CENNI STORICI SU ALCUNE
UNITA’ CHE COMBATTERONO IN
AFRICA SETTENTRIONALE
IL REGGIMENTO GIOVANI
FASCISTI
( Storia di giovani in
guerra )
Appena
pochi giorni dopo la nostra
entrata in guerra, il
comando generale della
G.I.L.(Gioventù Italiana del
Littorio) tramite le
Federazioni regionali e
provinciali di tutta Italia,
venne letteralmente preso
d’assalto da giovanissimi
che manifestavano con
entusiasmo il loro ardente
desiderio di combattere.
Erano “ragazzi“ delle
classi 1922 - 1923 e
qualcuno anche del 1924.
Naturalmente questo afflusso
di giovani, creò nelle varie
Federazioni molte
difficoltà, in quanto non
erano preparate, sotto
l’aspetto logistico a
soddisfare un così notevole
impegno per il reclutamento
e l’addestramento, né ad
accogliere e gestirne un sì
rilevante afflusso di
volontari. In ogni città
vennero improvvisati centri
di accoglienza presso
scuole, palestre e campi
sportivi.
Con
circolare n°122966 del
Ministero della Guerra, le
Federazioni furono
autorizzate a costituire dei
battaglioni che presero il
nome delle città di
provenienza: 24 furono i
battaglioni formati con
oltre 1.000 volontari
ciascuno,
divisi in tre
raggruppamenti.
Ogni
battaglione fu affidato a
20 ufficiali e
50 sottufficiali, in
maggioranza provenienti dai
bersaglieri. I volontari
furono armati col moschetto
91 e il pugnale della
G.I.L.; le divise erano due,
una grigioverde e l’altra
del tipo coloniale color “
kaki “. Sulla bustina era
applicato il fregio della
G.I.L., cioè: “ scudo, daga
e fascio “, mentre sulla
manica della giubba quello
sempre della G.I.L. con
scudetto rosso e giallo ed
il nome del comando di
appartenenza.
Formati i
battaglioni questi vennero
avviati, in parte nella
riviera ligure e il
rimanente nel litorale
adriatico per iniziare
l’addestramento militare.
Nel mese
di agosto 1940,
l’addestramento severo e
meticoloso, venne completato
e i battaglioni erano già
nelle condizioni ottimali
per essere presentati a
Mussolini. Il 29 agosto,
ebbe inizio la “Marcia della
Giovinezza”, con
concentramento a Padova.
Vennero
formati tre raggruppamenti
che partirono da Albissola,
Arenzano e Ancona,
il 2O settembre erano
tutti a Padova, accantonati
nell’area della Fiera
Campionaria e nel
circondario della città.
Il
10 ottobre, 21 dei 24
battaglioni ( 3 erano ancora
impegnati in esercitazioni
militari ), furono passati
in rassegna da Mussolini,
sfilarono in parata dinanzi
alle Autorità presenti.
Oltre al capo del Governo,
al segretario del Partito
Fascista Ettore Muti ed alle
alte cariche delle Forze
Armate, vi erano le
delegazioni giovanili
tedesche, bulgare, spagnole,
magiare e romene, convenute
a Padova per l’occasione.
Improvvisamente a Padova,
quando quei “ragazzi“ già
sentivano l’attesa della
partenza per la zona
d’operazione, ecco giungere
l’ordine di scioglimento, di
riprendere gli abiti
borghesi e ritornare alle
loro case.
Si generò
subito un diffuso
malcontento tra tutti i
giovani così entusiasti,
tanto che un contrordine
riconfermò il mantenimento
in essere dei
24 battaglioni che
vennero così destinati: 8
alle dipendenze della
2^Armata; 8 assegnati
all’Armata del Po e gli
altri 8 suddivisi tra le
divisioni: Siena, Ferrara e
Centauro da inviare in
Albania.
L’imprevedibile destinazione
fece aumentare il malumore
anche tra gli ufficiali
comandanti di
battaglione; apparve palese
“l’escamotage“ per calmare
gli animi.
Infatti essi venivano
così a trovarsi sotto le
armi ma con mansioni di
milizia territoriale.
A seguire
venne successivamente
emanato altro ordine, quello
di scioglimento dei reparti
!
La M.O.V.M. Ettore Muti, allora
segretario del Partito
Fascista, fece pressione
presso Achille Starace,
comandante della
M.V.S.N.(Milizia Volontaria
Sicurezza Nazionale),
esortandolo a non deludere i
“ragazzi“ che dimostravano
tanto patriottismo e volontà
di combattere.
Dopo l’intervento
della M.O.V.M. Muti, al
quale si affiancarono i due
vice comandanti della
G.I.L., Bonamici e Sellani,
si addivenne a una
risoluzione di compromesso:
furono formati 3 battaglioni
speciali, con l’intento che
appena terminato un nuovo
periodo di istruzione
militare, sarebbero stati
impiegati in operazioni di
guerra. Fu allora messa in
opera una drastica
selezione, i non prescelti
vennero congedati con una
medaglia ricordo; soltanto
2.000 ebbero la fortuna e il
privilegio di appartenenza
nei tre battaglioni.
Sia
Achille Starace che Roberto
Farinacci, allora ispettore
superiore del Partito,
avevano fatto presente al
capo del Governo Benito
Mussolini che secondo loro,
quei “ragazzi“ non erano
fisicamente idonei alle
fatiche della loro giovane
età.
Forse
quei gerarchi ignoravano che
in passato, “ragazzi“ appena
diciottenni, molti dei quali
erano ancora studenti,
avevano tenuto un
comportamento eroico nelle
battaglie del Risorgimento
italiano ( Curtatone e
Montanara nel 1848 ); altri
giovanissimi, arruolati tra
i “garibaldini” si
distinsero nel 1915, in Francia, nella
battaglia delle Argonne e
infine altri “ragazzi” della
classe 1899, che nel corso
della Prima Guerra Mondiale
1914-1918, arginarono
l’avanzata austriaca dopo la
disfatta di Caporetto ( i
famosi “ Ragazzi del 99 “ ).
Costituiti i 3 battaglioni
di cui il 1° fu affidato al
Maggiore Fulvio Balisti,
valoroso granatiere che ebbe
un grande carisma tra i suoi
“ragazzi“( era infatti
decorato di 3 Medaglie
d’Argento e una di Bronzo),
il 2° al maggiore Carlo
Benedetti, ufficiale degli
Arditi, che aveva
partecipato alla Prima
Guerra Mondiale restando due
volte ferito, meritando
anche una M.B.V.M. (fu
volontario nella guerra
etiopica ove venne decorato
con
la Croce
di Guerra); il 3° comandato
dal capitano Antonio
Bononato.
