Corpo d’armata, inizialmente agli ordini del generale Ferdinando Cona, in seguito sostituito nel comando dal generale Giuseppe De Stefani, aveva sotto il suo controllo: la divisione Pavia prima al comando del generale Pietro Zaglio,  poi dal generale Franceschini, ancora la divisione Brescia alle dirette dipendenze del generale Giuseppe Cremascoli, anch’esso  sostituito dal generale Bartolo Zambon e questi dal generale Giacomo Lombardo, infine la divisione Sirte, comandata dal generale Vincenzo Della Mura;

il XXIII Corpo d’armata guidato dal generale Annibale Bergonzoli, aveva alla sue dipendenze: la 1^divisione CC.NN. 23 Marzo, comandata dal luogotenente generale Francesco Antonelli, la 2^divisione CC.NN.28 Ottobre con il luogotenente generale Francesco Argentino e la 2^divisione libica al comando del generale Armando Pescatori, da poco passata alle dipendenze di quel Corpo d’armata, ma ai primi di luglio 1940 verrà aggregata alla 10^Armata.

 

Prima dello scoppio delle ostilità a Sud della Tripolitania e nel Fezzan erano dislocate due divisioni libiche, che pur facendo parte della 5^Armata, inizialmente non appartenevano a nessuno Corpo d’armata; le due divisioni erano ad esclusivo comando del generale Sebastiano Gallina, un valoroso ufficiale, esperto del deserto e con una lunga carriera coloniale. La 1^divisione libica  era comandata dal generale Luigi Sibille poi sostituito dal generale Giovanni Cerio, mentre la 2^ venne affidata, come sopra detto, al generale Armando Pescatori. Alla data del 10 giugno la 1^ e 2^divisione libica erano ancora agli ordini della 5^Armata, in seguito, ad appena un mese dallo inizio della guerra, esse passarono alle dipendenze della 10^Armata.

Strutturalmente la divisione libica era composta da 6 battaglioni di

fanteria, una compagnia cannoni da 47/32, 2 gruppi cannoni da 77/28 e 2 batterie mitragliere da 20 mm. più una compagnia servizi, il tutto non superava i 6.000 uomini. Per la precisione la 1^divisione aveva una forza di 5.876 soldati, mentre la 2^ ne aveva 5.800.

 

Dalla 5^Armata dipendeva tutto lo scacchiere del Sahara libico, il cui primo  comando era stato dato al generale Sebastiano Gallina sino a quando, con le due divisioni libiche, era passato alle dipendenze della 10^Armata, in seguito il comando di detto scacchiere venne assegnato al generale Umberto Piatti del Pozzo e in un secondo momento affidato a suo fratello, generale Guido Piatti del Pozzo. Il comando generale del Sahara libico, denominato raggruppamento sahariano, era nella oasi di Hon, che si trovava al centro di altre due oasi, quella di Socna e di Uaddan nel Gebel el Giofra ( vedere a fine capitolo la MAPPA N°1, raffigurante la Libia ).

Tale raggruppamento, inizialmente aveva una forza di 6.032 uomini ed era formato da: 10 compagnie mitraglieri, 3 battaglioni di fanteria indigena (libici), 4 compagnie meharisti, 3 compagnie mitraglieri montate su camionette AS-37, una batteria mitragliere c.a. da 20 mm.,una batteria camellata di cannoni da 65/17, inoltre il raggruppamento disponeva di circa 40 piccoli aerei Ca.309 da ricognizione per il deserto, chiamati familiarmente “Ghibli“.

I “meharisti“ erano soldati libici adibiti alla sorveglianza del nostro confine del Sud Sahara, montavano il dromedario, una razza di cammello veloce e resistente, provenivano tutti dalla tribù tuaregh degli “Sciamba “; furono fedelissimi combattenti. Tre erano le tribù tuaregh che vivevano nelle zone desertiche del Fezzan, allora sotto la nostra giurisdizione, gli “Sciamba “, gli Azger e gli Ahaggar, ma i più combattivi e audaci furono gli Sciamba, la cui etnia fu scelta e preferita dal comando italiano del Sahara libico.

 

Sul finire del 1939 al raggruppamento vennero assegnate altre 5 compagnie mobili che presero la denominazione di “Auto pattuglie Sahariane“ perché montate sulle nuove camionette AS-39 (avevano sostituito le AS.37), in quanto modificate nella carrozzeria e motore, create per poter attraversare il deserto velocemente; erano automezzi con una autonomia di 15 giorni e riserve di carburante e viveri per un equipaggio di 5 uomini. Nel settembre del 1942 a conflitto in pieno svolgimento, a queste 5 compagnie ne vennero aggiunte altre 3 montate sulla nuova camionetta SPA AS.42.

Le 5 compagnie per la loro mobilità e autonomia erano state così smistate: la 1^ e 2^compagnia in Cirenaica nel settore Marada-Gialo-Cufra, rafforzando così questa ultima guarnigione, la 2^compagnia fu per prima comandata dal capitano Mattioli, in seguito dal capitano Caccialupi, quando il Mattioli passò a comandare la guarnigione di Cufra. La 3^compagnia venne dislocata nelle oasi di Hon e di Murzuch, mentre la 4^e 5^compagnia avevano il compito di perlustrare e controllare oltre 1.000 Km del confine tunisino-algerino, in effetti da Nalut a Gadames e Gat sino ai limiti dei monti Tassili-Tummo-Tibesti.

 

Le compagnie sahariane mobili avevano un loro gagliardetto nel quale spiccava la testa di leone ricamata in oro su fondo nero. Dette compagnie con le loro camionette AS.37, erano nate nel 1938 per volere di Italo Balbo; Egli era venuto a conoscenza, qualche anno prima, che in Egitto era stato creato dagli inglesi un corpo speciale derivato dal “Camel Corps”, denominato “Long Range Desert Group”; nel 1940 questo corpo venne a fare parte della Western Desert Force.

                                                                                                   Gli uomini del L.R.D.G. usavano particolari camionette armate con il preciso compito d’infiltrarsi in pieno deserto e attaccare di sorpresa postazioni nemiche, chiaro riferimento ai capisaldi italiani. Gli equipaggi erano addestrati a sopravvivere nel deserto per giorni e giorni, naturalmente con assegnate scorte di viveri e carburante, dislocate su itinerari prestabiliti e in punti segreti. ( FOTO N°3-4 )

 

Trovandomi in argomento, vorrei fare conoscere al lettore alcuni particolari, forse per molti sconosciuti, su questo corpo inglese; nel corso delle battaglie in Libia il L.R.D.G. causò gravi danni, prima alla 10^Armata poi a quella italo-tedesca, minando le piste interne che collegavano Cufra-Gialo e Gialo-Agedabia, distruggendo le colonne di rifornimento che da Tripoli e Bengasi portavano munizioni, viveri e medicinali alle nostre truppe al fronte. Le camionette arrivavano improvvise dal deserto e con rapidi colpi di mano colpivano le colonne di automezzi che transitavano sulla via Balbia e poi velocemente si ritiravano nel deserto, sfuggendo anche alla nostra ricognizione aerea in quanto percorrevano piste solo a loro conosciute. Ecco una notizia alquanto sconcertante e purtroppo vera: sin dal 1939 il comando del L.R.D.G. aveva, a nostra insaputa, perlustrato e fotografato il deserto attorno a Cufra, prendendo contatto con elementi libici a noi ancora ostili, avevano creato basi di rifornimento sia di carburante che di viveri, naturalmente occultandole con segnali particolari riconoscibili solo ai componenti di quei reparti, questo in quasi tutto il territorio del Sud Sahara libico. Alcuni di questi depositi furono casualmente scoperti nella zona di Gialo, abbiamo la testimonianza dell’allora tenente di artiglieria Franco Mattavelli che operò a Gialo; durante una ispezione, osservando un palo infisso in una zona completamente deserta, rimovendolo scoprì per caso un deposito di benzina e casse di viveri, sigarette comprese, che naturalmente per il suo reparto fu una manna dal cielo. Vi é la certezza che anche i francesi sin dal 1939 avevano formato uno speciale corpo di soldati veterani del deserto, con molta probabilità appartenenti alla Legione Straniera, che in caso di guerra contro l’Italia, partendo dall’Africa Equatoriale francese avrebbero dovuto occupare a sorpresa l’oasi di Cufra; sorpresa questa che in seguito avvenne da parte francese ma in collaborazione con il L.R.D.G. Quelle basi occulte, create da uno spericolato maggiore inglese, servirono efficacemente agli uomini del L.R.D.G.; qui di seguito conoscerete il nome e l’attività a nostro danno di questo avventuroso maggiore.

 

Una nota curiosa ma nello stesso tempo triste e ironica: il Long Range Desert Group aveva carte topografiche di tutto il territorio del Sahara libico così precise che segnalavano anche le caratteristiche del terreno, mentre il nostro comando del Sahara non ne possedeva di così precise e per alcune zone del  sahara libico non esistevano, nonostante la nostra presenza in Libia da quasi 30 anni.

Artefice di quelle audaci imprese e anche creatore del L.R.D.G. fu un maggiore dell’esercito inglese di nome Clayton, che il 31 gennaio del 1941 venne catturato da un reparto di nostri meharisti, al comando del capitano Mattioli, a sud di Cufra, in località Maaten Bisciara.

Un breve cenno storico sulla vita avventurosa di questo ufficiale dei Servizi Speciali dello esercito inglese. Dal 1923 al 1932 il maggiore Clayton aveva operato a nostro danno durante la riconquista della Cirenaica, egli era conosciuto da Graziani in quanto si prodigò nello organizzare quelle carovane, guidate personalmente da lui, che dal territorio egiziano trasportavano armi e munizioni ai ribelli senussiti in Cirenaica, attraverso piste solamente conosciute dal maggiore Clayton, poiché sin dal 1920 aveva esplorato in lungo e largo il deserto della Cirenaica, specie nella zona di Cufra.

Nel 1931 venne decorato dal governo inglese per l’opera che aveva svolto in Cirenaica a favore della ribellione, considerando singolarmente quel lavoro come opera umanitaria

 

Per tutto il 1940 ritroviamo il maggiore Clayton quale nostro diretto avversario, aspetto questo che ci procurò non pochi guai; infatti quando venne catturato si preparava ad attaccare il nostro presidio di Uau el Chebir. Il maggiore Clayton, catturato fu portato in Italia e rinchiuso nel campo di concentramento di Sulmona, ove venne trattato con molto riguardo, tanto da seguire gli eventi bellici di allora, attraverso la radio e la lettura di giornali, Clayton parlava correttamente l’arabo e l’italiano, in prigionia scrisse le sue memorie. Quando gli inglesi arrivarono in Italia lo liberarono; in seguito venne mandato in Palestina, ove con il grado di generale, comandò le forze inglesi in quel settore sino alla creazione dello Stato di Israele. Con la cattura di questo spericolato personaggio, il nostro comando del Sahara libico pensò che le incursioni del Long Range Desert Group avrebbero avuto fine, invece a febbraio del 1941, un reparto inglese del L.R.D.G., composto anche con  soldati francesi degollisti (Francia Libera) e fuorusciti libici, attaccò, per la seconda volta, i nostri presidi di Murzuch, Hon e Araneb. Fu un attacco di sorpresa in quanto il nemico, guidato da un altro inglese profondo conoscitore del deserto, il maggiore Bagnold, arrivò dall’interno, partendo da una base francese del Ciad, percorrendo oltre 1.000 Km. di deserto; comunque la reazione dei nostri presidi fu tempestiva riuscendo a respingere gli

Alle forze armate dislocate in Tripolitania dobbiamo aggiungere una nuova specialità che nacque in Libia e precisamente in Tripolitania, in zona denominata Fonduk Ben Gascir a 24 Km. da Tripoli, con sede, scuola e comando nel nuovo aeroporto di Castel Benito.

La località ove venne costruito l’aeroporto in origine si chiamava Gasr Garabulli (Gasr in arabo significa castello, da quì il nome di Castel Benito, Benito in onore di Mussolini).

 

Per la nuova specialità dei paracadutisti libici venne scelto l’aeroporto di Castel Benito per due valide ragioni, la prima che esso era stato costruito nel 1934 come aeroporto civile, quindi disponeva di grandi spazi con attrezzature moderne e ampi capannoni, la seconda ragione era che quella zona non risentiva di perturbazioni atmosferiche; scartato fu invece il vecchio aeroporto militare della Mellaha ad appena 12 Km. da Tripoli, non sufficientemente attrezzato per accogliere una grande massa di militari, ma il problema più grave consisteva nel fatto, che quel aeroporto era spesso investito da forti venti e da correnti di aria calda ascensionale che avrebbero condizionato negativamente l’attività lancistica. Nel 1938 il maresciallo dell’Aria Italo Balbo, vincendo ostacoli che gli venivano dallo Stamage e inizialmente anche da Mussolinì, volle fermamente che l’Italia avesse dei reparti speciali di paracadutisti, certo che truppe speciali aviolanciate avrebbero capovolto, in una guerra moderna, le sorti di battaglie. Infatti si recò a Roma a sottoporre ai capi di Stato Maggiore dell’aeronautica, dell’esercito e allo stesso Mussolini il suo progetto per creare reparti paracadutisti, ne ebbe risposte molto evasive; i capi di allora non valutarono l’importanza e l’utilità di avere quella specialità, anche se il vero motivo era da ricercarsi in innegabili gelosie con prerogative di demagogica volontà autonoma e di assurdo potere istituzionale a tutto danno dell’Italia. Disilluso e certamente contrariato Balbo rientrò a Tripoli e facendosi forte della autonomia militare di cui godeva, quale capo supremo delle forze armate dislocate in Libia, dette inizio nel marzo del 1938 al reclutamento presso le truppe libiche di volontari per quella nascente specialità. L’afflusso inaspettatamente fu enorme, il 22 marzo venne subito iniziato l’addestramento affidato al tenente colonnello pilota Prospero Freri, mentre il comando della Scuola fu dato alla M.O.V.M. maggiore Goffredo Tonini, medaglia che si era guadagnata durante la riconquista della Libia nel 1928. Il 1°aprile del 1938 iniziavano i lanci, in testa il maggiore Tonini, seguito dagli istruttori ufficiali e sottufficiali nazionali, lanci effettuati con aerei SM 81 da bombardamento del 15°Stormo BT. e con paracadute D.37.

                                                     

Il 16 aprile sempre del 1938, 300 volontari libici effettuarono il loro primo lancio nella zona di Suani ben Aden, purtroppo con un bilancio negativo di 8 morti e 30 feriti certamente da addebitare, oltre alla imperizia e alla emotività dell’allievo, anche al paracadute D.37 che si dimostrò subito non idoneo a lanci di massa. Prospero Freri cercò di porre rimedio al difettoso D.37, noto come paracadute di salvataggio per aviatori, migliorandolo con qualche accorgimento e il 18 maggio ad appena un mese dal primo lancio ne fu eseguito un secondo sempre nella stessa zona; altro bilancio tragico, 7 morti e 42 feriti, allora si capì che il D.37 non doveva essere usato a lanci di massa ; Freri modificò ancora il D.37 nella velatura e imbracatura e così nacque il D.39. Frattanto altri volontari libici si erano brevettati e il 25 maggio, in occasione delle manovre delle Regie Truppe Coloniali, alla presenza di S.M.Vittorio Emanuele III e di numerose delegazioni straniere, nella Piana di Bir Ghenem, 800 paracadutisti libici con i loro istruttori effettuarono un lancio, simulando l’occupazione di un aeroporto da tenere saldamente sino all’arrivo di reparti aviotrasportati. Anche in questo lancio vi furono dei morti, ma esso destò enorme meraviglia e ammirazione presso le delegazioni straniere. Sempre nel 1938 si ebbe un’altro lancio di massa, che venne effettuato nella Gefara, zona di Zuara, alla presenza di S.A.R. il Principe di Piemonte; quel lancio eseguito su un terreno particolarmente accidentato e pietroso ebbe successo e con solo qualche ferito; ormai i “Fanti dell’aria“ libici avevano raggiunto un grado di addestramento ed esperienza eccellenti; é da ricordare che quei lanci di massa con truppe indigene, furono i primi ad essere fatti nel mondo, l’Italia vanta anche questo primato. Nel maggio del 1940 in Libia, si erano formati due battaglioni di paracadutisti, uno di libici, l’altro di nazionali, che vennero trasferiti a Barce in Cirenaica  per completare l’addestramento e i lanci.

Alla data del 10 giugno 1940 si erano brevettati alla scuola di Castel Benito e Barce, 1.400 paracadutisti con 11.200 lanci complessivi.

Nota storica -Il maresciallo dell’Aria Italo Balbo, visto l’ottimo comportamento dei paracadutisti libici, in data 1°luglio 1938, con Regio Decreto Legge N°1327, concedeva alle truppe libiche di potersi fregiare delle stellette. Il soldato libico veniva così equiparato giuridicamente e livellato economicamente a quello nazionale. Con quel Regio Decreto venne anche cambiata la denominazione di Regio Corpo Truppe Coloniali (R.C.T.C.) in Regio Corpo Truppe Libiche (R.C.T.L ).

Vorrei che il lettore venisse a conoscenza del motto del R.C.T.C., esso  era: “CON IL VALORE SUPERO IL DESERTO, IL TEMPO E IL NEMICO “

 

Il primo caduto per mancata apertura del paracadute, durante i lanci di brevetto, fu il Muntaz libico Mohamed Alì Ugasci, seguirono poi il Ten. Pelilli, lo Sciumkbasci Mohamed ben Alì, il Muntaz Anesc ben Asciur, il Bulukbasci Bubaker ben Kalifa, lo Sciumkbasci Mansur ben Messaud, il Muntaz Sufi ben Mohamed.

I gradi nelle truppe libiche erano così classificati: Muntaz = Caporale, Bulukbasci = Sergente, Sciumkbasci = Sergente Maggiore. ( FOTO N°5 )

Ritorno con le mie note storiche: pochi sanno, tra questi solo anziani paracadutisti, che verso la fine del 1941 e inizio del 1942, venne costituito un particolare e insolito reparto, composto da ex prigionieri dell’8°Armata britannica, erano indiani di varie etnie: Rajputani, Siks, Maharatti che si erano offerti volontariamente per combattere l’Inghilterra e favorire l’indipendenza dell’India con l’appoggio dell’Asse. Il reparto prese il nome di battaglione “Hazad-Industan” al comando del maggiore Luigi Vismara. 

Una compagnia venne inviata a Tarquinia per brevettarsi paracadutisti e affidata al tenente istruttore Danilo Pastorboni e al Capitano Pippo Genovesi, quest’ultimo dopo l’8 settembre aderì alla R.S.I. fondando il famoso battaglione paracadutisti “Mazzarini”. Ultimato l’addestramento lancistico, gli indiani a seguito del negativo andamento della guerra causato dalla perduta battaglia di El Alamein, rifiutarono la loro collaborazione e preferirono ritornare nei campi di prigionia.

                                                    

Un altro reparto nacque a Tripoli dopo pochi giorni dalla dichiarazione di guerra, ne traccio brevemente la storia in quanto ne segui la nascita anche perché cercai di farne parte; l’idea venne dalla mente di un Centurione (capitano) della Milizia Volontaria della Sicurezza Nazionale (M.V.S.N.), il nome di questo ufficiale era Alberto Venturelli che fu mio padrino di battesimo. Egli riuscì a formare un battaglione di giovanissimi, tutti volontari, reclutati dai reparti Avanguardisti e Giovani Fascisti della allora Gioventù Italiana del Littorio (G.I.L.). Un numero considerevole di giovani tripolini cercò di essere arruolato, ma molti vennero rimandati a casa, io fui uno di quelli, in quanto secondo il Venturelli ero troppo giovane, non avevo ancora compiuto 17 anni (sono nato nell’agosto del 1923); seppi in seguito che come mio padrino non voleva che corressi rischi.

Formati i quadri del battaglione, questo prese il nome di “Battaglione Volontari di Libia“ e assegnato alla divisione CC.NN.23 Marzo; non appena iniziarono le operazioni di guerra sul confine egiziano, esso fu mandato a difendere la piazzaforte di Tobruch e durante l’assedio posto dalle truppe inglesi, questi giovanissimi ragazzi si comportarono eroicamente, dando fulgido esempio di che stoffa erano i giovani italiani di Libia, pochi furono i superstiti. 

Ed ora diamo uno sguardo di come era schierata la 5^Armata sul confine tunisino ( vedere MAPPA N°2 ): il primo schieramento era di competenza del XX Corpo d’armata che iniziava dalla zona di Pisida scendendo a sud del confine sino a Nalut e come primo settore di copertura aveva preso posizione la divisione Pavia che copriva la difesa dalla costa di Zuara sino a Zavia con l’entroterra, per la seconda copertura erano state schierate le divisioni Brescia e Sirte.

Il secondo schieramento che partiva dalla zona di Nalut, risalendo al Nord e toccando Giado, Bir Gnem, Jefren, Garian e arrivando sino nella zona di Azizia, era affidato al X Corpo d’armata con le divisioni Bologna, Sabratha, Savona e parte della 2^divisione CC.NN. 28 Ottobre.

Il terzo schieramento posto a difesa della città di Tripoli, era coperto dal XXIII Corpo d’armata con la 1^divisione CC.NN.23 Marzo e l’altra parte della 2^divisione Camicie Nere 28 Ottobre.

Il comando superiore A.S., aveva quale riserva per la 5^ Armata, il 1° e 2° reggimento carri armati L.3, pochissimi per l’eventuale fabbisogno, disponeva inoltre del 10°-22°e 25°raggruppamento artiglieria;solo nello ottobre del 1940, giunsero in Libia i più pesanti carri armati M 11, ma erano  appena 70.

 

La 5^Armata poteva contare anche su alcune compagnie di cavalleria coloniale formata da soldati libici (Spahis e Savari). Il settore del Sud della Tripolitania inizialmente era stato affidato come difesa alla 1^e 2^ divisione libica al Comando del Generale Sebastiano Gallina, ma come sopra già citato, le due divisioni vennero poi trasferite in Cirenaica.

Lo schieramento difensivo sul confine egiziano ( vedere MAPPA N°3 ) era tenuto dalla 10^Armata ancora con gli organici non completi, anche perché lo STAMAGE, riteneva quel settore non eccessivamente pericoloso come invece era temuto quello tunisino.

Questa sicurezza della non pericolosità del fronte, era dovuta alla convinzione, da parte di chi a Roma aveva i poteri di comando che il generale Sir Archibald Wavell, il quale alla data del 2 agosto 1939 aveva assunto il comando di tutte le forze inglesi dislocate in Palestina, Transgiordania, Cipro, con giurisdizione militare anche su Egitto, Sudan e Africa Orientale, disponeva di una forza militare, come dichiarò allora lo

stesso Wavell, poco più di 36.000 uomini, dislocati tra Egitto, Sudan e Africa Orientale e poco meno di 30.000 in Medio Oriente, quindi secondo il nostro Stamage, si trovava nella impossibilità di sferrare attacchi sul nostro confine. Purtroppo queste cifre risultarono poi non esatte ma di gran lunga maggiori, come riscontrò il nostro Servizio Informazioni Militari ( SIM ) alla data del 10 giugno 1940, che stimò le forze inglesi da 100.000 a 103.000 militari, non includendo circa 40.000 tra militari e civili egiziani che collaboravano con l’esercito inglese, facendo tutto il servizio delle retrovie. In realtà la cifra data da Wavell era riferibile ai soli reparti operativi ma aveva omesso completamente quelli di riserva, supporto tattico e logistico.

 

Nota storica: i soldati egiziani non furono mai impiegati in azioni di guerra, in quanto il governo egiziano mai dichiarò guerra sia all’Italia che alla Germania.

La composizione della 10^Armata, comandata inizialmente dal generale Francesco Guidi, sostituito allo scoppio delle ostilità, per raggiunti limiti di età, dal generale Mario Berti, valido ufficiale che aveva combattuto in Africa Orientale e Spagna ma che veniva in Libia per la prima volta, aveva due Corpi d’armata, il XXI e il XXII. Il XXI era al comando del generale Lorenzo Dalmazzo poi sostituito, in data 28 agosto 1940, pare per divergenze con il comandante della 10^Armata, con il generale Carlo Spatocco che lasciava il comando della divisione Cirene, ultimo comandante del XXI C.A. fu il generale Enea Navarrini.

Il generale Lorenzo Dalmazzo verrà poi inviato in Jugoslavia al comando del VI Corpo d’armata

Al XXI C.A. erano aggregate: la divisione Marmarica, comandata dal generale Ruggero Tracchia, la divisione Cirene, del generale Alessandro Di Guida e la 1^divisione libica, che nel 1940 era arrivata in Cirenaica, comandata dal generale luigi Sibille

Nel XXII C.A.,comandato dal generale Umberto Somma e in seguito dal generale Enrico Pitassi Mannella, aveva alle proprie dipendenze la divisione Catanzaro appena giunta in Libia con il generale Vincislao Spinelli, la 4^divisione CC.NN.3 Gennaio, comandata dal generale Fabio Merzari; a questo corpo d’armata, verrà in seguito aggregata la 2^divisione libica proveniente dalla Tripolitania, detta divisione era ancora al comando del generale Armando Pescatori.

Alla data del 10 giugno 194O, nostra entrata in guerra, la 10^Armata aveva assunto sul confine egiziano uno schieramento difensivo a ridosso delle zone di Tobruch, Bardia, Ridotta Capuzzo, Sidi Omar, Bir Sceferzen, Ridotta Maddalena, Giarabub, Cufra. Queste località che erano punti chiave contro una eventuale offensiva inglese, avevano una copertura in armi e uomini alquanto esigua e  debole.

A Tobruch, poco prima dello scoppio delle ostilità, il presidio era formato da 2.500 soldati, in gran parte richiamati e con scarso addestramento militare, a questi venivano aggiunti alcune migliaia di marinai addetti alla difesa costiera e contraerei (pochissimi i cannoni), l’unico punto di forza era la presenza in rada dell’incrociatore San Giorgio adibito a difesa contraerei; nel corso della guerra la guarnigione di Tobruch venne portata a 25.000 uomini.

Bardia aveva lo stesso problema di Tobruch, un presidio di appena 2.000 uomini anche qui molti richiamati, scarsa l’artiglieria contraerei, assente quella controcarro; a seguito degli eventi bellici il presidio fu rinforzato a 20.000 uomini.

Ridotta Capuzzo e Sidi Omar erano state rinforzate con due Compagnie mitraglieri appiedate e una mobile, l’artiglieria controcarro non esisteva, vi erano alcune batterie di cannoni da 65/17, residuati della Prima Guerra Mondiale.

Scendendo verso sud vi erano i piccoli presidi di Bir Sceferzen, Ridotta Maddalena, Uescechet el Neira, Garn el Grein, difesi da una minuta guarnigione, solo una ventina di meharisti libici al comando di un ufficiale e un sottufficiale nazionale e qualche mitragliatrice antiquata quale era la Schwarzlose, preda bellica della 1^Guerra Mondiale, veniva poi il grosso caposaldo di Giarabub, anche qui il presidio era stato rinforzato con due compagnie Guardia alla frontiera, due compagnie di truppa indigena camellata (meharisti), tre compagnie mitraglieri, una sezione cannoni da 65/17, una batteria mitragliere da 20 mm. e ancora un reparto mitraglieri motorizzati; Giarabub usufruiva di un piccolo aeroporto, dislocato nella zona di Garet El Barut a pochi chilometri dal forte ed era presidiato da una ventina di avieri

Molto a sud, quasi ai confini con l’Africa Equatoriale Francese, si trovava Cufra, in arabo si pronuncia “Kafir” che significa “infedele“; questa vasta oasi, quasi 500 Kmq. era presidiata, a inizio guerra, da due compagnie mitraglieri, una compagnia sahariana (meharisti), con poca artiglieria, appena una batteria di cannoni 65/17 e una batteria mitragliere da 20 mm., aveva anche un aeroporto, che sino alla sua caduta era base di sosta degli aerei del S.A.S.(Servizio Aereo Speciale) che portavano rifornimenti in A.O.I.

 

Alle spalle dei presidi di Ridotta Capuzzo, Sidi Omar era stata schierata la 10^ Armata, disposta, alla data del 10 giugno 1940, con questo schema difensivo:

XXI Corpo d’armata formato, come sopra detto, con le divisioni Marmarica, Cirene e la 1^divisione libica, aveva disposto come primo schieramento le divisioni Marmarica e 1^libica, a protezione della zona costiera da Bardia e scendendo a Sud sino a Sidi Azeiz e Bir el Gobì, mentre il secondo schieramento nella zona di El Adem era affidato alla divisione Cirene.

XXII Corpo d’armata aveva disposto la 4^divisione CC.NN.3 Gennaio e la divisione Catanzaro a difesa di Tobruch, quindi poste nella zona di Acroma - Bir Hacheim - Bir el Gobi; da notare che la divisione Catanzaro (generale Spinelli) non era completa, in quanto sbarcata a Tripoli a fine maggio, pur avendo subito iniziato il trasferimento in Cirenaica, alla data 10 giugno 1940 non riusciva ancora a completare il suo organico, addirittura a quella data un gruppo artiglieria si trovava ancora accantonato a Tripoli.

Nella zona di Derna, ad oltre 150 Km. dal confine, era stato acquartierato il “Raggruppamento Oasi Meridionali“, in seguito comunemente conosciuto come Raggruppamento Maletti, era fermo in quella zona in attesa del completamento della sua artiglieria ancora a Tripoli. A Derna si attendeva anche l’arrivo dalla Tripolitania del resto della 2^divisione libica.

Un cenno storico su questo leggendario raggruppamento: esso venne costituito  per operare in zone desertiche sul fronte egiziano, il comando fu affidato al generale Pietro Maletti, esperto ufficiale coloniale, in Libia sin dal 1928, conoscitore profondo del deserto e con un forte carisma tra la truppa indigena.

Il raggruppamento era composto da sette battaglioni di fanteria libica, un battaglione sahariano di meharisti, due gruppi di artiglieria leggera, un battaglione carri armati leggeri L 3 (nel novembre del 1940 ebbe una piccola aliquota di carri armati M.11, da poco giunti dall’Italia), due compagnie cannoni da 47/32, una compagnia mortai da 81, due batterie mitragliere da 20 mm., una compagnia Genio trasmissioni e una compagnia servizi, il tutto per un totale di 8.500 uomini con 320 automezzi e 160 tra muli e dromedari. Il raggruppamento quando nacque passò alle dipendenze del gruppo sahariano al comando del generale Sebastiano Gallina, ma appena iniziata la nostra offensiva nel settembre 1940, venne aggregato al XXII Corpo d’armata.

Il raggruppamento Maletti pur non avendo la forza effettiva di una divisione, era uno dei pochi reparti dell’esercito ad avere un così alto numero di automezzi, la ragione sta nel fatto che era un raggruppamento mobile e doveva operare nel deserto, velocemente e su lunghe distanza, il ché avvenne solo in parte.

 

Nota storica: dopo la caduta della Francia e non essendoci più pericolo sul confine tunisino, nei primi giorni del luglio 1940, quando alla morte del maresciallo dell’Aria Italo Balbo subentrò nel comando superiore A.S. il maresciallo d’Italia Rodolfo Graziani, questi decise di rinforzare la 10^Armata con l’inviare in Cirenaica la divisione CC.NN.23 Marzo e il resto delle due divisioni libiche, in più inviò anche tutta l’artiglieria della divisione Savona.

Vedremo in seguito che con l’inizio della prima offensiva inglese del dicembre 1940, quasi tutte le divisioni della 5^Armata vennero assorbite dalla 10^ Armata.

AVIAZIONE  MILITARE

 

Allo scoppio delle ostilità in Libia, la forza aerea denominata Aviazione Presidio Coloniale (A.P.C.) comandata dal generale Rino Corso Fougier, solo alla data del 15 luglio 1940, quando il generale Fougier lasciò quel comando per assumere quello di comandante del C.A.I.(Corpo Aereo Italiano) che operò in Belgio a fianco della Luftwaffe negli attacchi contro l’Inghilterra, il comando venne preso dal generale Felice Porro, che cambiò la denominazione  di “Aviazione Presidio Coloniale“ con quella di “5^Squadra Aerea“.

 

Una sezione dell’A.P.C. rimase  ed  era di base a Hon e Sebba, comandata dal tenente colonnello Michele Leo; doveva assolvere con poche decine di Ca.309, l’importante e difficile compito di controllare tutto il Sud/Ovest e Sud/Est del sahara libico.

 

La nostra forza aerea in quel periodo superava di poco i 300 veivoli da combattimento, per l’esattezza secondo le mie ricerche era di 306, preciso questa cifra in quanto consultando testi che hanno descritto le vicende belliche che si svolsero in Libia dal 1940 al 1943, ho appurato che due storici, Nino Arena e il generale Mario Montanari, si sono trovati in accordo sul numero degli aerei di base in Africa Settentrionale, cioé di 306, altri invece hanno dato cifre molto discordanti.

 

Comunque questa modesta forza aerea era composta da velivoli antiquati e in buona parte in continue riparazioni, se in guerra dettero ottima prova fu solamente alla perizia e al valore dei nostri piloti che, con il loro coraggio, annullavano la scarsa efficienza del materiale, compiendo azioni memorabili.

 

Mi risulta che in Libia alla data del 10 giugno 1940, nei vari aeroporti della Tripolitania e Cirenaica ( vedere MAPPA N°4 ) vi erano: 4 Stormi da bombardamento - 3 Gruppi da caccia -1 Stormo caccia d’assalto - in più un buon numero di ricognitori terrestri (RO 37 e Ghibli) e marittimi (Cant Z.501 e 506), così suddivisi: 125 aerei da bombardamento, 88 da caccia, 34 caccia d’assalto e 59 da ricognizione, per un complessivo di 306 aerei.

 

Tale forza aerea era dislocata in Tripolitania negli aeroporti di:

MELLAHA        - 64° Gruppo da ricognizione aerea RO.37

                     e 1°Gruppo aerei Ghibli Ca.309 (A.P.C.)

CASTEL BENITO  - 15° Stormo da bombardamento  SM. 79 e SM.81

                 13° Gruppo da caccia CR.32 - CR.42

SORMAN         - 50° Stormo d’assalto Ca.310 e BA.65

BIR EL BHERA   - 33° Stormo bombardieri SM.79

HON            - 99° Squadriglia Ghibli Ca.309 (A.P.C)

SEBBA          - 95° Squadriglia Ghibli Ca.309 (A.P.C.)

 

Dislocazione negli aeroporti della Cirenaica:

BENINA ( Bengasi )  -  10° Stormo bombardieri SM.79

                    -  10° Gruppo caccia CR.32

BERKA  ( Bengasi )  -  Una Squadriglia del 50° Stormo d’assalto Ca.310

EL ADEM             -  14° Stormo bombardamento SM.79 e SM.81

                    -  73 Gruppo osservazione aerea terrestre RO.37

                    -  2° Gruppo aerei Ghibli Ca.309 (A.P.C.)

ACROMA(Tobruch T.2) -  8° Gruppo caccia CR.32 e CR.42

      (Tobruch T.3) -  159° Squadriglia d’assalto Ca.310

 

L’aeroporto di El Adem era considerato il più grande aeroporto militare della Cirenaica, infatti fu il primo ad essere attaccato dalla aviazione inglese all’alba del 11 giugno 1940, il giorno dopo la nostra dichiarazione di guerra; aerei bombardieri Bristol Blenheim partiti dalle loro basi di Fuka e Maaten Baqqusc, bombardarono l’aeroporto danneggiando gravemente cinque SM.79, cinque RO.37, sei SM.81 e due Ca. 309

 

Altri piccoli aeroporti militari erano nel Fezzan: a Murzuch, Uau El Chebir, Gadames e Gat; nella Sirtica: solo a Sirte; in Cirenaica: ad Apollonia, Gambut, Giarabub, Cufra, Gialo, Barce, Maraua, Derna, Menastir, Ain El Gazala, El Mechili, Martuba a 50 Km. da Derna; molti di questi aeroporti erano in uso agli aerei Ghibli per la sorveglianza dei confini.

 

Nel corso della guerra quando arrivarono in Libia altri velivoli e in seguito anche la forza aerea tedesca, si arrivò ad avere oltre 100 aeroporti di fortuna, questi avevano le piste in terra battuta e cosparse di olio per renderle più compatte, ma quando arrivavano gli improvvisi acquazzoni, quelle piste divenivano inagibili. Il personale addetto ai servizi non aveva alloggi decenti come negli altri aeroporti militari, ove sia i piloti che il personale di terra erano alloggiati in confortevoli fabbricati con rifugi almeno in apparenza sicuri, la protezione degli aerei aveva barricate in cemento. Negli aeroporti di fortuna nulla di questi vantaggi, piloti e personale vivevano sotto le tende, in caso di attacchi aerei il loro rifugio era una buca protetta con sacchi di sabbia, nessuna difesa murale per gli aerei. Alcuni di questi aeroporti di fortuna ebbero un ruolo importante nel corso della guerra, come quelli di Sidi El Machrem e Amseat

 

Il comando del settore Est (Cirenaica) della nostra aviazione era di competenza del generale Fernando Silvestri. Nel corso della guerra, vi furono delle sostituzioni che hanno dato adito in passato a molti interrogativi, soprattutto in Libia per la sostituzione del generale Porro, con il generale Mario Aimone Cat in data 5 febbraio 1941; pare per divergenze con il generale Cavallero, diventato capo di Stato Maggiore Generale al posto del maresciallo d’Italia Pietro Badoglio, divergenza dovuta, secondo l’accusa, al poco apporto dato dalla aviazione coloniale durante la prima offensiva inglese che distrusse la “10^Armata; a mio avviso vi é poca credibilità su questa tesi. Pochi mesi dopo, il 14 novembre 1941 altra importante sostituzione, quella del capo di Stato Maggiore della Regia Aeronautica, il generale Francesco Pricolo, lo sostituì il generale Rino Corso Fougier; anche in questo caso contrasti con lo Stamage (generale Cavallero), oggetto della controversia l’invio di aerei in Libia, pare che il generale Pricolo si fosse rifiutato di inviarne altri,in quanto essendosi recato a ispezionare il fronte libico per verificare la consistenza e l’efficacia della nostra aviazione, asseriva che i velivoli in Libia per le operazioni di quel settore, erano sufficienti ma faceva anche presente che molti compiti della aviazione potevano essere svolti dallo esercito, il quale a sua volta si giustificava che mancava di mezzi idonei; in brevi parole il solito scaricabarile tra esercito e aviazione. Il motivo vero della sostituzione, fu il ritardo con cui venne inviato in Africa Settentrionale il 4°Stormo CT (caccia terrestre) composto da Mc.202 ( quel ritardo fu causato dalla installazione dei filtri antisabbia). Ma è anche vero che la nostra flotta aerea veniva dispersa su diversi fronti e il generale Pricolo doveva accontentare tutti. I maligni dissero allora che il generale Cavallero volle togliere dagli alti comandi tutti gli uomini fedeli a Badoglio, vedi la sostituzione del generale Soddu, quella dell’ammiraglio Domenico Cavagnari capo di Stato Maggiore della Marina

 

Comunque é assodato che l’aviazione italiana in Libia, sin dai primi giorni del conflitto, si prodigò senza risparmio ad attaccare, con azioni di mitragliamento e spezzonamento tutti gli obiettivi sia fissi che mobili del nemico, come concentramenti di truppe o mezzi meccanici in movimento, salvando spesso da situazioni pericolose nostri reparti di fanteria.

Molti gli atti eroici compiuti dai nostri piloti, molte le ricompense al valore militare concesse per l’opera svolta durante la prima offensiva inglese, vedi la M.O.V.M alla memoria al capitano Dell’Oro, le M.A.V.M. al maggiore Ernesto Botto, il famoso “gamba di ferro“, menomazione avuta durante la guerra di Spagna, al capitano Duilio Fanali, al maggiore Carlo Romagnoli, al tenente Adriano Visconti, al generale Guglielmo Cassinelli, comandante della famosa brigata aerea d’assalto “Rex“, al capitano Bruno Politi e ancora a tantissimi sottufficiali piloti nonché avieri di bordo, come il maresciallo Enio Sagliaschi, sergente maggiore Paolo Perno, sergente maggiore Pietro Scaramucci, sergente Giuseppe Zardini, Aviere scelto M.O.V.M. Trevigni (tripolino). L’elenco di valorosi piloti potrebbe riempire molte pagine di questo libro, purtroppo il tempo e lo spazio mi sono tiranni.

 

REGIA  MARINA

 

Sulla consistenza di mezzi e di forza della nostra Marina in Libia (Marilibia), poco c’é da dire in quanto poco c’era; nei porti di Tobruch, Tripoli, Sirte e Bengasi erano ormeggiati: un vecchio incrociatore, il San Giorgio a Tobruch ma adibito a batteria contraerei, mentre quattro cacciatorpediniere, otto cannoniere e otto sommergibili, in più chiatte e piccoli velieri  militarizzati allo scoppio del conflitto, erano di base negli altri porti. Il comando era stato affidato all’ammiraglio Bruno Brivonesi con sede a Tripoli, in sottordine l’ammiraglio Vietina per tutto il settore navale Est, con  sede di comando a Tobruch.

Questa piccola forza per tutto il corso della guerra non partecipò ad alcun evento bellico di rilievo,fece solo servizio di scorta costiera ai velieri e motozattere

che trasportavano viveri e munizioni a Bengasi e nei primi mesi di guerra a Tobruch e Bardia; si era trovato questo sistema di rifornimenti in quanto offriva più probabilità di consegna anche se più lento. I rifornimenti al fronte egiziano via terra erano quotidianamente soggetti a mitragliamenti e spezzonamenti da parte della aviazione inglese ma anche da incursioni via deserto, dalle famose camionette del “Range Desert Group“ che colpivano velocemente e altrettanto velocemente sparivano nell’immenso deserto.

 

LE POSIZIONI DI DIFESA DEL NEMICO

 

Ed ora diamo uno sguardo agli schieramenti avversari; iniziamo con il conoscere le forze francesi sul confine tunisino, come già esposto sopra, il nostro Servizio Informazioni Militari (S.I.M.) aveva calcolato una forza armata di circa 410.000 uomini così suddivisi: 137.000 in Marocco, 134.000 in Algeria e 139.000 in Tunisia, in quest’ultimo settore erano inquadrate 8 divisioni di fanteria e una di cavalleria algerina, così classificate e disposte: la 64^ e la 66^divisione proprio sul confine a Ben Gardane, a ritroso di Ben Gardane una divisione di cavalleria; nella zona di Gabes, la 85^divisione; a Sfax e Gafsa, la 65^,la 60^ e la 84^; attorno a Tunisi, la 74^ e parte della 54^ che si allacciavano a Gabes con la 85^. Nello schieramento del sahara tunisino vi erano reparti di truppe coloniali, i famosi montanari “Goums“, bande irregolari indigene ed elementi della Legione straniera; tutti questi reparti messi insieme venivano certamente a formare una divisione.

Prima della guerra le truppe francesi in Tunisia erano comandate del generale Blanc, quelli in Algeria dal generale Goudard e in Marocco dal generale Francois, ma appena iniziate le operazioni in Africa settentrionale, esse erano passate sotto l’unico Comando superiore Nord

Africa del generale Charles Auguste Nogués e in sottordine al generale Alphonse Juin.

 

Alle truppe terrestri bisogna aggiungere la flotta aerea, questa in effetti, alla nostra entrata in guerra, si dimostrò scarsa in quanto tra maggio e i primi giorni di giugno, molte squadriglie di bombardieri e caccia erano state trasferite in Francia a colmare i vuoti degli aerei che venivano abbattuti dalla caccia tedesca. Alla data del 10 giugno 1940 venne calcolato, sempre dal nostro S.I.M.,che nel Nord Africa francese erano schierati in 1^linea circa 300 aerei, 120 dei quali in Tunisia, fra cui una quarantina di aerei da caccia, pare che tra questi, oltre ai superati Bloch M.B. 152 C-1, vi fossero alcuni Dewoitine 520, di gran lunga superiori ai nostri caccia CR 42, appena 6 bombardieri e  alcune squadriglie di aerei da ricognizione con i Potez 63-11.

In seguito fu accertato che in tutta l’Africa del Nord, tra Marocco, Algeria, Tunisia e Africa Occidentale ed Equatoriale, all’atto dello armistizio della Francia, vi fossero circa 18O bombardieri e 450 aerei da caccia, comunque queste cifre sono discutibili in quanto le commissioni di armistizio italo-tedesche, quanto si recarono nell’Africa francese, per fare gli inventari di tutto il materiale bellico, di aerei sia da caccia che da bombardamento trovarono solo 92 aerei in Tunisia, 207 in Algeria e 183 in Marocco; stando a quelle cifre, le eventuali ipotesi potrebbero essere: un errore di calcolo, un rientro clandestino in Francia o che parte di quegli aerei si siano volontariamente consegnati, all’atto dello armistizio, nello aeroporto inglese di Gibilterra, oppure nelle basi aeree inglesi della Nigeria, Costa d’Oro e Sierra Leone

.

La flotta navale francese era quella che destava maggiori preoccupazioni allo STAMAGE (Stato Maggiore Generale), infatti nelle basi francesi del Mediterraneo era concentrata la maggiore parte della flotta, ma bisognava tenere in considerazione anche quella dislocata nei porti sulla costa atlantica, che in caso di necessità poteva intervenire nel Mediterraneo; infatti a Casablanca (Marocco) vi si trovava la corazzata Jean Bart ma non ancora completamente armata, era giunta in Africa dal bacino di carenaggio di Saint Nazaire, vi erano anche alcuni incrociatori leggeri, mentre a Dakar (Africa occidentale francese) erano alla fonda la corazzata Richelieu e diversi incrociatori.

Le basi navali nel Mediterraneo erano a Mers el Chebir e Orano (Algeria) con 2 corazzate un pò antiquate ma affiancate da 2 incrociatori corazzati ultra moderni, allora vennero considerati il fior fiore della flotta francese, inoltre vi erano presenti incrociatori leggeri, torpediniere e altro naviglio minore; ad Algeri erano ormeggiati 6 incrociatori pesanti e incrociatori leggeri, mentre a Biserta (Tunisia) vi era una base di sottomarini, pare che tra questa base e quella di Algeri vi si trovassero numerosi sommergibili.

A questo considerevole numero di navi bisogna aggiungere quelle dislocate nella base inglese di Alessandria d’Egitto di cui una corazzata, 4 incrociatori pesanti più un numero imprecisato di cacciatorpediniere e spazzamine.

 

 Nota storica: all’atto dell’armistizio della Francia, tutte le navi francesi in territorio inglese furono disarmate e i loro equipaggi vennero internati come prigionieri di guerra; inoltre gli inglesi il 3 luglio 1940, dopo lunghe e inutili trattative con l’ammiraglio francese Gensoul, attaccarono con la loro flotta, comandata dall’ammiraglio Somerville, la base di Mers el Kebir (Algeria) per distruggere le navi alla fonda. La prima ad essere colpita fu la corazzata Bretagne che affondò e con essa perirono 977 marinai francesi, vennero gravemente danneggiati due incrociatori pesanti corazzati, il Dunkerque e il Mogador, altri incrociatori leggeri furono anch’essi colpiti.

Il 6 luglio la medesima flotta attaccava la base navale di Orano, per completare la distruzione delle navi francesi onde non farle cadere in mani italiane o tedesche; l’8 luglio sempre del 1940, altro attacco degli inglesi a Dakar e venne colpita gravemente la corazzata Richelieu che non affondò per il basso fondale.

Altra nota : nei giorni 23-24-25, sempre nel mese di luglio del 1940, forze terrestri di “Francia Libera” al comando del generale Charles De Gaulle, tentarono di impadronirsi della base navale di Dakar ma vennero respinti dalle truppe francesi fedeli al Governo di Vichy.

Le forze francesi di “Francia Libera” erano inizialmente composte da 30.000 soldati francesi, quelli che durante la ritirata di Dunkerque erano riusciti ad imbarcarsi per l’Inghilterra, a questi vennero ad aggiungersi le guarnigioni francesi del Ciad, del Gabon, del Senegal e alcuni reparti della Legione straniera di stanza a Gibuti, forze che non avevano accettato il governo di Petain, accogliendo invece il proclama del generale De Gaulle, che non aveva accettato l’armistizio, lanciato al popolo francese mentre si trovava in Inghilterra. Si ebbero scontri fratricidi fra legionari in Africa Occidentale e in Siria.

 

Ed ora passiamo allo schieramento inglese sul fronte egiziano al momento della dichiarazione di guerra: Sir Archibald Wavell, come sopra già detto, era il comandante supremo di tutte le forze britanniche del Medio Oriente, Egitto, Sudan e Africa Orientale, il suo comando si estendeva su un area di oltre 2.700 chilometri quadrati; Wavell, sempre secondo sue dichiarazioni, disponeva in Egitto di una forza operante di circa 36.000 uomini, mentre Winston Churchill, nelle sue memorie sulla Seconda Guerra Mondiale, la porta a circa 50.000. Tale forza aveva come principale base tattica e di resistenza il campo trincerato di Marsa Matruch, che prima del conflitto era tenuto da 3 battaglioni dello esercito egiziano, sostituiti poi da 3 battaglioni inglesi che vennero rinforzati durante l’avanzata di Graziani su Sidi el Barrani; Marsa Matruch era la posizione più avanzata e più importante militarmente degli inglesi. Lungo il confine il generale Wavell aveva schierato poche forze mobili come, l’11°Ussari con autoblindo, il 7°Ussari con carri armati leggeri, la 60^ brigata fucilieri e il 2°reggimento meccanizzato della “Royal Horse Artillery“; il compito di questi reparti era quello di disturbo sul nostro confine. Alle spalle di tali forze vi era la 7^divisione corazzata, ancora non completa negli organici, solo nell’ottobre del 1940 essa ebbe la sua effettiva consistenza come divisione, poi la 4^divisione indiana e la 2^divisione neozelandese, ad esse si aggiungevano: 14 battaglioni di fanteria, un battaglione mitraglieri, un reggimento di artiglieria da campagna e due reggimenti di artiglieria di medio e piccolo calibro; questa forza secondo gli organici di tre divisioni regolamentari e i reparti di supporto, così come prescritto nell’ordinamento del Royal Army, superava di gran lunga i 50.000 uomini, quindi è accettabile la cifra di 50.000 attestata da Winston Churchill nelle sue “Memorie” e non quella di 36.000 come afferma Wavell nel suo libro intitolato “Come sconfissi l’Armata italiana”.