I tre
battaglioni, posti sotto il
comando del tenente
colonnello dei bersaglieri
Ferdinando Tanucci Nannini
(altro eroico ufficiale,
decorato di 4 M.A.V.M., di 3 M.B.V.M., di una Croce di
Guerra e con due promozioni
per merito di guerra),
vennero smistati: il 1°a
Formia, il 2°a Gaeta e il
3°a Scauri; dopo due mesi di
addestramento raggiunsero
un’eccellente preparazione,
tanto da ricevere gli elogi
dal generale Taddeo Orlando,
ispettore generale del Regio
Esercito.
Il
19 aprile 1941 i tre
battaglioni prestarono
giuramento dinanzi al capo
di Stato Maggiore Esercito
Generale Guzzoni, entrando
così a far parte
dell’Esercito. Sorsero
tuttavia discussioni e
contrasti sulle uniformi e
mostrine da adottare. Mentre
i comandanti dei battaglioni
proponevano le mostrine nere
e come copricapo il fez
anziché la classica bustina,
per ricordare le “fiamme
nere” degli arditi durante la Prima Guerra
mondiale, di contro lo Stato
Maggiore impose la
regolamentare divisa in uso
nell’esercito, concedendo,
in linea del tutto
eccezionale, che le mostrine
fossero a due punte di
colore rosso e bordate di
giallo (i colori di Roma e
della G.I.L.) e venne
concesso l’uso del fez nero
con nappa, ma da usare solo
con la divisa di fatica.
Furono armati con il
moschetto Mod.38, non fu
permesso portare il pugnale
che era in uso nei reparti
avanguardisti e giovani
fascisti della G.I.L, non
venne loro consegnato il
regolare elmetto.
Nota
significativa: in Africa
Settentrionale, i giovani
volontari, portarono
quotidianamente il loro fez,
indossandolo con spavalderia
e invece poco usato fu il
casco coloniale.
Dopo il
giuramento i tre battaglioni
restarono nelle loro sedi in
attesa di destinazione al
fronte. Lo Stato Maggiore
dell’Esercito aveva proposto
l’invio di quei battaglioni,
in Grecia o Russia, ma il
24 giugno 1941 Mussolini
ricevette un rapporto nel
quale veniva sconsigliato
l’invio in Russia di quei
giovani volontari, in quanto
non avrebbero sopportato
quel clima rigido, Mussolini
scrisse di suo pugno sul
rapporto...” bene allora
mandiamoli in Libia!“.
Con
quella decisione il 1°e 2°
battaglione, furono
trasferiti a Napoli in
attesa di conoscere il loro
definitivo impiego e la
conseguente destinazione che
arrivarono presto: la Libia!
Trasferiti a Taranto, il
27 luglio 1941 s’imbarcarono
con destinazione Tripoli. La
traversata seguì una rotta
inconsueta per le navi che
portavano soldati in
Tripolitania e cioè la
rotta: Taranto - Creta -
Tripoli.
Si disse
allora che la scelta di
quella rotta, molto più
lunga della normale Napoli -
Trapani - Canale di Sicilia
- Tripoli, fosse stata
scelta per evitare il
pericoloso Canale di Sicilia
ben sorvegliato dalle forze
navali ed aeree inglesi.
Tuttavia restano dei dubbi,
anche tra gli storici: pare
invece che il vero motivo
che indusse a scegliere
quella inconsueta rotta fu
il depistare lo spionaggio
inglese, molto attivo in
Italia, che controllava
tutti i movimenti delle
nostre truppe in partenza
dai porti italiani e in
molti casi anche la rotta da
seguire. Percorrendo quella
nuova rotta, lo Stato
Maggiore Esercito,infatti
volle fare credere che
quelle truppe erano
destinate in Grecia e non in
Libia.
Sbarcati
in terra d’Africa, quei
“ragazzi“ combatterono con
grinta e coraggio. Il
lettore ha già appreso, dai
precedenti capitoli, le loro
gesta eroiche nei quasi due
anni trascorsi in
Libia-Egitto e Tunisia.
Come già
esposto nel quarto capitolo,
mentre i “ragazzi” di Bir el
Gobi si trovavano nell’Oasi
di Siwah, dove con altri
reparti avevano formato la
136^divisione Giovani
Fascisti, i loro due
battaglioni presero la
denominazione di reggimento,
ma incomprensibilmente non
venne loro assegnata la
regolare Bandiera da
combattimento. Tale
decisione, a mio giudizio fu
“vergognosa“, da parte delle
alte cariche di Roma, che
avevano avuto sempre
ostinata prevenzione verso i
volontari “fascisti”, venne
severamente stigmatizzata.
Quei
“ragazzi“ in Africa
onorarono le gloriose
tradizioni della nostra
storia militare, ebbero due
citazioni nei Bollettini di
guerra: il primo il 7
dicembre 1941 n°553 per
l’eroico comportamento nella
battaglia di Bir el Gobi, il
secondo l’11 maggio 1943 n°
1081, in
Tunisia per la battaglia di
Enfidaville. Giova
ricordare inoltre che
furono concesse 2 M.O.V.M.- 28 M.A.V.M.- 48 M.B.V.M.- 105 Croci di
Guerra. Altre 254 proposte
per decorazioni non furono
prese in considerazione
dalle commissioni militari
competenti, in quanto dopo
la caduta del Fascismo,
tutti coloro che avevano
collaborato o comunque
appartenuti al Partito
Fascista vennero epurati e
le 254 proposte caddero in
prescrizione.
Quei
giovani volontari, pur
avendo combattuto
nell’Esercito e con le
prescritte stellette,furono
considerati “fascisti” e
persino dei traditori non
degni di decorazioni. Ma
erano giovani nati sotto il
fascismo e cresciuti nel
culto della Patria, come lo
sono stato anch’io: giovani
che veramente amavano
l’Italia e moltissimi di
loro dettero la vita per la Patria. Discriminarli, fu una palese ingiustizia,
togliere loro quanto
d’onorevole s’erano
guadagnati combattendo, fu
una cosa desolante e indegna
per le scellerate decisioni
che quelle commissioni
adottarono faziosamente e
senza alcuna giustificazione
nei confronti di quei
giovani che orgogliosamente
si fregiavano delle
stellette.
Aggiungo
che suscita in me ancora
sdegno ed irritazione il
fatto che a tanta distanza
di tempo dalla fine di
quella guerra, si continui
perversamente a perpetuare
discriminazioni ormai
obsolete e direi arcaiche,
con gretta e superata
mentalità antifascista,
ignorando (se non mettendo
al bando) le gesta eroiche
di quella Unità solo perché
ancora incute “sospetto”
quel nome di battesimo di
“Giovani Fascisti” anche se
ha altamente onorato con il
sacrificio, quasi totale dei
suoi componenti le nobili
tradizioni delle nostre
Forze Armate.
Oggi i
pochi superstiti hanno una
loro significativa, decorosa
e bellissima sede con un
interessante e prestigioso
museo, sito a Ponti sul
Mincio, in provincia di
Mantova, nella tenuta che fu
del maggiore Balisti e che
Egli volle donare ai suoi “
ragazzi “.
I tre
Battaglioni avevano ciascuno
un motto sul loro “
gagliardetto “,
per il
1°: MI SCAGLIO A RUINA;
per il
2°: ABBI FEDE;
per il
3°: A FERRO FREDDO.
A
chiusura di questa breve
esposizione storica sui
Giovani Fascisti, nel
ricordare il loro impetuoso
cammino, che iniziò da Bir
el Gobi con tappe operative
a Siwah e Buerath, proseguì
dal Mareth a Enfidaville e
si completò a Capo Bon, un
mio grande desiderio sarebbe
quello di nominare uno ad
uno i nomi di questi
“ragazzi”. Sono peraltro
troppo numerosi per essere
citati tutti e lo spazio
grafico e il tempo non me lo
consentono. Comunque di
alcuni di questi volontari
GG.FF. e di chi li
comandava, desidero renderli
noti ai miei giovani
lettori.
Volontari: Sergio Bianchi,
Antonio Cioci, Gino
Magliocco, Vittorio
Bergamini, Benito Togni
(caduto a Bir el Gobi).
Questi
gli Ufficiali che li
comandarono:
tenente
colonnello Ferdinando
Tanucci Nannini:
tenente
colonnello Giovanni Lonzu;
colonnello Giacomo Sechi;
maggiore
Fulvio Balisti;
maggiore
Luigi Pianetti;
maggiore
Carlo Benedetti;
maggiore
Giovanni Mibelli;
capitano
Pietro Baldassari ( Papà
Pallino );
capitano
Mario Niccolini;
Capitano
Pietro Todesco;
Capitano
Gino Raumi;
A questa
nota dovrei aggiungere tanti
comandanti di plotone;
purtroppo
anche per essi, lo
spazio grafico mi è nemico,
ne cito alcuni quali i
tenenti: Siro Brogi, Gaspare
Pifferi, Giuseppe Barone,
Giovanni Laterzi, Bettino
Solara (caduto nella
battaglia del Mareth)
Formata
la 136^divisione GG.FF. in
Egitto, il comando fu
affidato al generale Ismaele
Di Nisio e successivamente
al colonnello Follini ed in
Tunisia la G.U. passò al comando del
generale Nino Sozzani poi al
generale Guido Boselli.
Sempre in
fatto di storici eventi che
suscitano alta
considerazione nei confronti
di questi appassionati
giovani, vorrei citare un
significativo episodio
quando il 9 maggio 1943, in Tunisia ogni
resistenza al nemico da
parte delle truppe
italo-tedesche era cessata,
i superstiti dei due
battaglioni GG.FF. ancora
combattevano e solo il
giorno 13, esaurite le
munizioni, furono costretti
alla resa; il maggiore Della
Pietra del I° battaglione
per non cedere al nemico il
“gagliardetto” e quindi la Fiamma, decise di tagliarla
in 17 pezzi ed ogni lembo
venne consegnato ad ognuno
dei superstiti del suo
gruppo che erano ridotti a
17 tra ufficiali e
volontari. Catturati furono
trasferiti nei campi di
concentramento in America e
rientrarono in Italia solo
dopo il 1945. Del gruppo dei
17 non tutti ebbero la
fortuna di essere liberati;
alcuni di essi morirono in
prigionia. Quelli che
riuscirono a rientrare in
Patria ancora in possesso
della “reliquia”, la
consegnarono al volontario
Antonio Cioci che è riuscito
a ricostruire in parte la Fiamma del “gagliardetto”,
che oggi si trova custodita
nel Museo dei GG.FF. alla
Piccola Caprera di Ponti sul
Mincio. ( FOTO N°1-2
)
X REGGIMENTO ARDITI
Nel mese
di maggio 1942, visto il
moltiplicarsi delle
incursioni di sabotaggio
compiute dagli inglesi, sia
in Italia che in Africa
Settentrionale, lo Stato
Maggiore Esercito, decise la
costituzione di speciali
reparti, capaci di compiere
azioni di tipo “commandos“,
dal cielo, terra e mare.
Venne
effettuato un reclutamento
volontario fra i militari in
armi e furono scelti solo
elementi fisicamente dotati,
animati da spirito
aggressivo con spiccate
capacità intellettive,
prontezza di riflessi e
buona cultura, anche perché
a fine corso di
addestramento, costoro
avrebbero dovuto essere
capaci di
leggere una carta
topografica, di sapersi
orientare anche di notte in
territorio sconosciuto,
avere conoscenza
approfondita della bussola,
normale e pronta conoscenza
dell’impiego di ogni tipo di
arma e di esplosivi, essere
ottimi nuotatori e
indiscussi piloti su ogni
tipo di automezzo ed infine
abili
guastatori,
attaccando aeroporti, linee
ferroviarie, depositi di
carburante e casematte.
Tutti
questi requisiti
attitudinali erano
indispensabili per un
accurato e completo
addestramento, in quanto tre
erano le specialità di
questo corpo: paracadutisti,
nuotatori e camionettisti
L’addestramento di base fu
iniziato e completato nel
poligono militare di Santa
Severa (Civitavecchia) e
successivamente a seconda
della specializzazione in
altri campi militari; per i
paracadutisti la scuola di
Tarquinia, per i nuotatori
due località segrete di
Livorno e Pola. Quanto ai
camionettisti si
addestrarono su tutto il
litorale tirrenico e
particolarmente sui monti
della Tolfa.
A fine
corso vennero formati 3
battaglioni, uno di arditi
paracadutisti, uno di
nuotatori e il terzo di
camionettisti, che
all’occorrenza dovevano
conoscere l’uso di ogni arma
e saper destreggiarsi con
mezzi motorizzati nemici,
costituendo così, agli inizi
del 1943, il X reggimento
Arditi al comando del
colonnello Renzo Gazzaniga.