 

Infatti considerando che una divisione di fanteria britannica al completo degli organici, sempre secondo l’ordinamento del Royal Army, veniva ad avere 16.000 soldati mentre quella corazzata era di 13.000, il battaglione si aggirava su un effettivo potenziale di 800 uomini, ecco superate le 50.000 unità; ora ammesso anche che Wavell non avesse avuto le divisioni, i reggimenti e i battaglioni al completo, il ché a nostro avviso invece lo erano, la sua forza terrestre sarebbe stata ugualmente di oltre 36.000 soldati. A questa cifra bisogna aggiungere i 40.000 tra soldati e civili egiziani che operavano nelle retrovie non impegnate in operazioni di guerra, ecco che Wavell, pur dichiarando divisioni e battaglioni non completi, schierati in Egitto, prima della offensiva del maresciallo Graziani, disponeva certamente di oltre 76.000 uomini per l’esattezza  103.000 come accertato dal S.I.M. ( nostro Servizio Informazioni Militari). Ammesso che la cifra di 36.000 uomini fosse vera, Wavell  non accenna che la sua forza militare aveva l’appoggio di oltre 400 carri armati, con una potenza superiore ai modesti carri armati italiani M.11 e L.3; inoltre disponeva di artiglieria modernissima, superiore alla nostra per calibro e gittata e ancora 700 aerei; da segnalare anche l’aiuto che gli fornì la flotta navale, bombardando i nostri caposaldi sulla costa e le piazzaforti di Bardia e Tobruch. E’ vero che il generale Wavell si circondò di valenti e prestigiosi generali, infatti affidò il comando delle forze inglesi in Egitto al generale Maitland Wilson, poi chiamò al Cairo il maggiore generale Richard O’Connor che comandava la truppa inglese dislocata in Palestina, dandogli il compito di creare una nuova formazione d’attacco che prese il nome di “Western Desert Force”, la quale procurò non pochi danni agli italiani. Quella nuova formazione incorporò la 7^divisione corazzata al comando del generale O’Moore Greagh, la 2^divisione neozelandese, comandata dal maggiore generale  Bernard Freyberg, la 4^divisione indiana sotto il comando del maggiore generale Noel Beresford Peirge. La 7^ divisione corazzata del Western Desert Force adottò quale emblema, un distintivo che raffigurava due topi del deserto e che i soldati inglesi applicavano sulla manica  sinistra della divisa.

 

Una nota interessante: il comando inglese in Egitto aveva studiato un piano, da applicare in caso di ritirata, che predisponeva delle drastiche opere distruttive sul territorio che eventualmente veniva abbandonato; per primo la distruzione di tutte fortificazioni permanenti, poi il sistema idrico con l’inquinamento dei pozzi da Sollum a Marsa Matruch e sino ad Alessandria; in parole povere infettando quelle acque, esse avrebbero senz’altro ritardato ogni avanzata del nemico e ancora il porre mine a scoppio ritardato nelle strade percorribili, rendere impraticabile l’asfalto delle strade, usando un procedimento chimico atto a scioglierlo, distruzione della linea ferroviaria che da Sidi el Barrani, toccando Marsa Matruch arrivava ad Alessandria, demolizione della teleferica che da Sollum bassa portava a Sollum alta; parte di quelle distruzioni le misero in atto quando Graziani iniziò l’offensiva che lo portò a Sidi el Barrani, purtroppo quelle distruzioni lo costrinsero ad una sosta forzata.,vedi la costruzione di un acquedotto e della strada da Sollum sino a Sidi el Barrani. ( 2 )

Prima d’iniziare la descrizione delle altre forze armate inglesi dislocate in Egitto e nel Mediterraneo, quali aviazione e marina, vorrei che il lettore venisse a conoscenza del rapporto di forza tra una nostra divisione di fanteria impegnata in Libia e quella inglese: la divisione italiana numericamente era composta da 10.978 uomini, ma solo poche raggiungevano quel numero di effettivi, aveva il seguente armamento: 262 fucili mitragliatori, 111 mortai da 45, 12 mortai da 81, 16 mitragliere contraerei da 20 mm., 8 pezzi controcarro da 47/32, 56 pezzi da campagna di vario calibro, nessun carro armato, né mezzi blindati o cingolati, gli autocarri sulla carta risultavano 398, in effetti a stento superavano i 150,in compenso era dotata con 249 motociclette e 180 biciclette.

La divisione inglese, prevista inizialmente in Egitto, aveva un organico di 13.863 uomini, ma nel corso del conflitto raggiunse i 16.000 componenti con 644 fucili mitragliatori, 56 mitragliatrici, 118 mortai da quattro pollici, 18 mortai da 81 mm., 361 fucili controcarro Boys, 27 pezzi controcarro, 72 pezzi da campagna, 28 carri leggeri, 50 mezzi blindati esploranti, 90 carri cingolati, 117 autovetture, 1528 autocarri (effettivi e non sulla carta) e ancora 24 autocarri speciali, 156 trattori, 221 rimorchi, 670 motociclette e 330 biciclette. ( 3 )

Come il lettore ha potuto notare, oltre la superiorità numerica vi era anche quella nell’armamento, sia leggero che di accompagnamento, il quale era nettamente superiore a quello di una nostra divisione, spaventosa la differenza nei mezzi di trasporto.                             

La flotta aerea inglese dislocata nelle basi dello scacchiere Mediterraneo, allo inizio del conflitto, era modesta con aerei alquanto vetusti e di media autonomia, ma sempre superiori ai nostri come armamento.

Malta, pur trovandosi in una zona strategica del Mediterraneo e con 3 aeroporti, aveva in forza appena 4 aerei da caccia  Gloster Gladiator, di cui uno ancora imballato, la sua difesa era affidata alla contraerei delle poche navi da guerra ancorate nel porto di La Valletta e solo quando le incursioni sull’isola, da parte della aviazione italiana, si fecero più frequenti e pericolose, l’ammiraglio Cunninghan chiese a Londra l’invio urgente di aerei. Alla fine di agosto del 1940, giunsero a Malta 15 aerei Hurricane portati dalla portaerei britannica “Argus“, la quale usò un particolare stratagemma: questa arrivava in zona a Sud-Ovest della Sardegna a circa 350 Km. da Malta, da quella distanza di sicurezza faceva decollare gli aerei che, con quel breve percorso aereo, atterravano senza inconvenienti a Malta. Questo tipo di operazione venne ripetuta più volte con successo e mai fu contrastata dalla nostra aviazione, così alla fine del 1940 Malta poté contare per la sua difesa su 33 caccia Hurricane, 16 bombardieri Wellington, 4 idrovolanti ricognitori di altura Sunderland, 4 ricognitori Glenn Martin e 12 aerosiluranti Swordfish, che vennero a costituire il famoso 830°Squadron. Per la verità alcuni di quei trasferimenti, dalla portaerei a Malta ebbero degli inconvenienti: alcuni Hurricane non giunsero mai a destinazione in quanto i piloti uscirono fuori rotta e non riuscirono a localizzare la posizione di Malta, quindi girarono a vuoto finché esaurita l’autonomia di carburante precipitarono in mare.

 

Gli inglesi escogitarono un altro stratagemma per fare pervenire aerei anche in Egitto, eliminando l’attraversamento del Mediterraneo e in seguito il lungo percorso marittimo che doppiava la punta estrema dell’Africa, per poi entrare nel Mare Rosso e arrivare finalmente in Egitto, applicarono il seguente piano: gli aerei smontati e imballati venivano imbarcati in Inghilterra su navi da carico che li sbarcavano nel porto di Takoradi  (Lagos) sulla costa Atlantica, da lì venivano montati e collaudati, riforniti di carburante e partivano alla volta dell’Egitto attraversando a tappe i territori della Nigeria, Ciad e Sudan, facevano una sosta prolungata a Kartum (Sudan) per una ulteriore revisione e infine decollavano per il Cairo; il primo carico realizzato nel mese di novembre 1940, fu di 33 aerei “Hurricane“.

Certamente non era un impresa facile, volare per oltre 3.700 miglia su territori desertici, ma la bravura dei piloti e la perfetta organizzazione, riuscirono a fine 1940 a fare arrivare al Cairo ben 107 aerei da caccia e bombardamento.

 

Continua la serie delle mie note storiche: l’11 giugno 1940, il giorno dopo la nostra entrata in guerra, Malta fu bombardata dalla aviazione italiana, parteciparono a quella operazione 73 aerei SM.79, scortati da caccia CR.42 e Macchi 200, tutti i nostri aerei rientrarono alle loro basi di Tripoli e Pantelleria.

Come contropartita lo stesso giorno, aerei Bristol Blenheim, bombardarono l’aeroporto italiano di El Adem.

La flotta aerea inglese del Mediterraneo, oltre che a Malta aveva basi a Creta, in Alessandria e Marsa Matruch; le basi aeree del Medio Oriente non influenzarono le azioni inglesi in Libia o nell’Italia meridionale.

 

Ecco le caratteristiche di aerei inglesi che ebbero rilevanza bellica in Africa Settentrionale:

 

GLOSTER GLADIATOR - Aereo biplano da caccia monoposto, velocità che variava dai 395 ai 407 Kmh, a quota 5.000 metri raggiungeva una velocità di 362 Kmh.,armato con 4 mitragliatrici Browning da 7,7 mm.,poste due sotto le ali e due ai lati della fusoliera.

 

BRISTOL BLENHEIM - Aereo monoplano bimotore, interamente metallico, velocità 455 Kmh., armato con 4 mitragliatrici Vichers e Browning da 7,7 mm., portava un carico di 450 Kg. di bombe, la sua autonomia era di circa 1.500 Km.

 

SPITFIRE V.B. - Aereo da caccia, armato con due cannoncini da 20 mm. e 4 mitragliatrici da 7,7 mm., era velocissimo 600 Kmh. con una autonomia di 1.825 Km.

 

VIKHERS WELLINGTON - Aereo da bombardamento medio, bimotore, adatto a voli notturni, armato con 6 mitragliatrici poste una in torretta girevole, due davanti alla fusoliera, una in coda e due laterali. Portava un carico di 2.700 Kg. di bombe, autonomia di volo di 1.000 Km. .

 

HAWKER HURRICANE - Monoplano da caccia con carrello retrattile, era monoposto con tettuccio scorrevole. Inizialmente armato con 8 mitragliatrici Browning da 7,7 mm. installate nell’ala, nel 1941 le mitragliatrici vennero sostituite con 4 cannoncini Oerlikon-Hispano da 20 mm.,in seguito quando divenne aereo assaltatore i 4 cannoncini furono sostituiti con 2 cannoni Vickers da 40 mm. con l’aggiunta di 2 mitragliatrici da 7,7 mm., poteva portare anche 2 bombe da 227 Kg., in velocità superava i 500 Kmh.

 

FAIREY SWORDFISH - Aerosilurante, biplano, armato con  due mitragliatrice da 7,62 mm. poteva portare un siluro da 730 Kg. o una mina da 680 Kg. oppure 8 bombe da 50 Kg.,aveva un equipaggio da due a tre uomini, la sua autonomia era di 1.240 Km.

 

WESTLAND LYSANDER  -  Aereo monoposto usato per il controllo del deserto e spostamenti di truppe avversarie, venne utilizzato anche come bombardiere, non portava bombe di grosso calibro ma spezzoni.

 

Questi furono gli aerei inglesi protagonisti allo inizio delle operazioni in Africa Settentrionale e Orientale, in seguito arrivarono i potenti aerei americani come il bimotore da bombardamento “MARTIN MARYLAND“ e il caccia “CURTISS P.40”. ( FOTO N°6 )

 

Veniamo ora a conoscere la consistenza della flotta navale inglese nel Mediterraneo; allo scoppio delle ostilità  era comandata dall’ammiraglio Andrew Cunningham distribuita nelle basi di Alessandria e Gibilterra, in seguito anche nella potenziata  base di Malta.

 

Una breve introduzione storica: qualche mese prima della nostra entrata nel conflitto,l’ammiragliato inglese ritenendo pericolosa la superiorità della nostra flotta navale nel Mediterraneo, aveva progettato l’idea di trasferire nella base di Gibilterra tutta la sua flotta Mediterranea, lasciando quella di Alessandria; questo, secondo l’ammiragliato, faceva sì che invece di avere due basi deboli se ne creava una fortissima in una sola base, Gibilterra veniva ritenuta la più sicura per la sua posizione strategica. Quella proposta venne avversata da Winston Churchill, allora Primo Ministro del governo inglese; bocciata l’idea dell’ammiragliato si

addivenne al concetto di rinforzare le due basi. Quel timore inglese della superiorità della nostra flotta era dovuto alla efficace e abile propaganda che la nostra diplomazia aveva saputo divulgare, facendo conoscere che la marina italiana possedeva, già dal 1939 ben 7 corazzate, un gran numero di incrociatori pesanti ma soprattutto oltre 100 sommergibili, per l’esattezza 115. In effetti alla data del 10 giugno 1940 la nostra flotta aveva pronte nella base di Taranto appena 2 corazzate, la Cavour e la G.Cesare, solo a fine luglio del 1940 entrarono in linea la Duilio, la Vittorio Veneto e la Littorio, mentre il 28 ottobre, sempre del 1940, entrò in servizio la Andrea Doria e nello agosto del 1943 anche la corazzata Roma.

 

Ancor prima delle ostilità con l’Italia la flotta inglese nel Mediterraneo, nelle basi di Gibilterra, Malta e Alessandria non era poi tanto debole; a Gibilterra erano alla fonda una corazzata, un incrociatore e 9 cacciatorpediniere, a Malta appena una torpediniera e 6 sommergibili, quella che aveva una maggiore consistenza era la base di Alessandria con 4 corazzate, una portaerei, 6 incrociatori pesanti, 21 cacciatorpediniere e 6 sommergibili, poi vi erano due piccole basi quella di Porto Said con un incrociatore medio e di Porto Sudan con 3 incrociatori, 4 cacciatorpediniere, un incrociatore contraerei; basi che pur trovandosi nel Mare Rosso, potevano permettere in qualunque momento alle navi di entrare nel Mediterraneo attraverso il Canale di Suez.

Solo da luglio a settembre del 1940, l’ammiraglio Andrew Cunningham, comandante supremo di tutte le forze navali inglesi nel Mediterraneo e Mare Rosso, poté rafforzare la base di Gibilterra così da avere in essa 3 corazzate ( la Hood, la Resolution e la Valiant ), la portaerei Ark Royal, ancora 2 incrociatori leggeri ( lo Sheffield e lo Enterprise ), un incrociatore pesante ( il Renown ) e 11 cacciatorpediniere; questa consistente forza navale prese il nome di “Forza H“ il cui comando fu affidato al Vice ammiraglio James Somerville, ma come comando operativo dipendeva dall’ammiraglio Cunningham.

 

La base di Malta venne rinforzata successivamente con gli incrociatori Aurora e Penelope e con i cacciatorpediniere Lance e Lively, tale forza venne denominata “Forza K“, una formazione che purtroppo dette molto filo da torcere alla nostra marina.

 

Nella base di Alessandria, sede della Mediterraneam Fleet, si trovavano, come sopra detto 4 corazzate ( Warspite, Ramillies, Malaya e Barham ), oltre alla portaerei Eagle entrò in linea anche la portaerei Illustrious, quest’ultima aveva un particolare che allora nessuna altra nave possedeva: il ponte blindato. Fece parte di quella base anche l’incrociatore pesante Kent che si aggiunse ai 6 incrociatori pesanti ( l’Orion, il Sidney, il Gloucester, il Liverpool, il Neptune e il Calipso che venne affondato dal nostro sommergibile Bagnolini, appena due giorni dopo la nostra entrata in guerra ); nella base vi erano anche dodici sommergibili.

 

Una particolare tattica divergente venne adottata dalla marina inglese sfruttando la divisione delle due flotte; infatti quando un convoglio entrava nel Mediterraneo dallo Stretto di Gibilterra, dirigendosi verso Malta per rifornirla e rinforzarla, convoglio che veniva scortato dalla Forza H del vice ammiraglio Somerville, contemporaneamente da Alessandria usciva in mare la flotta dell’ammiraglio Cunningham quasi al completo, questo stratagemma presupponeva anche la suddivisione in due gruppi delle Forze aereo-navali italiane mettendole nel dubbio su chi attaccare, conclusione il convoglio poteva teoricamente  giungere quasi indisturbato a Malta. ( FOTO N°7 )

 

La ventilata occupazione di Pantelleria da parte inglese, divenne importante nel settembre del 1940, quando il Primo Ministro Winston Churchill propose ai capi di Stato Maggiore dello esercito e della marina l’occupazione di Pantelleria che egli riteneva munitissima e con un importante aeroporto militare, dal quale partivano i nostri aerei per bombardare Malta, che distava appena 200 Km. da Pantelleria; inoltre i nostri aerei decollando da quella base attaccavano i convogli inglesi che dovevano attraversare il passaggio obbligato del Canale di Sicilia.

Il progetto d’invasione venne studiato personalmente dall’ammiraglio Keyes, il piano prese il nome convenzionale di “Workshop“. L’ammiraglio nel giro di appena un mese lo presentò nei suoi dettagli a Churchill che a sua volta lo trasmise al generale Ismay quale capo del comitato degli Stati Maggiori, accompagnandolo con una sua nota con la quale sottolineava l’importanza strategica di Pantelleria. La sua occupazione avrebbe dato alla marina inglese il controllo di tutto il Mediterraneo Occidentale, aprendo così un sicuro transito ai convogli inglesi, non obbligandoli più a doppiare il Capo di Buona Speranza per portare rifornimenti in Egitto, inoltre si veniva così a togliere all’Italia una forte base che proteggeva anche i suoi convogli diretti in Libia.

Churchill insistette molto affinché quel progetto venisse attuato, poichè era certo che nel corso della guerra, l’aviazione italo-tedesca avrebbe usato la base di Pantelleria, il ché in effetti avvenne e furono guai per i convogli inglesi e per Malta.

Il progetto venne approvato e fu anche stabilita la data e le modalità della occupazione, ma frattanto erano sopraggiunte particolari situazioni che ne ritardarono l’attuazione; in Inghilterra sussisteva sempre la minaccia tedesca di una invasione, in Estremo Oriente spuntava il pericolo giapponese; in quel periodo si era anche prospettata l’entrata in guerra della Spagna a fianco di Germania e Italia e per ultimo l’offensiva italiana in Africa Settentrionale che portò Graziani a Sidi el Barrani, ad oltre 100 Km. entro il confine egiziano; vi fu un altro inconveniente nella preparazione dell’attacco, i “commandos“ inglesi non avevano ancora raggiunto quel grado di addestramento necessario alla buona riuscita dell’azione.

In base a questi fatti l’operazione “Workshop“ venne accantonata con grande disillusione del Primo Ministro inglese e dello stesso ammiraglio Keyes. Il piano di sbarco inglese a Pantelleria era stato concepito soprattutto sulla sorpresa; due o tre navi cariche di esperti “commandos” venivano ad essere accodati a un convoglio fortemente scortato, detto convoglio doveva attraversare il Canale di Sicilia sull’imbrunire attirando l’attenzione della nostra ricognizione e quindi l’intervento della av

aviazione da bombardamento,impegnandola sino a che si facesse buio, con l’oscurità le due o tre navi si sarebbero staccate dal convoglio puntando direttamente su Pantelleria; sbarcando sulla costa, in piena notte, i “commandos” avrebbero preso di sorpresa la nostra guarnigione che certamente mai si sarebbe aspettato una simile e audace impresa. Certamente il piano era ben congegnato e fu nostra fortuna che esso non poté essere eseguito. Conquistata Pantelleria, i nostri convogli non avrebbero avuto alcuna possibilità di portare rifornimenti e soldati in Libia, a meno di rischiare la totale distruzione nello attraversare un mare ormai sotto completo controllo inglese. ( 4 )

 

Descritte le posizioni strategiche dei vari eserciti contrapposti nello scenario libico e prima di descrivere le battaglie che essi affrontarono, vorrei fare conoscere quella che fu la psicosi della guerra degli italiani di Libia che per primi affrontarono i disagi, le paure e le distruzioni delle loro case, negli oltre due anni di dura lotta che si svolse nel loro territorio.

 

La vigilia di guerra e la guerra stessa, noi italiani della Quarta Sponda la sentimmo e la vivemmo più intensamente che la popolazione della Madrepatria.

Le ragioni erano ovvie, fu subito cosciente in noi che la guerra avrebbe avuto un corso più cruento proprio in Libia, in quanto sapevamo di avere due fronti da controbattere, quello tunisino e quello egiziano, poi vi era la visione del continuo arrivo a Tripoli di soldati e materiale bellico, le affrettate opere di difesa, la militarizzazione di imprese civili, il richiamo alle armi di nostri concittadini che avevano in passato già adempiuto il servizio militare, tutto questo apparato di forze e di mobilitazione, destava apprensione tra le persone anziane, ma su noi giovani, quel frenetico movimento ci dava un senso di potenza e di sicura vittoria. Certamente la massa del popolo e dei soldati era allora all’oscuro della nostra impreparazione alla guerra, fu una fortuna quella mancanza di verità e ancora oggi mi domando se fossimo venuti a conoscenza di quella impreparazione, la gioventù e il popolo con che animo avrebbero affrontato la guerra? La mia risposta?! Avremmo combattuto con lo stesso slancio e onore come in effetti si comportò la quasi totalità degli italiani nel corso del conflitto.

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Il 10 giugno 1940, a guerra dichiarata a Francia e Inghilterra, iniziarono subito in Libia le prime avvisaglie di guerra; sul fronte tunisino movimenti di pattuglie e qualche sorvolo di aerei francesi sulla città di Tripoli con lanci sporadici di bombe che provocarono due vittime tra i civili, però questo solo nei primi giorni di guerra, dopo tutto tacque su quel fronte causa l’imminente armistizio della Francia. Più sentita per le nostre truppe, fu la guerra sul fronte egiziano, infatti mentre noi ci mantenevamo sulla difensiva, come aveva stabilito Mussolini e Badoglio, gl’inglesi iniziarono subito operazioni offensive sui nostri presidi militari di confine; il 12 giugno 1940 occuparono Sidi Omar, Bir Sceferzen e Ridotta Maddalena, il 14 é la volta di Ridotta Capuzzo, tra il 16 e 17 vennero occupati i piccoli presidi di Carn El Grein e Uescechet El Neira, i superstiti di questi due ultimi presidi riuscirono a raggiungere Giarabub che già dal 14 era stata attaccata e anche se la sua forza militare era alquanto modesta, essa riuscì sempre a respingere ogni attacco nemico.

Quelle iniziali vittorie dello esercito inglese, furono facilitate dalla nostra cattiva organizzazione e impreparazione logistica-militare in quel settore, pochi uomini e male armati; un breve esempio, i presidi di Ridotta Maddalena, Carn El Grein e Uescechet El Neira, come sopra detto, avevano pochi uomini e mezzi, nessun collegamento via radio, solo telefonico che gli inglesi subito isolarono tagliando i fili di collegamento con il comando della 10^Armata anche Sidi Omar e Ridotta Capuzzo, subirono la stessa sorte.

 

Le incursioni degli inglesi continuarono anche con missioni in profondità sul nostro territorio. Nella giornata del 14, autoblindo inglesi dello 11°Ussari, oltrepassarono il confine per oltre 20 Km tanto da arrivare sino a Sidi Azeiz, in quel raid attaccarono un reparto della 1^divisione libica, il quale sotto la pressione del nemico e sottoposto a bombardamento aereo, dovette ripiegare su Bardia; purtroppo, per mala sorte, in quel frangente il nostro reparto fu anche mitragliato e bombardato dalla nostra aviazione, che intervenuta nello scontro, ignara della dislocazione dei nostri soldati, in quanto non gli era stata segnalata, iniziò a mitragliare tutto ciò che si muoveva sul terreno, nemici e amici. Un chiaro esempio di mancati collegamenti, collaborazione tattica e assenza di accordi terra-cielo.

 

Comunque se avessimo avuto reparti mobili come li avevano gli inglesi e averli potuto impiegare in analoghe azioni, certamente non avremmo subito tanti smacchi. Le forze inglesi che attaccavano i nostri presidi, erano di modesta entità ma dotate di elevata autonomia, avevano il vantaggio di muoversi velocemente su autoblindo Daimler MK., sui famosi Bren-Carrier e su autocarri Dodge e Ford. modificati per il deserto, mezzi armati con mitraglie pesanti e alcuni anche con cannoni.

Ad onore della verità, durante quelle azioni di incursori inglesi, il generale Dalmazzo, allora comandante del XXI corpo d’armata, cercò di reagire ed ordinò, nella giornata del 15, al comandante della divisione Marmarica di formare una colonna mobile per cercare di respingere il nemico oltre frontiera; la colonna che era partita da Bardia, arrivò sino a Ridotta Capuzzo che trovò abbandonata dagli inglesi e non avendo potuto prendere contatto con il nemico rientrò a Bardia, lasciando un piccolo presidio in quel modesto fortilizio, presidio che venne successivamente distrutto.

 

Frattanto altra colonna mobile al comando del colonnello D’Avanzo, tratta dalla 1^divisione libica, composta da un battaglione autocarrato, due compagnie carri leggeri e una batteria cannoni, partiva da Gabr Saleh nella notte del 16, portandosi nella zona di Sidi Omar ove ebbe uno scontro con un forte reparto della 7^divisione corazzata inglese, ma la superiorità dei mezzi blindati nemici produsse nella nostra colonna gravi perdite; caddero sul campo il colonnello D’Avanzo,il tenente Raffaele Bonanno (tripolino) e 200 soldati libici, perdemmo 30 automezzi, 12 carri leggeri e 4 cannoni; i superstiti ripiegarono su Tobruch.

Quando il maresciallo d’Italia Rodolfo Graziani, iniziò la sua offensiva che lo portò a Sidi Barrani, venne ripresa Ridotta Capuzzo e i piccoli presidi del circondario e venne liberata dallo assedio Giarabub.

 

Se Benito Mussolini e lo Stamage avessero dato ascolto al maresciallo dell’Aria Italo Balbo, che sino dal 1939 aveva proposto di trasformare le divisioni di fanteria dislocate in Libia, in 2 divisioni corazzate e 5 motorizzate, naturalmente con l’adeguato armamento, molte vicende belliche che si svolsero su quel territorio avrebbero preso altra piega certamente a noi favorevole, visto le poche forze che in quel momento il generale Wavell disponeva in Egitto, inoltre non avremmo avuto in seguito bisogno dello aiuto tedesco in Libia. Purtroppo Balbo ebbe contro ai suoi progetti innovativi l’ostinata avversione dello Stamage e per esso dal maresciallo Pietro Badoglio, capo indiscusso dello Stato Maggiore Generale, il quale sosteneva che in Libia avevamo un esercito così numeroso, capace di affrontare e respingere ogni velleità del nemico, anche se quello esercito era composto solo da divisioni di fanteria appiedate e male armate.

 

Valenti generali quali Baistrocchi, Grazioli, Zoppi, Canevari  sostennero allora la tesi di Balbo che ritenevano valida per una guerra moderna sviluppata su un vasto territorio quale era quello della Libia.

 

Agli inizi delle ostilità, la vita in tutte le città e cittadine della Libia si svolgeva tranquilla e normale come ai tempi di pace, poi incominciarono i giorni di ansie, di preoccupazioni e ovviamente di paure per i continui massicci bombardamenti della aviazione inglese specie su Tripoli e Bengasi. Con i primi morti civili e gravi danni alla città, veniva così ad essere impegnata anche la popolazione che nonostante quelle difficoltà, seppe tenere alto il morale e non si scoraggiò nello affrontare la dura lotta.

 

La gioventù italiana di Libia che sentiva giusta la guerra, fu quella che accorse subito al richiamo della Patria e si comportò sul campo con onore, dando un fulgido esempio di dovere e sacrificio. Molti furono i combattenti volontari ma anche molti i caduti. Gli italiani di Libia dettero alla Patria ben 4 Medaglie d’Oro al Valore Militare e numerose Medaglie d’Argento e di Bronzo.

 

E’ doveroso da parte mia segnalare al lettore i nomi e le gesta di questi Eroi, mi dispiace di non poterli elencare tutti, purtroppo devo limitare, anche per questioni di spazio grafico, a fare conoscere quelli di cui mi é pervenuta la documentazione e di coloro che ebbi la fortuna di conoscere personalmente.

 

Inizio con la più prestigiosa M.O.V.M.(vivente) concessa al tenente di Vascello Luigi Ferraro, di cui ho descritto le gesta nel precedente capitolo, poi la M.O.V.M. (alla memoria) all’aviere scelto Trevigni, medaglia che si meritò, appena iniziata la guerra, durante una incursione sui cieli di Malta, fu la prima che venne data a un componente della nostra Aviazione; altra M.O.V.M.(alla memoria) al tenente Raffaele Bonanno, della 1^divisione libica, anche qui con orgoglio posso affermare che fu la prima Medaglia d’Oro concessa a un soldato ad appena sei giorni dallo inizio del conflitto.

 

Altri Eroi: maggiore pilota Adriano Visconti di Lampugnano, Asso dell’Aviazione italiana - 6 Medaglie d’Argento al Valore Militare, 2 di Bronzo e una promozione per meriti di guerra, ucciso a tradimento a fine guerra dai partigiani comunisti italiani.

Capitano Giorgio Pistoni, caduto in Africa Settentrionale, proposto per la M.O.V.M..

Continua il mio elenco di giovani italiani di Libia che sacrificarono la loro vita per la grandezza della nostra Patria, quali:

Sergente maggiore Luigi Trizzi, caduto in Russia il 25 dicembre 1941, mentre il tenente Rolando Sanna, con Nunzio Corso, Michele Banci, Antonio La Vecchia, Pietro Sacco, Giuseppe Cavoli, Romeo Cardona, Gaetano Napoletano, Mario Jacampo, Baldassarre Glaviano, Alessandro Strati, Luigi Perrone, Rocco Mercurio, sergente universitario Luigi Ghione, tutti caduti in combattimento in Africa Settentrionale; Nunzio Corso apparteneva al 62°reggimento Fanteria della divisione Trento, morì durante la prima battaglia di El Alamein il 14 luglio 1942.

Sul fronte russo oltre al Trizzi perse gloriosamente la vita anche il capitano Achille Cusinati, mentre su quello greco moriva il tenente Bruno Bertoni.

Combattendo con la Repubblica Sociale Italiana e per l’Onore d’Italia perirono i fratelli Giuseppe e Carlo Biaghetti, Giuseppe che fu mio compagno di scuola, era allievo ufficiale nel battaglione Barbarigo, morì in località Ozegna ( Torino ) in un agguato partigiano, venne decorato con la M.O.V.M. alla memoria, altro combattente con la R.S.I. fu Giancarlo Strobino anch’egli ucciso in una imboscata di partigiani .

 

Dopo l’armistizio soldati italiani vennero catturati dai tedeschi, molti furono uccisi o deportati in Germania, tra questi due miei concittadini, l’artigliere Italo Spinelli, massacrato dalle SS nel 1943 e Franco Pini morto nel Lager di Sandsbostel (Germania) nel 1944

Nel corso della guerra di Liberazione, Armando Calenda altro italiano di Libia cadde in combattimento sul fronte italiano.

                                           

Ancora altre tre Medaglie d’Argento concesse: al tenente Vella Natale, ai  tenenti piloti Zaccaria Raimondo e Mario Mazzocca, tutti e tre “tripolini“, nel dopoguerra ho avuto l’onore di conoscerli a Tripoli .

Non dimentico altri valorosi come l’amico Alfredo Sicari decorato di tre Croci al Merito di Guerra, purtroppo scomparso prematuramente qualche anno fa a Desenzano del Garda, Alfredo Clivio e Gaspare Gucciardi, grandi invalidi di guerra scomparsi ambedue nel dopoguerra, altro grande invalido Catino Luigi, penso sia ancora in vita e tra i viventi che combatterono in Africa Settentrionale cito: Francesco Finocchiaro, Renzo Azzurrini, Arnaldo D’Ascoli, Erminio Marchino, Pietro Napolitano, Piero Pavanello, Paolo Prandstraller e ancora altri compagni di gioventù come Ugo Golisciani, Piero Lanzon e Roberto  Paratore.

Tanti ancora sarebbero i ragazzi di Libia da menzionare, ragazzi che donarono il loro sangue per le glorie d’Italia. ( FOTO N°8 )

 

Prima ancora dell’inizio le ostilità, noi giovani italiani di Libia guardavamo fiduciosi la preparazione militare che si svolgeva sul territorio, con la costruzione di casamatte, di postazioni di mitragliatrici, di bunker per la difesa costiera, purtroppo venimmo in seguito a constatare, che dette fortificazioni, sino a diversi mesi dallo inizio della guerra, non erano state armate. Il Governatore Generale della Libia, maresciallo dell’Aria Italo Balbo, che era anche il comandante supremo di tutte le forze armate dislocate in Africa Settentrionale, aveva già notato quelle nostre pecche difensive, tanto che scrisse direttamente a Benito Mussolini, in data 11 maggio 1940 con lettera protocollo 01-200-741, nella quale faceva presente, oltre la scarsa preparazione delle difese di Tripoli, Bengasi, Tobruch e Bardia, anche la disastrosa situazione militare in Libia, la impreparazione delle truppe che aveva ai suoi ordini e se pure avendone a disposizione un ragguardevole numero, queste mancavano di un adeguato armamento moderno; metteva ancora in evidenza la scarsezza di automezzi, della artiglieria controcarro e antiaerei, faceva notare, in vista delle incursioni aeree nemiche, la mancanza di reti di avvistamento, sia di vicinanza che in lontananza, le difficoltà dei collegamenti telefonici tra comandi e reparti e tante altre necessità.

 

Balbo richiedeva come materiale quello strettamente necessario, purtroppo molte delle sue richieste non furono esaudite perché non disponibili in quanto ancora in produzione, poco gli fu inviato e con il contagocce, soprattutto l’approvvigionamento di viveri, alla data del 10 giugno 1040, in Libia vi erano scorte di viveri per appena 6 mesi e le risorse locali non garantivano la possibilità di alimentare la popolazione civile e la massa di soldati che frattanto arrivavano.

 

Il maresciallo Balbo, chiedeva che tutto il materiale richiesto gli venisse inviato subito in quanto giustamente prevedeva, che con l’inizio della guerra sarebbe stato difficile approvvigionare la Libia, sia come armamento che viveri, poichè la nostra marina si sarebbe trovata in difficoltà  nel fare giungere regolarmente gli aiuti, causa la massiccia presenza  della marina francese e inglese che avevano basi a Biserta, Algeri, Malta e quindi capaci di bloccare il canale di Sicilia.

 

Purtroppo le sue richieste trovarono subito intoppi presso lo Stamage, anche perché il generale Soddu, Sottocapo dello Stamage, aveva fatto presente a Mussolini, con un promemoria del 13 maggio 1940, che non considerava così disastrosa la situazione militare in Libia, avendola constatata di persona e che le eventuali operazioni belliche in Africa Settentrionale non dovevano essere prese come azioni esclusive e preponderanti, quindi secondo il generale Soddu, le richieste di Balbo dovevano essere esaminate nel globale di tutte le altre richieste che sarebbero pervenute con la nostra entrata in guerra, da altri fronti.

 

Da questa poca considerazione della gravosa situazione in Libia da parte dello Stamage, desidero fare conoscere al lettore, una strana contraddizione: nel 1939, il maresciallo Badoglio, allora capo dello Stamage, si recò in Libia per una ispezione di carattere militare, al suo rientro in Italia, nello esporre a Mussolini il risultato di quella visita e di quanto aveva osservato, così si espresse.......” in caso di guerra è opportuno predisporre laggiù, l’invio di maggiori armamenti......”

Il comandante superiore Africa Settentrionale, con la sua richiesta aveva inviato anche una nota del materiale che urgentemente necessitava onde potere iniziare la guerra in Libia, ecco in breve ciò che Balbo richiedeva e quanto invece  venne inviato:

Per la sistemazione difensiva delle frontiere, l’armamento richiesto fu:

1788 mitragliatrici Fiat 35, inviate solo 500, altre 900 arriveranno nel mese di luglio, quindi a guerra già iniziata.

390 pezzi anticarro da 47/32 , giunti in Libia  solo 120.

Delle 23 Batterie da 77/28 chieste, gli venne risposto che potevano essere inviate nel giro di 6-8 mesi.

Munizionamento:

Richiesti 880.000 colpi per cannoni anticarro, inviati solo 13.000, pare che la produzione mensile di detti proiettili fosse di appena 40.000 al mese.

Chiesti 437.000 colpi per pezzi da 77/28, altra risposta negativa: nessuno invio per il momento

Balbo aveva anche chiesto un fabbisogno di 3 milioni di quintali di cemento, per le opere murarie delle fortificazioni: arrivarono in Libia solo 1.275.000 quintali.

Per la difesa contraerei:

Richiesti 5 gruppi mobili contraerei (15 batterie), più 23 batterie da posizione fissa e 50 batterie con mitragliere da 20 mm. risultato: nessuno invio in quanto scarseggiavano anche sul territorio nazionale.

Automezzi:

Chiesti 1.000 automezzi per le grandi Unità, inviati solo 170 e all’inizio delle ostilità altri 500.

Servizio sanitario:

Su una richiesta di 255 autoambulanze, arrivate a Tripoli: solo 20.

Per farsi un idea di quanto fosse scarsa la difesa contraerei, questa era allora la situazione:

in tutto il territorio libico vi erano solo due reggimenti di artiglieria contraerei che dipendevano dal comando Difesa Territoriale, a questi reggimenti era affidato il compito di difendere le città di Tripoli, Sirte, Bengasi, Derna e la piazzaforte di Bardia, per Tobruch provvedeva l’incrociatore S.Giorgio e le mitragliere poste a difesa degli aeroporti T.2-T.5-T.3 disposti nel circondario di quella piazzaforte.

Nel corso della guerra spesso capitava che batterie di mitragliere da 20 mm. contraerei, venissero richieste ai comandi divisionali per essere usate come difesa terrestre, la mitragliera da 20, si dimostrò molto efficace anche come arma controcarro per veicoli blindati.

Solo nell‘ottobre 1940, a quasi 5 mesi dallo inizio della guerra, giunsero in Libia il XVIII e il XXIX gruppi artiglieria contraerei che avevano in dotazione i famosi cannoni tedeschi 88 Krupp.

Il XXIX gruppo venne destinato alla difesa di Tripoli che quasi quotidianamente subiva le incursioni della aviazione inglese, mentre il XVIII fu smistato parte alla divisione Brescia e parte alla divisione Sabratha. Nel febbraio 1941 arrivò in Libia un reparto

della Milizia contraerei con cannoni da 88/56.

Alla difesa contraerei delle città libiche, inizialmente vi erano poche batterie fotoelettriche con riflettori da 75 cm., affidate al personale tecnico delle divisioni Sabratha e Pavia; dette batterie erano comandate dal maggiore di artiglieria Napolitano e dal tenente del Genio Menaldi Marchini. Con l’arrivo in Libia dei due gruppi sucitati, la città di Tripoli ebbe anche 15 sezioni fotoelettriche con riflettori da 120 cm., mentre Bengasi usufruì di 8 sezioni.

 

Ovviamente questo scarso invio di materiale bellico, fu contestato da Balbo ma da vero soldato il maresciallo ubbidì agli ordini superiori e cercò, con i mezzi del posto, di porre riparo alla deficienza di armamenti.

 

Il primo piano di Balbo fu quello di dichiarare tutto il territorio libico quale “zona di operazioni“, dividendolo in zone di “guerra“ e di “retrovie“; Tripoli e il suo entroterra per la vicinanza del fronte tunisino, vennero dichiarati zona di “guerra“, mentre per la Cirenaica solo la città di Derna e tutto il Sahara libico, vennero considerate zone di “guerra“. Come “retrovie”, vennero definite per la Tripolitania la provincia di Misurata e per la Cirenaica la provincia di Bengasi; solo in un secondo momento tutta la Libia venne dichiarata “zona di guerra“.

 

Nel mese di maggio 1940, a un mese prima dalla nostra entrata in guerra, Italo Balbo che certamente immaginava in quali pericoli veniva a trovarsi la popolazione civile, attuò un piano per salvaguardare dal disastro della guerra, la vita dei figli dei cittadini italiani della Libia, con il mandarli in Italia ospiti delle colonie della G.I.L.

A pochi giorni dallo inizio della guerra, migliaia di piccoli italiani in età dai 5 ai 12 anni vennero imbarcati su piroscafi e portati in collegi dell’Italia Settentrionale, mio fratello fu uno di loro. Molti di questi ragazzi riuscirono a ricongiungersi con i familiari soltanto dopo 5 anni di lontananza.

 

Per assolvere alla impostazione di una linea difensiva strategica, il comando FF.AA. della Libia, iniziò con il coprire alcune lacune difensive, come già descritto allo inizio di questo capitolo, con un più tattico schieramento delle sue divisioni, sia sul confine tunisino che su quello egiziano; spostò dal Sud della Tripolitania la 1^divisione libica trasferendola, via terra, in Cirenaica alle dipendenze della 10°Armata, quel trasferimento venne completato nel mese di luglio del 1940; requisì tutti gli automezzi civili disponibili in Libia e militarizzò anche le imprese civili; Balbo studiò con il suo capo di Stato Maggiore generale Giuseppe Tellera un colpo di mano su Sollum, con i due battaglioni paracadutisti libici e l’apporto della 1^divisione libica. Sottoposto il progetto allo Stamage anche questa volta Roma trovò ostacoli, il piano venne respinto da Badoglio, in quanto costui voleva che per il momento le nostre truppe, sul confine egiziano, si mantenessero sulla difensiva e Balbo concentrasse la sua attenzione sul fronte tunisino.

  

Pare che Italo Balbo avesse in mente un altro piano sorprendente, si suppone che Egli pensava di attaccare gl’inglesi dal profondo Sud della Cirenaica, partendo da Cufra con una forte colonna motorizzata, composta dalla 1^ e 2^divisione libica, poichè i soldati libici erano i più allenati a sopportare il torrido clima del deserto; da quella base di partenza attraversando il deserto egiziano, al disotto della depressione di El Qattara, si doveva raggiungere prima l’Oasi di El Kharga e poi risalendo verso il Nord, toccare l’Oasi di Maushah, puntare quindi su il Cairo e infine Porto Said, mentre dalla costa il nostro esercito avrebbe dovuto sferrare un attacco per impegnare il grosso dello esercito inglese che così doveva preoccuparsi della difesa di Alessandria. Ho premesso che quel piano fu ed é ancora un punto interrogativo, in quanto esso scomparve con la prematura morte di Balbo, pare..... e dico ancora “pare“, che Egli ne avesse accennato vagamente a uno dei suoi più intimi collaboratori e da qui si sia sparsa la voce. Poche e dubbie sono le fonti che permettono di dare forma e verità a quel pensiero di Balbo e se si riuscisse a documentarlo, confermerebbe che Italo Balbo, oltre ad essere stato un grande aviatore, avrebbe superato in audacia e strategia militare lo stesso Rommel. Comunque a mio modesto giudizio, credo che quel “presunto” piano, non era tanto presunto, in quanto vi é un accenno nella Relazione denominata “Organizzazione economica e militare della Libia“ che Italo Balbo, come Governatore Generale della Libia, presentò alla

 

“Commissione Suprema di Difesa - XIV Sessione“, il 9 febbraio 1937, nella quale enunciava che in caso di guerra contro l’Inghilterra, avrebbe iniziato le operazioni militari sul confine egiziano in due fasi, una lungo la costa con obiettivo Alessandria e  l’appoggio di truppe mobili dall’interno, che avrebbero dovuto partire da Giarabub occupare Siwah e Marsa Matruch; l’altra dalle Oasi di Cufra e Auenat, con obiettivo il corso inferiore del Nilo, prima a Uadi Halfa che era un porto fluviale del Nilo poi a Delgo e scendendo il fiume puntare su Kartum e incontrarsi in quel punto con l’esercito del Duca d’Aosta che contemporaneamente avrebbe attaccato dalla Eritrea con obiettivo Kassala - Kartum e avanzare insieme sino al Cairo.

                                                  

Come si può notare l’idea di un attacco da Cufra era stato già enunciato da Balbo, con la differenza che l’azione, descritta nella relazione del 1937, non puntava direttamente al Cairo ma ad un eventuale incontro a Kartum tra le truppe della Libia con quelle della Eritrea. A mio avviso quel piano, che a prima lettura sa del fantasioso, poteva benissimo essere realizzato avendo potuto avere i necessari mezzi a disposizione, che Balbo nel 1937 pensava ci fossero. Gl’inglesi, durante la loro prima offensiva nel dicembre 1940, attuarono, ma in senso contrario, un piano così fantasioso; infatti una colonna del Long Range Desert Group (L.R.D.G.), i famosi incursori del deserto, formata in prevalenza da soldati neozelandesi, che meglio sopportavano il clima sahariano, partì dal Cairo il 26 dicembre 1940 a bordo di camionette Dodge attrezzate per quel raid e scendendo verso il Sud del deserto egiziano, oltrepassando il nostro confine tra Giarabub e Cufra, percorrendo tutto il deserto della Cirenaica, evitando l’intercettazione del presidio di Gialo, puntando decisamente su l’Oasi di Murzuch nel Fezzan che attaccò l’11 gennaio 1941; il nostro presidio, pur preso dalla sorpresa, reagì con prontezza ma non poté impedire che il nemico distruggesse 3 aerei Ghibli e il piccolo aeroporto. In quello attacco a Murzuch, partecipò anche una colonna di francesi degollisti provenienti dal Ciad; nel combattimento che ne seguì venne colpito a morte il comandante della loro colonna, il colonnello D’Ornano. Mai il nostro comando del Sud libico poteva immaginare un attacco a un presidio distante dal fronte oltre 1.300 Km.. Ora viene spontanea la domanda: come mai una

colonna nemica che aveva attraversato il deserto per oltre 2.500 Km. e più della metà sul nostro territorio, non fosse stata avvistata dalla ricognizione aerea? Anche la colonna francese, partita da Faya nel Ciad, pure percorrendo ben 500 Km. nel nostro territorio del Fezzan non fu intercettata!

 

D’accordo che in ambedue le azioni parteciparono una decina di automezzi con un centinaio di soldati, ma è pur vero che furono penetrazioni molto profonde e a scopo offensivo entro il nostro territorio e la nostra ricognizione aerea avrebbe dovuto segnalare quelle colonne nemiche anche se in piccole forze; io penso che la segnalazioni venne fatta ma i responsabili militari del comando italiano del Sahara libico, non ne tennero conto per l’esiguità del numero di mezzi e uomini nemici, mai immaginando che una così piccola forza avrebbe attaccato una nostra base a migliaia di chilometri entro i nostri confini; certamente nella mentalità di certi comandi italiani, per intervenire e correre ai ripari, le forze nemiche, che penetravano così profondamente oltre i nostri confini, dovevano avere una consistenza di almeno 5-6 mila uomini con 400 automezzi, seguiti da altrettanti veicoli logistici, forse contro queste numerose forze si sarebbe chiesto l’intervento della nostra aviazione, così da bloccarle o disperderle in pieno deserto con un bombardamento aereo.

 

Dopo quelle incursioni il generale Graziani fece rinforzare tutti quei piccoli presidi del Fezzan ma tali precauzioni non scoraggiarono né inglesi né francesi, i quali dopo pochi giorni, a fine gennaio 1941, ritentarono un attacco a Murzuch e addirittura alla base di Hon, che era sede del comando Sud Libico.

 

Il lettore si domanderà ancora, come il nemico abbia potuto attraversare il deserto per circa 2.500 Km. di andata e altrettanto per il ritorno e come e dove si sia potuto rifornire di carburante e viveri dopo una permanenza di oltre 40 giorni in esso; infatti la colonna inglese rientrò al Cairo il 9 febbraio. In questo capitolo ho già dato una esauriente risposta che riporto: sino dal 1939 gl’inglesi avevano perlustrato tutto il Sud del Sahara libico, creando dei depositi occulti di carburanti, viveri e anche di munizioni, i luoghi dello occultamento erano conosciuti dagli ufficiali del L.R.D.G., che naturalmente in quella occasione ed in altre scorribande ne usufruirono abbondantemente.

 

Ritornando ancora agli inizi del conflitto, veniamo a conoscere cosa cambiò sul fronte tunisino, dopo la firma dell’armistizio francese alla data del 25 giugno 1940; non molto poiché non essendoci più alcun pericolo su quel fronte, Balbo pensò subito al rafforzamento della 10^Armata, con inviare in Cirenaica anche la 2^divisione libica, parte dell’artiglieria della divisione Savona, un battaglione di carri leggeri L.3 e ancora 8 batterie di cannoni da 65/17; inoltre tolse al XX Corpo d’armata, 3 batterie mitragliere da 20 mm., 100 automezzi, 2 compagnie telegrafisti, 24 autoambulanze, munizionament vario e sempre in quei giorni, inviò in Cirenaica anche il XXIII Corpo d’armata del generale Bergonzoli, tranne due legioni della divisione CC.NN.28 Ottobre che rimasero a difesa della città di Tripoli. Questi repentini spostamenti a discapito della 5^Armata, vennero attuati in quanto il maresciallo dell’Aria Italo Balbo, era convinto che la posizione difensiva sul fronte egiziano non poteva essere tenuta per molto tempo, Egli era certo che il generale Wavell, comandante supremo di tutte le forze inglesi del Medio Oriente ed Egitto, certamente a conoscenza dei nostri modesti mezzi militari, avrebbe per primo sferrato l’attacco.

 

E’ risaputo che un altro piano di guerra scaturì dalla vulcanica e dinamica mente di Italo Balbo; il quale mentre erano in corso le trattative di armistizio con la Francia, chiese a Badoglio, a mezzo telegramma N° 01-205602 in data 20/6/1940, di occupare la Tunisia così da impadronirsi di tutto quel materiale bellico, in particolare autocarri, carri armati e artiglieria, che sapeva di essere ancora in abbondanza su quel territorio; infatti con quel recupero avrebbe risolto l’assillante problema di approvvigionamento della 5^e 10^Armata.

Purtroppo Badoglio rispose che le condizioni di armistizio, volute e dettate da Hitler non permettevano l’occupazione di tutti quei territori francesi ancora liberi, Tunisia compresa.

Balbo fu tentato di entrare in Tunisia e procedere alla requisizione di tutto l’armamento colà esistente, anche perché l’armistizio con l’Italia, pur essendo in atto da alcuni giorni non era ancora stato firmato, ma da leale Soldato anche questa volta ubbidì; per inciso l’armistizio con l’Italia venne suggellato alle ore 1,35 del 25 giugno 1940.

Altra nota di rilievo, quando la nostra commissione di controllo armistizio si recò in Tunisia per redigere e inventariare tutto il materiale bellico francese ivi accantonato, gran parte di questo era misteriosamente sparito, non tanto misteriosamente in quanto subito si seppe che quel materiale, appena firmato l’armistizio era stato dirottato a Dakar e in posti sicuri dell’Africa occidentale francese, ne usufruì con abbondanza l’esercito di “Francia libera” al comando del generale De Gaulle, che non aveva voluto accettare né le condizioni di resa, né riconoscere il governo del maresciallo Petain.

Appena dopo l’armistizio con la Francia, Italo Balbo lasciò la sede del comando superiore Forze Armate A.S. che si trovava nel castello di Tripoli, affidando il controllo della Tripolitania al generale Gariboldi, comandante della 5°Armata e si portò a Cirene con tutto il suo Stato Maggiore, onde seguire da vicino la situazione sul confine egiziano. Giornalmente ispezionava il fronte sia su autoblindo che in aereo, purtroppo durante una di queste ispezioni, il suo aereo venne abbattuto per errore dalla nostra contraerei alle ore 17,30 del 28 giugno 1940.

 

La tragica morte del maresciallo dell’Aria fu una grave perdita che certamente arrecò ripercussioni negative nell’andamento della guerra in Libia, in quanto abbassò il morale della popolazione civile ma soprattutto dei militari; Balbo aveva un grande ascendente presso le genti

di Libia, in particolare tra i libici.