I
battaglioni erano comandati
da ufficiali con grande
esperienza militare, tutti
decorati al Valore Militare:
il 1°battaglione era agli
ordini del tenente
colonnello Carlo Bersani, il
2°fu affidato al maggiore
dei bersaglieri Vito
Marcianò, il 3° al maggiore
Antonio Albertini. Tutti e
tre i battaglioni operarono
in Africa, come già citato
nel 6°capitolo; in Tunisia
combatté, come reparto
d’assalto, la 103^compagnia
camionettisti al comando del
capitano Brusa,
compagnia
equipaggiata con camionette
del deserto AS.43 che si
distinse nelle battaglie del
Mareth, di Uadi Akarit,
Enfidaville e in ultimo a
Capo Bon.
L’equipaggiamento
dell’ardito, sia
paracadutista che nuotatore,
era uno dei più efficienti e
sofisticati di tutto il
nostro esercito, infatti
l’armamento individuale
comprendeva pistola,
pugnale, moschetto
automatico Mod.38, 6 bombe a
mano racchiuse in una
speciale custodia.
Completava l’equipaggiamento
individuale un particolare
zainetto contenente:
esplosivo al plastico del
tipo T4, micce, inneschi,
una speciale bussola a
perfetta tenuta d’acqua, un
orologio da polso con
lancette fosforescenti, un
binocolo prismatico,carte
toponomastiche e
topografiche (agli inizi del
1943 queste furono stampate
su seta), un pacchetto di
medicazione, la dotazione di
viveri per 3 giorni ( in
caso particolare di
prolungata azione, questa
veniva portata a 15 giorni )
ed inoltre l’ardito veniva
munito di carta moneta
nemica circolante nel
territorio di previsto
impiego.
Per gli
arditi camionettisti,
l’armamento individuale era
simile a quello dei
paracadutisti e nuotatori:
anch’essi avevano in
dotazione esplosivi al
plastico e micce, carte
topografiche della zona. La
dotazione automezzi era
costituita dalle famose
camionette del deserto
SPA-AB- Mod.1943, che
montavano un armamento misto
di mitragliatrici,
mitragliere c.a., cannoni
c.c. e fuciloni c.c.
Il
segreto militare per le
azioni che dovevano
compiere, fu un titolo di
merito del X reggimento,
poichè ne veniva (o doveva
venirne) a conoscenza solo
il dipartimento interessato.
In tal caso era lo Stato
Maggiore Esercito a
trasmettere direttamente al
comandate del X reggimento
l’azione da svolgere. Il
colonnello Renzo Gazzaniga
sceglieva all’ultimo
momento, cioé un paio di ore
prima dell’azione, la
pattuglia da impiegare e
spiegava ai componenti le
modalità del sabotaggio, la
località e l’eventuale
recupero; era poi compito
degli arditi scelti,
studiare i dettagli
particolari per lo
svolgimento dell’azione.
Una nota
particolare: i nostri
sabotatori in ogni azione,
indossavano la regolare
divisa dell’Esercito con
stellette e gradi,
attenendosi rigorosamente
alle Leggi Internazionali di
guerra, al contrario dei
sabotatori inglesi che
sovente usavano
travestimenti con divise
militari dell’avversario o
con abiti civili, con
particolare riferimento agli
usi e costumi delle
popolazioni del luogo ove
dovevano operare.
BATTAGLIONE PARACADUTISTI
REGIA AERONAUTICA
( 1° D’ASSALTO e
ADRA )
Nell’aprile 1942, lo Stato
Maggiore dell’Aeronautica
decise la costituzione di un
battaglione di
paracadutisti; scopo
iniziale era quello di
prepararli in vista del
tanto prospettato progetto
C.3, occupazione dell’isola
di Malta.
Venne
diramata una circolare a
tutti i comandi aeronautici
dislocati nel territorio
nazionale, affinché
portassero a conoscenza al
loro personale del bando di
arruolamento di una Unità
speciale. Aderirono circa
2.000 avieri ma solo 400
riuscirono a superare la
difficile selezione.
Formato
un battaglione, posto agli
ordini del tenente
colonnello Edvino Dalmas, i
volontari iniziarono a
Tarquinia il corso di
paracadutista. Completati i
6
lanci per il
conseguimento del brevetto
furono trasferiti a
Civitavecchia, sede di corsi
guastatori, ove appresero
l’uso degli esplosivi, i
vari tipi di sabotaggio, la
non semplice lettura delle
carte topografiche ed il
lavoro di ripristino di
piste di decollo e
atterraggio degli aerei.
Completato il corso il
battaglione paracadutisti
rimase in attesa
dell’impiego che doveva
essere, secondo le
disposizioni impartite agli
ufficiali, il lancio su
Malta, lancio che peraltro
non avvenne mai, in quanto
con la travolgente avanzata
di Rommel in Egitto, il
generale tedesco pretese e
ottenne, con l’intervento
opprimente del Fuhrer su
Mussolini, che l’azione su
Malta venisse annullata e le
autorità di Roma e lo stesso
maresciallo Kesselring,
accettarono obtorto
l’imposizione di Rommel e
del Fuhrer. Fu un grave
errore di valutazione, che
ci costò la perdita della
Libia e cambiò le sorti
della guerra in Africa del
Nord.
Nell’ottobre del 1942 venne
formato un secondo
battaglione, comandato dal
capitano
Araldo De Angelis,
che seguì lo stesso
addestramento del primo ma
con
compiti più specifici
sul sabotaggio degli aerei e
degli aeroporti. Questo
nuovo battaglione prese la
denominazione di Arditi
Distruttori Regia
Aeronautica (ADRA) poiché
doveva operare come il
reparto paracadutisti del X
reggimento arditi
dell’esercito.
Quando a
novembre 1942 gli alleati
sbarcarono in Marocco ed in
Algeria, avanzando
verso la Tunisia, furono sorpresi nella loro avanzata,
oltre che dai paracadutisti
tedeschi, che avevano
formato una prima linea di
difesa, anche dal
1°battaglione d’assalto del
tenente colonnello Dalmas
che era stato velocemente
inviato in Tunisia.
Imbarcato a Trapani su due
cacciatorpediniere e
sbarcato a Biserta il 19
novembre; furono i primi
soldati italiani che
arrivarono in Tunisia,
unitamente al reggimento
S.Marco. Portati subito in
linea nella zona Dyebel
Abiod-Mateur, sostennero lo
stesso giorno un primo e
violento combattimento anche
all’arma bianca ed in quella
lotta fu ferito il
comandante Dalmas, caddero
il tenente Messina e gli
avieri Raengo, Barcellesi,
Giacomazzi, Albertazzi;
vennero feriti anche i
sergenti: Mantovani,
Flumero, Peroni.
I nostri
avieri paracadutisti
combatterono per altri 6
giorni consecutivi, subendo
altre gravi perdite in morti
e feriti e 44 furono i
dispersi. A fine di quei
combattimenti il battaglione
aveva perduto il 50% dei
suoi effettivi e ciò
dimostra del suo
eroico comportamento. I
resti del battaglione
inquadrati successivamente
nel reggimento “Duca
d’Aosta” (ten.col.
Gabrielli),combatterono poi
a Uadi Akarit, Enfidaville e
Nabeul (Capo Bon).
Il
battaglione ADRA invece,
come già descritto, operò in
Africa del Nord e in Sicilia
con azioni di sabotaggio. (
FOTO N°3-4 )
POLIZIA AFRICA ITALIANA (
P.A.I.)
Con Regio
Decreto Legge del
14 febbraio 1936 n° 2374, su
proposta dell’allora
Ministro delle Colonie
Lessona, venne istituito il
“Corpo Polizia Coloniale“,
destinato ad operare nelle
nostre Colonie dell’Impero
(Etiopia, Somalia, Eritrea)
e in Libia.
Quando
nello aprile 1937, con
R.D.L. n° 413, la superata
denominazione di
“Ministero delle
Colonie“ assunse quella di
“Ministero dell’Africa
Italiana“, il Corpo di
Polizia coloniale mutava
anch’esso, con la
denominazione di: “Polizia
Africa Italiana“, la
cui sigla fu P.A.I.
Il Corpo
venne addestrato
militarmente ed incorporato
nelle forze armate dello
Stato e ne fecero parte
anche elementi indigeni, sia
dell’Impero che della Libia.
Pur essendo
militarizzati i componenti
della P.A.I. svolgevano
anche funzioni istituzionali
di Polizia civile e cioè:
ordine pubblico, polizia
giudiziaria e
amministrativa.
Un
particolare interessante: i
componenti della P.A.I.,
avevano l’obbligo di
risiedere in permanenza nel
territorio ove prestavano
servizio.
I primi
ufficiali vennero scelti tra
quelli che avevano svolto
gran parte del loro servizio
in Libia o nei territori
dell’Impero, invece per i
subalterni fu bandito un
concorso al quale affluirono
a migliaia, in prevalenza
provenivano dagli agenti
della Pubblica Sicurezza di
Stato. La selezione fu
rigorosa, la statura
dell’allievo non doveva
essere inferiore a metri
1,70 e dovevano possedere un
titolo di studio superiore
alla licenza elementare.
Quale
sede e scuola di
addestramento fu scelta la
città di Tivoli; il
personale ad inquadramento
avvenuto, veniva ad avere un
trattamento economico di
gran lunga superiore a
quello di cui godeva un
comune poliziotto in Patria.
L’uniforme ordinaria era di
color “kaki“, casco
coloniale o berretto rigido,
sulla giacca “sahariana”
all’altezza della spalla
sinistra
due
“cordelline”
intrecciate di seta
azzurra per il poliziotto,
mentre per l’ufficiale erano
dorate, guanti in tessuto
bianco per il subalterno,
guanti in pelle nera per
l’ufficiale. Pur facendo
parte quale Corpo ausiliario
operativo (nuclei autoblindo
e motociclisti)
dell’esercito, non portavano
le stellette, ma due
piccoli “fasci“ di
colore azzurro; sia il
semplice poliziotto che
l’ufficiale, calzavano
stivali in pelle a cerniera
laterale.
L’armamento individuale
consisteva in: pistola
Beretta Mod.34 calibro 9,
moschetto automatico Beretta
(Mitra), calibro
8,8 mm.
Mod. 38/A, con innestato
sulla canna un
pugnale-baionetta pieghevole
e furono dotati di mezzi
meccanici con motociclette
Guzzi ALCE 500. Inoltre a
guerra iniziata vennero
forniti di autoblindo
SPA-AB/40-41 e mototricicli
Guzzi 500, sui quali era
montata una mitragliatrice
Breda 37 calibro 8 mm. che aveva anche funzione
di contraerei. Furono
formati 7 battaglioni, che
presero il nome di nostri
grandi esploratori e
illustri africanisti quali:
Vittorio Bottego, Luigi
Giulietti, Luigi Amedeo di
Savoia, Antonio Cecchi,
Gaetano Casati, Eugenio
Ruspoli e Romolo Gessi. Sei
di questi reparti, nel 1938
vennero inviati in Africa
Orientale italiana, alle
Questure di Addis Abeba,
Asmara, Gondar, Harrar,
Gimma e Mogadiscio, mentre
il battaglione Gessi, nel
1939 fu destinato alla
Questura di Tripoli.
La
mancanza nell’ordinamento
del R.E. di specifici
reparti esploranti (verranno
costituiti più tardi nel
1942 con elementi blindati
di Cavalleria), indusse lo
Stato Maggiore Regio
Esercito ad incorporare
reparti P.A.I. nelle G.U.
corazzate, con missioni
esploranti.
Agli
inizi del 1940 vi erano in
A.O.I. 6.345 guardie P.A.I.
e di queste facevano parte
4.400 indigeni nativi del
posto. In Libia la
consistenza numerica era di
1.327 di cui 732 libici.
In Africa
Orientale i poliziotti
indigeni portavano come
copricapo il rosso
caratteristico “Tarbusc“,
alto circa
30 cm.,
che aveva forma tronco -
conica con
nappa
azzurra, mentre in Libia era
la “Taghia“ sempre con nappa
azzurra, questo copricapo
aveva la forma di calotta
rossa; sia in A.O.I. che in
Libia i poliziotti indigeni
avevano avvolta al ventre
una fascia di lana rossa, ai
baveri invece dei “fasci“
avevano il “ Nodo di Savoia
“.
L’armamento individuale per
gli indigeni, era la pistola
Beretta Mod.34, il moschetto
Mitra, pugnale e calzavano,
come i nazionali, stivali di
cuoio.
Vi erano
anche i reparti cammellati
ed a cavallo; nelle parate
sfilavano indossando il
“Burnus“ che era uno
speciale mantello nero con
bordi dorati per gli
ufficiali, argentati per i
graduati e rossi per il
semplice poliziotto.
Durante
la guerra presero parte a
numerose battaglie, specie
in Africa Orientale
partecipando anche
alla conquista della Somalia
inglese. Nel marzo del 1941,
una banda regolare indigena
della P.A.I. venne quasi del
tutto distrutta: caddero
infatti il comandante
tenente Vacirca e 150 ascari
dei 180 che componevano il
reparto. Nella ultima
disperata battaglia di
Gondar del 27 novembre 1941,
il battaglione “Casati“ si
sacrificò al completo.