 

Un cenno alle cause che determinarono quel fatale errore, che come detto causò la morte del comandante di tutte le Forze Armate di Libia: Italo Balbo come ormai era diventata sua consuetudine, ispezionava spesso la frontiera egiziana onde avere una chiara visione della situazione militare, così nelle prime ore del pomeriggio di quel fatidico 28 giugno 1940, due aerei SM.79 decollarono dallo aeroporto di Derna diretti verso il confine egiziano e Tobruch. Nel primo aereo aveva preso posto Italo Balbo, con un equipaggio formato dal maggiore pilota Ottavio Frailich, capitano motorista Gino Capannini, maresciallo radiotelegrafista Giuseppe Berti e come passeggeri, ma in servizio d’ispezione, il federale del partito fascista di Tripoli Enrico Caretti, il maggiore di fanteria Claudio Brunelli, già direttore generale dell’ETAL (Ente Turistico Alberghiero della Libia), il capitano di artiglieria Nello Quilici, il tenente degli alpini Lino Balbo e il capitano dell‘aviazione ausiliaria Gino Florio. Nel secondo apparecchio viaggiavano il generale Felice Porro, comandante dell‘aviazione di Libia con il suo Stato Maggiore.

Breve “curriculum“ di due componenti l’equipaggio dello aereo abbattuto: uno del capitano Nello Quilici, padre del famoso esploratore Folco Quilici, Balbo lo aveva voluto in Libia quale capo dello ufficio stampa del suo governo, il Quilici era stato direttore del “Resto del Carlino“, vice direttore del “Giornale d’Italia“ e direttore del “Corriere Padano“ fondato da Balbo, Nello Quillici era nato a Livorno nel 1890; l’altro quello del tenente Lino Balbo, figlio del fratello di Italo Balbo, aveva seguito lo zio in Libia e ne era diventato anche uno dei suoi consiglieri, era laureato in Scienze Economiche, quando morì aveva appena  31 anni.

 

I due aerei dopo un giro d’ispezione sulle nostre linee di difesa, ritornavano per atterrare nello aeroporto di Tobruch T.2; l’aereo di Balbo aveva già iniziato la fase di atterraggio e si trovava a una quota di circa 200 metri quasi al limite del campo, quando venne investito da raffiche di mitragliera, sparate da una postazione che si trovava piazzata fuori dal campo, il pilota cercò di forzare l’atterraggio facendo una brusca virata ma offrì così il fianco alle altre postazioni antiaerei che centrarono un motore dell’aereo il quale prese fuoco sviluppando una grossa fiammata che avvolse tutto l’apparecchio, facendolo precipitare appena fuori il campo di aviazione. Per l’aereo del generale Porro, la fortuna volle che esso si trovava ancora a grande distanza in attesa del suo turno di atterraggio, in quanto l’aeroporto T.2 aveva una sola pista agibile.

Il tragico errore avvenne per una serie di circostanze, il contatto radio tra gli aerei e la base di Tobruch non funzionò e non é stato mai appurato, se per guasto o perché ritenuto non necessario da parte dei piloti in volo, in quanto gli aerei volavano su Tobruch a bassa quota quindi riconoscibili; l’altra circostanza fu dovuta al fatto che pochi minuti prima che gli aerei di Balbo e Porro apparissero nel cielo di Tobruch, quella nostra base era stata attaccata da aerei inglesi, i quali come loro metodo, bombardavano gli obiettivi a passaggi intervallati, così quando sopraggiunsero i due aerei, questi furono scambiati per nemici e naturalmente attaccati. Circolò a quel tempo la voce, che l’aereo di Balbo fosse stato abbattuto dalla contraerei dell’incrociatore S.Giorgio e ancora oggi alcuni storici confermano quella voce, ma vi é la testimonianza del tenente pilota Livio Vittori del 50°Stormo d’assalto, che era di base proprio in quel aeroporto al momento dell’incidente, il quale ha confermato, nel libro di Giulio Bedeschi “In Africa c’ero anch’io“, che l’aereo di Balbo venne abbattuto dalla difesa contraerei dell’aeroporto T.2.

       

La morte del maresciallo dell’Aria destò dolorosa impressione in tutto il mondo, soprattutto in America ove Italo Balbo era leggendario; tutta la stampa americana, specie quella di Chicago e New York, commentando la sua morte ne descrissero le imprese aviatorie. Anche in Grecia e in Giappone vollero ricordarlo, ma quelli che maggiormente ne esaltarono lo spirito eroico furono i giornali inglesi, il “Press Association” vi dedicò una pagina intera.

Balbo era molto conosciuto in Inghilterra ove si era più volte recato, prima della guerra, in occasione delle famose gare della Coppa Schneider.

Un particolare interessante e commovente, durante i funerali che si svolsero a Tripoli, ai quali partecipai, un aereo inglese sorvolò la città e lanciò un bossolo d’artiglieria avvolto nel “Tricolore“ con dentro un messaggio del comandante del‘aviazione inglese in tutto il Medio Oriente, il vice maresciallo dell’Aria Arthur Longmore, che esprimeva il suo sentito cordoglio, poi per i 3 giorni decretati dalle nostre autorità in segno di lutto, l’aviazione inglese non bombardò Tripoli. Da sapere che i bombardamenti sulla città erano all’ordine del giorno e che Tripoli, dallo inizio del conflitto, giugno 1940 al tutto il 1941 subì ben 159 bombardamenti aerei e uno navale.

 

Italo Balbo fu comandante e soldato, governatore ed esecutore, animato da un entusiasmo con il quale sapeva trascinare i subalterni. Balbo con le sue quattro grandi crociere aveva fatto conoscere l’aviazione italiana nel mondo con il costruirne una immagine positiva.

Balbo concepiva un disprezzo assoluto per il rischio, quando fu abbattuto aveva solo 44 anni. Ironia della sorte, lasciò la vita su quella terra di Libia che volle grande e feconda.

 

Vorrei fare conoscere al lettore un fatto che dimostra quanto la popolarità di Italo Balbo fosse ancora sentita in America anche dopo la guerra; nel

1945 l’ambasciatore italiano a Washington Alfredo Tarchiani, ovviamente di sentimenti antifascisti, in visita a Chicago chiese al Sindaco di quella città, di togliere il nome di Balbo dalla via che gli era stata intestata nel 1933, in ricordo della seconda trasvolata atlantica che toccò Chicago e New York e abbattere anche il monumento che venne eretto sempre nel 1933 in onore di quella crociera, ebbene Tarchiani ricevette un netto rifiuto da parte delle autorità di Chicago, targa e monumento sono ancora lì a testimonianza della popolarità di Italo Balbo. ( 5 )

 

Altra ironia del caso: qualche ora prima dello abbattimento di Balbo, il maresciallo Badoglio gli inviava un messaggio cifrato che conteneva queste parole.......” Concentrate tutte le vostre forze in Cirenaica e preparatevi a sferrare l’offensiva entro il 15 luglio. Obiettivo Alessandria.” ( FOTO N°9 )

 

Ad appena un giorno dalla morte di Italo Balbo, lo Stamage, dietro sollecitudine di Mussolini, decise di mandare in Libia, il maresciallo d’Italia Rodolfo Graziani, come comandante di tutte le forze armate colà dislocate e anche con la carica di Governatore Generale della Libia.

Si sà che Graziani non ebbe a gradimento quella carica, poiché pur essendo stato tenuto all’oscuro di molti piani che erano in avanzato studio da parte dello Stamage, nonostante che fosse il capo di Stato Maggiore dello esercito, era al corrente della nostra impreparazione, soprattutto dei pochi mezzi offensivi che disponeva il nostro esercito in Libia. Così stando le cose, egli chiese un colloquio con Mussolini e con Badoglio, per avere maggiori ragguagli sulla situazione in Libia, gli venne risposto di partire immediatamente poichè sul posto avrebbe trovato tutte le disposizioni. Da grande soldato quale era, ubbidì e la mattina del 30 giugno partì in aereo dallo aeroporto di Centocelle (Roma) e nella tarda mattinata arrivava allo aeroporto di Castel Benito (Tripoli); da lì immediatamente raggiunse Bengasi, giusto in tempo per assistere in serata alla funzione religiosa di Italo Balbo e degli otto componenti del suo equipaggio. Le salme dei nove caduti partirono da Bengasi la mattina del 1°luglio dirette a Tripoli ove il giorno seguente si svolsero solenni funerali.

 

Il primo luglio, Graziani che frattanto aveva stabilito il suo quartiere generale in Cirene, prese contatto con il generale Tellera, capo di Stato Maggiore di Balbo, che gli mostrò il telegramma di Badoglio con il quale confermava a Balbo di iniziare per il 15 luglio l’offensiva contro gl’inglesi in Egitto. 

Graziani che era stato tenuto all’oscuro di quella decisione dello Stamage, fece subito presente a Roma che non condivideva iniziare l’offensiva per quella data per due ragioni importanti, uno che le forze che aveva a sua disposizione in quel momento, non gli permettevano dare battaglia; due che quale profondo conoscitore del clima e terreno della Cirenaica e di quello similare egiziano, non poteva dare corso ad una offensiva in piena estate, ove il clima oscillava dai 40 ai 50 gradi ed esporre la sua truppa a marciare nel deserto, sotto un sole accecante, non sopportabile e per giunta a piedi, con scarso vettovagliamento idrico e con pochi automezzi, come poi avvenne.

Ovviamente quella presa di posizione, non fu gradita né a Badoglio né a Mussolini e Graziani verrà convocato a Roma per il 5 agosto.

Il 4 luglio Egli convocò a Cirene tutti i componenti del suo comando, comprendendo fra i presenti:

generale Gariboldi - comandante la 5^Armata

generale Berti - comandante la 10^Armata

generale Porro - comandante la 5^ Squadra Aerea

ammiraglio Brivonesi - comandante Marilibia

generale Tellera -capo di Stato Maggiore - comando superiore FF.AA. della Libia

 

In quella riunione, il nuovo comandante le forze armate in Africa Settentrionale, volle rendersi conto della effettiva situazione militare presente in quel momento in Libia, chiese ai responsabili della 5^e 10^Armata, di quanta forza terrestre disponevano e in quali condizioni essa si trovava; per l’aviazione, volle sapere quale era la vera disponibilità d’intervento, inoltre chiedeva di essere messo a conoscenza del reale numero di aerei efficienti e non efficienti; alla marina, chiese precisazioni sulla cooperazione che avrebbe potuto dare nel corso di una eventuale offensiva. Certamente le risposte avute non convinsero il maresciallo che riconfermò a Roma, le sue perplessità e riserve come aveva già detto qualche giorno prima.

Sempre nella stessa riunione Graziani, dopo avere preso visione delle relazioni dei quattro comandanti, espose, in linea di massima, un suo piano da adottare in casi di imminente offensiva, cioé attacco solo sulla direttrice costiera, obiettivo Sollum, quindi sosta in attesa dell’arrivo dei rinforzi.

Graziani appena insediatosi, chiese a Roma, l’invio di almeno 2.500 automezzi, poi ridotti dallo Stamage a 1.000, secondo la richiesta fatta da Italo Balbo, quegli automezzi necessitavano al trasporto in linea della enorme massa di fanti e dei relativi rifornimenti; altre richieste, già a suo tempo sollecitate da Balbo, furono carri armati, non i soliti L.3, ma gli M.11 che sapeva in produzione, batterie contraerei che in Libia erano quasi inesistenti, cannoni controcarro, ma soprattutto autocisterne per il trasporto dell’acqua e possibilmente una nave cisterna. Questa mai arrivò in Libia, pare che in tutta la nostra marina ve ne fosse soltanto una per il trasporto dell’acqua potabile. Il 5 agosto 1940, Graziani venne convocato a Roma, dove ancora una volta espose  le sue perplessità nello effettuare una offensiva nei mesi caldi di luglio e agosto; dopo vivace discussione, si giunse ad un accordo, con un compromesso, quello d’iniziare l’offensiva sul fronte egiziano entro il 3 settembre con primo obiettivo Sidi El Barrani.

 

Era convinzione di Graziani ma anche di Mussolini, che un offensiva doveva essere assolutamente fatta, in quanto in Libia, tra la truppa, il morale incominciava a dare segni di abbassamento per due ragioni: gli attacchi inglesi sul nostro confine e nessuna vera reazione da parte italiana, poi la inerzia in cui era caduta la truppa nell’attesa di attaccare il nemico; la preoccupazione maggiore veniva dalla 1^divisione libica che era quella che a pochi giorni dall’inizio del conflitto, aveva subito gravi perdite in uomini e mezzi tanto che i soldati libici incominciavano a dare segni di insubordinazione e vi fu anche qualche diserzione.

 

Altro malcontento della truppa, era la impossibilità di avere un regolare cambio della biancheria, la scarsa razione di acqua, il rancio insufficiente e spesso anche avariato, la mancanza di buste e fogli lettera per la normale corrispondenza con le famiglie, ma quello che maggiormente assillava il nostro fante era l’assedio quotidiano di ripugnanti insetti quali mosche, pidocchi e zecche, per i quali non esisteva nessuna disinfestazione al fronte, qualcosa veniva fatta nelle retrovie; tutti questi fattori determinavano il malcontento e un preoccupante basso livello del morale.

 

Rientrato a Cirene, Graziani pur non essendo soddisfatto della situazione, in quanto vedeva che la concentrazione delle truppe avveniva con grande lentezza e difficoltà data la scarsezza dei mezzi motorizzati, che le scorte di munizioni e viveri erano insufficienti per affrontare una offensiva la quale presumeva lunga e impegnativa, inoltre da profondo conoscitore del deserto sapeva che nei 700 Km., tra il nostro confine e Alessandria, sarebbe stato difficile trovare pozzi ai quali attingere per approvvigionarsi di acqua potabile. Graziani nonostante queste difficoltà, ubbidì agli ordini ricevuti e dette subito impulso alla preparazione dell’offensiva. La data del 3 settembre venne rinviata al 9 e ancora al 12 ma solo nella mattinata del 13 settembre, Graziani ordinò l’inizio di avanzata in territorio egiziano, che portò nel giro di tre giorni il nostro esercito a Sidi Barrani, infatti quel piccolo agglomerato di casupole, posto a oltre 100 Km. dal nostro confine, venne occupato nella mattinata del 16 settembre 1940. ( FOTO N°10 )

 

E’ avviso di quasi tutti gli storici che quella facile vittoria, cosi veloce e con un risultato effimero e poco appariscente non convinse il maresciallo Graziani, il quale avrebbe voluto affrontare il nemico in una risolutiva battaglia. La sua avanzata dal confine sino a Sidi Barrani, fu un correre dietro a un nemico che deliberatamente si ritirava e non offriva alcuna possibilità che si potesse risolvere in una vera battaglia; infatti il generale Wavell aveva deciso di non affrontare Graziani in campo aperto, quindi dette inizio ad una ritirata strategica tenendo il solo contatto con il nemico a mezzo la sua retroguardia; Wavell era convinto che più gli italiani avanzavano, più essi s’indebolivano con lo allontanarsi dalle basi di rifornimento; Graziani conoscendo i pericoli che il deserto poteva dare, non si lasciò coinvolgere completamente dal piano di Wavell e si fermò a Sidi Barrani.

Chi invece volle dare grande risalto a quella facile vittoria fu Benito Mussolini, il quale annunciava al popolo che il primo passo per la conquista dello Egitto era stato fatto.

 

Una breve descrizione militare di quel...............primo passo:

allo inizio del conflitto, il generale Berti, comandante della 10^Armata, aveva stabilito con le 5 divisioni a sua disposizione, uno schema difensivo concentrato attorno a Tobruch e Bardia; alla data del 7 settembre, a pochi giorni dallo inizio dell’offensiva era stato deciso un nuovo schieramento così predisposto: attorno a Bardia il XXIII Corpo d’armata, già della 5^Armata ma ora alle dipendenze della 10^, a detto Corpo d’armata erano passate in carico le divisioni Marmarica e Cirene che alla data del 10 giugno 1940 facevano parte del XXI C.A.,queste con la divisione CC.NN.23 Marzo erano state schierate nella zona di Bardia.

 

Il XXII Corpo d’armata con la divisione Catanzaro e la divisione CC.NN.3 Gennaio erano in zona Tobruch, mentre il XXI con la divisione Sirte e parte della divisione CC.NN.28 Ottobre veniva tenuto quale riserva a Cirene.

 

Il raggruppamento Maletti era ancora fermo a Derna a oltre 270 Km. dal fronte, comunque nella mattinata del 13 esso era già schierato a Sidi Omar. All’interno della costa tra Bir El Gobi e Gabr Saleh erano in linea le due divisioni libiche.

 

Mi domando come e perché il XXI che inizialmente doveva essere il Corpo d’armata d’urto, venne al momento dell’offensiva  arretrato e posto nella zona di Cirene quale riserva? Ovviamente oggi non posso avere alcuna risposta a questo mio quesito, la ragione è semplice, sono trascorsi 63 anni ed è estremamente difficile trovare testimonianze.

Da questo ultimo schieramento si può notare che la forza d’urto doveva essere ora sopportata dal XXIII Corpo d’armata sulla costa, mentre all’interno le due divisioni libiche con il raggruppamento Maletti, avrebbero dovuto iniziare l’attacco da Sidi Omar - Ridotta Capuzzo e avanzando puntare su Sidi Barrani. In effetti il nuovo schieramento fu quello che dette inizio alla offensiva.

 

La mattina del 13 settembre 1940, tutte le nostre forze che premevano sul confine egiziano iniziarono a muoversi avanzando in direzione di Sollum trovando poca resistenza, poche azioni di disturbo con tiri di artiglieria, spezzonamento e mitragliamenti aerei.

Quella quasi nulla combattività degli inglesi, calcolata e anche studiata, come sopra detto, dal generale Wavell, venne realizzata quale ritirata strategica, dal generale O’Connor, comandante della Western Desert Force, ma con l’impegno, sempre disposto da Wavell, di arroccarsi nel campo trincerato di Marsa Matruch e solo lì opporre resistenza. Naturalmente quel campo era stato attrezzato da tempo con fortificazioni in cemento armato abilmente mascherate, tanto da sembrare uno di quegli innocui desolati villaggi egiziani, con poche casupole indigene, una piccola stazioncina, modesti fabbricati così da ingannare la nostra ricognizione aerea; solo quando a fine giugno 1942, nella offensiva italo-tedesca quel campo venne occupato dalle truppe agli ordini di Rommel, si venne a conoscere che sotto Marsa Matruch, gli inglesi avevano creato una vera cittadella con un ospedale da campo, camerate per i soldati, camminamenti che collegavano le varie casamatte, inoltre attorno al paese era stata scavata una  fossa anticarro abilmente mascherata e minato il terreno, ciò dimostra che il nemico a Marsa Matruch era intenzionato a fermare la nostra eventuale avanzata su Alessandria.

Identiche misure difensive erano state apprestate nella strettoia di El Alamein.

 

Purtroppo iniziata l’offensiva incominciarono a verificarsi degli inconvenienti: innanzitutto la lentezza nei movimenti causata dal fatto che la fanteria sulla costa avanzava parte a piedi, parte su camions, inoltre si ebbe molta confusione per lo scavalcamento di reparti divisionali più veloci su altri, dovuti a ordini affrettati, alla inefficienza dei collegamenti radio e alla impossibilità di fare recapitare ordini a mezzo staffette motorizzate, le quali si dovevano muovere su un territorio a loro sconosciuto; questi scavalcamenti generavano caos in quanto avvenivano su un unica strada, che iniziava da sopra il ciglione di Sollum verso Passo Halfaya per poi scendere sulla camionabile per Sidi Barrani, strada  piena d’interruzioni provocate dai genieri inglesi e in parte ancora minata. A questi inconvenienti si aggiungevano quelli provocati dai mezzi addetti allo autotrasporto dell’artiglieria, del munizionamento e dei materiali, in quanto alla guida degli automezzi spesso erano autisti improvvisati, che sotto i tiri dell’artiglieria nemica e agli attacchi aerei, presi dal panico abbandonavano gli automezzi in mezzo alla strada, creando così intoppi a quelli che volevano proseguire, dimostrazione della mancanza di istruzioni ad hoc.  

Comunque nonostante i tanti problemi creati o insorti da operazioni complesse che come detto generarono confusione sia ai comandanti di divisioni che a quelli di Corpi d’armata, l’offensiva proseguì. Nella stessa mattinata del 13 la 1^divisione libica prese possesso di Sollum alta, trovando l’impianto teleferico distrutto, i pozzi di acqua resi inservibili, la piccola centrale elettrica distrutta; i genieri inglesi avevano messo in opera quanto il generale Wavell aveva disposto in caso di ritirata. Nel pomeriggio dello stesso giorno anche Sollum bassa venne occupata, così tutto il ciglione di Sollum sino a Passo Halfaya era nelle nostre mani.

      

Nella tarda mattinata del giorno 14 l’avanzata riprese, sempre con qualche indecisione negli ordini diramati dalla 10^Armata, ordini che spesso non si attenevano alle disposizioni del comando superiore e che fecero alquanto infuriare il maresciallo Graziani; nella serata fu raggiunta la località di Bug Bug a metà strada tra Sollum e Sidi Barrani, quest’ultima località nella giornata del 16, alle ore 14,15 venne occupata dai reparti della divisione CC.NN.23 Marzo, al comando del luogotenente generale Francesco Antonelli e dalla 1^divisione libica, ma già nella notte tra il 15 e 16 una grossa pattuglia della 1^divisione era entrata a Sidi Barrani. Nei giorni 17 e 18 una colonna motorizzata, con in testa il generale Bergonzoli, oltrepassò Sidi Barrani per oltre 30 kilometri, arrivando a Uadi el Maktila, lasciando sul posto un caposaldo affidato a un reparto della 1^divisione libica.

Quel primo balzo ci costò, dal 11 al 18 settembre, 120 morti, 410 feriti e 7 dispersi, perdite causate dalle mine, da mitragliamenti aerei e tiri di artiglieria mobile.   

La nostra aviazione e qui bisogna darle il dovuto merito, svolse in quei giorni  efficaci azioni di bombardamento e mitragliamento contro formazioni nemiche, purtroppo perdette 6 aerei ma due di questi per incidenti. Allo inizio dell’offensiva, la 5^squadra aerea disponeva sul fronte egiziano, di 110 bombardieri, 135 aerei da caccia e 45 d’assalto, oltre 4 aerei siluranti.

 

Alle operazioni per la conquista di Sidi el Barrani, partecipò, sia pure limitatamente, una formazione corazzata, costituita il 29 agosto 1940, quando il generale Graziani decise di riunire tutti i carri armati L.3 e M.11 disponibili in Libia in un solo comando, questa unità venne denominata “ Brigata corazzata Babini “, dal nome del suo comandante, il generale Valentino Babini. La brigata era formata dal:

 1° battaglione Carri M.11

21° battaglione Carri L.3

60° battaglione Carri L.3

un  battaglione bersaglieri motociclisti

un  gruppo artiglieria da 75/27

un  gruppo artiglieria da 100/17

 

La brigata era stata divisa in due raggruppamenti: il primo comandato dal colonnello Pietro Aresca, l’altro dal colonnello  Antonio Trivoli.

La brigata Babini, alla quale si sarebbe aggiunto più tardi il 3° battaglione carri M.13, appena giunto dall’Italia, si sacrificherà al completo nella battaglia di Beda Fomm, durante l’ultima resistenza delle truppe italiane contro l’offensiva inglese del dicembre 1940. ( MAPPA N°5 )

 

Purtroppo Graziani come prevedeva, dovette fermarsi a Sidi el Barrani per due ben distinte e incontestabili ragioni: prima la deficienza del sistema idrico e la mancanza di una strada pavimentata robusta e scorrevole, causa le distruzioni adottate dagli inglesi; seconda la scarsezza di automezzi, poichè nonostante le promesse avute da Badoglio nell’incontro a Roma del 5 agosto, il quale confermò a Graziani un imminente massiccio invio di autocarri, ma in realtà pochissimi furono quelli giunti in Libia poco prima dell’inizio della offensiva, poi più nulla, quindi non sufficienti per il secondo balzo sino a Marsa Matruch, in quanto la distanza che separava quest’ultima località da Sidi el Barrani era di oltre 100 Km., tutti correnti su terreno pianeggiante e desertico. Ora per la rapidità delle manovre e la distanza, l’avanzata non poteva essere fatta con una fanteria appiedata, ecco la necessità di avere un numero sufficiente di autocarri necessari per il trasporto, poi vi era il problema, oltre quello della fanteria appiedata, dei viveri, dell’acqua, del munizionamento e dell’artiglieria; altro problema fu l’enorme distanza che intercorreva dai più vicini posti di approvvigionamento a Sidi el Barrani.

 

Questo fu certamente l’inconveniente più sentito, infatti la piazzaforte di Bardia, la più vicina sede di approvvigionamento, era distante da Sidi Barrani  di circa 150 Km., ma essa a sua volta doveva essere rifornita da Tripoli, distante oltre 1700 Km. o da Bengasi a 600 Km.; ovviamente balzando da Sidi Barrani alla volta di Marsa Matruch queste distanze venivano ad essere allungate e i pochi mezzi di trasporto a disposizione, che la grande distanza avrebbe ancora ridotto per logoramento, non sarebbero stati sufficienti ad alimentare regolarmente quelle forze destinate al secondo balzo. Di queste difficoltà Graziani era cosciente e di conseguenza frenava l’entusiasmo di Mussolini, il quale insisteva di proseguire l’avanzata non rendendosi conto della situazione.

 

Al problema automezzi si aggiungeva quello idrico che aveva anch’esso grande importanza, in quanto quei pochi pozzi da Sollum a Sidi Barrani erano stati interrati dagli inglesi e noi non disponevamo di sufficienti autocisterne per il trasporto di acqua, da Ridotta Capuzzo o Bardia sino a Marsa Matruch, erano circa 250 Km.; poi veniva il problema strade, quasi tutte ridotte in pessime condizioni da Sollum a Sidi Barrani e il proseguimento da questa ultima località a Marsa Matruch, non sarebbe stato certamente migliore.

 

Graziani affrontò subito senza esitazioni il problema idrico e quello stradale, chiese alla nostra Intendenza militare l’occorrente per la costruzione di un acquedotto, quali tubazioni, raccordi, pompe ed altro, ma la risposta che ricevette fu negativa: l’Intendenza non aveva quel materiale, forse non era stata prevista neanche la possibilità o la eventualità, che allo esercito dovesse servire un acquedotto; il maresciallo Graziani non si perse d’animo e ordinò la requisizione di tutto il materiale idrico disponibile in Libia, ovviamente requisizione fatta ai privati; la popolazione della Libia rispose con alto senso patriottico e in breve tempo tubi di ogni diametro, pompe e raccordi furono raccolti e caricati su automezzi civili che raggiunsero il fronte, vennero requisiti anche Caterpillar, scavatrici, rulli compressori e tutto quanto potesse servire al fabbisogno.

 

L’acquedotto ebbe inizio dai pozzi di Ridotta Capuzzo e in meno di due mesi, nonostante le difficoltà, per le congiunture dei tubi che discordavano come diametro, arrivò a Sidi El Barrani; furono completati ben 120 Km. di acquedotto. Domanda: perché venne scelta la Ridotta Capuzzo e non Bardia ? Semplice risposta: partendo da Bardia si sarebbe dovuto affrontare tutto il ciglione sino oltre Sollum, con le difficoltà dovute al terreno irregolare con alti e bassi ed all’impiego di pompe di sollevamento, mentre da Ridotta Capuzzo, seguendo la pista pianeggiante il terreno era  facilmente scavabile sino a Marsa Matruch. 

Il Genio militare provvide anche alla costruzione di una strada alternativa che partendo anch’essa da Ridotta Capuzzo, seguiva linearmente l’acquedotto, anche quì 120 Km. quasi tutti completati.

 

Graziani pensò anche di sfruttare la ferrovia che da Sidi Barrani arrivava a Marsa Matruch e da lì sino ad Alessandria, quindi affidò il progetto all’ingegnere Lino Castellazzi per l’attuazione, progetto che prese corpo con una innovazione allora sorprendente; infatti l’ingegnere Castellazzi aveva fatto costruire carri ferroviari particolari che su strada viaggiavano come autocarri e giunti sulla linea ferrata si trasformavano in normali carri ferroviari, purtroppo causa gli eventi a noi negativi, quel progetto non poté essere realizzato anche se ebbe attuazione pratica nel 1942.

 

Con la conquista di Sidi Barrani vennero ripristinati e rinforzati i piccoli presidi di Bir Sceferzen, Ridotta Maddalena, Carn el Grein, Uescechet el Neira e ripresi i contatti con la guarnigione di Giarabub, che dal 14 giugno era rimasta isolata ma veniva regolarmente rifornita dalla nostra aviazione a mezzo lanci con paracadute.

 

Durante quella forzata sosta nacquero delle divergenze, per motivi di competenza, tra il comandante della 10^Armata e il maresciallo Graziani, il tutto ebbe origine da un ordine non emanato al raggruppamento Maletti e alla due divisioni libiche da parte del generale Berti, ordine che doveva informare il generale Maletti del rallentamento che era venuto a crearsi sul ciglione di Sollum da parte delle truppe che operavano in quel settore; il comandante del raggruppamento non essendo venuto a conoscenza di quell’ordine e seguendo alla lettera le disposizioni che aveva avuto allo inizio dell’offensiva avanzò velocemente, essendo motorizzato, verso il suo obiettivo, si spinse molto avanti sicuro di arrivare a Sidi Barrani contemporaneamente alle truppe del XXIII C.A.; ad un certo punto si rese conto che qualcosa non funzionava, poiché nessuna comunicazione radio gli era giunta dalla 10^Armata; preoccupato di trovarsi isolato e quindi facile preda degli inglesi, Maletti ripiegò di sua iniziativa seguito dalle due divisioni, ritornando al punto di partenza. Ad un richiamo di Graziani per quanto era successo, il generale Berti fece presente che non aveva informato il generale Maletti né le due divisioni libiche in quanto non  alle sue dipendenze, infatti esse in quel frangente, erano passate agli ordini del Comando superiore ed era tale Comando competente, per i movimenti operativi che doveva dare ordini al generale Maletti.

Dopo tale incidente Graziani stabilì che raggruppamento e divisioni passassero sotto controllo della 10^Armata.

L’episodio è significativo e preoccupante per le disfunzioni di servizio dei comandi, della mancanza di iniziative e per insufficiente capacità professionale.

 

Il generale Berti fu un ottimo ufficiale aveva combattuto in Africa Orientale e in Spagna, certamente era conscio che prima o dopo sarebbe stato sostituito anche perché vi erano stati altri contrasti con Graziani; infatti qualche giorno prima della controffensiva inglese, aveva chiesto una breve licenza per motivi di salute e rientrò in Italia, ebbe anche un colloquio con Mussolini. Appena venne a sapere dell’offensiva inglese, il 13 dicembre ritornò in Libia e riprese il comando della 10^Armata, che durante la sua assenza era stato tenuto dal generale Gariboldi. Purtroppo il 20 dicembre in piena controffensiva, il maresciallo Graziani lo sostituiva con il generale Tellera. La divergenza con il comando superiore Africa Settentrionale ebbe così il suo epilogo.

Contemporaneamente ai problemi idrico, logistico e stradale, Graziani provvide subito a creare una linea difensiva più immaginaria che reale, che partendo da Uadi Maktilia sulla costa egiziana, scendeva a Sud e con un ampio semicerchio arrivava sul nostro confine all’altezza di Sidi Omar. Su questa linea difensiva predispose dei capisaldi, da Maktilia a Sayed Abu Gabeire, da Halam el Tummar a Halam Jktufa, da Halam Nibewa a Bir el Enba, da Sidi Sofafi a Hamal el Jamalus. Graziani, profondo conoscitore del deserto, sapeva benissimo che con quelle difese in una zona pianeggiante avrebbe potuto opporre poca resistenza a un esercito motorizzato, con grande disponibilità di carri armati e artiglieria, ma considerando obiettivamente la situazione sul campo, non poteva fare diversamente, sperando sempre nell’invio dall’Italia di automezzi, artiglieria controcarro e carri armati di tonnellaggio superiore a quei pochi e difettosi M.11 che gli erano stati mandati poco prima della offensiva, anche se i nuovi modelli in produzione M.13/40, differivano ben poco dagli M.11, pur disponendo di torretta girevole

Il maresciallo Graziani, il 29 settembre, fu nuovamente convocato a Roma per riferire sulla situazione del fronte egiziano e nei colloqui che ebbe, prima con Badoglio poi con Mussolini, ribadì la richiesta degli autocarri avanzata già nella convocazione del 5 agosto; sollecitava inoltre l’invio di Caterpillar e automezzi, poichè era a conoscenza che un buon numero di autocarri giacevano da settimane sulle banchine del porto di Napoli, in attesa di essere imbarcati per la Libia, inoltre chiedeva l’urgente invio di tubature per l’acquedotto che avrebbe dovuto continuare da Sidi Barrani a Marsa Matruch.

 

Naturalmente gli venne confermato che tutto il materiale era in approntamento e pronto per la spedizione, quindi poteva rientrare tranquillo in Libia. Gli veniva però ordinato di procedere alla nuova avanzata per il 15 ottobre, questa data doveva coincidere nel pensiero politico-strategico di Mussolini, con l’attacco alla Grecia, poi rimandato al 28 ottobre; attacco di cui Graziani seppe a Roma per la prima volta, pur essendo formalmente ancora a quella data capo di Stato Maggiore del Regio esercito. Ciò nonostante Graziani sostenne nuovamente che per affrontare quel secondo balzo ed eventualmente, rotto il fronte inglese di Marsa Matruch, proseguire sino ad Alessandria senza più soste, era però necessario avere una perfetta e complessa organizzazione, sia di mezzi che logistica, che in quel momento non poteva garantire, quindi gli necessitavano almeno due mesi di preparazione prima di attaccare. Mussolini ascoltò alquanto contrariato l’esposizione di

Graziani e insistette affinché l’avanzata riprendesse entro il 15 ottobre. ( 6 )

Rientrato a Cirene Graziani fece il computo delle sue forze armate e con le segnalazioni avute dal nostro Servizio Informazioni Militare, che dava presenti in quel momento in Egitto di oltre 100.000 soldati inglesi e la probabilità che questa forza aumentasse ancora con l’arrivo di altri contingenti provenienti  dalle Colonie e Dominions inglesi, il ché avvenne tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre, infatti in quel periodo giunsero in Egitto un’altra divisione australiana e più 10.000 soldati indiani, portando così la sola W.D.F. di O’Connor ad oltre 45.000 uomini interamente motorizzati e con forte componente corazzata. Ora valutate attentamente tutte queste segnalazioni ricevute e sapendo che esse corrispondevato ad un reale schieramento inglese, Graziani inviò a Roma ancora un telegramma nel quale riconfermava il suo diniego a sferrare una nuova offensiva sino a Marsa Matruch, finché non gli fossero giunti i rinforzi richiesti, inoltre sollecitava Mussolini a chiedere ai tedeschi l’invio di almeno due divisioni corazzate, sapendo che Hitler sin da settembre le aveva offerte all’Italia e che erano state respinte da Badoglio ma ciò nonostante non ebbe nessuna conferma! 

Mussolini ormai convinto delle difficoltà incontrate nella campagna di Grecia, preso dal problema di risolvere la grave situazione creatasi, fece rispondere a Graziani che lo si lasciava libero di stabilire la data d’inizio della nuova avanzata. Nel mese di novembre veniva migliorata la situazione del fronte.

 

Al 7 dicembre 1940, il nostro schieramento difensivo a Sidi Barrani, pochi giorni prima che gl’inglesi sferrassero la loro controffensiva, si presentava come segue:

la 10^Armata il cui comando era ancora affidato al generale Gariboldi, disponeva in quel momento di circa 150.000 uomini di cui almeno 30.000 erano addetti ai servizi di retrovia; detta forza comprendeva anche le guarnigioni di Bengasi, Derna, Tobruch, Bardia e i presidi lungo il nostro confine, Giarabub e Cufra compresi. Le truppe operanti in prima linea non superavano le 50.000 unità e circa altrettanti erano schierati in seconda linea. Questa forza era così disposta: come primo schieramento nella zona da Uadi Maktilia a Sayed Abu Gabeira la 1^divisione libica, da Ras el Day a Halam el Tumma la 2^divisione libica, da Halam el Jktufa a Halam Nibeiwa il raggruppamento Maletti ormai agli ordini del XXI C.A., da Bir Enba a Bir Sofafi la divisione Cirene; alle spalle come secondo schieramento era la divisione Catanzaro in posizione da Halam Jamalus sino a Sud di Bug Bug, mentre tutto il settore a Sud di Sollum era controllato dal XXIII C.A. che aveva schierato la divisione CC.NN.28 Ottobre a difesa del ciglione di Sollum sino a Passo Halfaya, la divisione Marmarica tra Sidi Omar e Gabr Bu Fares, la divisione CC.NN.23 Marzo, ritirata da Sidi Barrani, era stata spostata a Bardia per riorganizzarsi, il suo posto era stato preso dalla divisione CC.NN.3 Gennaio del generale Fabio Merzari. ( MAPPA N°6 )

 

La 10^Armata nei due schieramenti avanzati disponeva sì di una grande massa di soldati ma aveva poca e vecchia artiglieria, soprattutto controcarro, pochissimi autocarri e penuria assoluta di carri armati pesanti, queste pecche, in seguito  ci furono fatali.

 

Alle spalle dei due schieramenti si trovava, quale riserva, il XXII°C.A., comandato dal generale Pitassi Mannella con la divisione Sirte, la brigata corazzata Babini ferma a Marsa Lucch con il Comando  artiglieria di manovra.

 

Il generale Porro, comandante la 5^Squadra aerea in Libia, in previsione di una prossima avanzata aveva fatto preparare aeroporti di fortuna da Tobruch a Sollum, alcuni ancora più addentro in territorio egiziano tra Sollum e Sidi Barrani, quest’ultimi non ebbero il tempo di operare causa la rapida offensiva inglese e dovettero essere abbandonati con tutto il materiale aeronautico che vi era stato accantonato.

 

Purtroppo nel primo schieramento difensivo sulla linea egiziana, vennero a riscontrarsi gravi errori d’impostazione tra caposaldo a caposaldo, infatti tra l’uno e l’altro vi erano dei vuoti di diversi chilometri non difesi, così che i capisaldi non potevano sostenersi a vicenda. Tale situazione venne rilevata oltre che dalla RAF anche da ricognitori italiani del 730° Gruppo O.A.,che segnalarono l’anomalia ai comandi terrestri (Ricognizione del 28/11/1940). Altra constatazione, tra il caposaldo del raggruppamento Maletti e quello della Cirene, la distanza era di circa 30 Km. e l’artiglieria di entrambi gli schieramenti non aveva gittata sufficiente per ostacolare, frenare e battere efficacemente un’eventuale irruzione di forze nemiche nel corridoio da difendere; infatti, da quella apertura, il generale O’Connor, quando sferrò la sua offensiva, penetrò senza particolari difficoltà nel nostro sistema difensivo aggirandolo. Gli inglesi nei mesi seguenti dopo la sosta di Graziani a Sidi Barrani, non erano rimasti inoperosi; facevano sovente piccole puntate con autoblindo lungo il nostro sistema difensivo e logicamente avevano individuato i punti deboli e i varchi non difesi. Per la verità storica, il maresciallo Graziani, dopo la puntata del nemico del 19 novembre, nella zona di Bir Enba, che era tra Halam Nibeiwa (settore raggruppamento Maletti) e Bir Sofafi(settore della Cirene), si rese conto della debolezza e dell’inconsistenza del nostro schieramento in quel settore, né parlò con il generale Berti, in quale provvide subito a rafforzare quel passo con due capisaldi, uno del raggruppamento Maletti e l’altro della divisione Cirene, ognuno dotato di colonna mobile per controllo e prima resistenza.

 

Naturalmente l’uso delle colonne mobili per tamponare il varco di Bir Enba non erano certamente sufficienti a bloccare una eventuale penetrazione di grosse forze inglesi, in quanto per numero, composizione e armamento disponibile erano troppo deboli per fronteggiare la massa d’urto nemica. L’utilità di quelle colonne invece, sarebbe stata dimostrata nel dare tempestivamente allarme per una eventuale penetrazione del nemico. Purtroppo il passo di Bir Enba si dimostrò fatale, poiché  gl’inglesi sferrarono il loro attacco proprio in quel punto.

 

Altra pecca si ebbe quando venne deciso il trasferimento a Bardia della divisione CC.NN 23 Marzo e fu giocoforza necessario utilizzare gran parte dell’autoparco delle due divisioni libiche, le quali quando gl’inglesi sferrarono la loro controffensiva, non disponendo più di mobilità essendo rimaste appiedate, subirono disfatta e successivamente cattura in quanto trovatesi nella impossibilità di svincolarsi velocemente.

 

Veniamo ora a conoscere come fu concepito il piano della offensiva inglese.

I generali Wavell e Wilson avevano preparato la loro strategia di attacco,  tenendola segreta sia allo Stato Maggiore che al Gabinetto di guerra, persino il Primo ministro Churchill a Londra ne era all’oscuro, venne messo al corrente dell’attacco solo dopo l’inizio della offensiva; delle personalità del governo inglese solo il ministro degli Esteri Eden ne fu al corrente, in quanto era al Cairo ad ispezionare le truppe inglesi, quindi presente alla stesura del piano, che venne denominato “Piano Compass“(Bussola).

 

I due generali certamente a conoscenza che la sosta di Graziani a Sidi Barrani era dovuta alla mancanza di automezzi atti ad una seconda avanzata e sapendo delle difficoltà di reperimento da parte del comando italiano di tali mezzi, decisero di non aspettare l’offensiva italiana a Marsa Matruch ma di attaccare loro per primi. Avvalendosi ancora delle segnalazioni riportate dalle incursioni di loro reparti alle nostre postazioni, osservazioni che avevano constatato i vuoti esistenti fra i vari capisaldi italiani, stabilirono così che il primo attacco alle nostre difese doveva

iniziare proprio dal varco esistente fra il raggruppamento Maletti e la Cirene. Un grave errore di valutazione dei comandi italiani.

 

Il generale Wavell affidò la conduzione dell’attacco ai generali Wilson e O’Connor, due esperti ufficiali che avevano partecipato anche alla 1^Guerra Mondiale, i quali iniziarono subito i preparativi, mettendo al corrente del loro piano di attacco, solo quella esigua parte di alti ufficiali che dovevano comandare unità a livello di divisioni e reggimenti; soltanto il giorno prima dell’attacco, ufficiali subalterni e truppa vennero messi a conoscenza del vero scopo di quegli strani movimenti di reparti, infatti ai subalterni era stato fatto credere che gli spostamenti nel deserto erano solo manovre di ambientamento, chiarita la situazione, tutti ebbero le necessarie istruzioni previste dalla “Compas” per le singole unità partecipanti.

 

L’Armata inglese d’Egitto, meglio conosciuta come “ Western Desert Force “, allo inizio della controffensiva era così composta :

7^ divisione corazzata al comando del maggiore generale M. O’Moore Creagh.

 4^ divisione di fanteria indiana ( maggiore generale Noel Beresford Peirs).                                                

 6^ divisione di fanteria australiana ( maggiore generale  Jven Mackay ).

 2^ divisione di fanteria neozelandese ( maggiore generale Bernard Freyberg).

Da queste G.U. divisionali, facevano parte le seguenti brigate che agivano in completa autonomia:

IV brigata corazzata che comprendeva il 7°e 11°Ussari, il 2°e 6°reggimento   

    Royal Tanks, al comando del brigadiere generale J.S.J.Caunter

VII brigata corazzata con il 3°- 8°Ussari e il 1°Royal Tanks ( brig. generale      

    H.E.Russel ).

XI  brigata fanteria indiana ( brig. generale R.A. Savory ).

XV  brigata fanteria indiana ( generale W.L.Lloyd ).

XVI brigata fanteria inglese ( brig. generale C.E.M. Lomax ).

XIX brigata fanteria australiana ( brig. generale H.C.H. Robertson ).

XVI brigata fanteria australiana ( brig. generale  Savige ).

 

Altri reparti divisionali:

    Gruppo Selby ( brig. generale A.R. Selby ).

    Gruppo di sostegno ( brig. generale W.H.E. Gott ).

    7° reggimento Royal Tank.

    Una brigata polacca.

Inoltre vi erano reparti del genio, di artiglieria, 2 compagnie autoblindo della R.A.F.(Royal Air Force), una brigata degollista di “Francia libera“, più la guarnigione di Marsa Matruch composta da 5 battaglioni fucilieri, un battaglione mitraglieri e 9 batterie cannoni

 

Nota: la 4^divisione indiana fu impegnata solo nei primi tre giorni della controffensiva, venne poi ritirata dal fronte il 14 dicembre 1940, dietro ordine del generale Wavell ma con parere negativo del generale O’Connor e inviata in Sudan, per unirsi alla 6^divisione indiana già sul posto e attaccare le forze italiane che resistevano in Eritrea. La 16^e 19^brigata di fanteria australiana e la brigata polacca erano state invece lasciate a difesa di Alessandria.

    

Come si può notare il generale Wavell aveva schierato una forza anche se di poco inferiore di numero a quella italiana, ma consistente e non certamente composta da appena 36.000 uomini, come scrisse artatamente nelle sue “memorie“; senza contare, come sopra  elencato, una massa considerevole di reparti dotati di carri armati, artiglieria moderna, aerei e l’aiuto delle navi, anche se solo di 3 cannoniere: “Terror“ “Aphis“ e “Ladybird“, che tennero sempre sotto tiro, tutte le nostre postazioni sulla costa da Uadi Maktilia, a Sollum e da Bardia a Tobruch. Di contro aveva il maresciallo Graziani con 9 divisioni di fanteria male armate, con una artiglieria composta in gran parte da residui della Prima Guerra Mondiale, pochi e scadenti carri armati concentrati in una modesta brigata corazzata, insufficienti automezzi e purtroppo anche una evidente disorganizzazione logistica e di comando che evidenziò carenze ad ogni livello tattico e operativo.

Nella notte del 6-7 dicembre, gli inglesi iniziarono a muoversi dal Canale  e dalla zona a Sud di Marsa Matruch, da dove sino dal mese di novembre avevano concentrato gran parte delle loro forze e dividendosi in due colonne motorizzate con oltre 10.000 automezzi che avanzarono per tutta la notte percorrendo oltre 500 Km. in pieno deserto; all’alba del 7, esse erano ferme in una località desertica, la sosta durò per tutta la giornata con il rischio di essere scoperti dalla nostra ricognizione aerea, ma di ciò niente avvenne. Nella notte del 7-8 altro balzo notturno e sosta nella giornata dell’8, durante quella sosta un nostro ricognitore Ro 37 pilotato dal capitano Baduel sorvolò una delle due colonne ma pare, che non si sia reso conto di ciò che stava osservando, certamente il mascheramento effettuato dagli inglesi su quella gran massa di automezzi era così perfetto da ingannare l’osservatore, comunque il capitano Baduel segnalò al comando della 10^Armata di un piccolo movimento di automezzi; per ogni evenienza il comando tentò di avvisare il caposaldo di Halam Nibeiwa, ma sembra che i contatti radio e telefonici non funzionarono, così che il nemico avanzò indisturbato. ( 7 ) 

Nella notte dall’8 al 9 si ebbe il terzo balzo e il congiungimento delle due colonne in un punto stabilito che il comando inglese definì con l’appellativo in codice di “ Piccadilly Circus “, a  circa 20 Km. da Halam Nibeiwa. ( MAPPA N°7 )

Invece é assodato che il generale Maletti ebbe il sospetto che qualcosa di grande si stesse preparando da parte inglese dinanzi al suo caposaldo; infatti nella notte dell’8 aveva percepito strani rumori di autoveicoli in direzione di Bir Enba, segnalò questo suo sospetto al generale Pescatori che comandava la 2^divisione libica e al comando della divisione Cirene, anche Graziani venne messo al corrente e diramò subito precisi ordini affinché, sia la 10^Armata che la 5^Squadra Aerea si tenessero pronti per fronteggiare un eventuale attacco nemico; é falso quanto la stampa inglese di allora pubblicò sull’esito di quella battaglia, asserendo che le nostre truppe furono  sorprese e che il nostro caposaldo di Halam Nibeiwa, quando venne attaccato era ancora preso dal sonno. Se sorpresa si ebbe, questa fu l’avvicinamento della W.D.F. ai margini esterni della linea difensiva italiana, poiché non venne fatta nessuna esplorazione veloce con autoblindo e veicoli veloci, nonostante la segnalazione di un nostro aereo da ricognizione. 

E’ risaputo che il generale Maletti, da quando aveva preso posizione a Nibeiwa, sosteneva che prima o dopo gli inglesi avrebbero attaccato il suo caposaldo, così a quei rumori aveva dato corpo e sin dalle prime ore del giorno 9 dicembre, erano circa le 5,30, mise all’erta tutto il presidio e predispose la difesa. Alle ore 7, gli inglesi sferrarono l’attacco, l’artiglieria incominciò l’opera di distruzione delle difese del raggruppamento, mentre alla stessa ora reparti della 7^divisione corazzata e della 4^divisione indiana, annientavano la piccola difesa di Bir Enba penetrando velocemente entro la cerchia del nostro sistema difensivo, prendendo alle spalle per primo il raggruppamento Maletti che si difese strenuamente contro la 11^brigata indiana, ma soprattutto contro i carri Mathilda del 7°reggimento Royal Tanks, nulla poterono fare i nostri artiglieri con i loro cannoni da 47/32 che scalfivano appena le corazze da 78 mm. di quei carri armati da 26 tonnellate, che avanzavano maciullando artiglieri e fanti; un battaglione libico si sacrificò al completo nella lotta contro quei mostri.

Proprio durante l’attacco dei Mathilda cadde eroicamente il generale Maletti, il quale accortosi che un artigliere di un pezzo da 47/32 era stato colpito mortalmente

, lasciò il suo carro comando e accorse a sostituirlo, mentre puntava il cannone contro un Mathilda, un altro spuntò improvvisamente a meno di 20 metri da dove era la postazione e con una raffica di mitragliatrice stroncò la vita a questo eroico comandante. Il suo corpo venne seppellito sul posto dagli inglesi; i resti vennero recuperati dalla nostra Sanità durante la 2^offensiva italo-tedesca.

 

Purtroppo anche in quella battaglia si verificò un episodio che denota quanto grave fu la nostra impreparazione; ritorna in atto il problema radio sui nostri carri armati,l’episodio riguarda due compagnie carri armati medi in forza al raggruppamento Maletti al comando del maggiore Campanile, il quale accortosi che la massa dei carri Mathilde iniziava l’attacco alle spalle del caposaldo, senza esitazione pur conoscendo la propria inferiorità sia numerica che di potenza, decise di contrattaccare con le due compagnie e postosi in testa con il suo carro comando, iniziò la manovra di attacco; non essendoci radio a bordo dei nostri carri M.11, il maggiore dette le disposizioni di manovra a mezzo segnalazioni con bandierine regolamentari, la prima compagnia eseguì gli ordini ricevuti, ma la seconda che era un poco arretrata, causa il polverone sollevato dai carri e dalle esplosioni delle granate, non vide le segnalazioni delle bandierine e stava prendendo altra direzione, il maggiore Campanile avendo capito che i suoi segnali non erano stati visti, ritornò indietro raggiungendola e sceso dal suo carro si avviò verso quello del comandante la seconda compagnia per spiegargli la disposizione di combattimento che doveva assumere, in quel momento i carri nemici irruppero in mezzo alle due compagnie, il maggiore Campanile trovandosi allo scoperto venne fulminato da una scarica di mitragliatrice sparata a breve distanza, neanche un ora dopo la stessa sorte toccava al comandante del raggruppamento.