Dopo la
perdita dell’Impero, la P.A.I. ebbe, insieme ai Reali
Carabinieri, dalla
amministrazione militare
britannica, compiti di
sicurezza e ordine pubblico
in tutto il territorio ex
italiano.
In Libia,
il battaglione Gessi che
aveva un’ottima preparazione
specifica, incominciò a
svolgere compiti prettamente
militari, quali scorta ai
convogli terrestri,
snellimento del traffico
sulla via Balbia,
soprattutto durante le
ritirate, sorveglianza agli
aeroporti ( nell’aeroporto
di Barce a settembre del
1942, un piccolo nucleo
P.A.I. riuscì a sventare un
sabotaggio di incursori
inglesi ).
Nel
ripiegamento del dicembre
1941, il battaglione venne
decimato in quanto posto a
retroguardia, subì numerosi
scontri con le truppe
corazzate inglesi che
tentavano di chiudere in una
sacca i soldati di Graziani.
In quella ritirata oltre a
proteggere il tergo delle
nostre formazioni, dovettero
affrontare anche il problema
dei civili, proteggendoli
dalle incursioni di predoni
arabi che approfittarono di
quei tragici momenti per
compiere razzie.
Nella
battaglia di El Alamein,
alcuni reparti del
battaglione dettero valido
appoggio ai paracadutisti
della Folgore, collegando i
centri di resistenza con i
comandi divisionali e di
reggimento; combatterono
ancora nella Sirtica e a
Buerat. I pochi superstiti
del battaglione furono
presenti in Tunisia, nelle
battaglie del Mareth, Uadi
Akarit e Enfidaville e pur
essendo ridotti ormai a
pochi uomini combatterono
con onore sino alla resa del
13 maggio 1943. L’Albo d’Oro
della specialità vanta le
seguenti decorazioni:
2 Ordini
Militari di Savoia;
1 M.O.V.M;
54 M.A.V.M.;
158 M.B.V.M.
261 Croci
di Guerra al V.M.
Grazie
all’appassionata opera di
ricerca effettuata dal 1986
da Raffaele Girlando,
italiano di Libia, mi é
stato possibile essere così
preciso ed esauriente nel
descrivere la storia della
P.A.I. che fu comandata dal
generale di divisione
Riccardo Maraffa. (FOTO
N°5 )
REGGIMENTO S.MARCO
( FANTERIA DI
MARINA )
La storia
di questo reggimento ha
origini molto antiche,
bisogna tornare indietro di
alcuni secoli e arrivare al
1713, quando Vittorio Amedeo
II di Savoia, Re di
Sardegna, formò un
reggimento di “Fanti da mar
“ che partecipò alla
occupazione della Sicilia.
In seguito furono
protagonisti di altri fatti
d’arme, come la difesa di
Oneglia (1796), la battaglia
di Novara (1821), nonché il
breve conflitto con il Bey
Jusef di Tripoli (1825)
quando la flotta sarda
bombardò la città, i “Fanti
da mar“ vi sbarcarono
occupandola per alcuni
giorni. Troviamo ancora il
reggimento nella sfortunata
guerra di Lissa (1866), i
“Fanti da mar“ fecero parte
anche del contingente
italiano (1900) a Tien Tsin
(Cina), nella feroce lotta
contro i boxers cinesi, ove
il reggimento ebbe la sua
prima M.O.V.M., concessa
alla memoria del
sottotenente di Vascello
Ermanno Calcolo. I “Fanti da
mar“ combatterono nella
guerra libica (1911), in
quella Mondiale del
1915-1918 e infine in
Etiopia 1936, ove un
reparto, aggregato al
3°reggimento granatieri di
Sardegna prese parte alla
conquista di Addis Abeba.
Nel marzo
del 1919, con Decreto Reale,
il reggimento “Fanti a mar“
prese la denominazione di
“Reggimento Regia Marina
S.Marco “.
Nel
2°Conflitto Mondiale il
S.Marco combatté sui fronti
di: Albania, Grecia,
Dalmazia, Montenegro e
infine in Libia e Tunisia.
Gli
ultimi marò a consegnare le
armi nella Seconda Guerra
mondiale, furono quelli del
presidio di Tien Tsin e
Shangai nello agosto del
1945.
Nota
storica: il territorio di
Tien Tsin, dopo la
conclusione della guerra
contro i boxers cinesi nel
1900 e agli accordi del 7
giugno 1902 con
la Cina,
venne affidato all’Italia
con conduzione perpetua;
quel territorio aveva una
vastità di appena 500 mtq. e
sino al 1945 fu sempre
presieduto da marinai.
Nel
2°Conflitto il reggimento fu
comandato dall’ammiraglio
Viglieri, uno dei superstiti
della impresa di Umberto
Nobile al Polo Nord ed era
composto dai
battaglioni: Grado,
Bafile, Caorle, Tobruch, in
un secondo momento venne ad
aggiungersi un battaglione
Milmart e un battaglione
paracadutisti-nuotatori. I
primi due battaglioni ad
essere formati furono il
Grado e il Bafile, in
seguito nacquero i
battaglioni Caorle e
Tobruch. Posto sotto il
comando del capitano di
Vascello Colotto, il Tobruch
fu il primo del S.Marco a
operare in Africa
Settentrionale
(Cirenaica), si
distinse subito nella difesa
di aeroporti (nel
4° capitolo ho citato un
episodio di cui fu
protagonista un reparto del
Tobruch, sventando,
unitamente a componenti
della P.A.I. l’attacco
nemico allo aeroporto di
Barce). Reparti sabotatori
del “S.Marco”, compirono
numerose missioni
distruttive dietro le linee
inglesi di El Alamein,
trasportati sulla costa
egiziana da nostri Mas.
Altre missioni, con reparti
NP furono eseguite in
Tunisia fra aprile/maggio
del 1943.
I
comandanti di reggimento e
dei battaglioni erano
ufficiali di marina, mentre
quelli di compagnia o
plotone provenivano dallo
esercito ed erano quasi
tutti ufficiali dei
granatieri di Sardegna. I
sottufficiali e la truppa
erano composti solo da
marinai.
Ogni
comandante di battaglione
aveva un ufficiale di
collegamento dell’esercito
con funzioni di consulente
per tutte le operazioni
militari di tattica
terrestre, come sopra detto
in generale erano ufficiali
dei granatieri. Infatti nel
battaglione Grado,
l’ufficiale di collegamento
era il tenente Rodolfo
Pampalone Morisani dei
granatieri di Sardegna.