 

Alle ore 11 ogni resistenza a Halam Nibeiwa e a  El Jktufa era cessata; il raggruppamento Maletti ebbe 800 morti, 1.300 feriti, 2.000 prigionieri compresi i feriti, 19 furono gli ufficiali caduti sul campo.

 

La 7^divisione corazzata e la 4^divisione indiana erano ormai penetrate al completo nel dispositivo di difesa italiano, caduta Nibeiwa e El Jktufa, alle ore 11,30 venivano attaccate le difese della 2^divisione libica a Halam El Tumma e Ras El Dai che resistettero per alcune ore, poi alle 18 dovettero capitolare, alcuni reparti riuscirono a ripiegare su Sidi Barrani, i morti furono 400, molti i feriti e 700  i prigionieri.

 

Nella serata del 9 dicembre, il generale Gallina, comandante delle divisioni libiche, vista inutile a suo parere, ogni ulteriore resistenza nel suo settore dopo la caduta dei capisaldi della 2^divisione libica del generale Armando Pescatori, ordinò il ripiegamento su Sidi el Barrani alla 1^divisione libica del generale Giovanni Cerio che era concentrata a Uadi Maktilia e Sayed Abu Gabeira, la quale nel frattempo era stata attaccata dal gruppo Selby Force e dalla guarnigione inglese di Marsa Matruch, subendo anche un bombardamento navale: ubbidendo all’ordine, la divisione pur priva di automezzi riuscì a svincolarsi con un trasferimento notturno e attestarsi nella zona di Suani El Dirin, tra Uadi Maktilia e Sidi Barrani.

 

Il gruppo Selby Force forte di 1.800 uomini, con artiglieria mobile e 380 automezzi, la mattina del 9 dicembre era uscito da Marsa Matruch con il compito di attaccare le posizioni della 1^divisione Libica e impedire che questa si congiungesse con la 2^libica; non avendo potuto avere un contatto armato con la 1^divisione, salvo sporadici scontri con la retroguardia, il comandante del Selby decise di portarsi sotto Sidi Barrani con due brigate di fanteria indiana, la 15^e la 11^ e con il supporto del 7°Royal Tank che avanzarono verso Sidi Barrani, rafforzando così l’entità della forza d’attacco.

 

A Sud nelle prime ore del 10, il gruppo di sostegno con l’11°Ussari dopo che il giorno prima aveva eliminato il piccolo distaccamento di Bir Enba, avanzò verso le postazioni della Cirene a Bir el Rabia e Sidi Sofafi, attaccandole con azioni di disturbo, ma i due presidi arginarono quelle azioni prima e contrattaccando successivamente.

Nella serata del 10, il maresciallo Graziani dette disposizioni al generale Gariboldi di fare arretrare, su nuove posizioni a Sud di Sollum-Passo Halfaya, sia la Cirene che la Catanzaro.

Durante la notte le due divisioni iniziarono il ripiegamento, la Cirene, pur avendo scarsa disponibilità di automezzi, tanto che i fanti dovettero trasportare a spalla le armi leggere e trascinare a mano i pezzi di artiglieria pesante, non venne disturbata dal nemico e dalla aviazione, mentre per la divisione Catanzaro il problema fu molto più grave. Innanzi tutto durante il forzato arretramento la divisione vide le sue file ingrossarsi con sbandati delle divisioni CCNN.28 Ottobre e Marmarica che si ritiravano e di altri reparti che naturalmente crearono confusione e problemi di trasporto. In quella situazione, onde salvare più soldati, vennero scaricati tutti gli autocarri che trasportavano pezzi di artiglieria che, nella impossibilità di recuperarli successivamente vennero distrutti, in compenso furono salvati dalla immediata cattura centinaia di soldati. Durante una sosta obbligata, per fare riposare gli uomini e provvedere alla riparazioni di alcuni automezzi, la divisione fu attaccata nelle prime ore del pomeriggio dalla 7^brigata corazzata del generale Russell e da reparti blindati dell’11°Ussari; l’impari lotta durò per alcune ore, poi il generale Giuseppe Amico fu costretto a ordinare il ripiegamento verso Sollum, ma pochi furono i superstiti che riuscirono a raggiungere quella località per continuare ancora la ritirata sino a Bardia.

La situazione generale era notevolmente peggiorata, poiché il giorno 11 era caduta la difesa di Bug Bug, il 12 fu la volta di Sidi Barrani e 7.000 furono i prigionieri catturati; anche i nostri presidi di Ridotta Capuzzo, Sidi Omar, Ridotta Maddalena  erano stati nel frattempo eliminati dall’11°Ussari e reparti della 4^divisione indiana, i piccoli presidi di Carnel Grein e Uescechet el Neira, che ben sapendo di non avere la forza di affrontare un nemico di gran lunga superiore ripiegarono su Giarabub; si ripeté quello che era successo pochi giorni dopo lo scoppio delle ostilità e fu così che Giarabub venne a trovarsi per la seconda volta isolata, assediata e giocoforza lasciata al proprio destino come Cufra  

Ormai era ritirata generale, il 15 dicembre quei 100 Km. di territorio egiziano conquistati da Graziani pochi mesi prima, ritornavano in possesso degli inglesi, le due divisioni libiche, la divisione CC.NN.3 Gennaio e il raggruppamento Maletti non esistevano più; i superstiti delle divisioni Cirene, Catanzaro, Marmarica, 28 Ottobre e 23 Marzo, ripiegarono tutti dentro la piazzaforte di Bardia, il cui comando venne assunto dal generale Bergonzoli del XXIII Corpo d’armata, il quale cercò subito di porre rimedio alle scarse e disorganizzate difese, riattivando i reticolati, ripulendo dalla sabbia il fosso anticarro, che in alcuni punti era completamente coperto, predispose innanzi ai reticolati una copertura di campi minati, rinforzò gli 11 capisaldi che si trovavano all’interno della cerchia difensiva e i 3 sulla costa; venne attivato anche un  piccolo campo di fortuna per il rifornimento aereo.

 

Ma uno dei problemi maggiori per il comandante del XXIII Corpo d’armata era la precaria situazione logistica, poichè le scorte di viveri, medicinali e carburante erano quasi esaurite, il munizionamento era scarso e mancava persino il lubrificante per oliare le armi; questo grave stato di penuria aveva come responsabile l’Intendenza militare italiana, la quale ormai certa di una seconda offensiva da Sidi Barrani a Marsa Matruch, aveva provveduto a creare nella zona di Sidi Barrani campi base di rifornimenti a disposizione delle truppe operanti; naturalmente data la lentezza degli approvvigionamenti che partivano da Tripoli, oltre 1.900 Km. sino a Sidi Barrani, si era pensato a prelevare, viveri, munizioni, carburante anche dai depositi di Bardia e Tobruch assieme a buona parte delle artiglierie in dotazione alle due piazzeforti.

 

Nota tragica: quando gli inglesi occuparono Sidi Barrani, oltre alla cattura di gran numero di prigionieri, trovarono  intatti quei campi di approvvigionamento e ne usufruirono a piene mani, soprattutto per l’utilizzo di centinaia di automezzi e del carburante.

 

La piazzaforte di Bardia aveva una cerchia difensiva lunga circa 30 Km. con una profondità di 18, essa iniziava ad Ovest, dall’Uadi Garrida e finiva ad Est all’Uadi Mrega; la cerchia difensiva era delineata da un fossato anticarro, ma non tutto scavato, quei tratti ancora incompleti vennero protetti da reticolati non molto consistenti, facilmente sgretolabili anche dal più leggero carro armato, poche furono le zone minate. Da fare notare che già a guerra iniziata a Bardia si lavorava ancora per completare le opere difensive. ( 8 )

 

Il generale Bergonzoli, si trovò ad avere a disposizione nel perimetro difensivo una forza di 45.000 soldati, artiglieria di poco superiore ai 400 cannoni fra cui cannoni da 75/27, obici da 100/17, pezzi contro carro da 47/32, mitragliere da 20 e un numero imprecisato di mitragliatrici Fiat 35, una batteria costiera da 120 affidata alla Regia Marina e due batterie contraerei da 76/40 e poche mitragliatrici Schwarzlose, residuati della Prima Guerra Mondiale, inoltre poteva disporre di una quindicina di carri M.11 e poco più di una decina di carri L.3.

 

Il generale Bergonzoli era al corrente di avere di fronte forze nemiche di gran lunga superiori alla sua difesa, fra cui il XIII Corpo d’armata inglese che comprendeva, la 7^divisione corazzata al completo con l’11°Ussari, la 4^e 7^brigata corazzata, la 6^divisione australiana che aveva sostituito da pochi giorni la 4^divisione indiana e unità minori, come il 7°reggimento corazzato con 26 carri Mathilda, un reggimento artiglieria da campagna, un reggimento artiglieria di medio calibro, un battaglione mitraglieri e il gruppo sostegno Selby, in effetti quasi tutta quella forza che aveva iniziato la controffensiva il 9 dicembre.            

Il comandante della piazzaforte predispose subito un assetto difensivo, assegnando a Est, nel settore di Uadi Mrega, che riteneva il più esposto, la divisione Cirene, in quanto era ancora quasi integra; il settore centrale da Forte Ponticelli sino al crocevia delle due strade Sollum-Bardia e Ridotta Capuzzo-Bardia, lo assegnò alla divisione Marmarica; quello di Sud-Ovest, alla divisione 23 Marzo. Sul retro di questo schieramento era la divisione 28 Ottobre e a Nord Ovest, zona Uadi Garrida, la divisione Catanzaro tenuta come riserva, in quanto durante la ritirata

da Sidi Barrani, fu la divisione più impegnata e tartassata. ( MAPPA N°8 )

 

L’assedio a Bardia ebbe inizio dal giorno 16 dicembre e si manifestò con tentativi di penetrazione nel nostro sistema difensivo, tentativi sempre respinti; il vero attacco avvenne nelle primissime ore (4,30) della mattinata del 3 gennaio 1941; un battaglione della 6°divisione australiana, aprì un varco nel settore centrale, tra la divisione 23 Marzo e la divisione Marmarica, il battaglione, protetto da un forte concentramento di tiri di artiglieria, oltrepassò il fosso anticarro provvedendo a neutralizzare i campi minati, mentre alle sue spalle reparti del genio inglese coprivano il fossato per permettere il passaggio dei carri armati e della fanteria australiana che in effetti irruppe in quel varco dilagando dentro la cerchia di Bardia; le nostre divisioni vennero prese alle spalle e pur opponendo una disperata ed eroica resistenza dovettero cedere. In poche ore di lotta caddero i capisaldi tenuti dalla divisione Marmarica, seguirono quelli della 23 Marzo e 28 Ottobre, poi venne la volta della divisione Catanzaro, gli ultimi a capitolare furono i capisaldi della divisione Cirene, ma il 1°gruppo del 45°reggimento artiglieria della Cirene, al comando del capitano Giovanni D’Avossa, appostato nel caposaldo di Bir Ras a Sud dell’Uadi Mrega, tenne testa, per quasi tutta la giornata del 5 gennaio agli assalti nemici respingendoli con i micidiali colpi dei suoi obici da 100/17.

 

Purtroppo alle ore 15, esaurite tutte le munizioni dovette arrendersi e con esso cessava ogni residua resistenza a Bardia. Gli inglesi catturarono i generali De Guidi della Cirene, Argentino della 28 Ottobre, Antonelli della 23 Marzo con circa 45.000 soldati, oltre 400 cannoni e alcune centinaia di automezzi.

Sfuggirono alla cattura il generale Bergonzoli, il generale Amico della Catanzaro, il vice comandante della divisione 23 Marzo, console generale Nicchiarelli e quello della 28 Ottobre, console generale Cirillo, a loro si erano uniti alcuni ufficiali e 21 soldati; il gruppo lasciata Bardia, affrontò a piedi i 120 Km. che separavano la piazzaforte da Tobruch, camminarono per 4 giorni solo di notte, mentre di giorno si nascondevano negli anfratti lungo la costa.

 

Una domanda che allora e ancora oggi alcuni storici si sono posti e si pongono come interrogativo: perché Graziani non fece intervenire, nella difesa di Bardia, la brigata Babini che era ferma a Marsa Lucc a pochi chilometri da Bardia ?

A mio avviso, Graziani ebbe ragione a non avere voluto sacrificare la brigata, Egli ebbe subito la netta convinzione, che la resistenza di Bardia non sarebbe durata a lungo, già a inizio della offensiva inglese, aveva constatato la poderosa forza corazzata nemica, di conseguenza decise di non fare intervenire nella battaglia la brigata Babini, la cui forza corazzata era rappresentata da appena una sessantina di carri M.11 e L.3, certamente non così potente da risolvere la tragica situazione di Bardia a nostro favore. Un particolare che mi sembra giusto e onesto segnalare: Il maresciallo Graziani appena subito la caduta di Sidi Barrani, fece presente, tramite cablogramma, sia a Mussolini che al Comando supremo, allora tenuto dal generale Cavallero che alla data del 5 dicembre 1940 aveva sostituito Badoglio, quanto fossero gravi gli avvenimenti che si stavano determinando in Libia, quale e quanta era la nostra scarsezza di mezzi e armi per fronteggiare l’avanzata nemica; in queste condizioni suggeriva di abbandonare la difesa di Bardia e di Tobruch e apprestare, con le forze che avrebbero dovuto difendere le due piazzaforti, un sistema difensivo più poderoso, che partendo dal ciglione di Derna-Berta, si completava a Mechili; dette zone per la conformazione del terreno si prestavano a una più congeniale e solida difesa, infatti gli inglesi avrebbero dovuto superare due ostacoli naturali, primo il ciglione di Derna con pareti verticali alte dai duecento ai trecento metri e con una unica strada che poteva essere facilmente bloccata, l’altro ostacolo era l’Uadi Derna, non secco come tutti gli altri uadi della Libia ma un vero fiume con argini alti e scoscesi; l’unico punto debole era Mechili ove esisteva solo una ridotta costruita ai tempi della riconquista della Libia 1928-1932, ma Graziani aveva calcolato anche quel pericolo, disponendo la difesa di quel territorio con vasti campi minati, pare che fossero state interrate circa 30.000 mine.

                                                                                      

Adottando quello schema difensivo Graziani poteva disporre di un numero consistente di uomini e armi, mentre dovendo difendere Bardia e Tobruch, avrebbe dovuto creare due forze, ambedue deboli e quindi facilmente distruttibili. Propose come seconda soluzione di abbandonare Bardia, concentrare la maggiore parte delle forze a Tobruch onde prolungare la resistenza e avere così più tempo per organizzare la difesa sul ciglione di Derna; Graziani sosteneva ancora che Bardia e Tobruch non avrebbero potuto resistere a lungo ad un assedio, anche perché sottoposte a duri bombardamenti aerei e navali, così cadute le piazzeforti con le esigue forze che gli sarebbero rimaste, pur attuando la resistenza sul ciglione di Derna, non avrebbe potuto fermare l’avanzata inglese in Cirenaica, a meno ché gli fossero giunti in tempo i rinforzi che da mesi  sollecitava; inoltre in quel cablogramma aggiunse nuovamente la richiesta di un aiuto

tedesco di almeno due divisioni, aiuto, come sopra già enunciato, che i tedeschi avevano già offerto e che Badoglio, per ben due volte rifiutò. Comunque la risposta da Roma fu: resistenza ad oltranza a Bardia e Tobruch! E Graziani ubbidì.

 

Tracciamo un pò la storia di questi rifiuti badogliani agli aiuti tedeschi: già nei primi mesi del 1940 e precisamente nella seduta del 9 aprile, il generale tedesco Rintelen, capo della Commissione tedesca in Italia per contatti con l’esercito italiano, aveva offerto in caso di una nostra entrata in guerra a fianco della Germania, aiuti in uomini e mezzi e anche la collaborazione tra le industrie militari tedesche e italiane, Badoglio per un malinteso e soggettivo comportamento antitedesco rifiutò. Altra occasione si ebbe nel mese di settembre del 1940, quando Hitler notando la stasi che si stava verificando nella nostra situazione militare in Libia, propose a Mussolini la possibilità d’inviare laggiù due divisioni corazzate tedesche, ma il capo del Governo, dietro suggerimento di Badoglio, quale capo di Stato Maggiore Generale, rifiutò ancora l’offerta adducendo il motivo che in Libia avevamo forze sufficienti per affrontare qualsiasi attacco nemico e sferrare anche una offensiva. Quel rifiuto fu inopportuno, poiché se Mussolini avesse accettato allora l’aiuto tedesco, certamente le sorti della guerra in Africa Settentrionale avrebbero avuto altro epilogo, ma il Duce e lo Stamage (Badoglio e Soddu) non vollero sentirsi obbligati militarmente verso la Germania, anche perché quell’aiuto avrebbe coinvolto l’Italia a una guerra strettamente legata alla Germania e alla Wehrmacht, Mussolini invece, tendeva a condurre su consiglio di Badoglio e sulla falsa prospettiva di autonoma condotta di guerra, una guerra separata, quella che allora venne definita “guerra parallela“. Solo dopo la disfatta sul fronte greco fra ottobre/novembre e quella ancora più grave in Libia del gennaio 1941, che costrinse Graziani a ritirarsi dalla Cirenaica e con gli inglesi ormai ai confini della Tripolitania, il Duce fu costretto a chiedere l’aiuto della Germania, aiuto che gli venne immediatamente concesso.

Un giorno sarà necessario valutare in che misura l’opera di Badoglio e il suo personale livore antitedesco, trasferito ingiustificatamente come generale risentimento italiano, abbia influito negativamente nella storia d’Italia. Un danno incalcolabile fatto all’Italia da un solo individuo.

 

A seguito della caduta di Bardia, il ministro degli Esteri inglese Anthony Eden, scriveva al Primo ministro Winston Churchill una lettera con la quale si congratulava per quella vittoria; così si esprimeva, nei confronti dello esercito italiano, usando una frase infelice e mortificante che  diceva........”never has so much been surrender by so many to so few......”  che tradotta significa......” mai, in eguale misura, tanti si sono arresi a pochi......”

L’inglese Eden sino dal 1935 aveva il “dente avvelenato” nei confronti dell’Italia fascista, la sua frase certamente dettata da rabbia repressa, non tenne conto che i “tanti“ erano male armati, male equipaggiati, male nutriti e per giunta con pochi automezzi e pochi cannoni, mentre i “pochi“ erano bene armati, con abbondanti cannoni, carri armati e automezzi, bene nutriti ed ottimamente equipaggiati e combatterono con un appoggio logistico di gran lunga superiore a quello italiano, loro avanzavano con un seguito enorme di automezzi, gli italiani ripiegavano senza automezzi, marciando a piedi per centinaia di chilometri. Sfortunatamente ciò che conta in guerra è la vittoria o la sconfitta. A noi in quella negativa opportunità toccò amaramente la sconfitta e la derisione del nemico.

 

Il generale Wavell, sulla cresta del successo, non volle dare tregua a Graziani; Bardia non era ancora caduta e già punte avanzate della 7^brigata australiana erano giunte al limite del perimetro difensivo di Tobruch; il giorno 7 gennaio gli australiani iniziarono l’assedio.

 

Prima di dare corso alla descrizione della nuova battaglia, presentiamo in che condizioni si trovava il sistema difensivo di Tobruch, considerata la più importante piazzaforte del settore orientale. Le opere fortificate in oggetto erano state iniziate nel 1937-1938 dal genio militare, ma nel 1939 vennero date in appalto anche a ditte private che vi lavorarono sino ad agosto del 1940.

 

Purtroppo queste non riuscirono a completare i lavori per varie ragioni, in primo luogo la mancanza di fondi, poi il susseguirsi dei vari passaggi burocratici di comando considerando che prima della guerra la piazzaforte era affidata alla Guardia di frontiera il cui comandante era il generale Umberto Barberis, allo scoppio delle ostilità Tobruch passò alle dipendenze del XXI^Corpo d’armata, poi al XXII^C.A. del generale Pitassi Mannella, per ritornare ancora alla Guardia di frontiera; certamente nel trascurare quelle opere difensive vi fu la convinzione e presunzione, da parte degli alti comandi di Roma, che Tobruch mai avrebbe subito un assedio nemico.

 

La linea fortificata aveva un perimetro di circa 54 Km. con un raggio profondo 30 Km.,innanzi a questa linea vi era un fosso anticarro largo tre metri e profondo appena un metro e mezzo, ma esso non copriva tutta la lunghezza del perimetro, infatti soli 12 Km. erano stati completati, le parti ancora scoperte vennero protette con una serie avanzata di reticolati profondi otto metri; questa messa in opera dei reticolati fu completata nel mese di ottobre. A protezione della linea venne minato il terreno con 23.000 mine di cui 16.000 anticarro con scoppio a pressione e 7.000 antiuomo a strappo, ma solo nelle zone ove il fosso anticarro non era stato scavato, inoltre per la carenza di mine, queste vennero poste ad intervalli di alcuni metri l’una dall’altra, onde allargare il campo minato.

 

Lungo tutto il perimetro vi era una serie di casematte parzialmente interrate, con una copertura in cemento armato dallo spessore di quasi un metro, alcuni capisaldi con più moderne concezioni difensive comunicavano tra loro attraverso camminamenti ben mascherati e protetti da nidi di mitragliatrici, vi erano anche postazioni di mortai, in verità pochi, come pochi erano i pezzi anticarro. Le difese composte di capisaldi con casematte erano sistemate su due linee, una esterna e una interna. I capisaldi erano posti ad intervalli di 3 Km. l’uno dall’altro, quelli interni erano in appoggio a 5 forti di più ampie dimensioni conosciuti come: Forte Marcucci, Forte Solaro, Forte Ariente, Forte Perrone e Forte Pilastrimo, quest’ultimo era il più imponente, poichè fu sempre sede dei vari comandi di piazza; all’interno del perimetro erano i tre aeroporti T.2 - T.3 e T.5.

 

La distanza da un caposaldo all’altro era enorme, tanto che in caso di attacco, l’uno non poteva avere l’appoggio dall’altro, soprattutto come apporto di truppa; poi, caduto un caposaldo veniva a crearsi negativamente un vuoto di circa 6 Km., sufficiente a fare passare interi reparti di fanteria, questo fu quello che si verificò durante l’attacco finale degli inglesi.

Sulla costa vi erano caverne naturali che furono usate come depositi di munizioni, carburanti e viveri, inoltre alcune erano adibite a postazioni di artiglieria in caso di uno sbarco nemico.

La cinta difensiva di Tobruch aveva anche due difese naturali: a Ovest l’Uadi Sidi el Sahel ad Est l’Uadi Zeitun; l’Uadi era un solco largo diversi chilometri e profondo anche oltre i 100 metri con le pareti a scarpata ripida, quindi inaccessibili, gli inglesi aggirarono quello ostacolo, attaccando a Sud, solo il gruppo di sostegno che agì a Nord della cerchia difensiva ebbe delle difficoltà.

Come sopra detto, Tobruch prima dell’assedio aveva una guarnigione della Guardia alla frontiera di circa 2.500 uomini, in grande parte richiamati, circa 5.000 marinai addetti alla difesa costiera, mentre nella sua insenatura era ormeggiato l’incrociatore San Giorgio, armato con 4 pezzi da 147 e 4 da 190, comandante di Marina/Tobruch era l’ammiraglio Vietino; questa forza presidiaria, che in vista dell’assedio venne portata a poco più di 25.000 uomini con 300 bocche da fuoco, doveva difendere 54 Km.(

un cannone ogni 180 metri circa),nel mese di ottobre era stato aggiunto al presidio il battaglione CC.NN.“Volontari di Libia“.

Il Comando della piazzaforte, dietro specifico ordine di Graziani, venne assunto dal generale Pitassi Mannella, che nel corso dell’assedio cedette il comando al generale Umberto Barberis, comandante della Guardia alla frontiera. Quella cessione fu dovuta al fatto che il generale Pitassi Mannella, ottimo ufficiale di artiglieria e quindi esperto in materia, lasciando il comando della piazzaforte, avrebbe avuto la possibilità di riorganizzare e predisporre, con diretta competenza, la disastrosa situazione dell’artiglieria, essenziale più degli uomini alla difesa di Tobruch.

 

Alla scarsa proporzione della artiglieria su quei 54 Km. si aggiungeva anche la loro non lunga gittata di tiro, da 6/8 Km.,tanto che le batterie australiane, conoscendo quel particolare handicap balistico, si ponevano al di fuori della portata dei nostri cannoni e con tranquillità e sicurezza cannoneggiavano i nostri capisaldi.

Purtroppo tante furono le pecche nella difesa di Tobruch, nonostante il valore sia degli ufficiali che del semplice soldato; il generale Pitassi Mannella, cercò di porre rimedio ai numerosi inconvenienti, ma i fattori negativi furono tanti, Egli tentò di creare un secondo fosso anticarro all’interno del sistema difensivo ma con scarso risultato, poichè primo ostacolo fu la mancanza di mezzi adatti allo scavo, picconi e badili non erano adeguati, né sufficienti, in quanto dopo pochi centimetri di terra affiorava la roccia calcarea dura ad essere smossa con quei mezzi manuali; mancando di scavatrici il tentativo del nuovo fosso anticarro venne abbandonato. Altro inconveniente, la rete telefonica che collegava capisaldi e centri di fuoco era allo scoperto, i suoi fili sospesi a pali erano facilmente distruttibili, sia dallo scoppio delle granate che da guastatori nemici; infatti sin dai primi giorni di assedio, nelle infiltrazioni notturne, che quasi ogni notte compivano genieri e guastatori australiani, vi era anche il compito  di distruggere l’apparato di comunicazione tra in nostri reparti, quindi fu facile per loro tagliare i fili telefonici; grave anche la penuria di apparecchi radio e per giunta con una insufficiente portata di fonia. Altra notevole pecca fu quella che in tutta Tobruch vi erano appena 4 fotoelettriche per l’illuminazione notturna nelle zone del perimetro, onde individuare il pericolo di infiltrazioni nemiche; inoltre “dulcis in fundo“ non tutti i cannoni disponevano di proiettili perforanti, quei pochi adatti erano i pezzi da 37, da 47/32 e con molte riserve da 65/17 non certamente idoneo al tiro controcarro. Grave fu anche la mancanza della ricognizione aerea che avrebbe dovuto segnalare gli spostamenti nemici, la individuazione di punti di raccolta della fanteria e la disposizione della artiglieria nemica, il ché non avveniva in quanto gli aerei da bombardamento, che si trovavano negli aeroporti interni, non potevano decollare per la continua presenza sul cielo di Tobruch della caccia nemica, quelli degli aeroporti di Derna o di Benina, che avrebbero avuto la possibilità di alzarsi in volo non si muovevano, poiché non erano in grado di avere la copertura necessaria dalla caccia, che era ormai ridotta a poche decine di aerei; giustamente il generale Porro, comandante della aviazione di Libia, per tali ragioni non autorizzava voli di scorta. Allo inizio della offensiva inglese, la nostra forza aerea in Cirenaica era ormai ridotta ad una quarantina di aerei da bombardamento e altrettanti da caccia, da qui la necessità di risparmiare il più possibile aerei per un migliore impiego difensivo; quelle decisioni furono aspramente criticate dai vari comandanti impegnati al fronte e dallo stesso Graziani e certamente causarono in buona parte la sostituzione del generale Porro con il generale Mario Aimone Cat, nel febbraio del 1941.

Gli inglesi non ebbero mai quel tipo di problema che affliggeva invece l’aviazione italiana, in quanto i loro aerei da ricognizione, ben protetti dalla caccia, sorvolavano indisturbati le nostre posizioni, fotografando le nostre difese, le postazioni, i concentramenti di reparti, dando così le segnalazioni alle loro artiglierie che bersagliavano, colpendo con terribile precisione l’obiettivo.

 

Tobruch era stata divisa in due zone, quella orientale venne affidata al generale Barberis, che andava da Sidi Daud a Nord e scendendo a Sud sino al limite della strada per El Adem, un fronte di 22 Km. tenuto dai reparti Guardia alla frontiera, da quattro compagnie del 69°fanteria della divisione Sirte e da due battaglioni carri armati con 39 M.11 e 32 L.3, quasi tutti nelle impossibilità di muoversi per guasti meccanici, parte dei quali vennero interrati e utilizzati come centri di fuoco.

 

Il settore occidentale era agli ordini del generale Della Mura, comandante della divisione Sirte, esso controllava una linea difensiva di 28 Km. con 10 capisaldi, che andavano da Sidi Cheiralla al Nord sino alla strada per El Adem a Sud, la dislocazione degli uomini e carri, divisa in tre sottosettori era così predisposta : a Nord (settore A) il battaglione CC.NN.“Volontari di Libia“ che presidiava dalla zona del mare sino ai margini della via Balbia:

più sotto (settore B) tenuto da un battaglione del 70°fanteria Sirte e da reparti della Guardia alla frontiera, il terzo (settore C) di 8 Km. arrivava sino al limite della strada per El Adem ed era controllato da soli 7 carri M.11, da una compagnia bersaglieri, una compagnia fucilieri e un plotone mitraglieri, certamente in quel settore la difesa era molto debole e quando gli inglesi sferrarono l’attacco si dimostrò molto vulnerabile.

 

Lo schieramento dell’artiglieria in batterie e controbatterie fu maggiormente concentrato in quelle zone che il generale Pitassi Mannella ritenne più  possibili per una penetrazione nemica e giusta fu quella scelta, in quanto proprio in quelle zone venne sferrato l’attacco inglese.

 

Il settore orientale e quello occidentale avevano a disposizione quali riserve, piccoli reparti di supporto d’Armata, come il LXI battaglione complementi, un battaglione genio, un reparto di fanteria carrista, una compagnia trasmissioni e unità di servizi. ( MAPPA N°9 )

 

Nella notte del 21 gennaio, il monitore navale inglese d’appoggio “Terror” con due cannoniere iniziò a bombardare Tobruch sino alle prime luci dell’alba quando a sostenere e integrare il tiro, intervenne anche la Royal Air Force; il suo bombardamento fu molto pesante, alle 5,40 seguì il cannoneggiamento dell’artiglieria campale australiana con pezzi da 88, che investì tutta la linea difensiva da Sidi Cheiralla a Sidi Daud; mentre era in corso l’azione della artiglieria nemica, pionieri, genieri e un battaglione di incursori australiani, protetti dalla debole luce mattutina e dal grande polverone sollevato dagli scoppi delle granate che impediva ogni visibilità, irruppero a Sud del settore orientale e a circa 6 Km.a Est della strada per El Adem. Mentre i genieri procedevano allo sminamento del terreno e allo smantellamento dei reticolati, gli incursori eliminavano la resistenza di due capisaldi, aprendo così un vasto varco, da dove penetrarono i fanti della XVI-XVII e XIX brigata australiana, protetti dal 7°Royal Tank con i suoi potenti carri “Mathilda” da supporto alla fanteria.

 

La nostra artiglieria cercò di bloccare l’avanzata con tiri di sbarramento ma nulla poté fare contro i carri armati e quando se li vide venire addosso, passò dal tiro di sbarramento al tiro diretto, purtroppo con poco successo per il solito problema la mancanza di proiettili perforanti.

 

Alle 10,30 quattro capisaldi erano stati distrutti, i nostri pochi reparti di fucilieri, quando uscivano dai capisaldi per attaccare, venivano inesorabilmente falciati dalle mitraglie dei Mathilda; molti furono gli episodi di valore, ufficiali che per meglio individuare il nemico protetto dal polverone, uscivano dai ripari e la loro sorte era segnata, artiglieri che non mollavano il pezzo sparando sino all’ultimo colpo venivano schiacciati dai cingoli dei carri, i nostri genieri che lavoravano allo scoperto, per riattivare le linee telefoniche, subivano lo stesso annientamento.

 

Il destino dei nostri piccoli e innocui carri armati interrati fu atroce, il coraggio dei carristi nulla poté fare contro i mezzi corazzati nemici e i loro cannoni controcarro, caddero quasi tutti gli ufficiali, compreso il comandante del 63°battaglione carristi, il 50% dei soldati si sacrificarono pur di non mollare, ma contro quella enorme massa di acciaio, l’eroismo dovette cedere; in serata quasi tutto il settore orientale, sino a Sidi Duad era in mano degli australiani.

 

Contemporaneamente all’attacco nel settore orientale, anche quello occidentale subiva la stessa sorte, la VII brigata corazzata della 7^divisione che investiva da Ras el Medauar il nostro sistema difensivo, venne in un primo tempo fermata dalla reazione dei bersaglieri e fucilieri della divisione Sirte e da quei 7 carri armati M.11; la VII brigata con l’appoggio della IV brigata e di una ventina di carri Mathilda ritornò all’attacco, riuscendo a vincere la resistenza italiana.

Mentre gli australiani avanzavano verso il Forte Pilastrino che occuparono nel tardo pomeriggio, a Nord il sottosettore tenuto dal battaglione “Volontari di Libia“ veniva attaccato dal gruppo di sostegno e dalla 7^divisione corazzata, i volontari si difesero eroicamente tenendo per diverse ore le loro posizioni, poi esaurite le munizioni, dovettero cedere le armi e i pochi superstiti vennero presi prigionieri.

 

Nella giornata del 22 era quasi del tutto cessata la resistenza del presidio di Tobruch, vi erano ancora gruppi di soldati isolati che opponevano qualche ammirevole quanto inutile resistenza; per gli australiani quella giornata fu di rastrellamento e di preparazione per investire l’abitato di Tobruch dove la San Giorgio sparava le sue ultime bordate, ma infine esaurite le munizioni alle ore 4,15 l’incrociatore si autoaffondava.

 

All’alba del 23 i primi reparti australiani iniziavano a scendere nella cittadella, ove ancora resistevano sparuti gruppi di nostri soldati, si combatteva casa per casa, ma non era una resistenza organizzata, era quindi destinata a soccombere; alle ore 16 Tobruch veniva definitivamente occupata. La resistenza era durata due giorni, gli australiani catturarono oltre 24.000 prigionieri con i generali Pitassi Mannella, Della Mura, Barberis e l’ammiraglio Vietina.

 

Da Sidi Barrani a Tobruch, ad eccezione di Bardia, gli inglesi fecero anche un abbondante bottino di viveri, medicinali, vestiario, ma soprattutto di automezzi, abbandonati a centinaia intatti ed efficienti, mentre ironia della sorte, alle nostre truppe al fronte mancavano essenzialmente viveri, vestiario e automezzi. Una nota curiosa ma grave e sconcertante alla quale gli storici non hanno potuto dare una vera giustificazione: il 20 novembre 1940, l’Intendenza militare della Libia, fece ritirare, alle divisioni di seconda linea, quasi tutti gli automezzi in loro dotazione, soprattutto i Lancia 3Ro. che erano quelli che maggiormente davano affidamento nello sfidare il deserto. A queste divisioni gli fu concesso di tenere solo i trattori T.37 per il trasporto della artiglieria; vennero così raccolti circa 5.000 automezzi che furono accantonati nella zona tra Tobruch e Bardia, che poi furono  in maggioranza catturati e usati dagli inglesi; solo nella zona di Tobruch né lasciammo in mano al nemico circa 2.000, mentre i nostri soldati durante la ritirata, a seguito dell’offensiva del generale Wavell, ripiegarono a piedi divenendo facile preda del nemico; ecco giustificata la catastrofica cifra dei 130.000 prigionieri, con la quale si chiuse quella per noi avvilente controffensiva.

Questo assurdo ordine di requisizione, “pare”, secondo qualche storico, fosse giustificato da una manovra logistica unificata, progettata dall’Intendenza per aumentare la disponibilità di trasporto nel deserto ma che determinò indirettamente una grave diminuzione degli automezzi operativi delle G.U. e alle divisioni di seconda linea, uno scombussolamento nei rifornimenti, specie di viveri e munizionamento, in quanto la sussistenza non era in grado di rifornirli tempestivamente, per l’accumulo di lavoro che si era venuto a creare con quel provvedimento. Mentre prima ogni unità divisionale provvedeva direttamente con i propri automezzi al prelevamento dei rifornimenti nelle retrovie, ora non avendo più a disposizione i mezzi per quel servizio, ogni unità era obbligata ad attenderli dalla sussistenza, che non essendo attrezzata alla diretta e capillare distribuzione, pur facendo l’impossibile, causava alle truppe gravi ritardi nei rifornimenti anche di qualche giorno.

 

Di questo caos derivato da quell’assurda rivoluzione logistica, nè subirono le conseguenze i combattenti di prima linea. La divisione Cirene che disponeva di 250 autocarri, quasi tutti Lancia 3 Ro., ne cedette all’Intendenza quasi la metà ma nella ritirata dai propri capisaldi, i suoi fanti dovettero farsi 105 Km. a piedi, prima di arrivare a Bardia. Una cervellotica disposizione frutto di improvvisazione e superficialità.( 9 )

  

Dopo la caduta di Tobruch, il generale O’Connor proseguiendo la sua avanzata, superava indisturbato i 170 Km. che separavano Tobruch da Derna., non trovando altra resistenza sino al ciglione di Derna, dove Graziani aveva predisposto, nel triangolo Derna-Berta-Mechili (Berta era uno dei tanti villaggi agricoli, creati da Italo Balbo per valorizzare la Cirenaica), la sua nuova linea difensiva.

 

Graziani era convinto che con quelle poche forze che gli erano rimaste, non avrebbe più potuto fermare l’avanzata nemica, poteva solo ritardarla di qualche giorno il ché poi si avverò, così per l’ennesima volta fece presente la grave situazione allo Stamage e per esso a Mussolini, sostenendo la necessità di abbandonare la Cirenaica e attestarsi in Tripolitania, ove la conformazione del terreno e la vicinanza del grosso centro logistico di Tripoli si prestava a una migliore difesa, inoltre gli inglesi avanzando sino a Misurata e Buerat, ove Graziani intendeva disporre una ulteriore linea difensiva, si sarebbero messi alle spalle oltre 600 Km. di deserto sirtico che non offriva alcun sistema idrico, con un terreno in parte acquitrinoso caratterizzato con stagni di acqua malsanica e salmastra, nessuna possibilità di usufruire di un porto accessibile a navi anche di piccolo tonnellaggio per l’approvvigionamento logistico.

 

Abbandonata da parte italiana la Cirenaica, gli inglesi potevano disporre del solo porto di Bengasi per lo scarico di quanto serviva alle truppe operanti, poi da Bengasi, caricate su autocarri, acqua, viveri, munizioni ed altro, questi dovevano arrivare al fronte, su un percorso terrestre di circa 1.000 Km., quindi occorrevano diversi giorni di viaggio, da quì la necessità da parte inglese di creare, lungo questo percorso, centri logistici fissi per abbreviare lo smistamento dei rifornimenti, lavoro che avrebbe richiesto qualche mese di tempo per attuarlo, ed era su questo tempo di sosta che Graziani avrebbe approfittato per rinforzare la difesa della Tripolitania e attendere l’arrivo dall’Italia dei rinforzi promessi.

 

Nonostante quanto accortamente Graziani prospettava, pensiero condiviso peraltro dai generali Tellera, Bergonzoli, Cova e Molinari comandante del genio, comandanti che nella riunione del 29 gennaio avevano espresso parere favorevole alla proposta Graziani di portare la linea difensiva in Tripolitania, il Comando supremo di Roma, in contrasto con la realtà della situazione, decise invece per la difesa ad oltranza di Derna-Berta-Mechili e questo fu un altro degli errori .

 

Come sopra detto le residue forze di cui disponeva Graziani in quel frangente, erano ormai esigue; la 10^Armata, il cui comando, dopo la

sostituzione del generale Berti in data 23 dicembre, era passata agli ordini del generale Tellera, era ridotta ora a un solo Corpo d’armata, il XX comandato dal generale Cona, che aveva alle proprie dipendenze, oltre a quello che era rimasto della divisione Marmarica, anche la divisione Sabratha del generale Della Bona, ma questa era stata smembrata, in quanto dal giugno a settembre, quando faceva ancora parte della 5^Armata, aveva dovuto cedere alla 10^ circa 600 uomini tra ufficiali e soldati, inoltre al suo gruppo di artiglieria erano state tolte due batterie da 20 mm., una compagnia cannoni da 47/32, una batteria da 65 e una da 100. A quella modesta forza della 10^Armata venne aggiunta la brigata corazzata Babini, che non era stata impegnata, come sopra detto, nella difesa di Bardia e Tobruch, un battaglione paracadutisti libici del gruppo mobile Tonini e il raggruppamento motorizzato del colonnello Mario Piana, il tutto non superava i 25.000 uomini.

 

Derna non possedeva una cinta fortificata, salvo tre vecchi fortini dai nomi di “Rudero“, “Piemonte“ e “Lombardia“, ma la sua difesa naturale consisteva nell’Uadi Derna che divideva in due il ciglione; la parte orientale con un terreno pietroso, con spuntoni aguzzi impraticabile sia per automezzi che carri armati, aveva come unica via di accesso alla città, la via “Balbia“ facilmente da tenere sotto controllo che in un grave momento poteva essere distrutta e resa impraticabile; solo il lato occidentale aveva un tratto piano e verdeggiante che scendeva, con poche difficoltà verso la base Ovest del ciglione, da dove poi proseguiva verso El Mechili ed era il più vulnerabile e pericoloso. Il generale Tellera divise in due settori la linea difensiva: il primo con il compito della difesa di Derna ad oriente, era di pertinenza del generale Bergonzoli che aveva a sua disposizione una forza eterogenea, 5.000 uomini in tutto; tale forza comprendeva una parte della divisione Sabratha, il battaglione paracadutisti libici, residui della divisione Marmarica, una compagnia bersaglieri e un plotone carri M.11 (erano appena 4).

Il secondo settore, affidato al generale Cona, era composto con quanto rimaneva del XX Corpo d’armata e andava dal villaggio Berta sino a Sud del Bivio El Mechili, una forza, anche questa raccogliticcia di 17.000 uomini, con 254 cannoni e comprendeva: il resto della Sabratha con il suo comandante il generale Della Bona, la brigata corazzata Babini, il raggruppamento motorizzato del colonnello Mario Piana, composto da 2.400 uomini con 76 cannoni, 18 mortai, 62 mitragliatrici, 10 lanciafiamme, 200 automezzi e 120 motociclette; il compito di questo raggruppamento era quello di accorrere in aiuto a reparti in difficoltà ove queste avvenivano. Nel corso del ciclo operativo a difesa di Derna, Barce, Soluch si formarono altri raggruppamenti, come quello del colonnello Mario Bignami, del ten.colonnello Nicolò Crucillà, il raggruppamento Pasquali al quale era stato aggregato anche il battaglione paracadutisti nazionali che si trovava in quel momento nei pressi di Bengasi (Uadi Bakur) e subito trasferito in linea, i paracadutisti nazionali e libici s’immolarono per proteggere la ritirata dei resti della 10^Armata. E’ mio dovere onorare tre di questi paracadutisti che ho conosciuto personalmente sono: il sergente maggiore Carlo Maria Milani, Adelco Padovani (ambedue ora deceduti) e il caporale maggiore M.A.V.M: Luigi Caruso (vivente) che mi onora della sua amicizia. 

 

Mentre ancora si combatteva a Tobruch, reparti di autoblindo dell’11°Ussari e della 4^brigata corazzata si spinsero sino al ciglione di Derna, scontrandosi sin dal 16 gennaio con i paracadutisti libici del gruppo Tonini; quel giorno si ebbero i primi caduti per la difesa di Derna, ma il nemico venne respinto.

Il gruppo mobile Tonini, al comando della M.O.V.M. Goffredo Tonini, era formato, come sopra detto, dal battaglione paracadutisti libici, cui si aggiunsero: bersaglieri, carristi, artiglieri e fanti di vari reparti per un totale di 850 uomini. Il generale Bergonzoli aveva affidato al gruppo Tonini il compito di copertura, schierandolo a difesa del ciglione Est di Derna, dal forte Rudero allo aeroporto militare di El Ftéiah, sino a quasi il bivio di el Mechili.

 

I paracadutisti nei giorni dal 14 al 29 gennaio dovettero sostenere quasi tutto il peso della offensiva nemica nel settore che presidiavano; avevano di fronte gran parte della 6^divisione australiana e 2 reggimenti di cavalleria blindata. I combattimenti furono cruenti con perdita e riconquista di postazioni; il 29 mattina ultima battaglia a difesa di Derna, ma in serata, dietro ordine del generale Bergonzoli, i nostri paracadutisti dovettero evacuare e ripiegare al Villaggio Berta, sempre restando a copertura del grosso della 10°Armata; solo la mattina del 30 gli australiani entrarono in Derna ormai deserta.

 

L’ultimo combattimento sostenuto dal Gruppo Tonini avvenne il 6 febbraio sulla via Balbia all’altezza di Ghemines: per proteggere le colonne in ritirata, il gruppo si sacrificò al completo, i pochi superstiti vennero catturati.

Dal 16 gennaio al 6 febbraio 1941 il gruppo ebbe 429 tra  morti e feriti, in effetti il 50% dei suoi effettivi.

 

I paracadutisti libici compirono gesta eroiche ne fanno fede le numerose decorazioni al Valore Militare, tra le più prestigiose: la M.O.V.M. concessa al capitano Luigi Sartini (alla memoria) e cito la motivazione:

Sartini Luigi - capitano di complemento - Scuola paracadutisti di Libia.

Tre volte decorato di Medaglia d’Argento, rifulse in ogni combattimento per indomito coraggio e perizia nell’impari lotta che già da 12 giorni il gruppo sosteneva contro le crescenti forze corazzate avversarie. Comandato di un nucleo celere di ricognizione e di collegamento fra lontani presidi, consapevole delle difficoltà dell’impresa nel’adempimento dell’arduo compito, viene assalito da forze nemiche preponderanti; esaurite le munizioni e completamente circondato, già più volte ferito, anziché arrendersi persiste nella cruenta lotta animatore indomito della strenua difesa finchè cade, con l’ultimo dei suoi, in supremo corpo a corpo con l’avversario”.

 

Africa Settentrionale - 27 gennaio 1941

 

Medaglia d’Argento al Valore Militare (alla memoria) allo Sciumbasci (caporale) Mohamed Ali Ben Messaud, paracadutista libico, con la seguente motivazione:

Mitragliere, benché ferito, restava inchiodato alla sua arma continuando il fuoco finchè veniva maciullato dai cingoli del carro armato contro cui sparava”.

 

Africa Settentrionale - 25 gennaio 1941

 

Altre medaglie:

M.A.V.M.  Tenente Guido Sainas

M.A.V.M.  Sottotenente Mercadante Giovanni.

M.A.V.M.  Paracadutista libico Bubaker Ramalon.

M.A.V.M.  Tenente Vedana Angelo.

M.A.V.M.  Bulubasci (sergente)Mohamed Jeden Ben Alì

M.B.V.M.  Tenente Ingrami Renato

M.B.V.M.  Tenente Cenni Eritreo (alla memoria).

Croce al Valore Militare sottotenente Cora Renato.

L’elenco dei decorati é ancora numeroso ma tempo e spazio mi hanno momentaneamente impedito di continuare gli accertamenti.

 

Caduta Derna l’ordine fu di ripiegare sul villaggio Berta, ma a Sud si profilava la minaccia della 7^divisione corazzata che aveva oltrepassato El Mechili, dove il suo 11°Ussari aveva sostenuto uno scontro con la brigata corazzata Babini, la quale per l’inferiorità dei suoi mezzi corazzati aveva douto ripiegare concentrandosi su Berta; Graziani intuì che la 7^divisione aveva come obiettivo Bengasi ma arrivando dal Sud, quindi investendo il nostro piccolo caposaldo di Msus, che era l’unica difesa possibile per ostacolare quella manovra, cercò allora d’inviare rinforzi ma gli inglesi arrivarono prima e nella mattinata del 4 febbraio i carri armati della 7^divisione corazzata avevano già occupato quella posizione.

Le nuove disposizioni impartite al generale Tellera dal Comando superiore, furono quelle di evitare un accerchiamento e quindi ritirarsi su Barce, anche perché a Nord la 6^divisione australiana continuava ad avanzare occupando anche Berta e puntando decisamente su Bengasi. Quel ripiegamento che strategicamente venne chiamato “deflusso“, si dimostrò subito pieno di difficoltà; per primo la solita mancanza di automezzi, Tellera disponeva di appena 450 autocarri che dovevano caricare circa 25.000 soldati, l’artiglieria e il relativo munizionamento, fu palese che per l’occorrenza ne servivano almeno il triplo, anche perché il ripiegamento doveva avvenire in un minimo di due giorni.

Certamente il generale Tellera si rese conto delle gravi responsabilità in cui veniva a trovarsi, pur sapendo che quelle non erano dovute a sue incapacità di comando ed essendo anche a conoscenza che la 7^divisione corazzata inglese puntava da Sud su Bengasi, prese l’iniziativa di ordinare l’evacuazione di Barce e Bengasi, onde evitare che la popolazione civile venisse coinvolta in una cruenta battaglia.

                                                                            

La ferrovia Bengasi-Soluch, ancora in funzione, venne utilizzata per il trasporto di carri armati e munizioni ma questo fino a Soluch poiché lì terminava la ferrovia, comunque si riuscì con quel mezzo, a portare in salvo, anche se con grande confusione, molto materiale. A Bengasi si era tentato di fare evacuare parte della truppa e armi con l’ausilio delle navi, ma il piano venne scartato, sia perché non fu possibile avere la protezione della nostra aviazione, sia perché al largo della costa bengasina, erano appostati sommergibili e parte della  flotta nemica. Purtroppo restava come unica via di ritirata, l’autostrada Balbia, che risultò subito intasata ed esposta facilmente alle incursioni nemiche provenienti dal deserto; onde regolare e proteggere quel “deflusso“, dagli improvvisi attacchi nemici, il comandante della 10^Armata, affidò ai raggruppamenti Bignami, Piana, Crucillà e Pasquali il compito di protezione mobile, mentre le colonne Bergonzoli e Cona dovevano marciare parallelamente con la massa dei soldati in ritirata, proteggendone i lati sia quello sulla costa che quello che dava sul deserto. Ma quel “deflusso“ che secondo i programmi doveva svolgersi con un piano ordinato, si manifestò in una ritirata disordinata e drammatica anche perché ai militari, si erano aggiunti migliaia di civili che fuggivano dalle città di Barce, Cirene e Bengasi. Il problema più grave fu quello della disgregazione dei reparti, in cui molti soldati avevano perduto i contatti con le proprie compagnie o con i loro comandanti, inoltre si verificarono ordini che si accavallavano ad altri contrastanti. Nonostante il caos che si era generato, i raggruppamenti ingaggiarono spesso aspri combattimenti con le forze nemiche, riuscendo in molti casi a liberare dalle sacche, che gli inglesi avevano provocato sulla via Balbia, interi reparti di nostri militari e anche colonne di civili rimasti intrappolati.

L’attacco determinante realizzato dagli inglesi, fu fatto attraverso il Gebel fra El Carruba-El Abiar-Regima-Msus-Antelat-Beda Fomm-Sidi Saleh, riuscendo ad imbottigliare i resti della 10^Armata in ritirata sulla via “Balbia”.

 

Ormai la situazione precipitava e il generale Tellera dette l’ordine che i resti della 10^Armata ripiegassero su Agedabia; frattanto la città di Bengasi nella giornata del 6 febbraio era stata occupata dalla XVII e XIX brigata della 6^ divisione australiana che già marciava su Soluch mentre a Sud la 7^divisione corazzata, visto che Bengasi era stata occupata, si diresse su Antelat avendo come obiettivo principale Agedabia; purtroppo furono così veloci nel loro avanzamento che riuscirono a bloccare a Beda Fomm l’armata italiana,  chiudendola così in una grossa sacca. Infatti la mattina del 7 febbraio, quella armata che fu l’orgoglio di Graziani era definitivamente circondata a Beda Fomm e lì si chiuse la sua  “via crucis“; fu l’ultima e dura battaglia che l’esercito italiano sostenne a conclusione della offensiva inglese del 9 dicembre 1940 in cui, in una serie di combattimenti con impari forze e armamenti, furono catturati migliaia di prigionieri e grandi quantità di materiale militare.

 

Il generale Tellera mentre alla testa di un reparto cercava di contrastare l’avanzata nemica, venne  ferito gravemente, catturato fu portato prima in un ospedale da campo inglese, ma essendo le sue condizioni gravissime, i medici inglesi decisero di trasportarlo nello ospedale civile di Bengasi ove purtroppo decedeva. A Bengasi il generale venne assistito dal dottore Alberto Hoffman de Vaux, il quale pur avendo quel nome straniero era cittadino italiano e medico coloniale a Bengasi sin dal 1920, inoltre era anche dirigente del laboratorio d’igiene dello stesso ospedale; gli inglesi autorizzarono il dottore Hoffman a provvedere alla sepoltura del corpo e la salma del generale Tellera avvolta nella bandiera tricolore, che il nostro dottore aveva tenuta gelosamente nascosta durante l’occupazione inglese, fu tumulata col dovuto rispetto ad un valoroso soldato e con gli onori resi da un picchetto armato inglese, nel cimitero italiano di Bengasi.

 

A conclusione della battaglia di Beda Fomm, il 7 febbraio 1941, furono fatti prigionieri i generali Bergonzoli, Cona, Babini, Villanis e Neuroni, numerosi ufficiali superiori e circa 20.000 soldati; di quella che fu la 10^Armata, solo poche migliaia di soldati di cui 1.300 libici riuscirono a rompere l’accerchiamento e raggiungere la cittadina di Misurata in Tripolitania.

 

Gli inglesi si fecero un vanto per i risultati ottenuti in quella offensiva, da Sidi Barrani a Beda Fomm, avevano catturato 130.000 soldati italiani, oltre 2.000 automezzi, un numero considerevole di carri armati, di cannoni e anche viveri e distrutta una intera armata. In seguito toccò a loro conoscere l’amarezza della sconfitta, quando precipitosamente dovettero abbandonare la Cirenaica a seguito della offensiva italo-tedesca dell’aprile-maggio 1941. Corsi e ricorsi storici.

 

L’offensiva inglese si fermò per ordini superiori a El Agheila, ai margini della Sirtica anche se il generale O’Connor avrebbe voluto proseguire sino a Tripoli. Venne fermato però da Wavell che tramite Churchill aveva preso impegni con il governo greco per l’invio di uomini e mezzi da prelevare da quanto l’Inghilterra disponeva in Egitto; fu una fortuna imprevista per il maresciallo Graziani che ebbe così la possibilità di disporre, con quelle poche forze che gli restavano, una linea difensiva da Homs a Buerath el Hsun in Tripolitania; tra i due schieramenti vi erano circa 500 Km. di deserto sirtico, quello fu anche un altro potenziale ostacolo che fermò l’avanzata dello esercito inglese di O’Connor.

Certamente la grande vittoria di quella poderosa offensiva inglese và attribuita in parte al generale Wavell ma anche al Primo ministro Winston Churchill, il quale pur gravato da impegni politici e militari quali la probabile invasione tedesca dell’Inghilterra, la tragica situazione militare della Grecia ove si era impegnato a fornire aiuti, la rivolta araba in Siria e in Iraq, si prodigò di fare pervenire a Wavell il maggior numero di uomini e mezzi, sottraendoli parte dall’Inghilterra e parte dai Dominions e dal Commonwealth.

 

L’8 febbraio 1941 Graziani amareggiato, stanco, demoralizzato e con un avvilente stato d’animo per una disfatta che non meritava, chiedeva l’esonero del comando dell’A.S. e rientrava in Italia, affidando il comando al generale Italo Gariboldi; Graziani rinunciò anche alla carica di capo di Stato Maggiore Esercito, lo sostituì il sottocapo generale Mario Roatta.

 

Una breve traccia sull’operato del maresciallo d’Italia Rodolfo Graziani, ovviamente esposta dall’autore in base a quanto letto su numerosi testi scritti da veri storici, sia italiani che stranieri; naturalmente mi verrà subito posta la domanda del perché Graziani si fermò a Sidi Barrani e non proseguì oltre, quando ormai l’armata inglese attuava una ritirata strategica, tanto da  potere facilmente giungere ad Alessandria! La risposta il lettore l’ha già avuta in questo capitolo, ma torno a ripetere che Graziani non poté avanzare oltre quella località, perché mancava dei mezzi necessari, come automezzi, autocisterne per l’approvvigionamento dell’acqua, carri armati idonei, artiglieria moderna ma soprattutto di carburante e di un servizio logistico efficiente. Perché? Perché nonostante le sue numerose richieste di materiale idoneo a una guerra nel deserto, Roma gli aveva negato gli aiuti necessari, in quanto si era buttata nella disastrosa campagna di Grecia, guerra che aveva assorbito a dismisura automezzi, aerei, cannoni, pochissimo era stato inviato in Libia pure essendo il fronte più importante.

Sidi el Barrani strategicamente non diceva nulla, era una località desertica, aperta a tutti gli attacchi e difficilmente era nella possibilità di essere difesa, quella conquista non aveva risolto nulla, solo un effetto propagandistico per il popolo e la conquista di un centinaio di chilometri di territorio nemico e di questo Graziani ne fu convinto e certamente, se avesse avuto i mezzi non sarebbe stata quella la meta che intendeva raggiungere.

 

Graziani era un condottiero che mai aveva tentennato quando si lanciava nelle sue imprese militari, mai aveva sbagliato i suoi calcoli di attacco, era un maestro nell’arte della guerra, soprattutto per quella nel deserto che conosceva benissimo, ne fa fede anche il giudizio espresso da parte straniera, nella persona del generale francese Charles Nogues, che fu governatore generale del Marocco e in seguito comandante supremo di tutte le forze francesi del Marocco francese, il quale riconosceva in Graziani un maestro nella guerra del deserto; in un accenno sulla disfatta italiana in Cirenaica e nel fare un raffronto tra l’operato di Graziani con quello del generale Wavell, così si esprimeva..........” uno dei fattori principali e determinanti di quella disfatta fu nella “potenzialità” che in una guerra moderna ha un valore fondamentale, è anche vero che un comandante debba conoscere a fondo il suo mestiere di soldato ma è anche vero che egli debba avere in una battaglia, i mezzi superiori a quelli dell’avversario, con una massa di mezzi meccanizzati e con la partecipazione di una potente aviazione.......questo Graziani, pur essendo un grande stratega, non potè contrapporli al generale Wavell, quindi la “vittoria” inglese bisogna andarla a ricercare nel trinomio “ velocità-potenza- numero.....”

Graziani nel confronto con Wavell, aveva il solo vantaggio nel numero dei soldati, ma questi erano male armati; era nettamente inferiore nei carri armati per numero e qualità, nei cannoni contrapposti come modernità all’obsoleta qualità del passato, ma soprattutto nella aviazione, da qui la causa della disfatta.

L’Italia all’epoca non possedeva idoneo materiale in carri armati e cannoni (non lo avrebbe posseduto per tutto il restante corso del conflitto ed aveva una limitata disponibilità come automezzi, mancava l’addestramento, le dottrine d’impiego, la filosofia della guerra moderna. Le FF.AA. italiane erano già perdenti ancor prima di esserlo in battaglia e lo avrebbe dimostrato in tutte le sue campagne di guerra durante il 2° Conflitto Mondiale.

 

Roma nel giudicare Graziani non tenne conto di quella inferiorità, da loro causata e lo mise sotto processo. Mussolini in un commento con Galeazzo Ciano nel marzo del 1942, così si espresse su Graziani quando questi gli presentò il suo “Memoriale“ a difesa dell’operato in Africa Settentrionale dal 1940 al 1941...........” a Graziani addosso tre gravi colpe causate all’Italia: per prima la disfatta in Cirenaica del dicembre 1940-febbraio 1941, che ci procurò la perdita di prestigio dell’esercito italiano; la seconda quella che a seguito della disfatta fummo costretti

a chiedere l’aiuto e l’intervento tedesco in Libia; la terza la perdita dell’Impero........”

Tre fantasiose accuse..... la disfatta fu un grave errore dello Stamage e di conseguenza di Mussolini perché sottovalutarono il fronte libico e non provvidero all’invio di tutto quel materiale militare che prima Balbo e poi Graziani chiedevano; riguardo l’intervento tedesco, sin dallo agosto del 1940 Hitler aveva avuto una giusta intuizione nel tentennamento di Graziani di sferrare l’offensiva causa la scarsezza dei mezzi, così propose a Mussolini l’invio in Libia di due divisioni tedesche con artiglieria e carri armati, ma ricevette un netto rifiuto da parte dello Stamage; ancora il 4 ottobre del 1940, nello incontro al Brennero tra Mussolini e Hitler, ove il Duce annunciava al capo del nazismo la fulminea conquista di Sidi Barrani ed esponeva le altre due fasi della avanzata imminente, quali la conquista di Marsa Matruch e Alessandria, Hitler ripropose l’invio in Libia delle due Panzer divisioni, Mussolini pur ringraziando pose altro rifiuto; risultato di quei rifiuti: la inevitabile disfatta. La perdita dell’Impero, anche per questo argomento Mussolini lo giustifica con la mancata conquista dell’Egitto da parte di Graziani, in quanto conquistando l’Egitto e in seguito il Sudan, gli inglesi che operavano in Africa orientale, sarebbero stati costretti a ripiegare in Kenia, mentre quelli impegnati in Egitto, avrebbero dovuto ritirarsi in Palestina, di conseguenza noi avremmo avuto un collegamento diretto tra Libia-Egitto-Sudan-Eritrea-Etiopia-Somalia; conclusione non avendo Graziani conquistato l’Egitto, la salvezza dell’Impero sfumò.

 

Erano soltanto illusioni in contrasto con la realtà. Fu allora palese che Mussolini cercava un capro espiatorio per giustificare quella amara sconfitta sia in Africa Settentrionale che in Africa Orientale, quindi fu facile scegliere Graziani come solo colpevole in quanto ormai era un generale sconfitto, ma incredibilmente non toccò i veri responsabili di quella guerra perduta che erano installati a Roma ai vertici del comando, molti di costoro non avevano la minima conoscenza del territorio libico ad eccezione di Badoglio che vi aveva combattuto durante la guerra del 1911 e poi, dal dicembre del 1928 al gennaio del 1934, ne era stato il governatore.

 

A metà febbraio gli inglesi avevano ormai occupato quasi tutta la Cirenaica, ma restavano ancora in armi, sia pure isolati, i presidi di Cufra e Giarabub ai quali non fu possibile realizzare il ripiegamento verso la linea difensiva di Agedabia per l’enorme distanza, ma soprattutto perché quel ripiegamento doveva essere compiuto in pieno deserto e allo scoperto; infatti il percorso da Cufra ad Agedabia era di oltre 1.000 Km. che toccava l’oasi di Gialo, poi Augila, Marada e infine Agedabia e in quei 1000 Km.,la guarnigione di Cufra sarebbe stata senz’altro attaccata dai reparti del Long Range Desert Group e facilmente distrutta. Per la guarnigione di Giarabub pur essendo il suo percorso, sempre in pieno deserto, di circa 600 Km., toccando anch’essa Gialo, Augila, Marada e Agedabia, era più esposta agli attacchi dell’aviazione nemica e non tanto a quelli del L.R.D.G.; comunque nonostante che i due comandanti dei presidi avessero ricevuto l’ordine da Graziani di evacuare, questi, valutando i rischi di un attraversamento del deserto, decisero di resistere sul posto, pur sapendo che non potevano contare sull’aiuto della 10^Armata, ma con tale decisione condannavano se stessi ad un sicuro destino.

L’oasi di Cufra, in arabo Al Jawf, dista da Tobruch oltre 1.000 Km., posta su un altopiano di circa 270 metri sul livello del mare, fa parte di un sistema ambientale di 5 altre oasi, sparse in un raggio di 500 Kmq. Essa si trova allo estremo Sud della Cirenaica, la sua popolazione era composta in maggioranza da berberi nomadi e sedentari, appartenenti alla tribù degli Zueia un tempo predoni, da negri ex schiavi e da pochi individui arabi, giunti verso il 1870 al seguito della setta religiosa della Senussia. Altra nota storica: nel 1931 Cufra venne occupata dalle truppe italiane durante la riconquista della Cirenaica anche allora guidate dal generale Graziani.

Allo scoppio della Seconda Guerra mondiale, l’oasi di Cufra che era presidiata da due compagnie mitraglieri, una compagnia Sahariana (meharisti), una batteria mitragliere da 20 mm. e una batteria cannoni da 65/17, non potè essere rinforzata durante la controffensiva di Wavell; il comando era tenuto dal capitano Mattioli. Il presidio  disponeva anche di un aeroporto militare con una squadriglia di aerei Ghibli,l’aeroporto come sopra accennato, venne usato per circa un anno quale base aerea del S.A.S. per i rifornimenti in Africa Orientale.

L’isolamento di Cufra ebbe inizio nei primi giorni del gennaio 1941, subendo sporadici attacchi da parte di soldati francesi, degollisti di “Francia libera”, di base nel Ciad che con il Gabon, Senegal e il Congo francese, avevano aderito al proclama del generale De Gaulle che non aveva voluto accettare l’armistizio della Francia.

Il primo attacco avvenne all’alba dell’11 gennaio da parte del Long Range Desert Group che il giorno prima aveva attaccato il nostro presidio di Murzuch, riuscendo a distruggere alcuni aerei, nel rientrare alla loro base fecero una puntata anche a Cufra.

Il secondo attacco il 13 gennaio, fu compiuto da un gruppo camellato francese contro la stazione dei Carabinieri nell’oasi di Tegheri, ma venne considerato dai francesi come piccola azione dimostrativa.

Il 31 gennaio il Long Range Desert Group al comando del maggiore Clayton ritornò all’attacco, anche questa volta il nemico venne respinto e inseguito oltre Cufra, gli inseguitori al comando del capitano Mattioli catturarono il maggiore Clayton, l’artefice di tutte le precedenti incursioni del famoso reparto inglese.

 

Per la seconda volta all’alba del 8 febbraio una compagnia francese al comando del colonnello Leclerc, partita dalla base di Maaten es Sarra nel Ciad, attaccò Cufra di sorpresa e il suo aeroporto  distruggendo due aerei Ghibli, ma la pronta reazione della guarnigione riuscì a respingere l’attacco; i francesi benché continuamente mitragliati dai pochi Ghibli non danneggiati, ripiegarono, con poche perdite, verso la loro base di partenza.

 

Nota storica: il colonnello Leclerc non era altro che il ten.colonnello De Hauteclocque, che essendosi ribellato al governo francese di Vichy era passato agli ordini di De Gaulle, onde evitare rappresaglie alla sua famiglia che risiedeva in Francia, Leclerc prese quel nome di battaglia e nel contempo venne nominato dal generale De Gaulle governatore del Ciad e per prestigio venne autorizzato a fregiarsi del grado di colonnello. ( 10 )

 

il 18 febbraio 1941, il colonnello Leclerc con forze più numerose e motorizzate, armato di artiglieria pesante ritenta la conquista di Cufra; il nostro presidio rinchiuso nel forte sostenne per due settimane un duro assedio, ma ormai senza più munizioni, viveri e medicinali, in quanto i rifornimenti aerei erano cessati sino dai primi giorni di febbraio, la guarnigione fu costretta a capitolare il 1°marzo, vennero catturati 11 ufficiali, 15 tra sottufficiali e soldati nazionali e 260 soldati libici, di cui 19 di questi riuscirono a evadere e a raggiungere Agedabia.

L’odissea della guarnigione di Giarabub fu anche più drammatica di quella di Cufra, ma prima di dare corso alle vicende belliche del 1940-1941 che interessano quella località, vorrei che il lettore venisse a conoscenza della sua storia,  antecedente alla Seconda Guerra Mondiale.

Giarabub, in arabo si pronuncia “Al Jaghbub”, chiamata anche Oasi di Faregda, é situata a circa 270 Km. dalla costa cirenaica (Bardia), storicamente é la più conosciuta di tutte le oasi della Cirenaica, il suo passato fu legato sia a un fattore religioso che a quello diplomatico; infatti sino dal 1787 divenne sede della Confraternita religiosa della Senussia che lì fondò la sua prima Zawia (luogo di meditazione e scuola di adepti). Nel 1915, durante la Prima Guerra mondiale, gli inglesi la tolsero

al Senusso in quanto questi si era alleato con la Turchia a sua volta alleata della Germania; nel 1925 a seguito di un lungo lavoro della diplomazia italiana e inglese, il governo britannico decise di consegnare Giarabub all’Italia che ne entrò in possesso il 6 dicembre 1925.

Il governo italiano di allora, che non aveva ancora completata la pacificazione di tutta la Cirenaica, ben sapendo che Giarabub era un centro nevralgico di transito carovaniero che dall’interno si spingeva sino sulla costa, pensò di fortificare l’oasi costruendo un forte posto su un promontorio e con una guarnigione composta da un reparto sahariano di circa 90 uomini, inoltre venne approntato un piccolo aeroporto per il servizio aereo di sorveglianza del confine.         

Allo scoppio delle ostilità, come sopra già detto, la guarnigione venne rafforzata.

Giarabub sin dai primi giorni di guerra subì gli attacchi inglesi e fu posta anche sotto assedio, ma essendo regolarmente rifornita dalla aviazione del necessario per vivere e combattere, l’assedio non creò gravi problemi. L’assedio si ruppe con l’avanzata di Graziani su Sidi Barrani,il presidio fu maggiormente rafforzato con quattro compagnie Guardia alla frontiera, quattro compagnie sahariane, una compagnia cannoni da 47/32, una batteria da 77/28, sedici mitragliere da 20 mm., un reparto del genio e uno di sussistenza, con quella nuova forza il Comando superiore pensò che il nemico avrebbe avuto grande difficoltà nei futuri attacchi; purtroppo le difficoltà arrivarono alla guarnigione italiana con la offensiva di Wavell del 9 dicembre 194O, i rifornimenti aerei non ebbero più la dovuta regolarità, la pressione nemica si fece sempre più pesante, Wavell vista l’eroica resistenza della guarnigione, aumentò lo schieramento di assedio con la 8^brigata corazzata, così da farla capitolare prima possibile e di là aprire una nuova linea di attacco contro la 10^Armata, in modo da colpirla alle spalle.

 

Da parte loro gli inglesi non sottovalutarono la posizione strategica di Giarabub, in quanto essa sbarrava le piste carovaniere e quella automobilistica che collegavano l’oasi di Gialo, di Augila, di Marada sino ad El Agheila ed ecco quindi la necessità e l’importanza di conquistare subito Giarabub, così da venire ad avere via libera in tutto quel settore desertico.

Il piano inglese venne però a sfumare per la tenace resistenza del nostro presidio che per oltre tre mesi riuscì a fronteggiare le poderose offensive del nemico.

La guarnigione era comandata dal maggiore Salvatore Castagna, che per il suo valoroso comando venne promosso sul campo a tenente colonnello mentre ancora si trovava assediato; la difesa era concentrata sul forte che era in una posizione dominante, nel cui perimetro intorno ad esso, il comandante Castagna aveva predisposto una linea difensiva lunga 4 Km. con 4 capisaldi, protetti da un fosso anticarro e campi minati, ma solo verso la parte che dava sul confine egiziano distante appena 30 Km.; entro quel perimetro si trovava il campo di aviazione che svolgeva anche il compito di rifornimento di Giarabub, presidiato da una ventina di avieri che poco poterono fare per difenderlo, infatti dopo i primi attacchi ripiegarono dentro il forte.

 

La forza del presidio era composta da 1.350 soldati nazionali e 750 libici ma quando la situazione cominciò a diventare critica e disperata, il ten.colonnello Castagna dietro ordine di Graziani, smobilitò il contingente libico, così da renderli liberi di raggiungere le loro famiglie ed anche per evitare diserzioni, però 60 di loro, soldati veramente fedelissimi, chiesero di restare subendo morte e prigionia.

I rifornimenti aerei che inizialmente all’assedio erano quasi quotidiani, cessarono il 4 febbraio e solo il 27 febbraio e il 17 marzo un nostro aereo, sfidando la presenza della aviazione inglese, riuscì a paracadutare viveri, medicinali e munizioni, ma nonostante questa impresa rischiosa quanto ricevuto non fu sufficiente a sfamare la truppa, che da mesi aveva la razione giornaliera dimezzata, i medicinali non furono abbastanza per curare i feriti, il problema più grave era la ridotta disponibilità di munizioni che scarseggiavano, tanto che i cannoni, quando gli inglesi sferrarono l’attacco risolutivo, non poterono  sparare per mancanza di proiettili.

Quell’attacco durò ben 3 giorni il 16-17-18 marzo e l’avversario vista la resistenza italiana  decisa a non mollare, fece intervenire un altra brigata, la 18^australiana per avere finalmente ragione sui difensori;, fu un combattimento risoltosi all’arma bianca poiché i difensori di Giarabub non avevano più munizioni; durante l’attacco finale il comandante Castagna venne ferito gravemente; solo nel pomeriggio del 19 l’eroica resistenza della guarnigione crollò e dovette arrendersi al nemico, che concesse ai superstiti gli onori militari sul campo; in quei mesi di assedio oltre 400 furono i morti e feriti, il resto subì con il suo comandante la lunga prigionia.

Oggi Giarabub, per tutti i combattenti italiani della Seconda Guerra mondiale e per la nostra storia militare, suscita un fiero e commovente ricordo; nel 1941 in Italia, l’epica resistenza di Giarabub, venne ricordata anche con una canzone intitolata  La Saga di Giarabub“. ( FOTO N°11 )

Il generale Wavell dopo aver completata l’occupazione della Cirenaica, sistemate le sue truppe nella zona di Agedabia, con avamposti a El Nofilia, era venuto a conoscenza che Graziani disponeva in quel momento di solo cinque divisioni della 5^Armata: la Pavia, la Brescia, la Savona, la Bologna e i resti della Sirte; divisioni ridotte sia negli uomini che negli armamenti in quanto avevano dovuto cederli alla 10^Armata, allora resosi conto che per almeno tre mesi non doveva temere alcuna offensiva da parte italiana, poiché Graziani per attaccare, era costretto ad attendere gli aiuti dall’Italia e gli inglesi erano anche al corrente delle difficoltà e lungaggini burocratiche che affliggevano l’invio di quei rifornimenti, dispose quindi il ritiro dal fronte, per un lungo periodo di riposo, della 7^divisione corazzata che era quella maggiormente provata e rimasta con pochi carri armati mal ridotti per il lungo uso, sostituendola con metà della 2^divisione corazzata, comandata dal generale M.D.Gambier Parry, poiché l’altra metà era stata inviata in Grecia a seguito degli accordi di aiuti con quel governo; questa divisione non aveva ancora avuto esperienza di guerra nel deserto. Anche la 6^divisione australiana venne sostituita dalla 9^divisione sempre australiana, comandata dal generale Leslie Morshead, ma anch’essa con nessuna conoscenza della guerra nel deserto; della 6^ una parte venne inviata in Grecia, l’altra fu tenuta a disposizione. Le truppe inglesi dislocate in Grecia furono messe agli ordini del generale Wilson, che lasciava il comando dell’Armata  inglese in Egitto e quello di governatore generale della Cirenaica, dove subentrava il generale O’Connor.

Il corpo di spedizione inglese in Grecia, oltre ad alcuni reparti della 2^divisione corazzata, era formato da un gruppo corazzato al comando del generale H.U.S.Charrington, da una divisione neozelandese del generale Freyberg, parte dalla 6^divisione australiana, al comando del generale Iven Mackay e una brigata polacca, più elementi dei servizi logistici; pare che la forza di quel corpo ammontasse, secondo i servizi segreti italiani, a circa 100.000 unità (in realtà, dopo la guerra, da ricerche storiche venne stimata a 60.000 uomini).

Quando il 28 aprile del 1941 il generale Wavell dovette ritirare dalla Grecia quello che rimaneva del suo corpo di spedizione per trasferirlo a Creta, a seguito della travolgente occupazione tedesca, la situazione si presentò molto disastrosa e con la caduta di Creta, occupata dai paracadutisti tedeschi, questa diventò ancora più pesante; gli inglesi ebbero 13.000 tra morti, feriti e prigionieri, inoltre dovettero abbandonare 104 carri armati, 400 cannoni, 1800 mitragliatrici e 8000 automezzi; l’aviazione da parte sua perdette oltre 200 aerei e la marina 21 navi. E’ onesto affermare che quelle perdite ebbero un peso determinante nella disfatta di Wavell a seguito della successiva offensiva italo-tedesca; certamente se quelle forze fossero state impegnate in Libia ed Egitto anzicché in Grecia, l’avanzata di Rommel non sarebbe stata così facile e travolgente.

   

Altri cambiamenti avvennero in quel periodo: il XIII Corpo d’armata inglese che aveva combattuto per tutta l’offensiva di Wavell, venne sciolto e incorporato nel 1°Corpo d’armata australiano il cui comando fu affidato al generale Blamey, in seguito questo corpo prenderà la denominazione di 8^Armata e il XIII°C.A. verrà ricostituito.

 

I servizi segreti inglesi erano venuti a conoscenza tramite ULTRA, di un probabile invio in Libia di due divisioni tedesche, il generale Wavell ne venne informato ma certamente, nella convinzione che queste non potevano essere messe in linea prima di tre mesi, si dedicò agli aiuti alla Grecia, e questa sua leggerezza gli costò cara.

Nei primi giorni di febbraio 1941, precisamente il 12, sbarcava a Tripoli una prima parte della 5^divisione leggera tedesca (precisamente il 3°battaglione da ricognizione), il 14 febbraio quasi tutta la 5^divisione aveva completato gli sbarchi. Già dal giorno 12 era arrivato in Libia, a mezzo via aerea, anche il generale Erwin Rommel, futuro comandante dell’Afrika Korps, poco conosciuto dagli inglesi, quasi sconosciuto dai nostri generali, anche se nel giro di un mese del suo arrivo in Libia diventò uno straordinario “personaggio”, poichè fu un comandante ardito e geniale, come lo aveva già dimostrato in Francia durante la Campagna 1940. ( FOTO N° 12-13 )

Rommel, a differenza di molti generali, fu sempre in prima linea in mezzo ai suoi soldati, esortandoli con l’esempio al combattimento, chiedendo loro il massimo rendimento; nel corso di una battaglia si spostava da un punto all’altro per il fronte onde individuare i punti deboli del nemico, ma quello che aveva creato il carisma di Rommel, era l’ardire di un generale che aveva “violato“ le secolari leggi del deserto, inoltre nel prevedere per istinto le mosse del nemico, istinto che non lo ingannò quasi mai e spesso gli assicurò la vittoria; altro successo di Rommel fu quello di avere imposto la sua indiscussa tattica personale agli Alti comandi di Berlino e Roma.

 

Lo stesso Winston Churchill in un suo discorso alla Camera dei Comuni,nel gennaio del 1942 così definì l’operato di Rommel in Libia ..........” noi abbiamo di fronte un avversario audace e abile e, se posso dirlo al disopra delle strategie di guerra, è un grande generale.....”, anche se Rommel dimostrò eccellenti doti di tattica e più carenti qualità di condottiero strategico, come ad esempio dimostrò Kesselring sicuramente più completo e affidabile.

Rommel appena messo piede sul suolo libico, non perse tempo, pochi giorni dopo era già in volo sul deserto sirtico in ricognizione aerea, per rendersi conto del terreno sul quale doveva operare, per avere una idea delle strade, delle piste esistenti e delle infrastrutture disponibili. Ebbe subito i primi  contrasti circa la conduzione della guerra con il generale Gariboldi, al quale era formalmente sottoposto; sconvolse gli antiquati schemi strategici inglesi e italiani, prese in mano le redini delle operazioni e da maestro dell’arte militare quale si reputava e in effetti lo era, decise di testa sua e agì d’impulso nello attaccare subito gli inglesi con la sua 5^divisione, pur non completa e con le poche truppe italiane di stanza in Tripolitania, anche se ne aveva constatato la tragica situazione militare, materiale, d’armamenti e addestrativa; questo stato di cose non lo scoraggiò, poiché era convinto che gli inglesi non si trovassero in migliori condizioni, con un esercito che si era logorato negli oltre 800 Km. di avanzata e lontano dalle basi di rifornimento.

 

Ricordo ancora oggi,l’imponente sfilata di quella 5^divisione lungo la via principale di Tripoli, l’enorme meraviglia e ammirazione che essa destò in noi italiani di Libia, nel vedere quei soldati bene armati, impeccabili nelle loro divise coloniali (idonee al clima africano) ma soprattutto quello che impressionò, furono i possenti carri armati esibiti che mettemmo subito al confronto con i nostri modesti L.3 e M.11; avemmo in quel momento la certezza della vittoria, perché con quella presenza, era mutata l’atmosfera depressiva che ci aveva colto con la perdita della Cirenaica, non si poteva perdere una guerra con un alleato così potente, così baldanzoso e così ben armato !

Vorrei citare anche l’impressione di ammirazione che quell’arrivo suscitò nei giovanissimi italiani di Libia, ecco come ricorda quell’evento il concittadino e carissimo amico Toni Tinti, che aveva allora appena 10 anni, in un suo articolo apparso recentemente sulla Rivista “Il reduce d’Africa“ diretta da un valoroso ex combattente Guido Costabile. Toni così scrive .........” che giorno fu mai quello!!! Tutta Tripoli era in festa, in un sventolio di bandiere, la folla gremiva le strade, erano arrivati i soldati tedeschi che si sarebbero uniti ai nostri soldati per cacciare gli inglesi che occupavano la nostra Cirenaica.

Io mi trovavo, in attesa della sfilata, in Corso Sicilia che era una grande strada, dalla quale avrebbe avuto inizio la sfilata; finalmente dopo una impaziente attesa, ecco apparire, prima la fanfara dei bersaglieri seguita da un reparto della divisione Ariete, che nel corso della guerra in territorio africano, dette un alto contributo di vite umane e di atti eroici, poi i nostri piccoli carri armati e le truppe libiche con le loro “taghie” rosse..... (la “taghia“ era il caratteristico copricapo che distingueva il soldato libico da quello nazionale, aveva la forma di una grande “papalina“ di colore rosso con un fiocco azzurro)......ed ecco infine i soldati tedeschi nelle loro uniformi kaki così nuove, pantaloni lunghi rimboccati in eleganti stivaletti, alcuni reparti con cappellini a visiera sormontati da occhiali speciali per proteggesi dal sole e dalla sabbia del deserto, altri invece con casco coloniale. Tutto era diverso e ogni mezzo, ogni reparto suscitava l’ammirata e rumorosa approvazione della folla; ricordo che effetto incredibile mi fecero i cannoncini anticarro, piccoli ed eleganti, montati su ruote gommate.....( i nostri residuati della Prima Guerra mondiale avevano le ruote in legno con i cerchioni di ferro, al massimo ruote con gomma ripiena ).......seguivano centinaia di motociclette e motosidecar su cui erano montate le moderne

terribile macchina da guerra..........” 

 

Frattanto era sbarcata a Tripoli, la divisione corazzata Ariete, anch’essa non completa negli organici e con appena 60 carri L.3, al comando del generale Ettore Baldassarre, in seguito sostituito dal generale Giuseppe De Stefanis, in quanto posto al comando  del XX Corpo d’armata. La divisione, in Italia, era stata incorporata nella 6^Armata, denominata Armata del Po, orgoglio di Mussolini, in quella armata fecero parte altre due divisioni corazzate,la “Centauro“ e la “Littorio“, trasferite in seguito in Libia (tra il 1941 e la metà del 1942). L’Ariete appena sbarcata fu prima trasferita a Zavia, località a 42 Km. da Tripoli, per una fase di riordino e ambientamento e assegnata al X Corpo d’armata al comando del generale Alberto Barbieri; dopo pochi giorni, in data 9 marzo 1941, venne ufficialmente aggregata alla 5^divisione leggera tedesca e affidata, come comando di collegamento operativo, al tenente colonnello Schwerin, ma restando alle dipendenze del X Corpo d’armata; Rommel la schierò tra Sirte e Buerath el Hsun sulla costa.

 

A quella data l’Ariete era così costituita:

8° reggimento bersaglieri, su tre battaglioni ( III-V e XII );

3  compagnie artiglieria controcarro da 47/32;

132°reggimento carristi, su 3 battaglioni carri L.3;

2  gruppi artiglieria da campagna a traino meccanico da 75/27;

1  autoreparto misto con unità di servizio;

complessivamente aveva una forza di 6.100 uomini.

 

L’armamento divisionale era di: 117 carri veloci L.3 (ma in Libia giunse con soli 60 di quei carri gli altri arrivarono in un secondo momento, quando la divisione era già in zona di operazioni), con quei carri modesti e inutili che allora erano tra i più scalcinati d’Europa, i nostri carristi compirono eroismi, ingaggiando impari battaglie contro i più potenti e meglio armati carri inglesi.

 

Vi erano inoltre:

29 carri lanciafiamme;

24 pezzi controcarro da 47/32;

16 mitragliere da 20 mm.;

760 automezzi e 700 motociclette.

Nota: mentre l’Ariete era ancora in Italia, gli fu tolta una buona parte della sua artiglieria che venne inviata in Libia ad altre divisioni, artiglieria che l’Ariete mai recuperò, nonostante fosse ormai sul posto.

Vorrei che il lettore ponesse attenzione alla differenza sostanziale di uomini e mezzi tra la nostra Ariete e la 5^divisione leggera tedesca che così era formata:

3 gruppi esploranti, composti da 2 compagnie autoblindo, una compagnia motociclisti e una Compagnia armi pesanti PAK(controcarro), con pezzi da 50.

2 battaglioni mitraglieri ciascuno formato da 2 compagnie, montati su motosidecar BMW/Zundapp.

un reggimento corazzato su 3 battaglioni Panzer M.III/IV;

un gruppo artiglieria  controcarro con pezzi da 37 e 88;

un reparto trasmissioni più il comando rifornimenti e unità di servizio.

L’armamento divisionale comprendeva:

27 autoblindo, 55 carri armati MK III e 28 carri MK IV da 25 tonnellate;

1.800  mezzi di trasporto tra auto e cingolati;

110 pezzi controcarro.

La forza in uomini era di 9.300.

Nonostante tale differenza di uomini e mezzi, l’Ariete prese parte a combattimenti anche più cruenti e impari di quelli sostenuti dalla 5^divisione leggera.

Con l’arrivo della 5^divisione leggera, comandata dal generale Streich, era giunto in Libia anche il X Fliegerkorps della aviazione tedesca del generale Froelich, che prese base negli aeroporti della Mellaha, di Sorman e Castel Benito.

L’aviazione tedesca dette subito un valido aiuto con il trasportare,  truppe italiane (divisioni Brescia, Bologna e Pavia) da Tripoli alla zona di Sirte,utilizzando trimotori Ju.52, superando così facilmente e velocemente la distanza di 500 Km. che con i pochi automezzi a disposizione della 5^Armata le tre divisioni avrebbero messo almeno un paio di settimane per coprire quella distanza; Rommel aveva fretta di attaccare e passare all’azione ed ecco perché chiese l’aiuto della sua aviazione.

 

Alla vigilia della offensiva primaverile italo-tedesca, Rommel disponeva di circa 29.000 uomini, di 231 carri armati pesanti, 117 leggeri, di 22 autoblindo, 72 cannoni da campagna e 220 controcarro; la forza in uomini era così suddivisa: 9.000 tedeschi della 5^divisione leggera, 5.000 fanti della divisione Brescia, circa 6.000 della Ariete, poco più di 4.000 della Pavia e altrettanti della Bologna; come si può notare la presenza italiana era una forza modesta, eterogenea, con poca e insufficiente disponibilità di automezzi.

La maggiore presenza di Panzer era dovuta all’apporto della 15^panzerdivision giunta nel frattempo in Libia.

 

Il 20 febbraio la 5^divisione leggera e le divisioni Brescia e Ariete erano già schierate nella zona di Sirte, più arretrate le divisioni Pavia e Bologna, mentre la difesa della città di Tripoli e tutto il settore, che da Zuara (Zuwarah)portava a Homs (Al Khums), era stato affidato alla divisione Savona ed ai resti della divisione Sirte. Nella giornata del 24, pattuglie tedesche e italiane ebbero i primi scontri con gli avamposti nemici a El Nofilia, gli inglesi furono costretti a ripiegare verso El Agheila; Rommel aveva affidato il comando di quel tratto di fronte al generale Johannes Streich, comandante della 5^divisione leggera.

 

Il 10 marzo Rommel fu chiamato a rapporto al quartiere generale del Fuhrer in Germania per esporre il suo piano di guerra in Libia. Ebbe all’OKW (l’equivalnte STAMAGE italiano) contrasti di vedute per il suo personale comportamento aggressivo su come intendeva condurre la sua guerra in Africa, scontrandosi prima con il feldmaresciallo von Brauchitsch, poi con il generale Halder capo di Stato Maggiore dello esercito tedesco, i quali gl’intimarono di non effettuare alcun attacco decisivo prima della fine di maggio; Rommel si lamentò con Hitler per quegli atteggiamenti e degli “scarsi mezzi che gli erano stati assegnati”, chiese anche maggiore libertà di azione, Hitler lo accontentò e in quella occasione lo decorò con l’alta onorificenza militare tedesca: la Croce di ferro con “Fronde di Quercia“.

Rientrato il 14 marzo presso il suo comando a Sirte, organizzò, con il suo Stato Maggiore, un nuovo e più articolato piano di attacco, basato soprattutto  all’arrivo in Libia della 15^panzerdivision e della divisione motorizzata italiana Trento comandata dal generale Giuseppe De Stefanis.

Con l’arrivo della 15^ e con la presenza della 5°divisione leggera, il corpo di spedizione tedesco, prese la denominazione ufficiale di Deutsche Afrika Korps  (D.A.K.).

Il 30 marzo Rommel, circa un mese dopo il suo arrivo in Libia, sferrava a sorpresa l’attacco ( MAPPA n°10 ) con reparti italiani e tedeschi che occuparono El Agheila, il 31 cadde anche Marsa el Brega, difesa dalla 2^divisione corazzata inglese, il 2 aprile che dobbiamo considerare come il giorno della vera offensiva di Rommel, fu la volta di Agedabia; ormai gli inglesi erano in rotta. Il generale Philip Neame, che aveva avuto da Wavell il comando delle forze inglesi in Cirenaica dopo che il generale Wilson lo aveva lasciato per assumere quello inglese in Grecia, si dimostrò non all’altezza di quel comando, non tanto per il suo carattere pessimista, quanto perchè alle prime difficoltà ordinava spesso il ripiegamento; questo comportamento irritò Wavell che pensò di sostituirlo con O’Connor, ma quest’ultimo, che era grande amico di Neame, rifiutò la sostituzione ma accettò la qualifica di consigliere militare di Neame pur essendo suo pari grado.

 

L’avanzata di Rommel procedette velocemente e incontrastata sino ad Agedabia senza particolari difficoltà. Qui le forze italo-tedesche vennero divise in tre colonne: una con direttrice sulla costa con obiettivo Bengasi, che venne occupata il 3 aprile; la seconda: più interna puntò su Antelat-Msus, El Mechili che cadde il 6 aprile; la terza agli estremi limiti del deserto, marciò su Bir Tengeder convergendo poi su El Mechili, riunendosi alla seconda colonna e tutte e due ebbero come obiettivo Derna (Darnah)che fu occupata il 7 aprile.

 

Una nota curiosa, la ritirata inglese fu così precipitosa che non ebbero la possibilità di trasferire verso l’Egitto circa 2.400 prigionieri italiani che erano stati concentrati a Barce, dovettero così lasciarli liberi sul posto, dove raggiunti dalle truppe italo-tedesche, rientrarono nuovamente in forza nell’esercito.( 11 )

                        

A Derna le tre colonne si riunirono in una unica forza, avanzando poi sino a Tobruch per occuparla. La piazzaforte, che nel frattempo era stata rinforzata e approvvigionata del necessario, non cedette ed oppose una forte resistenza, anche perché per gli inglesi Tobruch rappresentava ancora la loro presenza militare in Cirenaica. In Tobruch si era concentrata la 9^divisione australiana del generale Morshead che aveva preso il comando della piazzaforte; oltre alla 9^divisione vi era anche la prima brigata corazzata della 7^divisione australiana, con le sue quattro brigate di fanteria ( XVIII-XX-XXIV e XXVI ), che nel ripiegamento dalla Cirenaica avevano trovato rifugio in Tobruch. Vi era anche la 3^brigata motorizzata indiana e sparuti gruppi di altri reparti, in tutto oltre 30.000 uomini.

 

Rommel sferrò subito alcuni attacchi di assaggio alla piazzaforte ma senza successo; il primo venne fatto il giorno 10 aprile con la 15^panzerdivision, al comando del generale Heinrich von Prittwitz che venne ucciso in quella azione (il generale aveva da soli due giorni assunto il comando della 15^); seguirono quello del giorno 12, con la divisione Brescia in coordinamento operativo con la 5^divisione leggera; altri vennero fatti con la Trento e ancora con la 5°divisione, nei giorni 13 e 14 aprile, ma anche questi fallirono causa i cattivi collegamenti e alla non cooperazione tra fanteria e mezzi corazzati.

 

Un caso eclatante si ebbe durante un attacco allorchè un battaglione mitraglieri della 5^divisione leggera al comando del tenente colonnello Ponath, era riuscito a penetrare nelle difese inglesi e arrivare ad appena 5 Km. dall’abitato di Tobruch, ma inchiodato a distanza dall’artiglieria nemica non ebbe possibilità di ripiegare sotto protezione, perché mancò l’appoggio dei carri armati e della  artiglieria, col risultato che il reparto rimase isolato privo di guida e abbandonato al suo destino, anche perchè in quel combattimento il Ponath rimase ucciso. Vi furono altri casi in cui la fanteria italiana e in talune occasioni anche quella tedesca, pur avendo conquistato delle postazioni, dovettero ripiegare poiché non ebbero l’immediato l’appoggio dei carri armati; infatti fu quello che successe alla divisione Ariete, quando il giorno 16 tentò da sola di penetrare nella difesa inglese e vi era quasi riuscita, ma non avendo avuto alcuno aiuto come previsto dai carri armati tedeschi e dalla artiglieria, dovette ritirarsi e anche precipitosamente, nonostante il valoroso comportamento dell’8°bersaglieri.

 

In quelle battaglie per tentare la conquista di Tobruch, emerse un episodio di cameratismo tra le parti avverse: venne tacitamente stabilito che qualche ora prima del tramonto, ad un segnale convenuto a mezzo razzi lanciati da ambo le parti, per due ore veniva a cessare ogni sorta di combattimento, anche quelle piccole scaramuccie tra pattuglie, questo per far sì che gli addetti ai servizi di sanità uscissero allo scoperto, per raccogliere morti e feriti, mentre i soldati, pur restando nelle loro buche, ne approfittavano per un meritato riposo.

 

Lo stesso Rommel ammise che in quegli attacchi nulla funzionò a dovere e per giustificare la sua convinzione, scrisse una lettera ai comandanti delle divisioni italiane, impegnate in quelle azioni, nella quale attribuiva gran parte di quegli insuccessi allo spirito poco combattivo del soldato italiano, il quale alle prime difficoltà preferiva arrendersi.

Quelle ingiuste dichiarazioni o meglio accuse, provocarono una sentita reazione nel nostro ambiente militare, tanto che il generale Gariboldi, comandante Superiore, fece le proprie rimostranze a Rommel.

Per debito di obiettività bisogna riconoscere che Rommel qualche ragione l’aveva avuta in quanto, secondo testimonianze, poi appurate dal generale Gariboldi, vi furono casi di abbandono delle armi da parte di sparuti gruppi di soldati, i quali certamente, trovandosi isolati e per non avere maggiori perdite, preferirono arrendersi. Uno dei motivi più accettabili va ricercato nel carente armamento disponibile e nell’inefficace azione della esigua artiglieria controcarro sui mezzi corazzati nemici. Comunque é indiscutibile che fanti, artiglieri e carristi delle divisioni Ariete, Brescia, Trento, Bologna, con in testa i loro ufficiali si comportarono, nelle battaglie di Tobruch, con audacia e combattività.

Nel dopoguerra certa stampa tedesca e gran parte di quella inglese, la prima per elogiare le imprese di Rommel, la seconda per magnificare il loro esercito, misero in evidenza  quasi ad arte quegli episodi, facendo pure notare che furono rari i casi nei quali il soldato italiano dette prova del suo coraggio; quella certa stampa, non ha invece esaltato il costante sacrificio di quelle modeste divisioni italiane, impegnate sul fronte egiziano e poi tunisino, che permisero con pesanti sacrifici nelle ritirate, specie quella da El Alamein, allo alleato tedesco di porre in salvo il maggior numero dei suoi uomini e mezzi.

E’ doveroso citare che Rommel, nelle sue “Memorie“ si ricredette in parte, sul valore del soldato italiano, ma non sul comportamento degli alti Comandi italiani di Roma; é vero che Egli ebbe stima e ammirazione nei generali Baldassarre, Navarrini del XXI Corpo d’armata, De Stefanis del XX C.A. e nel generale De Giorgis, comandante della divisione Savona che durante l’offensiva inglese “Crusader“, rimasto isolato, resistette per diverse settimane al nemico nella zona di Sollum; Rommel invece non nascose il suo elogio e apprezzò, con sincera ammirazione, il sacrificio della divisione Ariete nella battaglia di El Alamein, Egli considerò gli ufficiali e soldati di quella magnifica divisione, splendidi compagni d’arme ai quali chiese sempre di più di quanto essi potevano dare. Dalla lettura di quel memoriale, ho tratto qualche spunto su quanto egli scriveva  “.........se ad El Alamein il successo fosse dipeso dalla volontà delle truppe e dei suoi comandanti, certamente avremmo vinto la guerra. Ma sfortunatamente, la disorganizzazione ed il cattivo funzionamento dei servizi in Italia, ridusse a zero la nostra probabilità di successo.

Non vennero meno le capacità di resistenza di numerose unità italiane, quali fedeli compagni di lotta ed io, come comandante in capo di quelle truppe, considero mio dovere insistere sul fatto che i soldati italiani non furono assolutamente responsabili dei rovesci subiti sul fronte di El Alamein (è ovvio che Rommel si riferiva a Roma e Berlino).

Il soldato italiano era pieno di buona volontà, buon combattente, altruista e ottimo camerata; numerosi generali e ufficiali italiani, destarono la nostra ammirazione, sia come uomini che come soldati.

La sconfitta italiana, nella prima offensiva inglese, affondava le radici nello stesso pletorico meccanismo militare e governativo e nella mancanza d’interesse che molte autorità in Italia, dai capi militari ai dirigenti civili dimostrarono

per lo svolgimento della guerra ........”

Rommel finisce con questo elogio...........” il soldato tedesco stupì il mondo ma il bersagliere italiano stupì il soldato tedesco.....” ( 12 )

 

Dopo quegli insuccessi iniziali Rommel decise di proseguire l’avanzata, lasciando a Tobruch alcune forze miste per mantenere l’assedio, superò così Bardia e si attestò a Sollum.

 

 

Quella sosta ebbe due spiegazioni: una la resistenza di Tobruch, che rappresentava alle spalle una potenziale minaccia strategica e di questo Rommel ne era convinto, considerandola una spina nel fianco, in quanto la difesa della piazzaforte, che aveva la possibilità di essere rifornita via mare, poteva effettuare delle sortite e colpire alle spalle; qualche volta quelle sortite si verificarono realmente negli 8 mesi che gli inglesi resistettero a Tobruch; l’altra ragione fu la poca disponibilità di carburante che non gli permise di fare muovere al completo i suoi carri armati; troppa era la distanza dai centri di rifornimento e troppo veloce fu la sua avanzata, quindi gli venne a mancare il normale coordinamento tra consumo e rifornimento.

 

Il generale Rommel in meno di 15 giorni aveva riconquistato la Cirenaica, mentre gli inglesi per conquistarla ci misero ben due mesi. Altro curioso particolare, Rommel in quella avanzata e per la prima volta, nelle battaglie che si svolsero in Libia, usò degli stratagemmi: carri armati in legno per ingannare la ricognizione aerea nemica e l’applicazione di fascine e copertoni attaccati dietro gli automezzi per simulare, con l’enorme polverone che essi sollevavano, l’avanzata di grosse colonne, tanto é vero che la guarnigione inglese a difesa di El Agheila, durante l’inizio della offensiva italo-tedesca, venne tratta in inganno da quel polverone e credendo di essere attaccata da grandi forze corazzate, abbandonò la località senza combattere ripiegando su Agedabia.

Vorrei fare conoscere al lettore un episodio quasi sconosciuto di cui furono protagonisti i tedeschi: dopo la sosta dell’armata italo-tedesca a Sollum,la ricognizione aerea italiana, aveva segnalato che nella oasi di Bir el Hamra a circa 5 Km. a Sud di Sollum, gli inglesi avevano approntato un grosso deposito di approvvigionamento; naturalmente quella segnalazione mise in moto la mente organizzativa di Rommel che, catturando quel deposito, avrebbe risolto gran parte dei disagi causati dalla penuria di viveri e carburante di cui soffriva la sua armata. Vennero formate immediatamente tre colonne personalmente sotto il controllo e guida di Rommel, partite alle prime luci dell’alba del giorno 14 settembre; la prima da Bir Musaid (Sollum), la seconda da Ridotta Capuzzo e la terza da Sidi Omar; quella azione doveva essere di sorpresa, data la breve distanza dagli avamposti tedeschi al grosso deposito inglese, invece le tre colonne vennero quasi subito segnalate dalla ricognizione inglese e in seguito sottoposte a bombardamento aereo dalla South African Air Force che causò la distruzione della prima colonna e il ripiegamento delle altre due, la missione fallì anche per la mancanza di appoggio della aviazione italo-tedesca, si disse allora che non vi era stato coordinamento tra le due aviazioni, inoltre l’impresa sarebbe fallita lo stesso, poiché il comando inglese, dopo la segnalazione aerea delle tre colonne, intuendo le intenzioni di Rommel aveva provveduto con sollecitudine a spostare il centro deposito in una zona più arretrata. Ma pare forse, che una intercettazione dei vari ordini che si trasmettevano le colonne in movimento, fosse stata captata da ULTRA e da questo speciale servizio intercettazioni inglese, trasmessa al comando dell’8^Armata, che venne così a conoscere le intenzioni di Rommel.