Ogni
battaglione era
completamente autonomo, le
compagnie avevano il loro
plotone
esploratori-guastatori e
inoltre disponevano di
personale altamente
specializzato, quali radio
telegrafisti, telefonisti e
segnalatori.
Le dotazioni di guerra come
armamento, viveri e
munizioni davano al
battaglione la necessaria
autonomia, formando così un
unico blocco pronto ad
intervenire tempestivamente
in qualsiasi punto del
fronte.
Il
battaglione più provato nel
corso della guerra in A.S.
fu il “Grado“, comandato
dal tenente di
Vascello Ernesto De Brazzi
distintosi soprattutto in
Tunisia per lo spirito di
abnegazione e sacrificio.
Comprendeva ben 15 ufficiali
dei granatieri, molti di
essi caddero alla testa dei
loro reparti, altri dettero
prove di coraggio e di
esempio. Nelle battaglie sul
fronte di Biserta, Kairouan,
Sfax, Susa, Kasserine, i
marinai del S.Marco,
cercarono di fermare
l’inarrestabile avanzata del
nemico. Nell’ultima
resistenza a Capo Bon, il
“Grado”, il Caorle e parte
del Bafile, il 13 maggio del
1943, avendo esaurite le
munizioni, dovettero cessare
ogni combattimento
arrendendosi a testa alta e
con onore a un nemico che
per superiorità di mezzi e
di uomini, dominava ormai in
Tunisia. Gli alleati
riconobbero l’eroica
resistenza di un avversario
intrepido e leale.
Per i
fatti di guerra il
battaglione “Grado“ venne
decorato di M.A.V.M. con la
seguente motivazione...”Ognora
distintosi per elevatissimo
spirito combattivo, valore
ed abnegazione, primeggiò
tra i fanti con i quali in
Tunisia, per circa sei mesi
di aspra campagna, fu
costantemente impegnato in
battaglia ! “
Anche il
Bafile fu decorato con
la Croce di
Guerra, mentre
la Bandiera
del reggimento ebbe l’Ordine
Militare di Savoia.
Il
Reggimento S.Marco,
ricostituito dopo
l’armistizio dell’8
settembre 1943, prese parte
con i battaglioni
Grado-Caorle e Bafile, alla
Guerra di liberazione,
operando nel settore
Adriatico, inquadrato nel
Gruppo da Combattimento
“FOLGORE”.
Oggi il
S.Marco nuovamente
ristrutturato nel 1965,
partecipa a molte operazioni
di pace, fuori dai confini
d’Italia. ( FOTO N°6-7
)
GLI AEROSILURANTI ITALIANI
Completezza d’esposizione
esige configurare il profilo
di questa specialità, che
all’inizio della guerra non
era ancora in forza nella
nostra aviazione, mentre
l’aeronautica inglese, già
prima dell’inizio del
conflitto, possedeva un
efficientissimo
reparto aerosiluranti
imbarcati su navi portaerei.
Infatti
l’11 novembre del
1940 queste formazioni
attaccarono il porto di
Taranto danneggiando
gravemente navi alla fonda e
affondando tre nostre
corazzate.
Il
progetto di quell’attacco
era stato del
contrammiraglio Lyster il
quale lo prospettò
all’ammiraglio
Cunninghan,allora comandante
della “Mediterraneam Fleet”,
venne approvato e, come
sopra citato, messo subito
in atto.
Lo Stato
Maggiore dell’aeronautica
italiana, a metà del 1937,
aveva dato corso allo studio
e progettazione di un
reparto di esperti piloti
aerosiluratori.Il 28 ottobre
1940 fu istituita la prima
scuola della specialità,
posta al comando del tenente
colonnello Carlo Unia. La
sua prima sede fu la città
di Gorizia
col suo aeroporto,
dove affluirono i primi
piloti comandati dal
capitano Mojoli. Dopo breve
tempo fu aperta una seconda
scuola presso l’aeroporto di
Capodichino (Napoli);
avrebbero dovuto essere due
basi segrete, ma lo
spionaggio inglese,
notoriamente attivo ed
efficiente
sul nostro
territorio, ne venne subito
a conoscenza.
Nel
giugno del 1940, le due
scuole avevano già
addestrato un buon numero di
piloti, però non si era
ancora pensato di produrre
un velivolo adatto al
siluramento, nonostante
l’accurata progettazione. Si
ricorse a cercarlo tra
quegli aerei che avevano
particolari caratteristiche
di adattabilità alla
bisogna. La scelta cadde sul
bombardiere S.M.79, reputato
dagli esperti il più idoneo
anche se pesante per il
particolare impiego. Era
tuttavia affidabile per la
sua manovrabilità.
Già nel
1912, il capitano del Genio
Navale Guidoni e l’avvocato
Pateras-Pescara, idearono un
aereo idrosilurante, ma per
ignote ragioni quella
invenzione venne brevettata
e realizzata dalla marina
inglese che creò subito i
primi aerosiluranti,
impegnandoli nella guerra
1914-1918 nel Mar di Marmara
( tra l’Egeo e il Mar Nero).
Addestrati i piloti, trovato
l’aereo adatto, iniziarono
le difficoltà a causa della
parsimonia con cui venivano
forniti i siluri a questa
nuova specialità. In Italia
tre erano le fabbriche che
producevano siluri: la Whitehead di Fiume, la S.I. di Baia (Napoli) e la Moto-Fides di Marina di
Pisa, ma tutte e tre
lavoravano sia per la marina
italiana che per quella
tedesca e anche per
la Luftwaffe
e quando si presentò la
necessità di rifornire gli
aerosiluranti nacquero le
difficoltà nelle consegne.
L’inconveniente venne
comunque risolto sia dalle
fabbriche che dal Ministero
dell’Aeronautica adottando
il siluro modello SW.170,
ridotto come lunghezza e
adattato al trasporto aereo.
Tale tipo
di siluro, denominato poi
“siluro SW” (per Whitehead),
pesava 800 kg., era lungo 5,46 metri, aveva un
diametro di
450 mm.
ed una carica esplosiva di
170 Kg.
Veniva lanciato dall’aereo a
una velocità di 300 Kmh., da
una distanza di
700 metri
e da quota di appena 60 metri. Intrepidi e
spericolati piloti, come il
maggiore Buscaglia, i
tenenti, Faggioni, Marini,
Graziani, Aichner ( tutti
M.O.V.M.), riuscivano ad
avvicinarsi all’obiettivo
sino a 300 metri di distanza.