  

Altra curiosità quasi tragicomica di cui fu vittima il generale Wavell che, accompagnato dal generale australiano Laverack, si era recato in volo a Tobruch l’8 aprile, per predisporne con il generale Morshead la difesa; nella nottata di quello stesso giorno, ripartì con il suo aereo per rientrare al Cairo, disgrazia volle che poco dopo l’aereo per un guasto ai motori, dovette effettuare un atterraggio di fortuna in pieno deserto; il generale Wavell non sapendo dove si trovava e nel timore di essere catturato, decise di bruciare le carte segrete che portava con sé, aspettando poi fatalmente quello che poteva accadergli; ma la sorte gli fu benigna in quanto venne recuperato da una pattuglia inglese e si salvò; se invece della pattuglia inglese fosse arrivata una tedesca o italiana, l’armata inglese d’Egitto avrebbe perduto il suo comandante supremo e non avrebbe avuto per lungo tempo altri comandanti capaci, anche perché, durante l’offensiva italo-tedesca, erano stati catturati ben 5 generali inglesi, molto importanti e prestigiosi, quali il generale Richard O’Connor, comandante di tutte le forze inglesi in Egitto, il generale Philip Neame di quelle in Cirenaica, il generale M.D.Gambier-Parry della 2^divisione corazzata, il generale Rex Rimington della 3^brigata di fanteria indiana e il generale Carton de Viart dello Stato Maggiore della 2^divisione.

Quest’ultimo venne riconsegnato da Badoglio agli inglesi nel 1943, per facilitare l’armistizio chiesto dall’Italia.

 

Il generale Wavell dopo la conquista della Cirenaica si era vantato di avere catturato 6 generali italiani, Rommel gli rese quasi la pariglia. Corsi e ricorsi storici.

 

Il generale Wavell ammise la disfatta ma la giustificò addossandone la colpa alla 2^divisione corazzata e alla 3^brigata corazzata, causa la loro poca esperienza di guerra nel deserto, dichiarò

anche che vennero fatti molti errori di manovra; oltre a biasimare la disorganizzazione nel comando del XIII Corpo d’armata, attaccò anche i vari Comandi superiori militari di Londra per gli scarsi aiuti che ricevette, portò a conoscenza del rovinoso stato d’efficienza dei suoi carri armati e della loro inferiorità tecnica con quelli tedeschi; queste giustificazioni gli dettero la possibilità di non essere estromesso subito dal comando, ma la sua destituzione avverrà poco dopo.

 

Il 15 aprile venne ricostituita in Tripolitania la 5^Armata posta al comando del generale Mario Caracciolo, mentre nel porto di Tripoli si avvertiva una febbrile attività per i continui arrivi di rinforzi e armamenti. Questo continuo flusso di armi e uomini incominciò a preoccupare i comandi inglesi di Londra e del Cairo, che decisero di distruggere la città di Tripoli e il suo porto con un bombardamento navale. Lo spionaggio inglese aveva constatato, che le operazioni di scarico delle navi e le attrezzature del porto funzionavano regolarmente, nonostante i continui bombardamenti aerei sulla città e informò Londra; a conoscenza di questa situazione, il primo Lord dell’ammiragliato dette ordine all’ammiraglio Cunningham di mettere in atto l’attacco navale; é vero che Cunningham non ne fu entusiasta, poiché sapendo della presenza del X Fliegerkorps tedesco e dei temuti aerosiluranti italiani in Libia, temeva massicci attacchi aerei alla sua flotta: comunque ubbidì.

Essendo stato presente all’attacco e avendo vissuto in prima persona gli effetti di quel terribile bombardamento, posso descrivere con precisione quello che accadde: esso ebbe inizio alle ore 5 circa del lunedì 21 aprile 1941, l’azione navale era stata preceduta da un bombardamento aereo, iniziato alle ore 1,30 con il lancio, come al solito, di una grande quantità di bengala per illuminare gli obiettivi da colpire, ma anche per inquadrare gli obiettivi, ai rilevatori di tiro delle navi nemiche che navigavano al largo di Tripoli e qui un inconveniente che agì a nostro favore; durante il bombardamento aereo, le numerose bombe sganciate dagli aviatori, sollevarono un polverone, tanto fitto che la città venne avvolta da una tale cortina di polvere e fumo che certamente falsarono, per la poca visibilità, la rilevazione degli obiettivi da colpire, infatti molte bombe caddero fuori città. Ricordo che quando uscimmo dai rifugi, dopo il bombardamento aereo, a stento si riusciva ad individuare la propria casa tanto era la foschia creata dalle bombe; comunque non avemmo il tempo di avviarci verso casa, poiché subito incominciarono a scoppiare grossi proiettili navali, quindi di corsa si dovette rientrare nei rifugi.

Le navi inglesi nei 45 minuti del loro bombardamente spararono sulla città di Tripoli, ben 530 tonnellate di proiettili.

I danni alle strutture portuali e militari non furono gravi come si vantarono gli inglesi, mentre invece le abitazioni civili furono quelle maggiormente colpite, tra questa anche la mia casa; molti i morti tra la popolazione. Un caso veramente tragico fu la sorte toccata a 130 civili, che erano nel rifugio sotterraneo della Banca d’Italia, destino crudele per quei poveri esseri, in quanto un proiettile penetrò attraverso il foro di alimentazione dell’aria del rifugio esplodendo nell’interno, quasi tutti perirono.

 

La reazione della nostra difesa costiera avvenne dopo circa 20 minuti dall’inizio del bombardamento navale, purtroppo essa non arrecò alcun danno alle navi nemiche, perché i nostri cannoni avevano una gittata massima di appena 8.000 metri, mentre gli inglesi sparavano da una distanza di sicurezza di oltre 10.000 metri; questo ci fece supporre che lo spionaggio inglese funzionava benissimo in Libia, tanto che era a conoscenza della portata limitata della  nostra  artiglieria  costiera.

 

Ci domandammo allora: come mai quella reazione così in ritardo? La risposta venne, da noi “tripolini“, conosciuta dopo qualche giorno dal bombardamento e fu attribuita alla sorpresa; mai le nostre autorità si aspettavano un bombardamento navale, eravamo abituati a quello aereo e la nostra contraerei era sempre stata tempestiva. La spiegazione di quel ritardo la si deve anche al fatto, che i nostri artiglieri addetti alle batterie costiere, non pensando a un bombardamento navale, si trovavano nei rifugi aspettando la fine del bombardamento aereo e quando capirono che era subentrato anche quello navale, accorsero immediatamente ai loro pezzi, purtroppo prima di individuare la posizione delle navi inglesi, regolare l’altezza e la distanza del tiro ed entrare in azione, passarono dei minuti preziosi; ironia della sorte, anche se avessero iniziato subito la reazione non sarebbe successo nulla alle navi nemiche, la ragione é descritta qualche riga sopra.

 

La flotta inglese che bombardò Tripoli era composta dalle corazzate: Warspite, Barham, Vailant, dallo incrociatore Gloucester e da diversi cacciatorpediniere, tutti al comando dell’ammiraglio Cunningham; fonti bene informate hanno precisato che durante il bombardamento, al largo della costa libica navigava per ogni evenienza la portaerei Formidabile, con la scorta di tre incrociatori e quattro cacciatorpediniere.

 

Tale precauzione presa dall’ammiraglio Cunningham, era dovuta al timore dell’intervento della aviazione tedesca di stanza in Sicilia, purtroppo quell’intervento non avvenne in quanto la maggiore parte degli aerei tedeschi erano stati trasferiti negli aeroporti di Benina e Derna, da poco riconquistati, per essere impegnati nei bombardamenti su Creta e quindi fuori da impegni in Libia. La stessa sorpresa per il bombardamento navale su Tripoli, si verificò per quello ancor più traumatico di Genova ad opera della flotta H dell’ammiraglio britannico Somerville.

Un  riconoscimento anche se postumo, da parte di noi italiani di Libia, và al Corpo dei pompieri di Tripoli, che nonostante lo scoppio delle numerose bombe, accorsero in tutti i punti colpiti della città per estrarre dalle macerie morti e feriti, incuranti della loro vita. ( FOTO N°14 )

 

Dopo pochi giorni dal bombardamento navale, avvenne sempre nel porto di Tripoli una catastrofe terribile, sia per gli ingenti danni che per i morti; non ricordo con precisione il giorno esatto, ero ancora a Tripoli, con certezza posso affermare che erano i primi giorni del mese di maggio; verso le 9 del mattimo improvvisamente, udimmo uno spaventoso boato, seguito dopo qualche minuto da un altro ancora più potente, come se una bomba ci fosse scoppiata a pochi metri, naturalmente pensando ad un altro bombardamento navale scappammo nei rifugi, ma dopo qualche ora non sentento altri scoppi, uscimmo all’aperto domandandoci cosa fosse successo di così terribile, la conferma arrivò poco dopo, quando venimmo a conoscenza che nel porto era saltata in aria la nave italiana “Birmania“ carica di bombe d’aereo; l’esplosione fu così forte che i rottami della nave caddero su quasi tutta la città, centinaia i morti e feriti tra militari e civili. Le indagini svolte dalla polizia italiana e tedesca, scartarono l’ipotesi di un sabotaggio come si era subito pensato, la vera causa fu che la nave aveva caricato particolari bombe a percussione sensibile; la inesperienza degli scaricatori del porto, che certamente non usarono alcuna precauzione, provocò quella terribile deflagrazione.

 

Il Generale Rommel si era nel frattempo attestato tra Bardia-Sollum-Ridotta Capuzzo e Sidi Omar ( MAPPA N°11 ), in attesa di riprendere l’avanzata non appena si fosse assicurato della normale ripresa dei rifornimenti; prima sua preoccupazione fu quella di riattivare il porto di Bengasi che a seguito degli incessanti bombardamenti, prima degli inglesi poi dei tedeschi e ancora dagli inglesi, era ridotto in un ammasso di navi affondate o semiaffondate. Nel giro di pochi giorni i genieri italiani e tedeschi, riuscirono a riattivarlo in parte e in misura sufficente per l’approdo di un buon numero di navi.

 

Nel campo avverso il generale Wavell aveva gravi difficoltà di mezzi, soprattutto carri armati di cui scarseggiava; alla data del 12 aprile chiese insistentemente a Londra l’invio di almeno 300 carri medi; il Primo Ministro Churchill gli comunicò che era stato approntato un convoglio con 307 carri armati, l’arrivo ad Alessandria era previsto per il 10 maggio. Infatti esso giunse il giorno 11, con un solo giorno di ritardo a dimostrazione della perfetta organizzazione logistica inglese.

 

Ad Alessandria sia per le operazioni di scarico che andavano per le lunghe, sia per le riparazioni di carri giunti malconci e per l’addestramento degli equipaggi, Wavell non era ancora pronto a una controffensia, ma temendo che Rommel, con il completamento della 15^divisione corazzata, potesse attaccare, pensò di anticiparlo, così dette ordine al generale Gott, di formare con la VII brigata corazzata e la XXII Armoured brigata “Guardie“, un corpo corazzato e sferrare un improvviso attacco contro le posizioni tedesche di Sollum e Ridotta Capuzzo. Gott si mosse la mattina del 15 maggio e con l’appoggio di 55 carri Cruiser assalì di sorpresa i tedeschi, conquistando quelle due posizioni; la reazione delle truppe italo-tedesche fu immediata, Sollum e Ridotta Capuzzo vennero riconquistate e Rommel dette ordine di avanzare ancora sino al “passo“ Halfaya, che era tenuto dal III battaglione “Guardie Coldstream“, da un reggimento di artiglieria da campagna e da due squadroni di carri armati; quelle forze vennero attaccate, battute e costrette ad abbandonare Halfaya; gli inglesi tentarono poi di rioccuparla ma senza successo. Il generale Wavell, dopo quel contrattacco, che gli inglesi nel loro gergo cifrato chiamarono “ Brevity “, proprio per l’incongruenza e la brevità dell’azione, decise di riprendersi quanto perduto ma con maggiori forze. Infatti preparò un’altra controffensiva che venne denominata “Battleaxe“ (Ascia di guerra); essa ebbe iniziò il 15 giugno e vi parteciparono: la veterana 7^divisione corazzata, ormai riorganizzata e posta al comando del maggiore generale Lavarack, che mise in linea due sue brigate corazzate, la 4^comandata dal brigadiere generale A.H.Gatehouse e la 7^ del brigadiere generale H.E.Russel; la 4^divisione indiana del maggiore generale F.W.Messervy (questa era rientrata dall’Eritrea dopo la capitolazione delle nostre truppe in Africa orientale), con la sua XI brigata di fanteria del brigadiere generale Savory, la XXII brigata delle Reali Guardie Coldstream, il gruppo di sostegno del brigadiere generale J.C.Campbell, inoltre vi fu ancora l’apporto dell’11°Ussari, di due reggimenti di artiglieria da campagna, di quattro compagnie del genio. Gli inglesi dichiararono che la forza impegnata in quella operazione non superava i 25.000 uomini, ma é palese che essa era di gran lunga maggiore, in considerazione delle G.U. interessate e dei loro effettivi.

Il sostegno era aereo assicurato con 128 bombardieri e 116 caccia, venne coordinato dal maresciallo dell’Aria Tedder, nuovo comandante dell’aviazione inglese in Egitto che aveva sostituito il generale Longmore.

Il compito della marina, era invece quello di assicurare i rifornimenti alla guarnigione di Tobruch e cercare di ripristinare il porto di Sollun non appena  riconquistato.

I carri armati disponibili erano circa 200 tra Mathilda e i nuovi modelli Cruiser e Valentine; tutta la forza terrestre fu messa agli ordini del generale Noel Beresford-Peirse, che aveva sostituito il generale Neame nel comando della ex Western Desert Force ovvero l’8^Armata del Nilo.

 

Su questa nomina, vi fu un certo contrasto di opinioni tra il generale Wavell e il Primo ministro Winston Churchill; quest’ultimo aveva espresso la sua opinione sfavorevole sul generale Beresford-Peirse, in quanto non lo riteneva all’altezza del compito affidatogli in quel momento e consigliava quindi Wavell di richiamare al comando il generale Wilson, ma la reazione di Wavell fu così aspra che Churchill dovette cedere.

 

Il nuovo comandante, concentrò la sua armata nella zona tra Bir Habata e Bir Sofafi, da lì iniziò l’offensiva “Battleaxe“ ( MAPPA N°12 ). L’armata venne divisa su tre colonne: la prima doveva avanzare su Sollum e passo Halfaya ed era formata, dalla II brigata indiana (4^divisione); la seconda, con la IV brigata corazzata  (7^divisione) e la XXII°brigata “Guardie”, doveva attaccare Ridotta Capuzzo; la terza, che marciava molto più addentro, composta con il resto della 7^divisione corazzata, aveva come target Sidi Omar e dopo aver sfondato quel settore, doveva puntare su Tobruch e congiungersi con i difensori, che nel frattempo dovevano fare una sortita per colpire Rommel alle spalle; restavano come riserva: il gruppo di sostegno, la 7^brigata corazzata, l’11°Ussari e l’11^brigata indiana.

Come si può notare il piano inglese, anche se molto semplice, era ben congegnato; per tre giorni dal 15 al 17 giugno, il generale comandante, impegnò il suo esercito in aspre battaglie che in maggioranza furono svolte tra carri armati; anche se inizialmente ebbe qualche successo, come la penetrazione per circa 25 Km. oltre il nostro confine e l’occupazione di Ridotta Capuzzo, difesa da 180 soldati italiani e 30 tedeschi, ma nella notte del 17-18, Peirse dovette ordinare il ripiegamento.

Nota interessante: nel corso delle battaglie che si svolsero sul confine libico-egiziano dal 1940 al 1942, Ridotta Capuzzo venne conquistata, perduta, riconquistata per ben quattro volte; attorno ai resti di quel fortino si era creato un vasto cimitero con croci che portavano nomi italiani, tedeschi e inglesi.

L’insuccesso dell’offensiva “Battleaxe” fu dovuto anche alla tenace

resistenza del presidio italo-tedesco di passo Halfaya, che nonostante i massicci attacchi della XI brigata indiana, che frattanto era entrata in linea e del 4°Royal Tanks, non cedette un metro delle sue posizioni. I difensori di Halfaya erano 400 italiani e 500 tedeschi al comando del capitano Bach, promosso sul campo a maggiore per quella eroica resistenza.

 

In quei tre giorni di combattimenti, gli inglesi dichiararono di avere perduto solo 1.000 uomini, tra morti, feriti e dispersi e un centinaio di carri.

Quella perduta battaglia, non deve essere solo attribuita alla fretta di Wavell che volle anticipare i tempi, ma va anche addebitata ai difensori di Tobruch, che non tentarono alcuna sortita, come era stato stabilito e che rimasero buoni, buoni, dentro la loro munitissima piazzaforte; inoltre bisogna considerare la posizione del generale Wavell, che nel mese di maggio era anche impegnato a risolvere quattro diverse situazioni critiche che dipendevano dal suo comando; per primo la non felice posizione strategica in cui si trovava in quel momento in Egitto; poi la guerra per la tenuta dell’isola di Creta, ove dopo la disfatta in Grecia del corpo di spedizione britannico, i superstiti vi ripiegarono;  contemporaneamente Wavell dovette risolvere la rivolta araba in Iraq e infine la questione Siria, ove le forze di Francia libera (degollisti) avevano attaccato le truppe francesi fedeli al governo di Vichy; in quell’attacco i degollisti vennero a trovarsi in una disastrosa situazione e furono costretti a chiedere l’aiuto inglese, così il generale Wavell dovette inviare in loro soccorso della truppa che giocoforza tolse dallo scacchiere egiziano indebolendolo.

 Non va dimenticato che quelle situazioni si svolsero contemporaneamente e reagirono negativamente una sull’altra, creando al generale Wavell crisi e difficoltà; per tutte queste calamità ne venne a soffrire globalmente l’operazione “Battleaxe“.

 

Solo a titolo di cronaca: l’isola di Creta venne conquistata dai paracadutisti tedeschi e dalla 5^divisione alpina il 20 maggio 1941 e finì il 2 giugno con la completa conquista dell’isola, le perdite furono enormi dalle due parti.

 

Ed ora una breve esposizione topografica di passo Halfaya, località che ebbe una certa importanza durante la guerra in Africa settentrionale. Il passo é ad appena 10 Km. da Sollum verso Sidi Barrani; pure essendo un valico molto praticabile, ha delle particolari caratteristiche; sul lato verso l’Egitto, é dominato da una serie di alture e da queste si può facilmente controllare la pianura sottostante e un passaggio che forma una strettoia non molto lunga di appena 3 Km. che é un via obbligata, da quì la denominazione di “passo“ che in quel periodo assunse una posizione strategica e dominante.

Gli eserciti che si affrontarono sul confine egiziano difesero quel passo con accanimento, prima gli inglesi, poi gli italiani, ancora gli inglesi, in seguito i tedeschi di nuovo gli inglesi e per ultimi reparti italo-tedeschi, durante la ritirata da El Alamein.

 

Il generale Wavell fu terribilmente scosso da quella sconfitta e dell’esito degli eventi in Grecia e Creta e quando da Londra arrivò l’ordine della sua destituzione, egli l’accettò con rassegnazione; venne sostituito con il generale Auchinleck che era stato comandante del corpo di spedizione inglese nella campagna di Norvegia. Il 12 luglio Auchinlek ebbe il comando delle operazioni in tutto il Medio Oriente.

Il generale Wavell dopo la sua destituzione, venne mandato in India quale governatore generale.

Con Wavell finisce quell’era di prestigiosi generali inglesi che dettero vita ad azioni di guerra nel Nord Africa.

 

Anche nel nostro esercito in Libia vi furono dei cambiamenti: il 18 luglio 1941 il generale Ettore Bastico sostituì il generale Gariboldi che rientrò in Italia per assumere alti incarichi di comando: prima in Grecia, poi in Russia al comando dell’Armir. Nel mese di agosto 1941 fu formato il Corpo d’armata di manovra (C.A.M.) e ne prese il comando il generale Gastone Gambara; questo corpo ebbe ai suoi ordini la divisione corazzata Ariete e la divisione motorizzata Trieste che era appena arrivata in Libia; in agosto venne sciolta la 5^Armata che in quel periodo era al comando del generale Caracciolo (poi ricostituita in Patria nel 1943); il X Corpo d’armata passò al generale Gioda che aveva sostituito il generale Barbieri rimpatriato, mentre il XX al rimpatrio del generale Spatocco, venne affidato al generale Vecchierelli, a sua volta sostituito con il generale Ettore Baldassarre; tra il mese di settembre-ottobre fu costituito il Panzer Gruppe Afrika,che comprendeva: il D.A.K.,il XXI Corpo d’armata, con le divisioni Pavia, Bologna, Brescia e Trento. Per l’aviazione, dopo la sostituzione, nel febbraio 1941, del generale Porro con il generale Mario Aimone-Cat, a settembre del 1941, si manifestò altro cambiamento al vertice della 5^Squadra aerea di Libia, il generale Aimone Cat venne sostiuito con il generale Vittorio Marchesi. La destituzione, nata per contrasti sorti tra il generale Aimone Cat e il Comando aereo tedesco di Libia, coinvolse anche il Comando superiore italiano, che accusò il generale Cat di mancato coordinamento e scarso sostegno aereo durante l’offensiva di Rommel; il 26 settembre il generale Bastico lo allontanò dal comando. Tra luglio-agosto arrivarono in Libia: il 1°battaglione Carabinieri Reali Paracadutisti, un raggruppamento formato da due battaglioni di giovani volontari (GG.FF).

 

A settembre del 1941 in Africa Settentrionale erano rimaste solo 7 divisioni italiane: l’Ariete, la Trento, la Trieste, la Brescia, la Pavia, la Bologna, la Sabratha (ricostituita) e 2 tedesche: la 5^divisione leggera e la 15^panzerdivision; in autunno venne formata la 21^panzerdivision e nel corso della guerra dal 1942 sino agli inizi del 1943, sia in Libia che in Tunisia, arrivarono altre divisioni italiane e tedesche.

 

Nell’esercito inglese, il rilancio operativo-direttivo si iniziò, come sopra detto, con la sostituzione del generale Wavell che lasciò il comando del Medio Oriente al generale Claude Auchinleck e del generale Beresford-Peirse con il generale Alan Cunningham, fratello dell’ammiraglio inglese; inoltre un grande afflusso di uomini e mezzi, soprattutto carri armati americani, incominciò a potenziare l’armata di Auchinleck; merito dei molti convogli inglesi che erano riusciti ad arrivare nei porti egiziani, circumnavigando l’Africa, subendo così poche perdite.

I convogli inglesi che invece entravano nel Mediterraneo attraverso lo stretto di Gibilterra, per un certo periodo ebbero la navigazione facile e in qualche modo sicura, solo quando venne ritirata dai tedeschi la loro aviazione dislocata in Sicilia per essere inviata in Russia; le difficoltà per gli inglesi iniziarono, quando nell’ottobre 1941, l’ammiraglio Karl Doenitz, dietro pressione di Rommel, autorizzò l’entrata nel Mediterraneo di 20 sommergibili oceanici e quello fu un duro colpo per la marina inglese, i convogli venivano decimati, venne affondata la corazzata “Barham”, con essa morirono 56 ufficiali e 812 marinai, la “Barham” colò a picco il 24 novembre 1941 ad opera di un sommergibile tedesco comandato dal tenente di vascello Tiesen Hausen; quella tremenda minaccia, consigliò l’ammiragliato inglese di fare circumnavigare l’Africa ai suoi convogli e naturalmente si allungò il percorso e i rifornimenti per l’Egitto  presero più tempo.

Anche nel D.A.K. tedesco avvennero delle sostituzioni; la più clamorosa fu quella del generale Streich, comandante della 5^divisione leggera, avvicendato con il generale Johannes von Ravenstein; il generale Streich era entrato in contrasto con Rommel, pare che non condividesse la continua presenza del generale nei punti più pericolosi del fronte e lo rimproverava velatamente, sostenendo che un comandante aveva l’obbligo di essere più presente nel suo Quartier Generale ed avere più intesa e contatti con il suo Stato Maggiore che andare a spasso per il deserto con il rischio di farsi catturare o uccidere dal L.R.D.G.; pare ancora che il generale Streich avesse criticato con disappunto, l’attacco che il generale Rommel ordinò il 10 aprile contro Tobruch, attacco che si dimostrò un fallimento, come previsto dallo Streich. Naturalmente Rommel, che per il suo temperamento impulsivo e autoritario agiva secondo il suo istinto e non accettava né critiche né consigli, si liberò con arroganza di un valido generale. Le due divisioni tedesche a fine settembre avevano completato i loro quadri con i materiali arrivati a Tripoli. La 5^divisione leggera, rinforzata e modificata fu trasformata in 21^Panzerdivision e posta al comando del generale von Ravenstein; con altri reparti tedeschi dislocati in Libia venne formata altra divisione, che prese il nome di 90^divisione leggera, inizialmente non aveva carri armati ma veicoli blindati e semicingolati.

Altre due sostituzioni avvennero nel D.A.K. quella del colonnello Olbrich, comandante dell’8°Panzeregiment con il maggiore Ernst Bolbrinker; anche in questa sostiuzione pare che Rommel non avesse tollerato che il colonnello, durante l’attacco a Tobruch del 13 aprile, si fosse ritirato precipitosamente con i suoi carri, abbandonando al proprio destino, quindi allo sterminio, un reparto di fanteria della 5^divisione leggera; l’altra fu una sostituzione dolorosa in quanto il generale Esebeck, che a sua volta aveva sostituito il generale von Prittwitz nel comando della 15^Panzerdivision, era rimasto seriamente ferito durante un attacco a Tobruch, il suo posto venne preso dal colonnello Neumann-Silkord. Con tali forze in carico il D.A.K. assumeva la sua definitiva struttura operativa.

Il 18 luglio 1941 arrivava a Tripoli il I° battaglione CC.RR. paracadutisti al comando del maggiore Bruto Bixio Bersanetti, che il 28 agosto cedette il comando al maggiore Edoardo Alessi; il battaglione si era imbarcato a Taranto, sulle Motonavi “Neptunia“, “Oceania“ e “Marco Polo“, appena sbarcato venne avviato a Zavia, che era un centro di riorganizzazione e ambientamento per le truppe che arrivavano dall’Italia; dopo pochi giorni fu spostato a Suani ben Adem, una località a pochi chilometri da Tripoli con funzioni antisabotaggio, in quanto venne accertato che “commandos” inglesi erano stati paracadutati dietro le nostre retrovie per compiere azioni di sabotaggio.

                                                          

Il Battaglione era composto da 3 compagnie al comando dei tenenti: Gennaro Piccinni Leopardi, Giuseppe Casini e Osmano Bonapace; alle tre compagnie fu in seguito aggiunto un plotone genio guastatori; complessivamente il battaglione aveva una forza di: 26 ufficiali, 51 sottufficiali e  322 graduati e truppa.

Tra ottobe e novembre fu spezzettato, una parte andò nella zona di Cirene, l’altra a Derna.

Durante l’offensiva inglese “Crusader” il battaglione venne schierato nella zona di El Mechili per fronteggiare eventuali attacchi dal Sud.

Anche questi paracadutisti carabinieri, come i paracadutisti libici l’anno prima, scrissero nella storia del paracadutismo italiano pagine di eroismo.

Un breve cenno storico sul battaglione: nasce, il 1° luglio 1940 per iniziativa del generale Moizo, il battaglione venne poi inviato alla scuola paracadutisti di Tarquinia. Era composto esclusivamente da carabinieri provenienti da tutte le legioni territoriali; i volontari confluirono prima a Roma alla Caserma “Pogdora” per una prima selezione poi raggiungevano Tarquinia per altra definitiva selezione; i fortunati prescelti iniziarono subito il corso che purtroppo ebbe i suoi primi caduti nel maresciallo Gennaro Ventura e carabiniere Luigi Verrico. A seguito di incidenti mortali, accaduti ad allievi di altri battaglioni, causa imperfezioni del paracadute allora in uso (Salvador D.39), l’attività venne sospesa, creando naturalmente malumori tra gli allievi, solo ad ottobre fu ripresa, così il battaglione poté conseguire l’agognato brevetto.

Con l’apertura in ottobre, del fronte greco-albanese, pare che il battaglione dovesse essere destinato in Albania ma poi tutto tornò a tacere; passarono lunghi mesi di inattività, creando ancora malumori tra i carabinieri paracadutisti, causa il mancato impiego in guerra.

Solo dopo un anno dalla sua nascita, il battaglione ebbe una destinazione: il fronte africano.

 

Il 29 luglio 1941 arrivavano sempre a Tripoli, due battaglioni di giovani volontari, erano il 1° e 2° battaglione “Giovani Fascisti”, sigla “GG.FF.”; una forza di 1439 “ragazzi“ non ancora ventenni, classi 1922-1923 e qualcuno anche del 1924, avendo falsificato la carta d’identità; appartenevano a diversi ceti sociali, dall’universitario al contadino, ma erano tutti affratellati nello stesso sentimento patriottico. Appena sbarcati furono provvisoriamente acquartierati a Zavia; la sosta in quel luogo durò solo qualche giorno, il tempo necessario per acclimatarsi. Dopo la sfilata per le vie di Tripoli (grande fu l’accoglienza della popolazione civile, non solo italiana ma anche libica), vennero smistati: il 1° battaglione a Misurata, il 2° a Homs, ambedue con funzioni di presidio; ma non era quello che chiedevano i “ragazzi“, si erano arruolati per combattere; purtroppo, tra le autorità militari della Libia (non tutte per fortuna), sussistevano dei timori sul loro comportamento in battaglia, li consideravano troppo giovani per sopportare le fatiche e le violenze della guerra; questi increduli militari dopo pochi mesi dovettero ricredersi: i “ragazzi“ si erano dimostrati autentici guerrieri e valorosi soldati. Dietro le insistenze dei due comandanti di battaglione, per il 1° il maggiore Fulvio Balisti, classe 1889, super decorato della 1°Guerra Mondiale, proveniva dall’Arma dei Granatieri; per il 2° il maggiore Carlo Benedetti, mentre il comandante il gruppo dei due battaglioni era il tenente colonnello dei bersaglieri Ferdinando Tanucci Nannini, i due battaglioni vennero trasferiti in Cirenaica al villaggio Berta e inquadrati, in data 2 settembre 1941 con disposizione n°O3/4697, nel raggruppamento esplorante corazzato del Corpo d’armata di manovra (CAM). Il generale Gambara, quale comandante di quel Corpo, volle passare in rivista lo schieramento dei GG.FF. elogiandone lo spirito combattivo, ma soprattutto rimase impressionato per la perfetta manovra a fuoco che quei “giovanissimi“ eseguirono in sua presenza.

Inspiegabilmente per uno di quei tanti misteri della burocrazia militare, i due battaglioni vennero nuovamente separati: il 2° fu mandato nella zona di Tobruch, mentre il 1° ritornò indietro ad Agedabia, ma poi sempre “inspiegabilmente“ senza una valida o logica spiegazione eccoli finalmente ricongiunti.

 

Quando l’offensiva inglese, dei giorni 18-19 novembre, contro le posizioni tenute dell’Ariete a Bir el Gobi si fece più aggressiva, si pensò a quei “ragazzi“ per rinforzare l’Ariete già duramente provata; ma anche questa volta “inspiegabilmente“, i GG.FF. furono tenuti fermi nella zona di Tobruch, forse perché l’Ariete resisteva con sicurezza! Solo ai primi di dicembre i giovani volontari presero posizione a Bir el Gobi e così ebbero il loro battesimo di fuoco.

Vedremo in seguito il trascorso bellico di questi “volontari“ da Bir el Gobi sino in Tunisia; nell’appendice il lettore troverà la lunga e travagliata storia della loro nascita.

 

In agosto era giunta in Libia un altra divisione motorizzata: la Trieste del generale Sandro Piazzoni; nel mese di gennaio 1942 il comando della Trieste venne assunto dal generale Arnaldo Azzi che lo tenne sino al 30 luglio per poi passarlo al generale Francesco La Ferla. La Trieste era partita da Napoli, imbarcata sulle motonavi Neptunia, Oceania e sul piroscafo Gritti; purtroppo la traversata fu tragica, i sommergibili inglesi che operavano nel Canale di Sicilia, ebbero informazioni precise da ULTRA su data di partenza e percorso e riuscirono ad affondare la motonave Neptunia e con essa perirono 450 soldati della Trieste e andò perduto anche molto materiale bellico. La divisione appena sbarcata a Tripoli, fu immediatamente inviata a Homs per essere riordinata e ricostituita nei reparti perduti per affondamento; venne così ristrutturata e formata dal 65°e 66°reggimento di fanteria, dal 9°reggimento bersaglieri, da un battaglione anticarro e contraereo, dal 21°reggimento artiglieria, con reparti di sanità e sussistenza; aveva la Posta militare e disponeva di sufficiente materiale automobilistico. In data 29 marzo 1942 verrà aggregato alla Trieste l’8° battaglione bersaglieri corazzato, al comando prima del maggiore Silvano Bernardis (caduto il 7 giugno 1942)poi al maggiore Italo Traina, a seguito del trasferimento del 9° bersaglieri al X C.A.

 

Non appena ricomposta e completata la Trieste fu inquadrata nel C.A.M. ed affiancata all’Ariete; a fine ottobre venne schierata nel settore di El Mechili; nella prima e seconda battaglia di El Alamein, dimostrò il suo fulgido valore. Il motto della  divisione era: “Aggredisci e vinci “.

 

A conclusione della campagna di Libia e Tunisia dal 1941 al 1943, la divisione Trieste dette un contributo di sangue altissimo: 1.500 morti e altrettanti i feriti, 1.270 i dispersi; queste cifre sono approssimative in quanto, come é  comprensibile, per taluni periodi operativi (vedi ritirata da El Alamein, novembre 1942 e Tunisia febbraio-marzo 1943), non fu possibile stabilire precisi accertamenti sui caduti o feriti che per le tragiche circostanze in cui si svolsero i fatti d’arme, dovettero essere abbandonati sperando nella pietà del nemico, che per la verità fu molto umano; per stabilire certi dati, si é ricorso a testimonianze di reduci o a fonti indirette, quali quelle fornite dagli inglesi nel dopoguerra, soprattutto per i dispersi.

    

Le ricompense al valore militare conferite alla divisione furono molte: alla bandiera del 66°reggimento la Medaglia d’Oro, al 9°reggimento bersaglieri quella di Bronzo; le M.O.V.M. concesse a singoli combattenti furono 11, parte alla memoria e parte a viventi; due quelle d’Argento, molte di Bronzo, le Croci al Merito di guerra superarono il centinaio.

Nel corso della guerra, la Trieste venne citata ben 6 volte nei bollettini di guerra emanati dal Comando supremo.

 

Prima di dare inizio a quanto gli inglesi stavano preparando per la loro controffensiva di novembre, é bene che il lettore venga a conoscere un episodio che se avesse avuto successo, avrebbe accelerato le sorti della guerra in Africa Settentrionale, purtroppo a nostro sfavore: un attacco a sorpresa al Q.G. di Rommel.

 

Onde colpire il centro direttivo dell’armata dell’Asse (ACIT), venne studiato da parte inglese, un piano preciso e articolato per eliminare fisicamente il generale Rommel cui evidentemente davano fastidio l’audacia e i metodi rivoluzionari applicati in A.S.; nella notte del 17 novembre 1941, un “commando“ scozzese del Long Range Desert Group, agli ordini del colonnello Laycock, composto da 50 incursori, venne sbarcato in piena notte da un sommergibile a 320 Km. dietro le linee italo-tedesche; per il mare in burrasca solo 30 uomini,  poterono raggiungere la riva; pur essendo così ridotto il gruppo non desistette dall’impresa. La colonna, guidata da arabi dissidenti (assoldati dal capitano inglese J.H.Haselden, che travestito da arabo svolgeva da lungo tempo un servizio di spionaggio in Cirenaica, in quanto parlava perfettamente l’italiano e l’arabo ), si divise in due gruppi uno dei quali, non appena giunto in prossimità dell’obiettivo doveva tagliare tutte le comunicazioni telefoniche; l’altro gruppo, al comando del tenente colonnello Keyes, figlio dell’ammiraglio Heyes, componente l’ammiragliato inglese a Londra e in seguito comandate la flotta inglese dell’Oceano Pacifico, doveva penetrare nella abitazione di Rommel ed eliminarlo. Ormai giunto il giorno i commandos si rifugiarono in alcune grotte aspettando la notte; nell’attesa il tenente colonnello Keyes, studiò il piano d’attacco con l’aiuto di un arabo che conosceva bene la zona di Beda Littoria, ove si trovava la villa del generale; nella notte del 18, gli scozzesi iniziarono l’avvicinamento alla villa che era presidiata dai soldati tedeschi, ma non in gran numero.

 

L’attacco fu fatto di sorpresa ma la reazione tedesca fu anch’essa immediata ed efficace, nel breve scontro cadde ucciso Keyes e il gruppo dovette ritirarsi insieme ai componenti dell’altro gruppo e ritornare sulla costa sperando di essere recuperato dal sommergibile trasportatore ma, nonostante i segnali da parte dei superstiti del commando, essi non vennero avvistati e quindi non recuperati. Gli incursori tentarono allora di dirigersi verso l’interno ma vennero tutti catturati, si salvarono solo il colonnello Laycock e un sergente che vagarono nel deserto per 40 giorni, riuscendo poi a raggiungere le linee inglesi.

Fonti inglesi di allora ammisero il mancato recupero, giustificandolo con le condizioni del mare burrascoso che non permise al comandante del sommergibile di riconoscere i segnali luminosi lanciati dai “commandos“.

Quell’impresa oltre alla perdita di uomini specialisti nel loro compito, fu un errore tattico di presunzione e leggerezza in quanto gli inglesi si basarono su informazioni degli arabi e quelle non furono vagliate sufficientemente, perché era risaputo che la villa, non era la residenza effettiva di Rommel ma una specie di secondo Quartiere Generale, ove Rommel vi faceva qualche improvvisa apparizione; infatti al momento dell’attacco era assente, in quanto trovavasi a Roma per conferire con Mussolini. 

Il tenente colonnello Keyes venne decorato della “Victoria Cross” alla memoria.,

( vedere FOTO N°15 )

La difesa inglese di Tobruch e perimetro difensivo, dopo il ripiegamento dell’armata di Wavell a seguito dell’incalzante offensiva di Rommel, non aveva avuto il tempo di rafforzarsi e si articolava sui reparti che erano rimasti bloccati, comprendenti soldati australiani, inglesi e indiani, tutti agli ordini del generale Leslie Morshead, il quale provvide subito a rafforzare la piazzaforte, sfruttando le difese create dagli italiani, stabilendo tre linee di difesa: una esterna al perimetro e due interne. La linea di difesa esterna era protetta da reticolati e dietro ad essi, vi erano postazioni di mitragliatrici e un fosso anticarro per tutta la lunghezza del perimetro difensivo che era di 54 kilometri; per il fosso anticarro Morshead usò uno stratagemma, facendolo coprire, in alcuni punti obbligati, con tavoloni con sopra sabbia per simulare terreno solido, traendo così in inganno i carristi nemici, i quali ignorando il trabocchetto e passandovi sopra, con il peso del loro carro, causavano la rottura dei tavoloni e così precipitavano senza scampo nel fosso.

Tobruch aveva due attrezzati aeroporti militari più uno di fortuna, in servizio già da quando era una base italiana, il generale Morshead ne riattivò uno, ma nei lunghi mesi di assedio non poté utilizzarlo spesso in quanto quei pochi aerei che gli erano rimasti se riuscivano ad alzarsi in volo, venivano abbattuti a causa della costante presenza e superiorità in quei momenti della caccia italiana e tedesca. Solo nelle ore notturne atterravano e decollavano aerei che portavano generali o alti ufficiali per avvicendamento. Il generale Morshead aveva chiesto in più riprese al generale Longmore, quando questi era ancora comandante della aviazione inglese in Egitto, l’invio a Tobruch di aerei da caccia  ma ricevette solo promesse anche perché buona parte degli aerei che il generale Longmone aveva in forza, erano stati inviati in Grecia e Creta ove vennero

Per i rifornimenti il generale non ebbe problemi, in quanto la marina distrutti.britannica provvedeva in abbondanza e regolarmente al fabbisogno del presidio (oltre 30.000 uomini), usando ogni tipo di natante, dal cacciatorpediniere al posamine, dal peschereccio a un nuovo tipo di imbarcazione da sbarco che avendo una chiglia piatta, riusciva ad approdare sulla spiaggia fuori dalla zona portuale e scaricare velocemente. Nel rientrare alla base imbarcava i feriti, soldati che avevano diritto allo

avvicendamento e prigionieri: tutte quelle operazioni avvenivano di notte.     

Nei primi mesi di assedio a seguito di contrasti tra il Governo di Londra e quello australiano di Gambera, vennero ritirate quasi tutte le truppe australiane che si trovavano a Tobruch ( rimasero solo un battaglione e due compagnie della 9 divisione australiana ), fu perciò necessario rimpiazzare quelle truppe con 3 brigate inglesi (XIV-XVI e XXIII ), il 7° reggimento artiglieria, una brigata artiglieria contraerei, un battaglione mitragliei, la 101^ brigata Guardie, la XXXII brigata carri, una brigata polacca al comando del generale Kopanski e rinforzata la 6^ divisione che prese una nuova denominazione in 70^ divisione, certamente una solida forza di 30.000 uomini con 2.000 automezzi decisi a sacrificarsi e di questo Rommel ne fu consapevole e decise per l’ennesima volta un attacco risolutivo.    

La marina inglese per tutti i 242 giorni dell’assedio, trasportò ed evacuò da Tobruch con incessante andirivieni: 34.000 soldati, 72 carri armati, 92 cannoni e oltre 34.000 tonnellate di viveri, munizioni e anche acqua; nel rientrare alle basi di partenza i marinai evacuarono: 47.280 uomini tra feriti, prigionieri e soldati che usufruivano di avvicendamento.

La marina inglese nel corso di queste numerose operazioni di soccorso, subì la perdita di 2 cacciatorpediniere, 1 posamine, 22 unità minori; inoltre ebbe danneggiate a seguito di bombardamenti aerei, 18 navi, di cui 9 mercantili piu 2 navi ospedale.

Il piano di azione dell’ACIT venne studiato con i comandi italiani anche se erano sorte delle discordanze, specie con il generale Gambara, allora comandante del C.A.M., comunque con alcuni distinguo il piano fu approvato da ambo le parti; con quella approvazione,l’attacco a Tobruch doveva essere realizzato dalle divisioni italiane di fanteria schierate attorno alla piazzaforte e con la collaborazione mobile d’intervento della 90^divisione leggera. La data della operazione era stata stabilita in un primo momento nella seconda decade di novembre, poi spostata al 4 dicembre, purtroppo per l’aggravarsi degli eventi bellici, il piano fu sospeso.

E’ bene che si sappia che i contrasti, allora nati tra il generale Rommel e i generali Gariboldi, Bastico, Piazzoni e Gambara non erano dissidi tra uomini ma tra comandi, per un certo modo autonomo e singolare di condurre la guerra sul territorio libico, da parte del generale tedesco.

Nell’autunno del 1941, poco prima che iniziasse l’offensiva del generale Auchinleck, era stato elaborato dagli inglesi un piano strategico, tra il Primo ministro Churchill, il capo di Stato Maggiore Imperiale e un comitato studi; quel piano prevedeva oltre la sconfitta dell’esercito italo-tedesco e la sua cacciata dalla Libia, anche l’occupazione della Tunisia per indurre i francesi dell’Algeria e Marocco, a ribellarsi al governo di Vichy; infine con l’esercito inglese dislocato in quei territori doveva essere formato un corpo di spedizione, composto da circa 80.000 uomini, che avrebbe dovuto sbarcare in Sicilia e aprire così un nuovo fronte, agevolato dalla mancanza dell’aviazione tedesca in Sicilia, la quale, come già detto, era stata trasferita in parte Russia.

Quel piano, cifrato in codice con il nome di “Whipcord“, sfumò in quanto, oltre a non essere approvato dai generali Auchinleck e Wavell, coincise con l’inizio dell’offensiva di Auchinleck.

Gli inglesi ad ogni operazione di guerra davano un codice, come: “Workshop“ per la occupazione dell’isola di Pantelleria (già citato); “Acrobat“ conquista della Tripolitania; e “Mandibles“ invasione del Dodecaneso. ( 13 )

 

Comunque quel programma ambizioso,difficile, articolato e confuso che era stato progettato nell’autunno del 1941, tra la fine del 1942 e primi mesi del 1943 prese parzialmente corpo: gli inglesi ci cacciarono dalla Libia, i francesi di Tunisia, Algeria e Marocco abbandonarono il governo di Vichy e l’armata anglo-americana  sbarcò a luglio 1943 in Sicilia.

 

L’offensiva “Crusader“ (Crociato) vera e propria ebbe inizio il 19 novembre 1941 ( consultare MAPPA N°13 ), anche se il giorno prima il XXX Corpo d’armata aveva iniziato dei movimenti di penetrazione nel nostro territorio. La sua elaborazione fu alquanto travagliata, poichè sorsero altri contrasti tra il generale Auchinleck e il Primo ministro Churchill; quest’ultimo prevaricante con le sue interferenze continue, insisteva nel volere dare corso alle operazioni già dal mese di settembre, mentre il generale replicava che dati i pochi mezzi di cui disponeva, gli necessitavano almeno tre mesi per la preparazione, anzi chiedeva l’invio in Egitto di almeno due o tre divisioni, una grossa aliquota di carri armati e un buon numero di aerei, pretendendo che questi venissero messi alle dipendenze dell’esercito. Altra divergenza nacque per la 50^divisione britannica che era stata inviata per operare in Egitto e che Auchinleck invece mandò di presidio nell’isola di Cipro, questo naturalmente contro il parere di Churchill che voleva fosse utilizzata in Egitto. Inoltre Auchinleck desiderava che prima di dare corso all’offensiva, venisse sistemata la questione Siria così da avere a disposizione le truppe che operavano in quella regione; egli si proponeva anche d’iniziare l’offensiva a tappe: prima la conquista della Cirenaica, di seguito se mezzi e reazione del nemico lo permettevano, occupare la Tripolitania e penetrare in Tunisia; di contro vi era il chiaro monito del Primo ministro che voleva la conquista della Libia senza ulteriori soste.

Il generale venne richiamato in Inghilterra, dove ebbe numerosi contatti con capi militari e con lo stesso Primo ministro, quella visita fu opportuna poiché appianò ogni divergenza.

Strana coincidenza : si ripetevano sia pure in diversa misura e in campo avverso quelle circostanze che ebbe Graziani con Roma, la quale gli sollecitava di iniziare, sin da luglio 1940,l’offensiva e la conquista dell’Egitto senza soste, ma Graziani a conoscenza della deficienza dei mezzi che disponeva, oltre a volere almeno tre mesi di tempo per attuare quella offensiva, intendeva di avanzare a tappe.

Comunque furono appianate per gli inglesi le divergenze, anche perché erano frattanto arrivate in Egitto parte dei rinforzi richiesti, così il generale Auchinlek dette corso finalmente all’operazione “Crusader“.

 

Altra strana nota storica: pare che a far decidere il generale Claude Auchinleck ad attaccare le posizioni italo-tedesche nel mese di novembre, non fosse stata tanto l’imposizione di Londra, ma quella di essere venuto in possesso di un prezioso e segreto documento, redatto di pugno da Rommel, nel quale vi erano segnate, ore e direttrici di attacco tedesco, nonché tutte le posizioni deboli di Tobruch ed anche quelle italo-tedesche a Bardia e Sollum, il tutto dettagliatamente esposto, solo la data d’inizio della offensiva era segnata con una X.

Il generale Auchinleck, dopo essersi consultato con i suoi servizi segreti, ritenne valido quello schizzo e decise di anticipare Rommel, attaccando per primo. Ancora oggi risulta inspiegabile come quel segreto documento fosse finito in mani inglesi!

Nel mese di novembre le forze inglesi dell’8^Armata del Nilo erano così composte:

XIII Corpo d’armata (non più Corpo d’armata australiano) al comando del generale Godwin Austen;

XXX Corpo d’armata del generale Willoughby Norrie.

 

Il XIII C.A. comprendeva: la 4^divisione indiana, del generale F.W.Messervy (con tre brigate V-VII e XI); la 2^divisione neozelandese, generale B.C.Freyberg (con quattro brigate di fanteria IV-V e VI e una brigata carri), in più come normali supporti divisionali due reggimenti di artiglieria pesante campale, un reggimento controcarro e uno contraereo.

 

Il XXX C.A. con: la 7^divisione corazzata, del generale W.H.E.Gott (più due brigate VII e XXII ), incorporava anche il 7°gruppo di sostegno del generale J.C.Campbell; la 1^divisione sudafricana, con il generale G.E.Brink (con due brigate I e V ); il 4°gruppo di brigate corazzate, generale J.C.O.Marriott e il 22°gruppo brigate della “Guardia Reale“ generale A.H.Gatehouse; inoltre l’11°Ussari (autoblindo).

 

Al XXX C.A., ad inizio offensiva, furono aggiunnti altre unità di armata, quali la 2^divisione sudafricana, generale I.P. de Villiers (con tre brigate III- IV e VI), la Oasis Group (con la XXIX brigata indiana), inoltre come riserva a Marsa Matruch si trovava la II brigata sudafricana.

 

La Oasis Group del generale D.W. Reid ebbe il compito di mantenere il possesso di Giarabub e in seguito ebbe anche l’indicazione di occupare Gialo, avvalendosi dell’appoggio della XXIX brigata indiana e del 6° reggimento autoblindo sudafricano.

 

Queste forze composte da oltre 120.000 uomini, che avevano preso la denominazione di 8^Armata, erano agli ordini del generale Alan Cunningham, che aveva comandato in Africa orientale la East Africa Force; ad esse bisognava aggiungere i difensori della piazzaforte di Tobruch, comprendenti oltre 30.000 uomini.

L’8^Armata disponeva di 724 carri armati Mathilda, Cruiser, Valentine con aliquote di produzione U.S.A. tipo Grant e Stuart, inoltre, altri 250 Tanks erano di riserva. Le forze aeree avevano 16 squadroni di caccia, 12 di bombardieri medi e 5 pesanti, oltre a 3 squadroni tattici alle dirette dipendenze dell’esercito, inoltre Cunningham poteva contare sulla collaborazione dei 10 squadroni di base a Malta il tutto per un totale di circa 1.000 aerei.

 

Lo schieramento italo-tedesco, aveva preso frattanto una nuova struttura, chiamata Armata corazzata italo-tedesca (A.C.I.T.), il cui comando tattico-operativo per tutte le operazioni di guerra venne affidato al generale Rommel sanzionato con l’approvazione di Mussolini (telegramma del 23/11/1941), ma con evidente disappunto dei nostri generali Cavallero, Bastico e Gambara.

La nuova armata italo-tedesca, veniva  a disporre di 3 divisioni tedesche e 7 italiane così dislocate: da Sollum, Ridotta Capuzzo sino a Sidi Omar, la divisione Savona al comando del generale Fedele De Giorgis che aveva sostituito il generale Maggiani, alle spalle di questa, come protezione, un aliquota della 21^panzerdivision Afrika; il settore tra Ridotta Maddalena e Gabr Saleh era stato affidato a due gruppi esploranti tedeschi (il 3° della 21^panzerdivision e il 33° della 15^); più arretrata a Bir el Gobi la divisione Ariete; dietro l’Ariete da Bir Hacheim-Bir el Gobi la divisione motorizzata Trieste; da Bardia-Bir el Gobi-Sidi Omar, la 21^panzerdivision che aveva un compito mobile; sulla costa da Bardia a Tobruch era schierata la 15^panzerdivision, anch’essa con funzione mobile; attorno a Tobruch, per mantenere lo stato di assedio, erano appostate le divisioni: Brescia, Trento e Bologna, del XXI Corpo d’armata del generale Navarrini; la divisione Pavia fungeva da riserva strategica; sia Bardia che Sollum e passo Halfaya, erano presidiate da reparti italo-tedeschi; il “passo“ era stato trasformato in una piazzaforte quasi inespugnabile con l’aggiunta di batterie contraerei da 88 mm. della 19^divisione Flak, che all’occorenza diventavano artiglieria controcarri.

 

Il presidio di Bardia era formato da reparti del 15° e 16° reggimento fanteria della divisione Savona, dal 4°gruppo squadroni autoblindo “Genova“, da una aliquota della Guardia alla frontiera, da due batterie della Regia marina e due  reparti tedeschi della 15^panzerdivision, il comando della piazzaforte era tenuto dal generale tedesco Schmitt, da poco promosso a quel grado.

Le due guarnigioni che dovevano difendere Sollum e passo Halfaya, comprendevano il 1O4° reggimento tedesco della 21^panzerdivision, una compagnia sahariana, reparti di fanteria della Savona e ancora reparti misti di artiglieria, con pezzi da 105/28 e cannoni controcarri da 75/46, oltre a quelli da 88; le due guarnigionii dipendevano, come comando, dal generale De Giorgis.

Sia i presidi di Bardia, di Sollum e Halfaya, utilizzarono anche armi e munizioni inglesi (bottino di guerra recuperato durante la controffensiva di Rommel).

 

Il settore della Savona era il più esposto, anche perché doveva tenere un fronte di 30 Km.; il generale De Giorgis nel timore che si ripetesse la situazione tattica della “Compass” aveva predisposto una linea di capisaldi, affidandola ai colonnelli D’Avanzo, Cova e Aveti, che durante l’offensiva inglese, pur rimanendo isolati, seppero resistere, con le loro poche forze a rabbiosi attacchi nemici; il loro comportamento fu ammirevole e la disposizione adottata congeniale agli eventi accaduti.

Il compito della Savona, in caso di una offensiva, era quello di tenere impegnato il nemico il più possibile, onde dare alle divisioni tedesche il tempo di muoversi e di portare un contrattacco che avrebbe dovuto culminare con l’accerchiamento delle truppe avversari.

 

Con la nuova nomina di Gastone Gambara,quale capo di Stato Maggiore del comando superiore Africa Settentrionale, il comando del Corpo d’armata di manovra (CAM), venne affidato provvisoriamente al generale Piazzoni, già comandante della divisione Trieste, ma il 23 dicembre 1941 subentrò il generale Ballotta dell’Ariete, in quanto il generale Piazzoni era rimasto ferito in un incidente d’auto; dopo pochi giorni altra sostituzione con il generale De Stefani della Trento e ancora in ultimo, il 31/12 con il generale Zingales. Ci si domanda perché tutte queste sostituzioni nel giro di un mese ? La risposta bisogna ricercarla in una serie di contrasti e ripicche fra Rommel e i generali Gambara e Piazzoni poiché in A.S.successero più volte anche queste cose.

L’offensiva “Crusader“ oltre ad essere stata preparata dali inglesi nei minimi particolare e con grande segretezza, ebbe a beneficiare anche dall’aiuto di violenti temporali, che non avevano permesso alla nostra ricognizione aerea di alzarsi in volo per individuare l’ammassamento delle truppe nemiche, doveva essere una sorpresa per l’esercito italo-tedesco ma tale non fu; infatti, da segnalazioni avute dal comandante della divisione Savona, circa concentramenti di truppa e carri armati segnalati dalle sue pattuglie esploranti nella zona di Bir Sofafi, il generale Bastico, intuendo una possibile offensiva nemica, mise in allarme le nostre divisioni e dette notizia del pericolo anche al comando dell’Afrika Korps; Rommel non tenne volutamente e sprezzatamene conto di quell’avviso e si trovò così ad affrontare un attacco con uno schieramento male predisposto.

Nella offensiva “Crusader”, il generale Cunningham adottò un piano di battaglia simile a quello di Wavell; divise la sua armata in tre colonne che presero la denominazione di: Northern Force, Centre Force e Southern Force.

 

La Northern Force che comprendeva il XIII C.A. doveva attaccare e distruggere lo schieramento italo-tedesco da Sollum-Bardia-Ridotta Capuzzo-Sidi Omar per poi puntare su Tobruch.

Alla Center Force, del XXX C.A. che aveva a disposizione quasi tutte le forze corazzate dell’armata, fu assegnato il compito più arduo anche perché era il più  importante: penetrando dalla zona di Ridotta Maddalena, con manovra a largo raggio, doveva dividersi in tre colonne: una composta dalla XXII brigata Guardie con obiettivo Bir el Gobi, l’altra attaccare con la IV brigata corazzata il presidio di Gabr Saleh e distruggerlo, poi avanzare su Sidi Rezegh, via Bir Hacheim, la terza con la VII brigata corazzata, aveva il compito di assalire direttamente Sidi Rezegh; arretrato come riserva il resto della 7^divisione con il 7°gruppo di sostegno e l’11°Ussari.

La Southern Force, con la Oasis Group aveva l’ordine oltre di presidiare Giarabub, puntare su Gialo, occupare la località e come ultimo obiettivo avanzare verso Agedabia.

 

Come sopradetto, la data dell’offensiva inglese, era stata stabilita al 19 novembre, ma ebbe inizio nelle primissime ore del mattino del 18 sotto una pioggia torrenziale. Nella mattina il XXX Corpo d’armata, attraversò il nostro confine all’altezza di Ridotta Maddalena puntando su Bir el Gobi, con l’intenzione di attuare un avvolgimento allo schieramento dell’Asse, ebbe una certa fortuna poiché quell’avanzata, causa l’incessante pioggia, non fu notata sino alle ore 10,30, quando le sue avanguardie vennero intercettate da un reparto carri armati dell’Ariete e autoblindo tedesche, che li attaccarono e li respinsero oltre confine.

 

Come stabilito dal generale Auchinleck, il XXX C.A. che si era assunto il compito principale dell’attacco, penetrò, per la seconda volta, nel nostro territorio e subito la colonna corazzata della XXII brigata, attaccò le posizioni tenute dalla divisione Ariete nel settore di Bir el Gobi, ma questa affidabile unità nonostante l’inferiorità tecnica dei suoi carri m.13/40, resistette e grazie all’eroico comportamento dell’8°bersaglieri riuscì anche a contrattaccare, infliggendo rilevanti perdite.

Altra colonna formata con la IV brigata corazzata, che aveva il compito di sopraffare il piccolo  presidio di Gabr Saleh, dovette abbandonare l’impresa in quanto si trovò di contro, il 5°reggimento della 21^panzerdivision e il 3°Gruppo esplorante tedesco, mentre la colonna della VII brigata corazzata, che avanzava più a Nord raggiunse, come stabilito, Sidi Rezegh.

 

Sidi Rezegh era uno sperone roccioso, alto circa 40 metri e largo e lungo un paio di chilometri che si elevava isolato su quel piatto deserto della Marmarica; la sua posizione dominava la pista che portava a Ridotta Capuzzo e anche quella verso El Aden-Tobruch e fungeva da perno nevralgico per Tobruch; usufruiva anche di un campo aereo di fortuna, che venne sfruttato prima dall’aviazione italo-tedesca, poi da quella inglese.

Nel corso dell’offensiva attorno a questo sperone, ma soprattutto per il possesso dell’aeroporto, si svolsero due dure battaglie; la prima avvenne nella mattinata del 19 novembre 1941, quando la VII brigata corazzata (7^divisione), alla quale si era aggiunto un reparto del gruppo di sostegno, attaccarono il poco numeroso presidio che, dopo un giorno di resistenza, venne sopraffatto dalla violenza e potenza numerica del nemico e fu costretto ad abbandonare Sidi Rezegh.

 

La reazione delle forze italo-tedesche non si fece attendere, tra il 21 ed il 22, infuriarono combattimenti attorno allo sperone, in prevalenza tra carri armati e gli inglesi del XXX corpo d’armata ebbero la peggio. In quegli scontri perdettero infatti oltre 200 dei loro carri, la IV e V brigate corazzate vennero completamente annientate tanto che la 7^divisione ormai ridotta e malconcia, dovette nella nottata del 22-23, ripiegare verso le posizioni di partenza e Sidi Rezegh venne riconquistata.

 

Il giorno 24 Rommel, sfruttando il successo ottenuto e avendo notevolmente ridotta la potenza del XXX C.A., riunite le forze dell’Afrika Korps (la 21^e 15^panzerdivision) che erano dislocate tra Gambut e Bardia e con l’appoggio delle divisioni italiane Ariete e Trieste, che fece sollecitamente spostare da Bir el Gobi e Bir Hacheim, avanzò verso la frontiera, penetrando addirittura per circa 30 Km. in territorio egiziano, sperando di conquistare anche i tre campi logistici di rifornimenti, che l’Abwher Dienst (Servizio informazioni tedesco) riteneva vicini al confine egiziano, denominati nel gergo militare inglese  “Forward Maintenance Center“. Questi erano basi avanzate con carburante, munizioni e generi alimentari, logisticamemte dei grossi depositi strategici ma si trovavano dislocati: uno nella zona di Sidi Barrani, il secondo verso Marsa Matruch, il terzo era a Giarabub. Erano basi ben lontane, certamente irragiungibili in quel particolare momento, mentre dalle informazioni che Rommel era venuto in possesso, ovviamente errate, queste avrebbero dovuto trovarsi, tra Ridotta Maddalena-Bir Sceferzen-Sidi Omar, quindi in territorio entro il nostro confine. In effetti gli inglesi avevano creato, in quelle zone soltanto piccole basi alimentari abilmente mascherate, tanto da sfuggire alla nostra ricognizione aerea. Un particolare su quei depositi: anche se essi avevano una superfice abbastanza vasta, erano così ben occultati, che il Generale von Ravanstein della 21^panzerdivision, nella sua avanzata passò a qualche chilometro da uno di questi depositi e non si accorse della sua esistenza. 

 

Comunque, nei piani di Rommel, vi era anche il progetto certamente prioritario, di affrontare in una battaglia risolutiva il XIII C.A.,distruggerlo e liberare dall’assedio i presidi di Bardia, Sollum e Halfaya; questo non avvenne anche se vi furono scontri sporadici con avanguardie della 4^divisione indiana, vedremo qui di seguito il perché. Le ragioni di quella mancata battaglia bisogna ricercarle, parte nella disordinata avanzata, con incredibili spostamenti da Ovest a Est e viceversa, che fecero indifferentemente per più volte, i reparti italo-tedeschi e gli inglesi, nella pessima organizzazione logistica dell’Asse, nel cattivo funzionamento dei contatti radio tra comando e divisioni e tra queste con i reparti in sottordine, tanto che spesso reggimenti e battaglioni agivano nello stesso settore l’uno all’insaputa dell’altro; identico problema lo ebbero le divisioni Ariete e Trieste che seguivano le divisioni tedesche; altra causa fu l’intervento massiccio dell’aviazione inglese che non dette tregua ai tedeschi; da non sottovalutare anche il problema delle scorte di carburante che crearono spesso seri problemi a chi doveva provvedere ai rifornimenti, in quanto gli addetti furono costretti a seguire due direzioni, da Ovest a Est e viceversa, poichè Rommel aveva diviso il D.A.K., assegnando alla 21^panzerdivision il compito di portarsi sotto Sollum ed affrontare il XIII C.A. del generale Godwin-Austen, mentre la 15^ doveva scendere a Sud verso Bir Sceferzen e prendere alle spalle i resti di quello che fu il XXX C.A. del generale Norrie. Comunque quel frazionmamento del Deutsche Afrika Korps costò caro a Rommel; secondo alcuni esperti storici militari e a giudizio dello stesso generale Halder, capo di Stato Maggiore Generale dell’esercito tedesco, quello fu un errore di Rommel e del CAM, causato da superficiale valutazione degli eventi, tanto che la sua avanzata si trasformò in una ritirata, anche alquanto precipitosa e combattuta sino a Gambut, da dove Rommel era partito fiducioso e sicuro di ottenere una vittoria. In realtà talune manovre di avvolgimento concordate tra DAK e CAM, furono caratterizzate da scarsa collaborazione tra tedeschi e italiani e nella modesta velocità di spostamento del C.A.M.

E’ tesi di alcuni storici, soprattutto tedeschi e inglesi che la mancanza di collaborazione fu volutamente instaurata dai generali italiani col rifiuto di non attuare gli ordini di Rommel, a mio avviso è solo montatura antitaliana.

Da segnalare che quella avanzata ebbe almeno l’effetto di creare scompiglio nelle retrovie inglese, furono fatti anche dei prigionieri.   

In quella confusa azione Rommel rischiò addirittura di essere catturato; questo il racconto della sua brutta avventura: nel corso del ripiegamento, inspiegabilmente, Rommel, si allontanò in macchina dal suo comando, avendo al suo fianco il generale Gause, suo capo di Stato Maggiore; le versioni di quel allontanamento sono tra le più disparate: sempre secondo alcuni storici Rommel andò alla ricerca di quel varco aperto nel reticolato di frontiera allo inizio dell’avanzata onde poi riattraversarlo con sicurezza; per altri la versione fu quella che Rommel, come da sua impulsiva abitudine, si era allontanato per rendersi conto della consistenza e delle posizioni predominanti del nemico. Comunque quale possa essere stata la ragione, egli si smarrì nella vastità deserto che porta facilmente a falsare la visuale e l’orientamento anche al più esperto suo conoscitore; quelle allucinazioni in effetti fanno vedere ciò che non esiste, uno crede di trovarsi nel punto giusto mentre invece é in quello opposto, questa a mio avviso potrebbe essere la vera causa di quello smarrimento; credo che il generale non avesse grande familiarità col deserto. Per strana e fortuita coincidenza, anche il generale Cruewel, comandante del D.A.K., con il suo capo di Stato Maggiore colonnello Bayerlein ( in seguito divenuto generale ), si erano smarriti e vagando nel deserto ebbero la fortuna, d’incontrarsi causalmente con Rommel; essendo ormai notte decisero di sostare in un anfratto del terreno, caso volle che andarono a fermarsi nei pressi di un accampamento inglese; nessuno però si accorse della loro presenza anche perché il generale Gruewel usava, in quel momento un automezzo inglese preda di guerra (era un grosso blindato a trazione integrale chiamato Mammouth, automezzo che in seguito usò anche Rommel), sul quale erano saliti Rommel e Gause abbandonando la loro macchina tedesca, quindi nessuno fece caso a quello automezzo inglese. Solo all’alba i generali tedeschi si accorsero del luogo ove erano finiti e dei potenziali pericoli esistenti. Silenziosamente e con cautela si allontanarono, raggiungendo poi gli avamposti tedeschi.( 14 )                                                                                      Immaginiamo cosa sarebbe successo, se gli inglesi avessero catturato quel gruppo di generali, che in quel momento rappresentavano tutta l’armata tedesca, quali disastrose conseguenze ne sarebbero venute fuori per la guerra in Africa Settentrionale. Anche questa volta e non fu l’ultima, la fortuna aiutò Rommel; ho detto che non fu l’ultima in quanto, come sua consuetudine, il generale Rommel usava spesso, un piccolo aereo da ricognizione Storch (Cicogna) per ispezionare, oltre le sue truppe anche il territorio dove pensava di attaccare, ora in una di quelle ispezioni, sorvolando un ammassamento di soldati, pensando che fossero tedeschi decise di atterrare, ma quando già stava per t

occare il terreno, si accorse che erano invece inglesi, solo l’abilità del pilota, lo salvarono dalla cattura.    

Naturalmente nei piani di Auchinleck il possesso di Sidi Rezegh era d’importanza vitale per rompere l’assedio di Tobruch, quindi ordinò al generale Cunningham di compiere ogni sforzo, raccogliendo tutte quelle forze disponibili, di attaccare e riconquistare nuovamente Sidi Rezegh e congiungersi con la guarnigione di Tobruch.

Cunningham attaccò Sidi Rezegh, nella giornata del 25 novenbre e potè disporre anche della 2^divisione neozelandese e di una brigata carri Mathilda, che agirono da Nord; mentre la IV brigata corazzata, la XXII brigata Guardie e la 1^divisione sudafricana avanzarono da Sud; nei giorni 25-26-27 e 28 ci furono aspri combattimenti, gli inglesi riconquistarono Sidi Rezegh e l’aeroporto, nonostante l’eroica difesa del 9°reggimento bersaglieri del colonnello Bordoni della divisione Trieste e di reparti tedeschi agli ordini del generale Karl Boettche.

La 2^divisione neozelandese del generale Freyberg dopo la conquista di Sidi Rezegh, avanzò verso Tobruch e in aspri combattimenti contro la divisione Bologna, aprì un corridorio a El Duda, dove reparti della 70^divisione con la brigata polacca, usciti da Tobruch, impegnarono i fanti della Bologna; il giorno 28, due battaglioni della 2^divisione entrarono a Tobruch, dove rimasero bloccati; ma l’assedio continuava e tale rimase sino a luglio del 1942.

Frattando nell’armata inglese era avvenuto un cambiamento importante: il generale Auchinlek, in data 25 novembre, aveva suo malgrado sostituito, per divergenze sul modo di come condurre alcuni attacchi, il generale Cunningham con il generale Neil Ritchie, che era allora capo di Stato Maggiore del suo Quartiere Generale.

Quella nuova situazione in campo nemico indusse Rommel a reagire; raccolte le sue forze sferrò un nuovo attacco contro Sidi Rezegh e la riconquistò (29 novembre-1°dicembre); la IV brigata(ricostituita) e VI neozelandese che avevano difeso la località, subirono gravi perdite; la 2^divisione neozelandese nel ciclo di quelle due operazioni, ebbe circa 3.000 uomini tra morti, feriti e prigionieri.

Oltre alle perdite della 2^divisione, il XXX C.A.inglese, perdette circa 800 mezzi tra carri armati, autoblindo e autocarri, vennero abbattuti 127 aerei e 9000 furono i suoi soldati caduti o prigionieri.

Anche da parte dell’Afrika Korps e delle divisioni italiane si ebbero delle pesanti perdite: 3.800 tra morti, feriti e dispersi, 142 carri tra Mark IV e M.13/41 e 25 autoblindo distrutti, molta artiglieria campale e controcarro fuori uso.

Purtroppo anche in quelle operazioni di Sidi Rezegh e Tobruch, vennero commessi errori tattici, con continui spostamenti di reparti, ordini dati verbalmente da Rommel e non comunicati né al Comando superiore, né ai comandanti di Corpo d’armata; divisioni italiane, come la Trieste e Pavia, passate alle dipendenze del D.A.K. all’insaputa di Bastico e Gambara e ancora il bombardamento erroneamente effettuato da aerei tedeschi sulle posizioni tenute dalla colonna del colonnello De Meo, del raggruppamento esplorante del C.A.M., quello fu un errore dovuto alla mancanza di segnalazioni, che causò al raggruppamento 4O tra morti e feriti, con la distruzione di artiglierie e  mezzi di trasporto.

Altro episodio grave fu la cattura del generale von Ravenstein, comandante della 21°panzerdivision, che nel caos della battaglia del 29, andò a finire nel bel mezzo della divisione neozelandese e venne catturato con tutto il suo Stato Maggiore.

Veniamo ora a conoscere quali furono le operazioni di guerra che svolse la Southern Force con la Oasis Group del generale Reid; essa sin dalla metà di novembre, si era concentrata tra l’oasi di Siwah e Giarabub, che dal marzo del 1941,era stata occupata nonostante l’eroica resistenza del ten.colonnello Castagna e dei suoi soldati; il giorno 18 novembre il gruppo Oasis con la XXIX brigata indiana e il 6°reggimento autoblindo si mosse da Giarabub diretto su Augila per occuparla e tagliare ogni possibilità di ritirata verso Agedabia della guarnigione di Gialo. La difesa di Augila, composta da appena un plotone di bersaglieri con due cannoni da 47/32, venne attaccata dalla XXIX brigata la mattina del 22, fu facile preda del numero e dovette soccombere .

Caduta Augila,il giorno 23, la XXIX brigata attaccò Gialo, ma il primo urto fu respinto, in un secondo tentativo fatto con maggiori forze, la guarnigione che era composta da due compagnie bersaglieri, un plotone di fanteria della divisione Sabratha, una sezione cannoni da 75/27 e una batteria mitragliere da 20mm., dovette cedere e anche Gialo venne occupata.

Da Gialo il generale Reid, aveva ricevuto l’ordine di avanzare su Agedabia, ma quel piano fu bloccato, oltre che dai continui attacchi della nostra aviazione, con l’appoggio dei famosi “Messerschmitt” tedeschi, anche dalla mancanza di tempestivi rifornimenti che dovevano essere garantiti a Reid, per una avanzata nel deserto di 500 Km. verso Agedabia.

Rommel sfruttando il successo di Sidi Rezegh e sicuro dello sfacelo dell’armata inglese, ripropose l’avanzata su Sidi Omar, sempre con la convinzione di liberare dall’assedio Bardia, Sollum e Halfaya, che resistevano stoicamente ai continui assalti della 4^divisione indiana; quel piano di battaglia non venne condiviso dal comando superiore, anche perché Rommel aveva ordinato il ritiro da Bir el Gobi delle forze italo-tedesche che ancora la presidiavano, non considerando quella zona più un pericolo,lasciandovi solo un piccolo presidio.

Per tale disposizione unilaterale non fu d’accordo il generale Gambara, che espresse direttamente a Rommel le sue rimostranze, insistendo che Bir el Gobi non doveva essere abbandonata, tanto che di propria iniziativa inviò sul posto i due battaglioni Giovani Fascisti che presero subito posizione; il I a quota 176 con capisaldi a Azuel Misef sulla strada per Adem, mentre il II si attestò sulle quote 184 -188 a 2 kilometri Nord-Ovest di Bir el Gobi.

Ecco con che parole si espresse il generale Gambara, nei confronto dei due battaglioni..........”il compito è arduo i volontari sono al loro primo combattimento, sono giovani, ma la mia fiducia in loro è piena.......”  sacrosante parole, poiché quei giovani non delusero il generale Gambara.

Un breve cenno su Bir el Gobi, che in arabo si pronuncia Bir el Gubi ( per questioni di fonetica gli italiani trasformarono la parola Gubi in Gobi); la località, prima della guerra, era sconosciuta soprattutto in Italia, solo pochi

italiani di Libia ne conoscevano l’esistenza. Bir in arabo è indicazione di “pozzo” di acqua dolce, Gubi invece è il nome della prima tribù che prese possesso di quel territorio. Il paese sistemato attorno a un pozzo e circondato da un palmeto, non troppo numeroso, era formato da casupole costruite con terra bagnata e pressata, con un tetto fatto di tronchi di palma (caratteristica delle abitazioni indigene); sempre prima della guerra, l’oasi era presidiata da pochi soldati indigeni “meharisti“ (non oltre 30), al comando di un sottufficiale nazionale; il servizio di polizia era affidato a un brigadiere dei Carabinieri Reali con 4 zaptie ( carabinieri libici ).

L’oasi di Bir el Gobi, posta a circa 120 kilometri a Sud di Tobruch, in pieno deserto della Marmarica, era al centro delle piste che provenivano dall’interno (Cufra, Giarabub, Sidi Omar), poi da questa località esse toccavano Bir Hacheim, El Mechili, Tobruch.                                              

Bir el Gobi, in tempi non remoti, era passaggio obbligato delle carovane che si spingevano sino  sulla costa.

Il generale Ritchie, nuovo comandante dell’armata inglese, nonostate i gravi colpi subiti in quei tre giorni di dure battaglie, dopo essersi riorganizzato e aver ricevuto rinforzi, decise di attaccare El Adem, affidando quel compito al XXX Corpo d’armata; l’ostacolo principale per gli inglesi, prima di puntare su El Adem, era ancora costituito da Bir el Gobi, che il generale Norrie, comandante del XXX, riteneva fortemente presidiata da un reggimento della 21°panzerdivision; in effetti esisteva solo un reparto tedesco del raggruppamento esplorante, che venne sostituito, il 1°dicembre, dai battaglioni “Giovani Fascisti“. Il generale Norrie, sempre convinto del forte presidio di Bir el Gobi, vi si diresse con tutto il suo Corpo d’armata; in vista dell’obiettivo, fece avanzare la XI brigata indiana, con l’appoggio dell’8°Royal Tanks e il 7°reggimento artiglieria pesante e ordinò l’attacco; il primo scontro ebbe inizio alle ore 5,30 del 3 dicembre e venne respinto dalla tenace difesa di quei giovanissimi soldati al loro primo combattimento; erano soldati italiani, tutti  volontari e nonostante fossero giunti sul posto da appena pochi giorni,

avevano creato solide postazioni campali scavando la dura crosta desertica. Il loro armamento, molto modesto, comprendeva: moschetto individuale, poche mitragliatrici, alcuni mortai da 81 mm., 16 pezzi da 47/32, 2 pezzi da 102, 30 fuciloni anticarro e 4 carri armati L.3,lasciati sul posto dall’Ariete in quanto inservibili, i giovani fascisti li interrarono usandoli come nidi di mitragliatrici.

Questa esigua forza tenne testa, per 5 giorni, a circa 10.000 avversari fortemente armati, in una impari lotta, durissima e sanguinosa, compiendo innumerevoli atti di eroismo, sino al limite di ogni sofferenza umana.

Lo schieramento dei GG.FF.,come sopra detto, comprendeva quota 184 e 188 tenute dal II battaglione al comando del maggiore Carlo Benedetti, mentre a quota 176 si era assestato il I, comandato dal maggiore Fulvio Balisti; i due battaglioni erano alle dirette dipendenze del ten.colonnello Ferdinando Tanucci Nannini.

  

Il comandante del XXX C.A. vista la indomita resistenza di quei “ragazzi“, aumentò le forze di attacco con la XXII brigata Guardie, il 2°battaglione Camerons, forte di un gruppo di rinforzo con carri armati Valentine e un’aliquota della 7^divisione corazzata, sicuro questa volta di conquistare Bir el Gobi. Gli assalti alle postazioni dei giovani fascisti si susseguirono ininterrottamente nei giorni 4-5-6-7 e furono sempre respinti; i “ragazzi” non mollarono, gli episodi di valore si contarono a decine, si videro giovani volontari che per non abbandonare il loro pezzo anticarro, venivano maciullati dai cingoli dei carri armati nemici; comandanti di compagnie e di battaglione, che pur feriti non vollero allontanarsi dai loro “ragazzi“; memorabile l’esempio del maggiore Balisti, che con una gamba spappolata da una granata (gli verrà amputata) e l’altra con gravi ferite, sdraiato su una barella continuò a dirigere la difesa del suo caposaldo; solo dopo insistenze dei suoi “ragazzi” e del ten.colonnello Tanucci, anch’egli ferito, si fece portare nell’ospedale da campo della divisione Pavia dove gli fu amputata la gamba sinistra.

 

Nella ritirata della Pavia, l’ospedale da campo venne occupato e il maggiore Balisti, con le ferite non ancora cicatrizzate, fu sballottato da un un ospedale da campo inglese all’altro, questo per 10 giorni, finalmente viste le sue gravi condizioni, i medici inglesi decisero di ricoverarlo nello ospedale Eliopolis del Cairo, trattenendolo solo per il tempo necessario di guarire, poi venne trasferito nel campo di concentramento “3O6 criminal fascist” di Heluan (Cairo),  con il numero di prigioniero POW 350726. Nell’aprile del 1943, a seguito di uno scambio di prigionieri mutilati, rientrò in Italia, sbarcando a Bari la mattina del 25 aprile (giorno di Pasqua) da una nave ospedale italiana. La storia di questo scambio di prigionieri é interessante conoscerla: i prigionieri italiani vennero imbarcati nel porto di Alessandria d’Egitto, su due navi ospedali inglesi, contemporaneamente altre due navi ospedaliere italiane imbarcavano a Bari prigionieri mutilati inglesi; punto d’incontro delle quattro navi fu il porto neutrale di Smirne, quì avvenne lo scambio gli italiani sulle nostre navi, gli inglesi sulle loro; appena a bordo i prigionieri commossi baciarono le loro bandiere.

 

Il maggiore Balisti, fu volontario della Prima Guerra Mondiale, legionario fiumano, segretario personale di Gabriele D’Annunzio nella impresa di Fiume, decorato di 3 Medaglie d’Argento al Valore Militare e una di Bronzo; allo scoppio della 2^Guerra Mondiale aveva 51 anni, quindi poteva essere esonerato dal servizio militare, invece chiese di essere riammesso in servizio e servire la Patria in zona di guerra. Regalerà ai suoi ragazzi la tenuta agricola di Ponti sul Mincio, che diverrà, nel dopoguerra, la “Piccola Caprera” faro luminoso di patriottismo e italianità.

 

Altro luminoso esempio di sublime e cosciente valore, fu l’eroica morte del “volontario”, caporale maggiore Ippolito Niccolini, il quale rimasto completamente accerchiato nel suo caposaldo, benché ferito alla testa, usciva dalla postazione e da solo affrontava, con lancio di bombe a mano, un carro armato Valentine riuscendo a distruggerlo; ferito nuovamente al petto attaccava altro carro armato ma veniva falciato da raffiche di mitragliatrice; per quella azione venne decorato  (alla memoria ) di Medaglia d’Oro al Valore Militare.

 

A Bir el Gobi nacque la leggenda dei giovani fascisti ( i “Mussolini boys” come li chiamarono gli inglesi), di questi “adolescenti” la loro leggenda attraversò i confini nazionali e le imprese di questi “volontari“ trovarono consensi cavallereschi anche da parte di coloro che li combatterono. Nel dopoguerra, quando i superstiti rientrarono dalla prigionia, l’Italia di allora non seppe accoglierli degnamente, furono incompresi, emarginati, isolati e dimenticati; la loro storia fu falsata e distorta. I reduci molti anni dopo, senza nulla chiedere, senza nulla recriminare o rivendicare, si sono riuniti, hanno creato un loro Museo e una degna Sede, in quel di Ponti sul Mincio ( Mantova ); sono rimasti in pochi e tengono alta la memoria del loro passato.

 

A Nord la situazione della divisione Savona incominciò a peggiorare,il XIII C.A. sferrò un poderoso attacco a Sidi Omar e Ridotta Capuzzo che in data 3O novembre vennero occupate, la 4^divisione indiana avanzò sino a Sidi Azeis e minacciava Gambut ove Rommel aveva concentrato parte delle sue forze; l’obiettivo della 4^divisione era quello di portare aiuto alla 2^divisione neozelandese, mal ridotta ma ancora impegnata nella zona di Sidi Rezegh.

Nei giorni 6 e 7 dicembre Rommel si rese conto che la situazione stava precipitando e aveva deciso di ritirare le divisioni italiane e la 90^divisione leggera che assediavano Tobruch da otto mesi e ripiegare su Ain el Gazala con il resto dell’armata (15^e 21^panzerdivision, l’Ariete e la Trieste ), lasciando al loro destino la Savona e le guarnigioni di Bardia, Sollum e Halfaya.

Frattanto a Bir el Gobi, i battaglioni dei giovani fascisti resistevano, ma Rommel temendo un cedimento, che sarebbe avvenuto in quanto i due battaglioni erano ormai con scorte munizioni e viveri allo esaurimento e per giunta stremati dalla sete, decise di inviare in soccorso la 15^panzerdivision e le divisioni Ariete e Trento, ma quando esse giunsero sul posto, sia pure con difficoltà, soprattutto per l’Ariete, il XXX di Norrie non accettò battaglia, ciò permise ai superstiti GG.FF. di ripiegare insieme alla 15^, non prima di avere seppellito i suoi morti.

L’armata italo-tedesca dal giorno 7 aveva iniziato la ritirata su Ain el Gazala quasi indisturbata, salvo sporadici scontri della sua retroguardia che comprendeva anche una compagnia moto blindata della P.A.I., ma il giorno 15, la 4^divisione indiana, con la IV brigata corazzata e la brigata polacca, uscita da Tobruch, attaccarono improvvisamente le posizioni italo-tedesche a Ain el Gazala tentando un avvolgimento ma vennero respinti dalla tenace resistenza delle divisioni Pavia, Brescia e Trento; in quella battaglia cadde mortalmente colpito il generale Borsarelli, Vice comandante della Trento. Approfittando del vantaggio che le divisioni italiane gli avevano dato respingendo il tentativo di avvolgimento inglese, Rommel sapendo di essere ormai a corto di munizioni e carburante decise un nuovo ripiegamento su Agedabia; la copertura di retroguardia, venne affidata al 1°battaglione CC.RR.paracadutisti, onde rallentare l’avanzata nemica, ostacolarla il più possibile e proteggere il ripiegamento italo-tedesco, ma soprattutto dare la possibilità alle divisioni di fanteria Brescia, Trento, Pavia e Bologna di non essere annientate, in quanto la loro ritirata avveniva quasi tutta a piedi; si ripeteva il dramma delle divisioni italiane durante il ripiegamento di Graziani. Al 1°battaglione CC.RR.vennero affiancati: un battaglione fanteria di Barce, la 9^compagnia controcarri da 47/32 dell’8°reggimento bersaglieri, reparti di artiglieria dell’Ariete, un gruppo di paracadutisti libici e nazionali, superstiti di quei due gloriosi battaglioni del Maggiore Tonini e due compagnie motociclisti della Polizia Africa Italiana (P.A.I.) che furono impegnati a regolarizzare il deflusso dei reparti italo-tedeschi in ritirata e nello stesso tempo a proteggere la popolazione civile da attacchi di scalmanati predoni arabi alle loro case e beni; la P.A.I. sin dal settembre del 1941 era stata incorporata, quale gruppo esplorante, nel Corpo d’armata di Manovra. Quella forza di copertura di retroguardia era di modeste proporzioni: armata con 40 fucili mitragliatori, 12 mitragliatrici, 10 fuciloni Solothurn e 6 pezzi controcarri. Il gruppo paracadutisti e i reparti aggregati si schierarono nella zona del villaggio Berta, al bivio delle piste di Eluet el Asel-El Mechili-Chaulan in attesa del nemico che non si fece attendere; si ripeteva ancora quanto era successo un anno prima, nello stesso luogo ai paracadutisti libici e nazionali. Le postazioni dei CC.RR. vennero investite da violenti tiri di artiglieria per oltre 10 ore, seguiti da continui assalti della fanteria inglese, sempre respinti e contrattacati dai paracadutisti; anche quei pochi pezzi controcarro della 9^compagnia, fecero un buon lavoro distruggendo molti carri nemici. Gli inglesi visto che non era possibile forzare quel passaggio, per la tenace resistenza dei CC.RR. paracadutisti, tentarono con un altra loro colonna di aggirare il bivio, passando al largo e puntare su Lamluda che era altro bivio importante in quanto passaggio obbligato della via Balbia, ove transitavano ancora in ripiegamento le forze di Rommel.

 

Il maggiore Alessi resosi conto delle intenzioni nemiche, nella nottata del 18, ordinò il ripiegamento su Lamluda, sperando di arrivare prima degli inglesi; paracadutisti carabinieri, bersaglieri e fanti a piccoli gruppi iniziarono, a bordo dei loro autocarri, il ripiegamento, purtroppo non fu così facile, nella oscurità molti autocarri subirono incidenti causa l’impervio terreno della pista, in uno di questi incidenti, rimase seriamente ferito il maggiore Alessi, per il capovolgimento della macchina sulla quale viaggiava. Appena oltrepassato il villaggio Berta e giunti al Bivio di Lamluda, trovarono la sorpresa; gli inglesi erano arrivati per primi, bloccando addirittura la via Balbia con massi e macchine; iniziarono nel buio della notte aspri combattimenti, i carabinieri paracadutisti erano ormai isolati, tentarono di forzare il bivio di Lamluda qualcuno ci riuscì, altri caddero prigionieri, i più fortunati si dispersero nel Gebel o trovando rifugio presso famiglie coloniche italiane, che nella prima ritirata e anche nella seconda non vollero abbandonare le loro proprietà, rischiando vendette dagli arabi. I nostri soldati che trovarono rifugio presso quelle generose e patriottiche famiglie, vi rimasero per qualche mese, protetti dai pericoli di spiate o addirittura da uccisioni da parte di arabi a noi ostili; purtroppo alcuni sfortunati nostri soldati, vennero uccisi e depredati dagli arabi. Quei pochi carabinieri paracadutisti che riuscirono a rompere il blocco di Lamluda, arrivarono a Bengasi dove trovarono la città ormai abbandonata; lasciata Bengasi proseguirono per Agedabia che raggiunsero il giorno 20. In quei due giorni di combattimenti, il 1°battaglione si presentò ad Agedabia con 14 ufficiali, 9 sottufficiali, 73 carabinieri, mancavano 251 uomini, molti erano caduti in combattimento, altri erano stati fatti prigionieri. I superstiti vennero rimpatriati il 6 marzo 1942 e a Roma, il glorioso battaglione venne sciolto; 43 erano state le proposte per ricompense ma inspiegabilmente, solo 7 furono quelle concesse, così suddivise: 2 M.A.V.M. - 3 M.B.V.M. e 2 Croci di guerra; poco riconoscimento in confronto al valore e allo eroico comportamento che quei carabinieri paracadutisti compirono nel corso di quella tragica ritirata. Solo dopo 23 anni, precisamente il 14 giugno 1964, l’Italia riconobbe il sacrificio dei CC.RR. paracadutisti e nell’anniversario del 150°anno di fondazione dell’Arma dei carabinieri, venne concessa la medaglia d’Argento alla Bandiera, per i fatti di guerra di Bivio Eluet el Asel e bivio Lamluda.

Nel corso dei suoi ripiegamenti Rommel ebbe la fortuna di essere poco ostacolato dalla aviazione inglese, causa le proibitive condizioni atmosferiche, che non permettevano agli aerei di alzarsi in volo; subentrò anche una singolare situazione, poiché spesso nel corso delle battaglie, i due eserciti vennero a mescolarsi in modo quasi inestricabile, tanto che i piloti di ambo le parti, non potendo distinguere quale fosse il nemico, decidevano di rientrare alle loro basi senza avere sganciato alcuna bomba.

L’offensiva Crusader iniziata il 18 novembre si era quasi conclusa. Restavano ancora in armi, benché assediate, le guarnigioni di Bardia, Sollum e Halfaya e la divisione Savona che teneva ancora qualche posizione nelle zona di Ridotta Capuzzo - Sidi Omar; purtroppo gli inglesi ormai padroni del campo, sicuri di non subire attacchi alle spalle, iniziarono con calma l’annientamento di quelle guarnigioni.

 

Il giorno 2 gennaio Bardia venne espugnata, cadde prigioniero il generale Schmitt con 2.442 soldati italiani e 2.143 tedeschi (secondo gli inglesi furono 8.000); il giorno 11, la VI brigata sudafricana e il 2°Transvaal Scottish regiment attaccarono Sollum, sempre bombardata dal cielo e dal mare; gli assediati erano stremati, sia dai bombardamenti ma soprattutto dalla mancanza da più giorni di acqua, in quanto gli inglesi avevano fatto saltare tutti i pozzi che portavano acqua dentro Sollum, il giorno 13 si arresero.

Rimanevano ancora in lotta le posizioni della Savona e il presidio di Halfaya, anche per questi soldati il problema grave fu la mancanza di acqua, di viveri e  medicine, tanto che nella mattinata del 17 il generale De Giorgis onde salvare il maggior numero di soldati e dare assistenza ai feriti, si arrese.

Halfaya il cui presidio composto da militari tedeschi e italiani era comandato dal maggiore Wilhem Bach, che nella vita civile era pastore evangelico, resistette a lungo, ma la resistenza venne a cessare per lo stesso problema di Sollum: la mancanza di viveri e di acqua, in quanto Halfaya prelevava l’acqua dai pozzi di Sollum; il pomeriggio del 17 anche Bach dovette chiedere la resa che venne accettata con correttezza dai sudafricani, ma ad Halfaya successe un fatto increscioso e vile, avvenuto mentre gli assediati uscivano dalle loro postazioni per arrendersi, vennero fatti segno a numerosi colpi di arma da fuoco che causarono diversi morti e feriti; a sparare furono indegni e vigliacchi soldati francesi “degollisti“ aggregati alla divisione sudafricana, quel deplorevole atto di ignobile vendetta, fu condannato anche dagli inglesi.

Con la caduta delle nostre guarnigioni di frontiera, certamente non dovuta alla potenza militare del nemico, ma alla fame e sete che erano riuscite a piegare quei valorosi difensori, terminava così l’offensiva “Crusader ”; Rommel si era attestato nelle stesse posizioni che un anno prima aveva tenuto Graziani, quando il generale Wavell sferrò la sua prima offensiva.

L’offensiva di Auchinleck ebbe alterne vicende, nella prima settimana le battaglie combattute furono positive per l’armata italo-tedesca, gli inglesi subirono gravi perdite, tanto che si auspicò una veloce vittoria di Rommel, poi le vicende belliche cambiarono, dovute anche ad errori tattici da parte di Rommel; primo quello di avere voluto avanzare oltre il confine, invece di sferrare l’attacco decisivo a Tobruch e ancora quello di sottovalutare il XXX C.A. inglese a Bir el Gobi, spostando le divisioni Ariete e Trieste dalle loro prime posizioni, in più il non avere tenuto nella giusta considerazione gli avvertimenti di Bastico e Gambara; in verità Rommel una cosa di buono la fece, fu quella di condurre il ripiegameno sino a Marsa Brega, senza subire gravi perdite.

 A conclusione della offensiva “Crusader”, le perdite umane da ambo le parti, secondo le dichiarazioni ufficiali, furono le seguenti: italo-tedeschi 33.000 tra morti, feriti e prigionieri con la distruzione di 300 carri armati; per gli inglesi 2908 morti, 7339 feriti e 7457 prigionieri, mentre subirono la perdita di 278 carri armati. ( MAPPA N°13 )

 

Contemporaneamente alle battaglie che si svolgevano in Africa Settentrionale, in Italia si stava attuando un progetto che avrebbe avuto, a compimento, positive risonanze per noi italiani e disastrose conseguenze per gli inglesi.  

A metà dicembre del 1941, venne messo allo studio dalla X^Mas, allora comandata dal capitano di Fregata Ernesto Forza, che era subentrato al capitano di Fregata Vittorio Moccagatta, caduto durante l’attacco a Malta del 25 Luglio 1941, un ardito progetto: colpire nel cuore la flotta inglese e dare prestigio a quella italiana, con il penetrare nella munita base navale di Alessandria e distruggere le navi da guerra che ivi si trovavano.

 

Il comando per quella temeraria impresa venne dato al tenente di Vascello Luigi Durand De la Penne, ultimo superstite di una cerchia di coraggiosi pionieri, precursori della  specialità di assaltatori subacquei nata a Bocca di Serchio.

Come già descritto nel 2°capitolo, erano state tentate in precedenza due incursioni su Alessandria; la prima il 22 agosto 1940, la seconda un mese dopo, purtroppo tutte e due finite tragicamente, questa doveva essere quella del riscatto e del successo. 

 

De la Penne scelse 5 coraggiosi e formò tre equipaggi, che dovevano condurre l’impresa a bordo di tre siluri a lenta corsa-SLC-; essi erano così composti: primo equipaggio De la Penne, suo secondo il palombaro Emilio Bianchi; secondo equipaggio capitano del Genio navale Antonio Marceglia con Spartaco Schergat palombaro; terzo equipaggio capitano armi navali Vincenzo Martellotta e Mario Marino palombaro. Per ogni evenienza De la Penne approntò anche due equipaggi di riserva, formati dal tenente Luigi Feltrinelli con Luciano Savaré palombaro e dal sottotenente medico Giorgio Spaccarelli con Armando Memoli sottocapo palombaro.

Come mezzo di trasporto, che doveva portare gli assaltatori sul posto, venne scelto il sommergibile “Sciré“ del Principe Valerio Borghese, già noto ai nostri incursori in quanto aveva collaborato nell’impresa contro Gibilterra.

Il giorno 3 dicembre il sottomarino lasciò la base di La Spezia e si diresse verso l’isola di Lero nel Dodecaneso, per prendere a bordo i tre equipaggi che dovevano arrivare a Lero in aereo; il luogo dell’appuntamento con i sommozzatori era nella baia di Parreni, località molto isolata, ove la sola presenza, oltre al sommergibile, era il piroscafo “Asmara‘, una piccola nave da carico, che doveva ospitare De la Penne e i suoi uomini durante i preparativi d’imbarco sul sommergibile. 

Queste precauzioni erano state prese per evitare una possibile individuazione e conoscenza della missione da parte dello spionaggio inglese, che come ho già detto, in Italia funzionava eccellentemente; l’equipaggio del piroscafo “Asmara” era composto da marinai militari, selezionati e fidati.

 

Nella nottata del 14, dopo avere imbarcato i 6 incursori, lo Sciré salpò verso l’Egitto; la navigazione, come consuetudine, avvenne tutta in immersione questo per 4 giorni, nella serata del 18 il sommergibile fu in vista della costa egiziana, con cautela si portò ad appena due miglia dal porto di Alessandria posandosi sul fondo a una profondità di circa 15 metri, in attesa della completa oscurità; alle ore 21 il sommergibile emerse per permettere agli assalitori di prendere posto sui rispettivi siluri e scendere in acqua, ebbe così inizio l’impresa. Compiute le operazioni di scarico dei sommozzatori,lo Sciré s’immerse per rientrare a Lero e di là poi verso la base di La Spezia dove vi giunse il 29 dicembre. Per quella missione, al Principe Borghese che era già M.O.V.M. per l’impresa di Gibilterra, venne conferito l’Ordine Militare di Savoia.

Un particolare glorioso sullo Sciré: nell’agosto del 1942, il sottomarino nel compimento della sua quarta missione, venne affondato da un cacciatorpediniere inglese nelle acque palestinesi di Haifa, con esso perirono il comandante Bruno Zelich, che era subentrato a Borghese, 50 uomini di equipaggio più 10 sommozzatori: dopo alcuni anni dalla fine della guerra, lo Sciré fu individuato da una ditta di recupero relitti marini, ma per ragioni inspiegabili non venne portato a galla, ancora oggi esso semidistrutto giace, con il suo carico umano, al largo di Haifa, forse é giusto che quei resti riposino sul fondo, é la legge del mare, che vuole come tomba per un marinaio il mare.

I tre equipaggi ormai in acqua, iniziarono l’avvicinamento agli sbarramenti del porto navigando in gruppo, il primo grosso ostacolo fu l’ostruzione esplosiva che chiudeva l’ingresso al porto, altro ostacolo i motoscafi che perlustravano l’imboccatura, lanciando a brevi intervalli bombe di profondità; i tre capi equipaggio si consultarono sul da farsi, ma improvvisamente la fortuna venne in loro aiuto; in quel preciso momento stavano per entrare in porto tre cacciatorpediniere, i nostri incursori si accodarono subito dietro la loro scia, sfiorando il rischio di essere travolti dal turbinio delle eliche; comunque pur essendo sballottati dal rullio provocato dai cacciatorperdiniere, ormai erano dentro e a quel punto si divisero, ognuno diretto verso il proprio obiettivo; il comandante De La Penne puntò sulla corazzata “Valiant“, il bersaglio di Marceglia era la corazzata “Queen Elizabeth”, mentre per Martellotta avrebbe dovuto attaccare una portaerei ma non trovandola si diresse verso una grossa petroliera.

Seguiamo le singole operazioni: De la Penne e Bianchi, suo secondo, si diressero verso la “Valiant” ma giunti vicinissimi si accorsero, che attorno alla corazzata vi era una rete protettiva, decisero allora di posarsi sul fondo e cercare di alzarla e passarvi sotto, ma quella essendo in ferro era pesantissima, allora De la Penne prese la risoluzione di scavalcarla in superfice, vi era però il pericolo di essere scorti, ma anche questa volta la fortuna arrivò in loro aiuto, passarono sopra la rete e s’immersero nuovamente arrivando fin quasi sotto la chiglia della corazzata, nessuno a bordo si era accorto di quella presenza.

                                                                         Purtroppo da quel momento iniziarono gli inconvenienti: Bianchi che era stato in immersione per circa due ore (quello era il compito del secondo operatore, mentre il pilota, per l’orientamento, navigava con la testa fuori acqua e non usava l’autorespiratore), avendo esaurita l’aria del suo respiratore venne colto da svenimento e riemerse, a contatto con l’aria riprese conoscenza e riuscì ad aggrapparsi ad una boa; anche De la Penne ebbe i suoi problemi, la sua tuta lasciava passare l’acqua e lo infreddoliva, poi non avendo l’aiuto del secondo dovette agire da solo; il siluro in quel momento si trovava a circa 3O metri dalla carena della corazzata, cercò di manovrare i comandi del “maiale“ ma le sue mani intirizzite dal freddo non riuscirono a muovere i comandi, allora decise di spostare il siluro con la spinta di spalla, essendo di taglia atletica riuscì a portarlo sotto la chiglia e nel punto giusto, nonostante che la fanghiglia del fondo rimossa nello spostamento avesse creato un buio pesto; non potendo agganciare la carica agli alettoni di rollio della corazzata, ma sicuro che essa era ad appena pochi metri sotto lo scafo, regolò la spoletta che doveva provocare lo scoppio della carica alle ore 6,15; compiuta quella manovra riemerse, cercò e trovò il suo secondo,sempre aggrappato alla boa, purtroppo vennnero scoperti e catturati. Portati a bordo della Valiant furono interrogati singolarmente e sottoposti anche a pressioni fisiche affinché dicessero ove avevano messo la carica, gli inglesi erano ormai venuti a conoscenza dell’uso dei siluri pilotati, naturalmente sia De la Penne che Bianchi non svelarono nulla, si limitarono a dare:  nome, grado e numero di matricola.

 

Il comandante della corazzata capitano di Vascello Charles Morgan, era furibondo e decise di chiudere i due in un buio locale nel profondo della nave, sperando che si decidessero di svelare la posizione della carica, sapendo di saltare in aria, nel punto della nave in cui erano stati rinchiusi non vi era certamente probabilità di salvezza; quella minaccia fu inutile, solo quando il comandante De la Penne, consultando il suo orologio, si accorse che mancava un ora allo scoppio, chiese di parlare con il comandante Morgan, avvisandolo che la nave alle 6,15 sarebbe saltata in aria, quindi di mettere in salvo il suo equipaggio; Morgan capì che non mentiva e dette subito ordine di abbandonare la nave ma fece riportare De la Penne e Bianchi nel profondo della chiglia ma in locali separati, destinati senza dubbio a morte sicura. In quel momento un deprecabile comportamento di vigliaccheria.