Nel
menzionare questi piloti,
almeno di uno di essi è bene
che il lettore venga a
conoscerne il curriculum
militare, si tratta di Carlo
Emanuele Buscaglia, maggiore
pilota. (
FOTO N°8-9 )
Piemontese di nascita, a
soli 26 anni fu promosso
maggiore per eccezionali
meriti di guerra; il suo
passato era costellato da
eroiche azioni, si fregiava
di ben 6 M.A.V.M. e della Croce di
Ferro tedesca di 2^Classe.
Nel 1938
completato il Corso presso
l’Accademia Aeronautica,
conseguito il grado di
sottotenente venne assegnato
alla 50^squadriglia del
32°stormo bombardieri
terrestri. Nei primi mesi
del 1940, fu destinato a
Pisa con il grado di tenente
presso la 252^ squadriglia
del 46° stormo B.T.
Ufficiale
profondamente convinto della
sua missione, fu severo
innanzitutto con se stesso,
ligio al dovere e sempre
primo nelle più spericolate
missioni di guerra.
Allo
scoppio delle ostilità,
venne inviato ad operare sul
fronte Occidentale (Francia)
dove si meritò la prima
Medaglia d’Argento e la
promozione a capitano.
Costituito il
1°Nucleo Aerosiluranti
(Gorizia), Buscaglia ne fece
parte, divenendo in poco
tempo il più audace tra gli
Assi aerosiluratori della
aviazione italiana, quale
furono: il tenente Giulio
Graziani, il capitano Carlo
Faggioni (caduto ad Anzio
nel 1944, mentre tentava di
ostacolare lo sbarco
anglo-americano in quel
settore, il Faggioni aveva
aderito alla Repubblica
Sociale Italiana), i tenenti
Martino Achner e Marino
Marini, il capitano Giuseppe
Cimicchi, i maggiori
Massimiliano Erasi e Arduino
Buri, tutti decorati di
M.O.V.M. e ancora i
sottotenenti Carlo Pfister,
Luigi Rovelli, Aldo
Forzinetti e il tenente
Mario Mazzocca (mio
concittadino) tutti decorati
con M.A.V.M.
Ai piloti
Faggioni, Marini e Buri la
loro Medaglia d’Oro nel
dopoguerra venne revocata
solo perchè avevano aderito
alla R.S.I., atto
deprecabile fra i tanti
operati dalle commissioni
ministeriali preposte
(sempre nel dopoguerra) al
riesame di proposte di
ricompense per fatti di
guerra avvenuti prima
dell’armistizio. ( FOTO
N°10-11 )
L’infausto 8 settembre del
1943 divise l’Italia ma
soprattutto la coscienza di
valorosi soldati che
ritennero schierarsi in
opposte posizioni chi al
Nord chi al Sud. Ma in ogni
caso essi combatterono in
obbedienza al loro ideale ed
aldisopra di ogni interesse
personale, combatterono
tutti solamente per
l’Italia. Non esito a
riconoscere che queste
considerazioni esulano
dall’imparzialità, ma non
posso non esprimere questo
mio pensiero.
Il 12
novembre 1942 durante
un’azione contro il porto di
Bougie (Algeria), alla quale
parteciparono 6
aerosiluranti italiane,
l’aereo del maggiore
Buscaglia fu abbattuto dagli
Spitfire inglesi e
precipitando in mare
esplose.
Al
rientro nella base di
Castelvetrano dei 5
superstiti aerei, venne
confermata la morte di
Buscaglia e del suo
equipaggio; lo stesso
Bollettino di guerra n°901,
emesso dal Quartiere
Generale delle nostre Forze
Armate, comunicava agli
italiani l’eroica morte
dell’Asso degli
aerosiluratori, al quale
venne subito concessa la M.O.V.M.
L’equipaggio dell’aereo del
maggiore Buscaglia in quella
incursione era composto come
segue: 1°pilota
C.E.Buscaglia, 2°pilota
sergente maggiore Francesco
Sogliuzzo, sergente
marconista Edmondo Balestri,
1°aviere armiere Valter
Vecchierelli, 1°aviere
motorista Vittorio Vercesi,
1°aviere fotografo Francesco
Maiore.
In quella
azione accadde un fatto
sorprendente: nell’aereo
abbattuto non tutti
perirono, due dei componenti
l’equipaggio nell’impatto in
mare e a seguito della
esplosione vennero sbalzati
fuori dall’aereo. Erano il
maggiore Buscaglia e il
1°aviere Maiore che raccolti
da una imbarcazione inglese
furono prima trasportati in
un ospedale francese poi in
uno inglese. Le condizioni
dei due erano gravissime
tanto che il Maiore morì
dopo due giorni tra atroci
sofferenze, il maggiore pur
essendo ustionato in quasi
tutto il corpo e con gravi
ferite al capo riuscì a
cavarsela. Ad onore della
verità si deve registrare
che portato in Inghilterra
venne curato con ogni
attenzione dal personale
medico sia militare che
civile e quasi completamente
guarito fu deportato in
America sempre come
prigioniero di guerra.
Dopo l’8
settembre, quando l’Italia
del Sud era passata a
combattere a fianco degli
anglo-americani, il Maggiore
Buscaglia rientrò in Italia
e prese servizio agli inizi
del 1944 nella nuova
aviazione del Sud. Assegnato
ad una formazione da
bombardamento con apparecchi
americani “Baltimore”,
partecipò ad azioni contro
truppe tedesche in
Jugoslavia, ma solo come
secondo pilota non avendo
ancora l’abilitazione per il
bimotore M.187 “Baltimore”
Desideroso di pilotare da
solo quel tipo di
apparecchio una mattina
all’insaputa di tutti, salì
su un “Baltimore” per
decollare; purtroppo
l’aereo non rispose ai suoi
comandi e precipitò al suolo
esplodendo. Buscaglia morì
sul colpo. A Bougie nel 1942
nella stessa drammatica
situazione ne uscì invece
vivo anche se gravemente
ferito, a Campo Vesuviano
(Napoli), in territorio
italiano, la morte lo colpì.
Molte
furono le congetture su
quella strana vicenda, si
disse allora che il maggiore
avesse cercato di portarsi
al Nord per raggiungere
altri valorosi compagni che
avevano aderito alla R.S.I.;
altra “diceria” fu l’accusa
di non essere più in grado
di pilotare da solo un aereo,
a causa delle gravi ferite
riportate a Bougie che ne
avevano menomato oltre che
il fisico anche la psiche,
si tratta di solo “supposizioni”.
La vera ragione a mio avviso
è da attribuirsi al destino
avverso.
La
temerarietà nelle sfide ha
sempre un limite
invalicabile.
Ancora o