  

L’esplosione avvenne precisamente alle ore 6,15 aprendo uno squarcio nella chiglia di oltre 10 mq.,lo spostamento d’aria provocato dall’esplosione, sdradicò anche le porte di quelle celle ove erano stati rinchiusi i nostri incursori, i quali ne approfittarono per salire sul ponte ancora invaso da marinai che cercavano di mettersi in salvo; De la Penne e Bianchi tentarono di approfittare del caos per evadere ma vennero nuovamente catturati e finirono in un campo di prigionia in India.

 

Frattanto l’altro equipaggio con Marceglia e Schergat aveva raggiunto l’obiettivo: la corazzata “Queen Elizabeth“ anch’essa con la rete di protezione, ma Marceglia ebbe fortuna in quanto trovò una piccola apertura, che permetteva ad una scialuppa della corazzata di uscire per ispezionare esternamente la rete; i due audaci così penetrarono nel recinto e si trovarono subito sotto la carena della corazzata; fu facile per i due applicare la loro carica, agganciandola ai due alettoni di rollio, erano le ore 3,15. Compiuta l’operazione Marceglia e Schergat si diressero a nuoto verso la spiaggetta del macello; appena a terra, si tolsero le tute di gomma che nascosero sotto una vecchia barca, quindi  rimboccarono i colletti e le maniche della divisa di fatica, per nascondere gradi e stellette, poi con tranquillità, come se fossero operai del macello, si avviarono verso l’uscita del porto, ma appena fuori vennero fermati da guardie egiziane, Marceglia che parlava francese, fece capire ai poliziotti che erano marinai francesi, costoro li credettero e li lasciarono proseguire.

 

Nei piani dell’attacco era stato stabilito che qualora qualcuno si fosse salvato, avrebbe dovuto raggiungere la località di “La Rosetta” a pochi chilometri da Alessandria e lì attendere l’arrivo del sommergibile “Zaffiro“, comandato dal capitano di Corvetta Giovanni Lombardi, che si sarebbe trovato al largo della foce del Nilo, cinque giorni dopo l’azione, naturalmente i superstiti avrebbero dovuto procurasi una barca per raggiungere il sommergibile.

Mentre i due sommozzatori si avviavano verso la stazione ferroviaria di Alessandria ove dovevano (secondo le istruzioni ricevute) prendere il treno mattutino per “La Rosetta”, sentirono la prima esplosione. Erano le ore 6; era saltata in aria la petroliera “Sagona“ minata da Martellotta, alle 6,15 ci fu quella della ”Valiant“ e alle 6,25 la “Queen Elizabeth“. Fu un operazione da manuale.

 

Alla stazione di Alessandria incominciarono le difficoltà, direi tragi-comiche di Marceglia e del suo secondo; il treno mattutino era già partito, dovevano aspettare quello del pomeriggio, ancora infreddoliti entrarono in un piccolo bar per bere e mangiare qualcosa, quando si trattò di pagare presentarono un biglietto da 5 sterline inglese, il gestore non lo accettò in quanto la moneta inglese non aveva più corso in Egitto ma fu molto comprensivo e indicò ai due, che si spacciavano sempre per marinai francesi, un cambiavalute clandestino che approfittando del caso offrì per le 5 sterline, appena  380 piastre egiziane.  

Mi domando: Come mai i nostri servizi segreti non erano a conoscenza che in Egitto sin dal 1940 la sterlina inglese non aveva più corso? Altra pecca attribuibile questa al Ministero della Marina, fu quella di non aver dato agli operativi un “contatto fidato e sicuro” che potesse all’occorrenza prestare un aiuto; in Alessandria vivevano molti italiani con grandi sentimenti patriottici, anche se naturalizzati sudditi egiziani o inglesi, infatti in altri analoghi fatti essi aiutarono nostri militari in difficoltà, quali sommozzatori e prigionieri evasi.

                            

Nella attesa di prendere il treno del pomeriggio, Marceglia e Schergat si nascosero nei pressi di un canale, quando fu l’ora di prendere il treno si avviarono alla stazione, salirono in un vagone di terza classe, pieno di povera gente, giungendo a “La Rosetta” verso le 19, cercarono subito un alberghetto per riposare, ma vennero fermati da un gendarme egiziano che li condusse alla stazione di polizia, dove vennero interrogati; Marceglia continuò con la storia di essere marinai francesi, che volevano trascorrere qualche giorno di libera uscita in quella località; non si sa se il poliziotto credette a quanto raccontato da Marceglia, sta di fatto che ricevette 5 sterline e un invito a cena che subito accettò e fu tanto gentile e premuroso che li accompagnò in un modesto alberghetto, dove i nostri poterono finalmente dedicarsi a un meritato sonno.

 

La mattina di buona ora, si avviarono verso il mare sperando di trovare una barca a vela, avendo deciso di non aspettare il sottomarino ma di tentare di prendere il largo e raggiungere l’isola di Creta ormai conquistata dai tedeschi; mentre cercavano il mezzo navale adatto, vennero fermati ancora una volta da altri gendarmi egiziani, portati nella vicina stazione di polizia e perquisiti, saltarono fuori i documenti militari italiani e il riconoscimento dei gradi e stellette che sin dall’inizio della loro avventura avevano cercato di nascondere; ammanettati furono portati ad Alessandria e consegnati agli inglesi; finirono prigionieri in India.

 

Il compito del tarantino Martellotta e del suo secondo il salernitano Marino, anche se il loro obiettivo non aveva l’importanza prestigiosa di una corazzata, era anch’esso pericoloso in quando dovevano, nel buio della notte, addentrarsi molto profondamente nel porto, raggiungere il cosidetto molo del carbone, ove erano alla fonda molte petroliere, tutte cariche di combustibile, scegliere la più grande, collocare la carica e le bombe incendiarie e cercare di uscirne vivi; comunque non ebbero molte difficoltà nello avvicinarsi a una grossa petroliera la “Sagona“, compiuta l’operazione di aggancio dell’ordigno esplosivo sotto la chiglia della petroliera, misero  attorno alle altre petroliere, ve ne erano 12 vicinissime alla “Sagona“, delle bombe incendiarie regolandone l’esplosione e si apprestarono ad allontanarsi, dirigendosi verso lo scalo legnami che doveva essere poco sorvegliato, invece appena messo piede a terra, vennero avvistati da una ronda di polizia egiziana e inglese e catturati, stessa destinazione degli altri due equipaggi: fu la prigionia in India.

 

L’impresa di Martellotta se avesse avuto l’epilogo che si erano prefissi i due sommozzatori, avrebbe causato la distruzione di quasi tutto il porto, in quanto l’esplosione,squarciando la carena della petroliera e proiettando la fuoriuscita del combustibile imbarcato, che invadendo le acque del porto  avrebbe provocato un vastissimo incendio, coinvolgendo tutte le altre petroliere ormeggiate attorno alla “Sagona“.

 

Purtroppo quell’apocalittico incendio non avvenne, perché la petroliera fu squarciata a poppa ove vi era poca nafta, quindi scarsa fuoriuscita,non sufficiente da creare un vasto incendio.

Vorrei raccontare un episodio che si allaccia alla mia domanda sopra esposta, dove chiedevo del perché, durante l’attacco di De la Penne ad Alessandria, i sei sommozzatori non ebbero aiuti da parte di nostri agenti, che operavano in Egitto e ve ne erano molti o dagli italiani ivi residenti !

    

Nel maggio del 1942, il tenente Luigi Feltrinelli, che fece parte, quale riserva, nella missione di De la Penne, fu portato dinanzi ad Alessandria dal sommergibile “Ambra” al comando della M.O.V.M. Mario Arillo, per compiere una missione di sabotaggio con il suo secondo il palombaro Luciano Favale, impresa che in parte riuscì; compiuta l’azione i due raggiunsero una zona prestabilita ove era ad accoglierli un nostro agente dei servizi segreti, il quale li accompagnò in casa di insospettabili italiani, vi rimasero per oltre un mese, ed é anche vero che il Feltrinelli, naturalmente con eleganti vestiti civili, frequentò l’alta società egiziana, conoscendo anche cittadini inglesi; dichiarava di essere un perseguitato fascista e che da anni era lontano dall’Italia; dopo quel mese “l’Intelliggence Service“, dietro segnalazione anonima, individuò il nascondiglio di Feltrinelli e Favale che vennero arrestati.

Nel dopoguerra, alcuni di questi valorosi continuarono la loro carriera in Marina: De la Penne, Birindelli e Faggioni divennero ammiragli; De la Penne intraprese anche la carriera politica e venne eletto per ben 3 Legislature nelle file liberali. Gli altri, appena rientrati dalla prigionia, dettero le dimissioni dalla Marina: come Marceglia, che abbracciò la professione di Ingegnere edile e poi quella navale; Martellotta si stabilì a Genova e aprì diverse stazioni di servizio galleggianti per il rifornimento in mare dei motoscafi; lo Schergat che era nato a Capodistria, non sentendosi di vivere sotto la dittatura iugoslava, si trasferì a Trieste ed ebbe un posto come bidello presso l’Università.

 

Tutti e sei gli assaltatori di Alessandria, vennero decorati di M.O.V.M.; un fatto molto commovente e significativo: nel 1945, nel corso della Cerimonia in onore dei 6 valorosi per la consegna delle Medaglie d’Oro, con la presenza delle più alte cariche militari italiane e straniere e del Principe Umberto, quando giunse il momento di appuntare la medaglia sul petto di De la Penne (compito questo del  Principe Umberto), si fece avanti un ufficiale della marina inglese, chiedendo che gli venisse concesso l’onore di appuntare lui la medaglia, consenso concessogli: era il capitano di Vascello Morgan, comandante delle “Valiant“. ( FOTO N°17 e MAPPA N°14 ove raffiguro il metodo usato per l’aggancio della carica esplosiva sotto la chiglia della nave nemica )                               

 

A questo emblematico ed eroico episodio, vorrei citarne un altro che ha sapore di avventura ma invece fu un’altra pericolosa  missione di guerra, alla quale allora si dette poca importanza tanto da renderla quasi sconosciuta; io causalmente ne sono venuto a conoscenza durante le mie lunghe ricerce per la stesura di questo libro, ma mi è stata anche confermata dallo storico Nino Arena che ebbe la fortuna di intervistare uno dei principali conduttori di quella missione, il maggiore italiano Sebastiano Vimercati, eccone la sua storia: il 21 gennaio del 1942 da un aeroporto di fortuna a un centinaio di chilometri dall’oasi di Hon, sede del nostro comando Sahara libico, partì un aereo tedesco Heinkel 111 da bombardamento, con a bordo il sottotenente Franz Bohnsack pilota, il capitano Theo Blaich, il maggiore italiano Sebastiano  Vimercati conte di Sanseverino, il corrispondente di guerra tedesco Dettmann, unico corrispondente ad essere stato decorato della “Deutsche Kreuz”, il meccanico di bordo maresciallo Geissler e il radiotelegrafista Wichmann, sei audaci che sfidarono l’incognita della missione e il deserto.

Obiettivo di quel volo era Fort Lamy, oggi Djamena (Ciad), mell’Africa centrale francese allora centro di smistamento di rifornimenti all’armata inglese in Egitto; rifornimenti che giungevano in Africa a mezzo convogli marittimi, i quali sbarcavano, come sopra detto, nel porto di Takoradi nel Lagos (oggi Nigeria), materiale da guerra come: aerei, munizioni, viveri e medicinali che poi con aerei e automezzi venivano dirottati a Fort Lamy e da lì smistati in Egitto attraverso il Sudan; quel lungo percorso fu usato per non incorrere a perdite di uomini e mezzi, infatti esso era sicuro in quanto il pericolo di bombardamento della aviazione italo-tedesca non era possibile a quell’epoca data la lontananza dalle loro basi; cosa che invece subivano i convogli inglesi nello attraversare il Mediterraneo

Il comando di quella missione fu affidato al capitano Blaich coordinato dal maggiore Vimercati di Sanseverino il quale era un profondo conoscitore della zona e del deserto; alle ore 14,30, il bombardiere era su Forte Lamy, nessuna reazione da parte francese, certamente non si aspettavano quella incursione, per primo fu colpito l’aeroporto e 12 aerei vennero distrutti, si sviluppò anche un vasto incendio provocato dallo scoppio dei serbatoi di benzina degli aerei colpiti.

Per circa un ora l’aereo volò su Fort Lamy distruggendo quasi tutti i depositi di materiali, é vero che non ci fu alcuna reazione per la sorprea, ma é anche vero che i francesi sentendosi sicuri per la lontananza dal teatro della guerra, non avevano provveduto a una adeguata difesa contraerei.   

Compiuta così felicemente la missione, ebbe inizio il ritorno e qui sorsero i primi contrasti in quanto venne a mancare carburante in misura sufficiente al rientro; causa di questo incidente è da attribuirsi alla presunzione tipicamente tedesca del capitano Blaich che asseriva di conoscere perfettamente la rotta di rientro, quindi sorvolando il fiume Ciad l’aereo doveva virare alla sua seconda curva per avere la giusta rotta; di contro il parere negativo del maggiore Vimercati Sanseverino che era un esperto di voli sul deserto e conosceva bene il Ciad, infatti giustamente fece presente al capitano che virando sulla seconda curva e non sulla prima l’aereo avrebbe percorso un tragitto molto più lungo con grande consumo di carburante. Il capitano Blaich non volle ascoltarlo e ordinò al pilota di seguire le sue indicazioni con il risultato che l’aereo dovette percorrere oltre 500 Km. fuori rotta. Il continuo girare a vuoto esaurì il carburante e l’aereo fu costretto ad un atterraggio di fortuna in pieno deserto; i sei componenti l’equipaggio visto che l’aereo non aveva subito danni si organizzarono alla sopravvivenza. Per 5 giorni tentarono di collegarsi con una stazione radio, col risultato di scaricare la batteria della radio principale di bordo. Per ricaricarla ci volle l’abilità professionale del radiotelegrafista Wichmann che mise in funzione uno dei motori con la poca benzina rimasta e la ricaricò, riuscendo finalmente, dopo molti tentativi, a contattare una radio militare italiana di un reparto che avanzava su Bengasi. In loro soccorso venne prima inviato un Ca.309 Ghibli, il giorno dopo atterrò un SM 81 con carburante, acqua e viveri che consentirono il rientro dell’He.111 non a Hon ma a Tripoli.

 

Pare che quella missione che doveva essere segreta, stava invece per essere svelata al servizio segreto inglese; infatti un meteorologo della Luftwaffe, mandato a Hon per consigliare il capitano Blaich circa le condizioni atmosferiche della zona che dovevano sorvolare, era in effetti un agente segreto inglese infiltrato nei ranghi dell’aviazione tedesca; per un puro e fortuito caso, non previsto dalla spia, venne scoperto da un capitano italiano mentre stava tentando di segnalare, via radio, la missione al servizio segreto inglese: arrestato fu immediatamente fucilato. ( 15 )

 

LA “CRUSADER” SI ESAURISCE

 

Il 7 gennaio 1942, le forze italo-tedesche dopo l’evacuazione di Agedabia, si erano concentrate: da Marsa el Brega-El Agheila-Maaten Giofer, sino a Sud di Marada, in un arco di 200 kilometri. Lo schieramento difensivo venne ad essere così disposto: a Marsa el Brega a difesa della via Balbia, la divisione Sabratha; scendendo verso Sud, avevano preso posizione le divisioni: Trento, Pavia, il C.A.M. e ancora la Brescia e la Bologna a Maaten Giofer, da quest’ultima posizione sino a Marada era concentrata parte della 90^divisione leggera tedesca. Dietro questa prima massa d’urto, vennero schierate, come unità mobili: la 15^e 21^panzerdivision, il rimanente della 90^divisione e le divisioni Ariete e Trieste

A fronteggiare questo schieramento vi era la XXII brigata Guardie e una aliquota della 7^divisione corazzata, certamente una forza esigua, mentre il grosso dell’8^Armata si trovava disseminato a Sud di Bengasi e tra Tobruch-El Mechili; ma a metà gennaio, la 7^divisione venne ritirata per un periodo di riposo e sostituita con la 1^divisione inglese, appena giunta dall’Inghilterra e con nessuna esperienza di guerra nel deserto, per giunta solo una parte di essa fu mandata nella zona di Marsa el Brega.

 

Dal 12 al 21 gennaio su quel fronte, vi fu un periodo di tranquillità anche se apparente, Rommel ne approfittò per riorganizzarsi, avendo ricevuto nel frattempo rinforzi; il giorno 5 era arrivato a Tripoli, sano e salvo, un convoglio composto da 9 navi mercantili, cariche di munizioni, viveri, carburante, con 54 carri armati Mark IV e 19 autoblindo.

 

Nel campo avversario il generale Auchinleck si trovava in difficoltà, i sommergibili italiani e tedeschi infliggevano fra Atlantico e Mediterraneo occidentale gravi perdite ai convogli che tentavano portare aiuti in Egitto attraverso il Mediterraneo o la circumnavigazione dell’Africa; la marina inglese, dopo la batosta inflitta dai nostri sommozzatori ad Alessandria, non era in grado di intervenire con azioni di bombardamento sulla costa; l’aviazione che tanto aveva dato durante l’inizio dell’offensiva si trovava in difficoltà operativa e di organici, in quanto quella italo-tedesca, aveva ottenuto in quel momento il dominio dell’aria; il sistema logistico dava serie preoccupazioni per le enormi distanze circa l’approvvigionamento alle truppe operanti, anche perché il porto più vicino al fronte era quello di Bengasi, ma non poté essere utilizzato per le distruzioni che i genieri italiani e tedeschi avevano causato, restava quello di Tobruch ove le navi inglesi potevano attraccare con sicurezza e scaricare i rifornimenti, ma essendo troppo distante dal fronte, richiedeva alle colonne di automezzi, che portavano i rifornimenti, molti giorni di viaggio. Vi era anche la necessità di creare in zone vicine al fronte, centri di depositi munizioni, carburanti e viveri; inoltre sia il XIII Corpo d’armata che il XXX erano alquanto malconci e ad effettivi ridotti, quindi avevano bisogno di una radicale riorganizzazione; il generale Auchinleck, sollecitato da Londra a proseguire l’avanzata su Tripoli e portare a termine il piano “Acrobat“ (così era stata chiamata in codice l’occupazione della Tripolitania), si rifiutò adducendo tutti gli inconvenienti dei quali era gravato, egli sosteneva che non poteva muoversi se non per la fine di febbraio.

 

L’ASSE  ALL’OFFENSIVA

 

Rommel, visto che il generale Auchinlek non dava segni di volere proseguire l’avanzata, certamente convinto che l’armata inglese si trovasse in difficoltà, approfittò della situazione e il 21 gennaio 1942, dette ordine alle truppe italo-tedesche di iniziare l’offensiva ( MAPPA N°15 ), nonostante il parere contrario del generale Cavallero, capo di Stato Maggiore Generale e dello stesso feldmaresciallo Kesselring che erano arrivati in Libia proprio per distogliere Rommel a non effettuare alcuna offensiva, ma tenere le posizioni di Marsa el Brega, in attesa di grossi rinforzi che dovevano arrivare quanto prima a Tripoli; Rommel come suo solito, non tenne conto di quell’ordine superiore e dette inizio all’attacco che fu travolgente, le scarse forze che lo fronteggiavano vennero quasi subito annientate. Il giorno 23 Agedabia fu riconquistata, il 27 fu la volta di Msus dove l’armata dell’Asse venne divisa: una parte si diresse su Bengasi, l’altra puntò su El Mechili, per evitare un possibile contrattacco dal Sud; il 29 Bengasi fu riconquistata, il 3 febbraio anche Derna venne ripresa; la 4^divisione indiana, la 1^divisione inglese, la XXII brigata Guardie e il resto del XIII Corpo d’armata, ripiegarono velocemente su Ain el Gazala-Bir Hacheim, dove Il generale Ritchie, comandante in quel momento dell’8^Armata intendeva organizzare una resistenza e affrontare Rommel in una battaglia decisiva.

 

Quella precipitosa ritirata e la perdita di Bengasi ebbero ripercursioni sfavorevoli tra il Primo ministro Churchill e il generale Auchinleck, vi furono scambi di lettere e giustificazioni da parte di Auchinleck, che per quella ritirata accusava la poca esperienza di guerra della 1^divisione e la superiorità dei carri armati di Rommel. ( 16 )

Strana coincidenza, anche il generale Wavell quando subì la 1°offensiva di Rommel, volle giustificare la sua precipitosa ritirata, con le stesse argomentazioni di Auchinlek.

 

Nel frattempo l’armata italo-tedesca aveva raggiunto le posizioni inglesi di Ain el Gazala attestandosi in attesa del proseguimento dell’avanzata; anche se le divergenze tra il Comando superiore italiano e Rommel avevano preso una cattiva piega, in quanto Bastico tolse dal controllo dell’Afrika Korps il XXI Corpo d’armata, in effetti 4 divisioni di fanteria (Pavia, Trento, Brescia, Bologna) che dovevano operare da quel momento sotto gli ordini diretti del Comando superiore A.S. di Bastico. Rommel minacciò le dimissioni qualora i comandanti delle divisioni italiane non avessero invece seguito la sua condotta di guerra; si giunse ad un compromesso, le divisioni di fanteria italiane sarebbero state impiegate secondo le disposizioni di Rommel ma soltanto dopo il consenso del generale Bastico, in compenso passavano sotto il controllo ACIT, l’Afrika Korps, il

Corpo d’armata di Manovra con le divisioni Ariete, Trieste e la Sabratha.

 

Gli inglesi avevano creato una linea difensiva di circa 200 Km.; i primi 65 che andavano dalla costa di Ain el Gazala e scendendo a Sud arrivavano sino a Bir Hacheim, dovevano garantire la sicurezza esterna di Tobruch, completandola con muniti capisaldi protetti da estesi campi minati, tutto questo primo tratto venne affidato al XIII Corpo d’armata, comandato dal generale W.H.E. Gott, che aveva sostituito il generale Godwin Auster; a tenere la difesa di quella linea a Bir Hacheim, vi erano oltre 4.000 soldati francesi, in gran parte appartenenti alla Legione Straniera e alla 1^brigata “Francia libera“ e un battaglione di volontari ebrei, tutti al comando del generale Koenig, un veterano soldato che aveva partecipato in Francia e Norvegia alle sfortunate battaglie di Dunkerque e Narvick. Dopo la resa dello esercito tedesco in Europa, ebbe nel 1945 il Comando del settore francese nella Germania occupata.

A difesa del perimetro attorno a Tobruch erano la 2^divisione di fanteria sudafricana e la IX brigata corazzata indiana, attestate a El Adem e Acroma.

 

Al XXX corpo, sempre al comando del generale Norrie, era stato dato il compito, con la 1^e 7^divisioni corazzate e la XXIX Brigata indiana, di difendere la linea che da Ain el Gazala, Tobruch e Bir Hacheim andava a Bir el Gobi sino a Ridotta Capuzzo, venendo cosi a formare, da Ain el Gazala sino a Ridotta Capuzzo, un ampio semicerchio difensivo si 200  chilometri. La parte più forte dello schieramento inglese era il primo tratto, che andava da Ain el Gazala a Bir Hacheim; infatti in quel settore era stato spostato il grosso delle truppe inglesi, indebolendo quello meridionale, in quanto il generale Auchinleck era certo che Rommel avrebbe attaccato proprio su quel tratto di fronte, scartando l’ipotesi che il generale tedesco, concentrasse la sua offensiva oltre Bir Hacheim, invece fu da lì che le panzerdivision con l’appoggio delle divisioni Ariete e Trieste, penetrarono velocemente aggirando lo schieramento inglese.

 

Dopo che l’armata italo-tedesca con unità mobili e fanteria si era attestata  dinanzi alle posizioni inglesi di Ain el Gazala, per oltre tre mesi tutto il fronte rimase quasi inattivo poi, improvvisamente, il 26 maggio Rommel scagliò l’offensiva in quella zona con una massiccia preparazione di artiglieria che per una intera giornata sottopose le postazioni avversarie a un continuo cannoneggiamento; appena questo venne a cessare, fece seguito l’assalto delle divisioni di fanteria: Pavia, Bologna, Brescia e Trento con l’appoggio di alcuni reparti della 90^divisione leggera e carri armati, dando l’impressione al nemico che il vero attacco risolutivo era in quel punto, Auchinleck ci credette e l’astuzia di Rommel ebbe successo. Nella nottata di quel giorno, la 21^panzerdivision con la 15^,il grosso della 90^divisione e le divisioni italiane Ariete e Trieste iniziarono la penetrazione a Sud di Bir Hacheim, avanzando in pieno deserto e trovando poca resistenza; solo il giorno dopo per Rommel si profilò il pericolo della reazione delle forze corazzate inglesi del XXX C.A., che si erano nuovamente spostate velocemente in quel settore; la 90^ che aveva come obiettivo l’occupazione di El Adem, nel risalire al Nord si scontrò, prima con la III brigata indiana che riusci ad eliminare, ma subito dopo ebbe di contro la 1^divisione corazzata e fu una battaglia cruenta, combattuta soprattutto tra carri armati; i tedeschi in un primo momento ebbero la peggio per la supremazia dei carri nemici, in quanto gli inglesi avevano ricevuto, come aiuti dagli americani, i carri “Grant“, armati con un  cannone da 75 mm. che riusciva a volte a perforare la corazza dei Mark IV tedeschi, comunque nonostante quella superiorità, la 90^divisione, pur avendo avuto la distruzione di molti carrì, costrinse la 1^divisione a ripiegare verso Tobruch.

 

A Nord sul fronte di Ain el Gazala, le quattro divisioni italiane non erano riuscite a sfondare verso Tobruch poichè si erano trovati dinnanzi una gran massa di carri armati e, nonostante l’impegno e il valore, dovettero desistere dallo avanzare; ma gli scontri continuarono pur mantenendosi ognuno sulle proprie posizioni; nel corso della battaglia di Ain el Gazala, rimase seriamente ferito il generale Gause, che era capo di Stato Maggiore del comando generale tedesco. Frattanto Rommel che ormai era giunto alle spalle degli inglesi, venne a trovarsi nella precaria situazione di avanzare verso Tobruch minacciando la piazzaforte da altra direzione o ripiegare sulle posizioni di partenza. In ambedue i casi vi era il problema di fronteggiare la concentrazione nemica di Bir Hacheim, in quanto se avanzava se la sarebbe trovata alle spalle, mentre in un ripiegamento l’avrebbe avuta di fronte, con l’aggiunta di avere alle spalle il resto dell’armata inglese; Rommel decise quindi di eliminare Bir Hacheim e poi attaccare Tobruch.

 

Da segnalare altra grave perdita negli alti comandi dell’Afrika Korps: il 29 maggio il generale Cruewell, comandante del D.A.K., che si era alzato in volo con il suo aereo “Cicogna“ per ispezionare la linea tenuta dalle divisioni italiane in Ain el Gazala, per un errore di rotta, pur volando a bassa quota, invece di sorvolare le posizioni italiane, volò su quelle inglesi, di conseguenza l’aereo venne facilmente abbattuto, ma per un caso fortuito nell’impatto con il terreno in quel punto sabbioso il Fiescler non si disintegrò, il generale che era rimasto fortunatamente illeso, riusci ad uscire dall’abitacolo cercando di allontanarsi ma venne subito dopo catturato.

 

Il 28 mattina la guarnigione francese di Bir Hacheim si vide venire addosso la divisione Ariete e mezzi corazzati tedeschi, ma molti di questi finirono sui campi minati; solo per il provvidenziale intervento dei genieri italiani e tedeschi, che sminando il terreno e aprendo passaggi sicuri per i carri armati non si ebbero gravi perdite, così che altri carri armati e la fanteria riuscirono ad arrivare fin sotto le postazioni nemiche e la battaglia poté proseguire; purtroppo la tenace resistenza dei francesi costrinse momentaneamente l’Ariete e i tedeschi a ritirarsi.

Per qualche giorno vi fu una certa calma nello schieramento italo-tedesco, lasciando all’aviazione d’assalto l’opera distruttiva, che assolse con  Stukas e CR.42 c.b. bombardando senza tregua le postazioni francesi; il 2 giugno Rommel dette inizio a un secondo attacco coinvolgendo anche la divisione Trieste, ma anche questo non ebbe migliore fortuna del primo, vi furono combattimenti ravvicinati all’arma bianca, ma la reazione nemica costrinse i nostri a ritirarsi.  

Rommel decise allora di giocare la carta della resa, mandò un messaggio al generale Koenig comunicandogli che ormai erano circondati e che avrebbe sferrato un attacco senza scampo per i francesi, quindi consigliava la resa con l’onore delle armi onde evitare altro spargimento di sangue; il comandante francese declinò l’offerta di resa e si preparò a sostenere l’urto risolutivo che si prolunguò per alcuni giorni poiché la resistenza francese si protrasse sino al 11 giugno, poi avvenne la resa, ma nella nottata dell’11, gran parte della guarnigione, circa 2.700 uomini, riuscì a sottrarsi alla cattura, passando facilmente attraverso le linee tedesche che non si aspettavano quella sortita; tra i fuggitivi anche soldati inglesi, mentre dei 500 prigionieri catturati, oltre a truppe francesi della Legione Straniera vi erano soldati indiani e legionari disertori italiani che si erano volontariamente arresi.( 17 )

 

Eliminato l’ostacolo di Bir Hacheim con la quasi distruzione della 1°brigata francese e parte della 50^ divisione “Northumbrian“, da poco rientrata da Cipro e che era accorsa in aiuto dei francesi, nei giorni 12 e 13 giugno le divisioni italiane (Ariete e Trieste) e quelle tedesche (15^-21^ e 90^) avanzarono a ventaglio su tre direzioni: la 21^ puntò su El Adem conquistandola, così le truppe che difendevano la linea di Ain el Gazala, vennero prese alle spalle; mentre il resto dell’armata di Rommel, si diresse parte verso Ridotta Capuzzo, l’altra su Tobruch.

 

Presi alle spalle e attaccati anche nella zona di Bir Hacheim, alle forze corazzate e di fanteria franco-inglesi non restò che la fuga; una gran parte di esse cercò rifugio entro la cinta di Tobruch, gli altri ripiegarono attraverso le piste desertiche verso il confine. Quella precipitosa ritirata salvò Ritchie dalla distruzione completa della 8^Armata, i suoi carri armati erano andati perduti al 50% e quel che rimaneva mancava ormai di coesione.

 

Anche nell’armata di Rommel la situazione, sia di mezzi che del morale dei soldati non era rosea; il carburante scarseggiava, gli uomini erano stanchi e necessitavano di riposo dopo oltre un anno di quasi ininterrotti combattimenti, la penuria di acqua, di cibo e la dissenteria ne avevano fiaccato il fisico; ma l’ambizione di Rommel di conquistare Tobruch non dette loro tregua, ordinò di completare l’accerchiamento della piazzaforte che era difesa: da 4 battaglioni di fanteria Gurkhas, una brigata corazzata, due brigate (IV e VI) della 1^divisione sudafricana, la XI brigata di fanteria indiana, il 18°battaglione indiano, il 7°battaglione autoblindo sudafricano, una brigata Guardie,la XXXII brigata carri di fanteria ( Mathilda ), il 2° e 3°reggimento artiglieria da campagna sudafricano, il 25°reggimento artiglieria, il 67°e 68°reggimento artiglieria media, in tutto 35.000 uomini, di cui 25.000 combattenti e 10.000 addetti ai servizi di sussistenza, sanitari e amministrativi, una non indifferente forza, posta agli ordini del generale Klopper che aveva accentrato il suo Quartiere Generale nel forte Solaro. (18)

 

Il giorno 19 giugno, la 90^divisione del D.A.K. occupò Bardia ma non proseguì oltre anche se ne aveva avuto la possibilià, in quanto gli inglesi ormai non erano più nelle condizioni di contrattaccare e Rommel non voleva ripetere l’errore dell’anno prima, quando continuò l’avanzata lasciandosi dietro Tobruch ancora tenuta dagli inglesi.

Già dal giorno 19 la piazzaforte di Tobruch ( MAPPA N°16 ), come sopra detto, era ormai circondata, isolata e sottoposta a incessanti bombardamenti degli Stukas e dei caccia bombardieri italiani; il 20, dopo una intensa preparazione di artiglieria, ebbe inizio l’attacco compiuto dalle divisioni Ariete e Trieste, con la 21^e 15^panzerdivision, che irruppero a Sud-Est del perimetro, preceduti dal 31°battaglione guastatori italiano del ten.colonnello Caccia Dominioni,che aveva il compito di eliminare i campi minati e creare, con passerelle di acciaio poste sui fossati anticarro, facili passaggi di nostri carri armati; quello attacco fu fatto nella zona tenuta dalla XI brigata di fanteria indiana, mentre il XXI Corpo d’armata italiano, con le divisioni Brescia, Pavia, Bologna e Trento attaccava da Sud-Ovest. La battaglia di Tobruch si concluse rapidamente nel giro di due giorni, poichè tutti i capisaldi vennero polverizzati. La mattina del 21, precisamente alle ore 8,30, il generale inglese Klopper, che era stato il comandante della 2^divisione sudafricana chiese la resa; furono catturati oltre 33.000 uomini fra cui 6 generali, abbondanti armi con relativo munizionamento, una quantità enorme di viveri, circa 5.000 tonnellate, ma i bottini più importante furono 10.000 tonnellate di carburante e 2.000 automezzi ancora efficenti; quel materiale catturato fu una provvidenza per le truppe dell’Asse che con esso si rifornirono per circa tre mesi; però ne trassero maggiore vantaggio i tedeschi che impadronendosi subito del bottino, nella distribuzione con gli italiani fecero man bassa con la parte del leone.

Nella notte del 21, un piccolo reparto composto da inglesi, indiani, sudafricani riuscì a oltrepassare le linee tedesche e raggiungere il confine, erano 199 uomini tra ufficiali e soldati della brigata Guardie; si ripeté in tal modo, la fuga notturna dei francesi dopo la caduta di Bir Hacheim.

 

Nella battaglia per la conquista di Tobruch, Rommel escogitò una particolare e originale tattica, munì ogni carro armato di speciali razzi fumogeni, che nel corso della battaglia venivano accesi per segnalare ai piloti dei bombardieri Stukas, la punta più avanzata tedesca, così che essi potevano sganciare le loro micidiali bombe sulle posizioni inglesi, anche se i carri tedeschi si trovavano ad appena un centinaio di metri da essi, con questa nuova tattica si era sicuri di colpire con precisione il nemico e non i propri commilitoni,come purtroppo era già successo in altre azioni di guerra.

La perdita di Tobruch scosse terribilmente Winston Churchill e tutto il Parlamento inglese, oltre naturalmente tutti i comandi dell’8^Armata; in Inghilterra l’opposizione presentò una mozione di sfiducia contro il Governo, ma Churchill riuscì ad avere la meglio; pur rendendo omaggio ai soldati di Tobruch, criticò apertamente l’operato dell’8^Armata, asserendo che il comandante Ritchie non era stato all’altezza della situazione, domandandosi se egli possedesse una conoscenza approfondita della strategia e tattica di una guerra motorizzata moderna.

Oggi é stato assodato che il generale Ritchie non condusse al meglio le sue battaglie, anche per avere sempre spezzettato le sue unità, invece di concentrarle unite in una battaglia difensiva che poteva considerarsi conclusiva; alcuni storici inglesi sostengono che il generale Ritchie in campo militare fosse una nullità, che dirigeva le operazioni di guerra dal suo comando distante dal fronte oltre 100 chilometri, eppure detto generale tenne il comando dell’8^Armata per ben sette mesi, fu il più lungo fra tutti i generali che si susseguirono in quel comando.  

Visto il successo della presa di Tobruch, Hitler e Mussolini, dietro insistenze di Rommel, lo autorizzarono a  proseguire l’avanzata in Egitto, annullando la famosa operazione della conquista di Malta (C.3), che era stata preparata con estrema cura dalla nostra marina e dalla aviazione tedesca, tanto da renderne possibile l’occupazione; quell’ordine di avanzare venne dato in quanto Rommel aveva assicurato ai comandi dell’Asse quanto prima la completa conquista dell’Egitto e di tutto il Medio Oriente. Purtroppo oggi dobbiamo constatare che quello fu un madornale errore di presunzione da addebitare, non solo al comandante dell’armata italo-tedesca, ma a quanti sia a Roma che a Berlino, tenevano le leve del comando. Ancora oggi bisogna dare ragione ai nostri generali Cavallero e Bastico e al Feldmaresciallo Kesselring, che avevano sempre sostenuto di fermarsi sul confine, consolidarsi, attuare il progetto C.3 che frattanto era stato ancora perfezionato assumendo la sigla di “Operazione Hercules“ e poi riprendere l’avanzata verso l’Egitto.

Questo errore é stato anche citato nel libro del generale Siegfrid Westphal, che fu capo ufficio operazioni del DAK ( 19 )

Nota curiosa : nel marzo-aprile 1942, a seguito di segretissime conferenze tenute a Berlino e Roma, Hitler e Mussolini in accordo, avevano convenuto che Malta doveva essere eliminata, in quanto era un pericolo per i convogli che portavano i rifornimenti in Libia, mentre a Rommel venne ordinato che la conclusione della sua avanzata doveva fermarsi sul confine egiziano.

Pochi mesi dopo tutto fu  rivisto e cambiato. Per il successo riportato con la conquista di Tobruch, Hitler volle premiare Rommel nominandolo feldmaresciallo.

Da parte italiana, il Re d’Italia, Vittorio Emanuele III, gli concesse l’Ordine  Militare di Savoia, inoltre ebbe la M.A.V.M. che in Cirenaica gli venne consegnata ed appuntata dal Generale Bastico.

Per controbilanciare la maggiore autorità di Rommel, vennero nominati Marescialli d’Italia i generali Ettore Bastico e Ugo Cavallero. ( FOTO N°16 )                                                                                                                                      

 

Il giorno 23 giugno Rommel attraversò il confine egiziano con il grosso dell’ACIT, il 25 occupò Sidi el Barrani, avanzando poi verso il campo trincerato di Marsa Matruch, convinto che il generale Auchinleck intendeva opporre resistenza in quella zona; invece sin dal 1940 gli inglesi avevano predisposto una linea fortificata difensiva ad El Alamein.

Frattanto Auchinleck che si era recato a Marsa Matruch per constatare di persona la situazione, accorgendosi del caos che si era determinato nelle file dell’8^Armata, destituisce il generale Ritchie dal quel comando, assumendone egli stesso la direzione strategica-operativa .

Il primo compito del generale Auchinleck, vista l’impossibilità di bloccare Rommel a Marsa Matruch, fu quello di ordinare il ripiegamento sulle difese di El Alamein, lasciando in loco solo il X Corpo d’armata che era stato da poco costituito con la 10^divisione indiana e la 50^divisione Northumbrian di fanteria inglese (ricostituita dopo la battaglia di Bir Hacheim), detto Corpo d’armata venne posto al comando del Generale Holmers che predispose entro la cerchia di Marsa Matruch, la 10^ e 50^Divisione. Oltre Marsa Matruch verso El Alamein quella difesa esterna, venne affidata alla XXIX brigata di fanteria indiana del XXX C.A. e alla 2^divisione neozelandese del generale Freyberg che faceva parte del XIII C.A.; più a Sud, a copertura di tutto lo schieramento, vigilavano la 1^divisione neozelandese, che il 21 giugno era giunta in Egitto proveniente dalla Siria e la 7^divisione corazzata del XXX C.A.; il compito di queste forze era quello di ritardare il più possibile l’avanzata italo-tedesca, per dare la possibilità al generale Auchinleck di rafforzare le difese di El Alamein.

 

Quella manovra di ripiegamento, venne duramente contrastata dal Primo Ministro Churchill, il quale voleva che l’8^Armata facesse blocco sul confine con una resistenza ad oltranza, in attesa degli ingenti rinforzi di materiale USA che stavano giungendo in Egitto; Auchinleck invece non ne tenne conto e proseguì nel suo piano: attuare la massima resistenza ad El Alamein.

 

Rommel convinto ancora di trovarsi contro tutta l’8^Armata, iniziò il giorno 27 l’attacco alla cittadella di Marsa Matruch ( consultare MAPPA N°17 ) con un azione di aggiramento partendo  dalla costa a Ovest con il XX e X Corpo d’armata italiani, poi da Sud ad Est, sempre attorno alla cerchia difensiva inglese, con la 90^divisione leggera tedesca, la divisione corazzata Littorio e la 21^panzerdivision che completavano l’accerchiamento, mentre la 15^panzerdivision con le divisioni Ariete e Trieste, le quali in quel momento facevano parte del XX Corpo d’armata, attaccarono le posizioni della 2^divisione neozelandese di Freyberg, che in quella battaglia rimase seriamente ferito. Per due giorni si svolsero duri combattimenti, coinvolgendo anche la 1^divisione neozelandese e 7^divisione corazzata, con alterne vicende di perdita e riconquista di posizioni, ma nella serata del 28, la divisione neozelandese, i resti del X C.A. e quanti altri reparti isolati o a gruppi riuscirono a rompere l’accerchiamento e ripiegarono sulle posizioni fortificate di El Alamein; il 29 truppe del XX C.A. italiano, precisamente il reggimento bersaglieri della divisione Littorio, entrarono per primi a Marsa Matruch. Purtroppo nel corso delle battaglie per la conquista di quel campo trincerato, caddero combattendo alla testa delle loro truppe, il generale Ettore Baldassarre comandante il XX C.A.,il generale Piacenza comandante l’artiglieria e il colonnello Raffaelli comandante del genio del XX Corpo d’armata.

 

Eliminata la resistenza di Marsa Matruch, il 30 giugno Rommel arrivò a Sidi Abd Rahman a 11 Km. dalle posizioni di El Alamein e si attestò dinanzi alle difese inglesi tenute dai resti dell’8^Armata nella zona di Deir el Shein, disponendo al suo primo schieramento, una disposizione tattica che nel corso delle due successive battaglie di El Alamein, verrà modificata.

I tre Corpi d’armata inglesi, il X, XXX, XIII, reduci dalle battaglie dentro e attorno a Marsa Matruch, benché ridotti per le perdite subite, soprattutto nei mezzi corazzati, si dimostrarono ancora moralmente forti e baldanzosi, anche se Rommel riteneva che fossero ormai una facile preda; ma l’armata italo-tedesca non andava meglio, le due divisioni corazzate tedesche la 15^ e la 21^ avevano anch’esse i quadri ormai molto ridotti, Rommel insistentemente aveva chiesto a Berlino l’invio di almeno 10.000-12.000 uomini per colmare i vuoti causati dalle dure battaglie che aveva sostenuto; lo stesso problema lo avevano le divisioni italiane,l’Ariete era rimasta con pochissimi carri armati, le truppe di fanteria erano mal ridotte, da quasi due anni combattevano e marciavano appiedate, erano state distrutte e ricostituite ma sempre con il recupero di personale del posto; i fanti delle divisioni Brescia, Pavia, Trento, Bologna e Sabratha avevano assolto con onore e forte combattività le loro impari battaglie, senza la speranza di avvicendamenti o riposi, sempre con il solito rancio di gallette e carne scatolata, poca l’acqua, lottando non solo contro il nemico ma anche contro la dissenteria che creò enormi vuoti tra le sue file, caso limite: la divisione Sabratha era ridotta ad appena due battaglioni, più due compagnie mortai da 81 mm. e due compagnie cannoni da 47/32, senza artiglieria pesante e senza automezzi al punto che venne disciolta.

Due note storiche: il 29 giugno giungeva in Libia Benito Mussolini, sicuro di entrare trionfalmente al Cairo così come gli era stato garantito da Rommel e Cavallero; rimase in Cirenaica per oltre un mese poi con sua grande delusione rientrò a Roma.

 

Il 26 giugno il maresciallo d’Italia Ugo Cavallero e il feldmaresciallo Albert Kesselring erano giunti a Sidi Barrani per una visita di controllo e valutazione della situazione militare e per un colloquio con Rommel circa la conduzione delle operazioni ad El Alamein; in quella occasione Rommel espresse il dubbio che se non gli fossero arrivati in tempo rinforzi e carburante, considerava perduta ogni battaglia e anche la Cirenaica; gli venne assicurato l’invio di due divisioni, di un reggimento rinforzato di paracadutisti tedeschi (tratti dalla operazione Hercules ormai abbandonata) e il rifornimento per via aerea di carburante da consentirgli una autonomia minima di 500 Km.

 

Le due divisioni arrivarono nei mesi di luglio ed erano: la 164^divisione leggera tedesca, che era stata ritirata da Creta, la divisione Folgore e la brigata paracadutisti Ramcke, dal nome del suo comandante; in quanto al carburante, poco arrivò in Libia, l’aviazione nemica (RAF) e i sommergibili inglesi  continuavano a fare strage dei nostri convogli.

Le due divisioni e il reggimento Ramcke (poi brigata), giunsero in Africa settentrionale per via aerea, senza artiglieria e automezzi, solo con armi individuali e di accompagnamento, quindi quando presero posizione dovettero arrangiarsi, prendendo in prestito da altre divisioni quanto loro mancava; i nostri paracadutisti seppero subito attrezzarsi: non avevano le cucine da campo e marmitte, ebbene utilizzarono i bidoni di benzina che erano facilmente recuperabili, mancavano di automezzi, utilizzarono quelli abbandonati, sia inglesi che italiani che subito ripararono, per l’artiglieria pesante ebbero l’appoggio della Ariete, che venne schierata alle spalle dei settori tenuti dalla Folgore a Deir el Munassib e  Deir Alinda; in seguito i paracadutisti si rifornirono dagli inglesi, sia come artiglieria che automezzi e anche per viveri e generi di conforto; ad ogni sortita notturna delle pattuglie di paracadutisti, quando rientravano avevano sempre un bottino e spesso anche  prigionieri.

 

Devo segnalare che la divisione Littorio giunta in Libia  agli inizi del giugno 1942 al comando del generale Gervasio Bitossi, come tutte le divisioni che venivano mandate in Africa settentrionale, non arrivò completa sia negli organici che nei mezzi, senza i suoi gruppi di artiglieria, quasi senza carri armati e con pochi automezzi, fu prima inviata a Homs per riorganizzarsi, in attesa dell’arrivo dei suoi complementi, ciò avvenne a metà del mese di giugno 1942, raggiunto l’organico e i mezzi, fu inviata a Tobruch a copertura dei fianchi delle divisioni dell’Asse che dovevano attaccare la piazzaforte, passò infine alle dipendenze del XX Corpo d’armata del generale Ettore Baldassarre, partecipando alla conquista di Marsa Matruch, la ritroveremo nella battaglia di El Alamein, dove risentì del problema logistico, causa la scarsezza di automezzi.

 

Espongo qui di seguito il bilancio dei prigionieri catturati dallo esercito italo-tedesco nel periodo compreso dal 26 maggio, quando Rommel scatenò l’offensiva a Bir Hacheim, al 30 luglio 1942 a conclusione della 1^battaglia di El Alamein: furono complessivamente 60.000 tra inglesi, australiani, indiani, neozelandesi, maori, sudafricani, greci, francesi e polacchi; secondo fonti inglesi il numero dei loro soldati catturati fu solo di 50.000.

 

Da parte tedesca nello stesso periodo si ebbero queste perdite: 2.300 caduti, tra questi anche un generale, 7.500 feriti e 2.700 prigionieri; le perdite nello esercito italiano furono di 1.000 morti, di cui due generali, 10.000 feriti e 5.000 prigionieri. La distruzione di mezzi meccanizzati fu molto elevata da ambo i fronti.

 

Una nota curiosa e quasi  incredibile: l’80% degli automezzi che l’armata italo-tedesca aveva in forza ad El Alamein erano di marca inglese e americana, prede di guerra; altro particolare per mesi i soldati italiani e tedeschi si nutrirono con i viveri trovati intatti nei centri di rifornimento inglesi a Tobruch, Sollum e Marsa Matruch, anche di vestiario inglese ne fecero grande uso.

 

Comunque quella rapida avanzata di Rommel sino ad El Alamein, creò un vero panico ad Alessandria e al Cairo; documenti importanti e personale qualificato di queste due città, vennero mandati in Palestina, la flotta navale abbandonò Alessandria e si trasferì nelle basi di Haifa e Porto Said, i genieri prepararono i mezzi predisposti per allagare la zona del Delta attorno ad Alessandria; esultarono invece i nazionalisti egiziani, capeggiati dal generale Naghib e da giovani ufficiali quali Saddad e Nasser che simpatizzavano per il nazismo tedesco, nel dopoguerra ebbero grande notorietà e divennero capi di Governo.

NOTE DEL 3° CAPITOLO 

                    

 N°1  – Mario Montanari – Le operazioni in Africa Settentrionale –Vol.1°

 

 N°2  – W. Churchill – La 2^ Guerra mondiale – Vol.2°-Parte II

 

 N°3  – Mario Montanari – Le operazioni in Africa Settentrionale –Vol.1°

 

 N°4  – W. Churchill – La 2^ Guerra mondiale – Vol.1°

 

 N°5  – Claudio G. Segrè – Italo Balbo fascist life –pag.264

 

 N°6  – Rodolfo Graziani – una vita per l’Italia – Mursia Editore

 

 N°7  – Mario Montanari – Le operazioni in A.S.- Vol.1°- pag.202

 

 N°8  – Mario Montanari – Le operazioni in A.S. – Vol.1° -pag.264

 

 N°9  - Da una testimonianza del capitano Giovanni D’Avossa, allora

        Comandante il 1°Gruppo del 45°reggimento artiglieria della

        Divisione Cirene.

 

 N°10 – Jean Noel Vincent –Les forces francaises dan le lutte contre            

        l’Axe in Afrique- Servizio storico dello Esercito        

        francese- Edit. Vincennes 1983                     

 

 N°11 – W. Churchill – La 2^Guerra mondiale – Vol. 1° -Parte III

 

 N°12 – Erwin Rommel – Guerra senza odio – Editore Garzanti

 

 N°13 – W. Churchill – La 2^ Guerra mondiale – Vol. 2° - Parte II

 

 N°14 – Il reticolato delineava il confine italo-egiziano ed era stato

        predisposto dal generale Graziani già nel 1931, per impedire il

        passaggio dall’Egitto in Cirenaica dei ribelli senussiti; esso

        iniziava da Bardia e arrivava sino a Giarabub, era lungo oltre

        270 chilometri.

 

 N°15 – Paul Carel – le volpi del deserto – pag. 237

 

 N°16 – W. Churchill – La 2^ guerra Mondiale – Vol.I – Parte IV pag.344

 

 N°17 – Dal Diario storico della divisione Trieste n°28- giugno 1942

 

 N°18 – I Gurkhas, erano mercenari nepalesi con innate qualità guerriere;

        gli inglesi li avevano assoldati nel loro esercito sin dal 1815.

        Erano soldati terribili soprattutto nelle lotte corpo a corpo,

        usavano il loro caratteristico pugnale (Kukri) a lama larga,

        pare che non facessero prigionieri……………li sgozzavano.

 

 N°19 – Siegfrid Westphal – Heer in fesseln - Bon 1950 

 

 

 

 
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